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Social media e infanzia: rischi e opportunità

2021, IUL Research

Vol. 2 num. 4 (2021) Educare dalla nascita. Per una riqualificazione dei nidi e dei servizi per l’infanzia Social media e infanzia: rischi e opportunità Social media and childhood: risks and opportunities Immacolata Messuria a Università Telematica degli Studi IUL, i.messuri@iuline.it ABSTRACT The paper deals with the theme of social media and social network from in the childhood. It shows the importance of a redefinition of teaching practices, which must be directed to the realization of learning environments increasingly responsive to various educational needs. Through social network it is possible to carry out widespread training and didactic actions, but it is necessary to design and implement proper training actions for the personnel involved. The learning abilities of social media and social network recommend educational itineraries that are more attentive to the experiential dimension of the child being educated and to his educability. This requires, on behalf of the professor, an interdisciplinary read of the cognitive processes of the subject and his ways of being and acting. SINTESI L’articolo affronta il tema dei social media e dei social network nell’infanzia. La riflessione mostra l’importanza di una ridefinizione delle pratiche didattiche, che devono essere orientate alla realizzazione di ambienti di apprendimento sempre più rispondenti alle diverse esigenze educative. Attraverso i social network è possibile realizzare azioni formative e didattiche diffuse, ma è necessario progettare e realizzare adeguate azioni formative per il personale coinvolto. La capacità di insegnare dei social media e dei social network suggerisce percorsi educativi più attenti alla dimensione esperienziale del bambino in fase di educazione e alla sua educabilità. Ciò richiede, da parte del docente, una lettura interdisciplinare dei processi cognitivi del soggetto e dei suoi modi di essere e di agire. KEYWORDS: laboratory teaching, soft skills, social media, media literacy PAROLE CHIAVE: didattica laboratoriale, competenze trasversali, social media, competenza mediale IUL Research | Open Journal of IUL University https://doi.org/10.57568/iulres.v2i4.191 iulresearch.iuline.it www.iuline.it CC BY-NC-ND 4.0 ISSN: 2723-9586 Introduzione Le competenze trasversali sono implicate in numerose attività e possono essere individuate proprio mentre il soggetto è impegnato nell’esecuzione di un compito. Associate a dette competenze individuiamo tre forme di sapere: il saper mobilitare, inteso come la capacità di scegliere le risorse necessarie per la circostanza specifica; il saper integrare, inteso come capacità di costruire legami tra conoscenze già possedute e conoscenze nuove; il saper trasferire, inteso come capacità di utilizzare in nuovi contesti le risorse possedute. Le competenze trasversali, inoltre, possono essere raggruppate in macro-aree: saper diagnosticare le caratteristiche dell’ambiente e del compito, nel senso che rappresentarsi la situazione è il passo principale per realizzare un’azione mirata ed efficace; sapersi relazionare con l’ambiente e le persone, qualità utile per esprimere le proprie capacità all’interno di una rete sociale; riuscire ad affrontare l’ambiente con la giusta predisposizione, per realizzare le azioni in maniera adeguata, ma riducendo gli sforzi e, quindi, risparmiando energie (Lorusso & Sperduti, 2012). Le competenze trasversali rientrano nel capitolo più generale dell’orientamento, secondo la prospettiva dell’orientamento pedagogico (Messuri, 2009). In rapporto all’infanzia è interessante ispirarsi alla dinamica dell’auto-orientamento e notare come sin da piccoli si può essere sostenuti affinché si sviluppino competenze finalizzate a rendere il bambino autonomo e capace di sapersi muovere nel proprio mondo di riferimento, a prescindere da quello che qualcun altro vorrebbe che facesse o desiderasse per lui. Una persona auto-orientata è in grado di costruire con autonomia le conoscenze e le competenze di cui ha bisogno per muoversi nel mondo nel quale si trova inserita ed è quindi adeguata rispetto alla possibilità di confezionarsi quello di cui necessita, senza l’intervento di un’altra persona, esterna. I bambini possono essere educati sin dalla più tenera età secondo questa modalità, che li farebbe crescere con una certa prospettiva di adeguatezza nel selezionare gli stimoli di cui si ha bisogno. Le competenze trasversali che sono state tenute maggiormente in considerazione in questo studio, anche perché associate alla dinamica dell’auto-orientamento, sono relative all’area emozionale e a quella relazionale. Nell’area emozionale si è prestata particolare attenzione alla stabilità emotiva, intesa come capacità di riuscire nel compito proposto, anche in presenza di condizioni di difficoltà, e la gestione dei conflitti, intesa come la capacità di mediare in situazioni non lineari. Dell’area relazionale, invece, è considerata in modo particolare l’efficacia interpersonale, vale a dire la capacità di comprendere gli altri e di interagire con gli stessi in maniera costruttiva; la persuasione, ovvero la capacità di cogliere l’interesse e l’adesione degli interlocutori; la negoziazione, ovvero la capacità di trattare nelle situazioni conflittuali; la leadership, ovvero la capacità di ottenere la collaborazione delle singole persone (Rosenberg, 2017). I social media hanno un ruolo fondamentale nella società odierna. Tablet e smartphone fanno naturalmente parte della quotidianità delle persone, tanto che in molti si chiedono che mondo sarebbe quello senza i social. Come è il caso di leggere questi dati secondo l’ottica pedagogico-educativa? Addirittura, per coloro che 38 fanno fatica a immaginare un mondo senza social, vale la pena di chiamare in causa il pensiero di chi considera comportamento “eccentrico” la scelta di non essere iscritto a un social. In questo articolo saranno proposte considerazioni teoriche e pratiche, nella consapevolezza che il dibattito attorno all’utilizzo di questi strumenti induce riflessioni negative ma anche positive (Capellani, 2018). Il concetto sarà approfondito in rapporto a una specifica fascia d’età, l’infanzia, pur nella consapevolezza che il problema non si pone solo per i bambini, ma anche per gli adulti. Anche in questo caso, saranno messe in evidenza caratteristiche del fenomeno dalle ricadute sia negative che positive. Tra le considerazioni negative annoveriamo l’abitudine di accettare tali strumenti in maniera passiva, così come, tempo fa, succedeva alle persone che nascevano in una famiglia dove esisteva la televisione. Quando l’utilizzo di uno strumento diventa automatico, si va incontro all’abitudine: ci si abitua e si usa lo strumento in maniera scontata, senza alcuna riflessione critica sull’utilizzo stesso. Importante considerazione educativa, che si può fare a questo proposito, è chiedersi se sia possibile passare da un atteggiamento passivo a un atteggiamento attivo e come si faccia – e, quindi, come si insegni. Tra le considerazioni positive va annoverato un tema di indiscusso rilievo, quello dell’immaginario e della capacità, riconosciuta ai social media di poter intervenire sulla sua costruzione (Parsi, Cantelmi & Orlando, 2009). La vista e l’immaginazione ci consentono di interpretare le cose che viviamo e che osserviamo, sottolineandone l’alto valore della bellezza, dimensione che incide sulla ricchezza dell’anima, dei più piccoli ma anche degli adulti. Attraverso i social media transitano messaggi e informazioni che possono risultare strumenti di conoscenza, ma è necessario che tali informazioni non siano assunte in maniera acritica. Giovani e giovanissimi sono gli interlocutori dei social media più a rischio e hanno bisogno di imparare a utilizzare questi strumenti in maniera responsabile. Nella società di oggi si dà spesso per scontato che i giovanissimi siano in grado di padroneggiare gli strumenti tecnologici in generale – e i social media in particolare – con una certa spontaneità, in maniera quasi automatica e senza grosso sforzo, essendo nativi digitali. Questa propensione al corretto utilizzo, peraltro, li metterebbe nella condizione di essere considerati addirittura competenti rispetto al loro utilizzo. Tuttavia, c’è una differenza fondamentale tra la capacità di utilizzare uno strumento e il suo utilizzo consapevole e responsabile – competente, appunto. È pertanto necessario individuare un sistema che aiuti i più piccoli a sviluppare il sesto senso, il senso critico, che è un senso che si aggiunge agli altri cinque con l’obiettivo di garantire anche ai più piccoli la possibilità di esplorare il mondo con atteggiamento attivo, non passivo. 1. Ipotesi L’ipotesi generale di questo studio è che sia possibile promuovere un’educazione all’uso responsabile della tecnologia sin dalla più tenera età, con particolare riferimento alla fascia d’età 4-6 anni, per usare i social media 39 cogliendone le opportunità, ma evitando i rischi legati all’uso, spesso abuso, degli stessi. Peraltro, l’utilizzo dei social media, quando proposto in maniera strategica, consente di promuovere una didattica laboratoriale anche per i più piccoli (Calvani, 2011). Una puntualizzazione necessaria alla prima ipotesi è che l’utilizzo dei social media abbia una connessione con i social network e con la possibilità che questi ultimi dispositivi siano più funzionali al più piccolo. Con la necessaria mediazione dell’adulto, infatti, è possibile puntare a un utilizzo dei social più funzionale all’apprendimento. I social media, in particolare, possono essere definiti come software o applicazioni che permettono, gratuitamente, lo scambio di contenuti generati dall’utente. I social network, invece, sono una specifica tipologia di social media e possono essere definiti come piattaforme che permettono di realizzare connessioni e reti sociali con persone che entrano in contatto telematico perché condividono pensieri, abitudini, passioni e hobby (Cavallo & Spadoni, 2010). I social network più utilizzati nel 2020 sono stati Twitter, Facebook, LinkedIn, Tiktok, Instagram, Pinterest, Whatsapp e YouTube (Insidemarketing, 2020). Tali dispositivi sono impiegati per molteplici scopi e hanno caratteristiche diverse, perché si propongono di raggiungere obiettivi diversi. La popolazione dei più piccoli, che in questa ricerca è stata osservata più da vicino, trova maggiori stimoli con i social network – soprattutto alcuni – piuttosto che con i social media in generale, perché nei più piccoli la condivisione di contenuti (di cui i social media si fanno promotori) può essere solo parziale, con una consapevolezza che non può dirsi del tutto presente a causa del livello di maturità raggiunto (che, ovviamente, è in evoluzione, ma non è affatto completamente definito). I contenuti dei social media, di fatto, sono troppo difficili per i più piccoli, che quindi possono trarre maggiore beneficio dai social network che, invece, si servono di strategie comunicative più semplici: suoni, colori, immagini, ecc. La seconda ipotesi di ricerca, più specifica, è che la metodologia didattica del laboratorio consenta di sviluppare le competenze trasversali sin dalla più tenera età. Con i più piccoli sono da prendere in considerazione soprattutto quelle dell’area emozionale e dell’area relazionale, sopra descritte. 2. Metodologia La ricerca è stata condotta utilizzando la metodologia del focus group. Sebbene si tratti di una tecnica non standardizzata di raccolta delle informazioni, la metodologia è stata scelta perché presenta il vantaggio di considerare gli educatori coinvolti non solo come fonti di informazione, ma come veri e propri protagonisti della ricerca stessa. Con questa metodologia, inoltre, attraverso un confronto ben strutturato, è possibile arrivare alla costruzione intersoggettiva di un argomento (Acocella, 2005), elemento fondamentale per la co-costruzione della conoscenza, di cui si intende sottolineare il valore scientifico ed empirico. Nel caso specifico, inoltre, dal momento che i partecipanti erano colleghi di corso – studenti che hanno partecipato alle lezioni dell’insegnamento “Laboratorio di formazione per i contesti 40 educativi dell’infanzia”, tenuto dalla sottoscritta nell’a.a. 2020/2021 – non si sono verificati problemi di condivisione linguistica, dal momento che tutti erano consapevoli del significato specifico con cui si utilizzavano le parole chiave proposte per il confronto. Tutti, inoltre, avevano un certo grado di esperienza con le tematiche indagate, quindi ognuno era nella condizione di esprimersi rispetto ad argomenti di cui padroneggiava i contenuti. Il gruppo, peraltro, era ben amalgamato e predisposto a confronti in cui, spesso, i punti di vista non coincidevano, elemento di varietà che non inibiva i partecipanti ma che, anzi, rendeva più vivo e partecipato lo scambio. Questo elemento è risultato essere rassicurante rispetto a un rischio dell’utilizzo della metodologia del focus group nella ricerca sociale, ben posto in evidenza dalla letteratura di riferimento e secondo il quale, durante l’interazione, le informazioni in comune tra le persone avrebbero una maggiore possibilità di emergere, a scapito di quelle difformi (Acocella, 2005). I focus realizzati sono stati 4 e hanno avuto una durata di 90 minuti ciascuno. Gli incontri tenuti sono stati automaticamente registrati dal software utilizzato dall’Ateneo per la realizzazione della Didattica a Distanza, vale a dire Cisco Webex. A ogni incontro non partecipavano più di 10-12 persone, ma coloro che risultavano assenti avevano la possibilità di seguire il lavoro fatto in differita ed essere aggiornati in occasione dell’incontro successivo. Il numero delle 20 unità, successivamente specificato, rappresenta di fatto il totale del campione. Dal momento che i bambini non sono stati coinvolti direttamente ma a livello indiretto, grazie a quello che hanno riportato per loro gli educatori, non si è ritenuto necessario prevedere protocolli per il trattamento della privacy. L’ultima caratteristica che ha fatto propendere per questa metodologia di ricerca è la consapevolezza che interagire con altre persone su un argomento che si padroneggia facilita la focalizzazione su aspetti che si danno per scontati e consente di accrescere la conoscenza dei propri comportamenti e dei propri atteggiamenti (Acocella, 2005). La conoscenza degli approcci degli educatori alle tematiche oggetto di questa ricerca consente di promuovere un uso consapevole delle tecnologie, con particolare riferimento ai social media, un utilizzo competente che consente di trarre tutti i benefici del caso, senza correre il rischio di diventare vittima sacrificale della tecnologia. Un educando acquista tali consapevolezze solo nella misura in cui l’educatore è in grado di trasferirgliele, nel circolo virtuoso di un processo di insegnamento-apprendimento efficace. Le domande aperte proposte, che non prevedevano alcun piano di chiusura nelle risposte, hanno svolto la funzione di domande-stimolo e sono state due: “Quale sviluppo di abilità hai notato?” e “Quale comportamento osservato ti consente di dire che quella abilità è stata implementata?”. Il focus group è stato caratterizzato da una bassa direttività nella conduzione e da una altrettanto bassa strutturazione della traccia, con conseguente discussione del gruppo autogestita, dal momento che l’indagine si pone nel solco delle ricerche esplorative, finalizzate ad acquisire informazioni su fenomeni poco conosciuti. Nel laboratorio proposto agli educatori il digitale impatta in maniera importante, perché rappresenta oggetto di studio e di approfondimento dell’insegnamento 41 inserito nel percorso di studio e perché è una strategia operativa di cui gli educatori sono tenuti a servirsi per la loro attività didattica. 3. Campione La ricerca ha visto il coinvolgimento di 20 educatori in formazione, studenti che hanno partecipato alle lezioni dell’insegnamento “Laboratorio di formazione per i contesti educativi dell’infanzia”, tenuto dalla sottoscritta nell’a.a. 2020/2021. Gli educatori provenivano da diverse zone d’Italia, senza tuttavia che la distribuzione geografica fosse uniforme. Gli educatori che costituiscono il campione, pur essendo sensibili ai temi della tecnologia e moderatamente ottimisti rispetto al suo utilizzo – purché critico e consapevole – hanno svolto un lavoro attento nell’osservare i comportamenti richiesti dalla ricerca, utilizzando scrupolosamente gli strumenti di osservazione. Per tali ragioni non si ritiene che il loro profilo abbia potuto incidere sui dati emersi. 4. Strumenti La ricerca è stata condotta utilizzando due strumenti: un foglio con due domande-stimolo – “Quale sviluppo di abilità hai notato?” e “Quale comportamento osservato ti consente di dire che quella abilità è stata implementata?” – e una griglia di osservazione sulla comunicazione, con particolare riferimento alla competenza comunicativa, a quella relazionale e alla predisposizione al lavoro di gruppo (vedi Figura 1). I riferimenti teorici che hanno ispirato la costruzione della griglia sono la consapevolezza che il processo comunicativo è facilitato dall’empatia, che consente di dare valore alla persona a prescindere dalle dinamiche interattive, e l’idea che ogni persona costruisce la propria realtà tramite i discorsi verbali, tanto che ciò che fa incide sullo sviluppo del suo mondo. La maggior parte degli indicatori da osservare va in queste direzioni e tenta di rispondere a questi bisogni. Il comportamento osservato poteva essere giudicato dall’osservatore come assente (valore 1), presente solo in parte (valore 2), presente (valore 3), molto presente (valore 4) e del tutto presente (valore 5). Competenza Indicatore Comunicativa Ritmo fluido Pause ponderate durante l’eloquio Linguaggio chiaro Assenza di errori grammaticali Rossori Ascolto attivo Relazionale 42 Valore da 1 a5 Lavoro di gruppo Ascolto passivo Interesse verso le opinioni di altri Sguardi evitanti Gestione dello spazio adeguata Rispetta il suo turno di parola Decide in autonomia Si adegua alle decisioni di altri Aggressività verbale FIGURA 1 – GRIGLIA DI OSSERVAZIONE L’osservazione, intesa nella sua accezione di strumento privilegiato della ricerca qualitativa, necessita di uno sguardo intenzionale, nella misura in cui consiste in un guardare mirato, che consente di mettere a fuoco ciò che si ritiene significativo e rilevante per il tema trattato. L’osservazione così realizzata consente di conoscere il fenomeno indagato e, di conseguenza, di agire solo con cognizione di causa. A proposito della prima ipotesi di ricerca, che parte dal presupposto che sia possibile promuovere un’educazione che consenta un uso responsabile della tecnologia, il ricercatore ha raccolto le risposte date per ciascuna domanda-stimolo, le ha raggruppate in gruppi di riferimento (cluster) e ha dedotto le conclusioni successivamente descritte. A proposito della seconda ipotesi di ricerca, secondo la quale, sin da piccoli, il laboratorio consente di sviluppare competenze trasversali, il ricercatore ha studiato le frequenze dei comportamenti osservati, li ha suddivisi in dimensioni (così come suggerito dalla griglia di osservazione) e ha dedotto le conclusioni successivamente descritte. 5. Analisi dei dati: risultati e discussioni Negli incontri organizzati per la realizzazione della ricerca sono emerse delle considerazioni da parte degli educatori, che vale la pena riportare, perché forniscono uno spaccato di quello che è l’orientamento della didattica nella fascia 4-6 degli ultimi anni. Gli educatori sono distribuiti in varie zone d’Italia, ma in ogni caso il dato emerso non può essere considerato significativo a causa dell’esiguità del numero delle persone che si sono espresse. Gli educatori hanno dichiarato di avere una certa dimestichezza con l’utilizzo di social media, di cui si servono anche a fini didattici, soprattutto in un periodo storico – quello della pandemia da COVID19 – che ha visto un notevole incremento della Didattica a Distanza. La pandemia non ha influito sulla scelta del laboratorio o sull’uso dei social network, ma è inevitabile che l’emergenza sanitaria abbia comunque rappresentato un impulso all’incremento dell’utilizzo della tecnologia. 43 In particolare, affinché con i più piccoli la Didattica a Distanza potesse trasformarsi in “didattica della vicinanza”, gli educatori si sono adoperati per proporre soluzioni efficaci, che mettessero nella condizione di promuovere un uso didattico e costruttivo di alcuni tra i più diffusi social network. A proposito, hanno descritto il passaggio dal social media in generale alla sottocategoria dei social network. In tale utilizzo è stato necessario il ruolo dell’adulto come supporto, pertanto le considerazioni che seguono, anche rispetto all’incidenza sulle competenze dei bambini, vanno intese a livello indiretto, vista l’intermediazione. Le azioni descritte sono abitualmente svolte in incontri di didattica laboratoriale. Dalle testimonianze emerse nei confronti di gruppo proposti è stato possibile dedurre le seguenti informazioni rispetto all’utilizzo di certi strumenti: • Facebook: permette lo scambio di immagini, video e messaggi e consente la creazione di gruppi (anche chiusi) e di pagine (anche istituzionali). Gli strumenti di interazione forniti dal software consentono interazioni di scambio e di discussione tra scuola e famiglia. In particolare, attraverso la creazione di pagine della classe e l’inserimento, nelle stesse, di lavori e progetti eseguiti, è stato possibile attirare l’attenzione dei piccoli e favorire il loro apprendimento, garantendo la possibilità di mantenere una continuità nei legami (necessità fondamentale in questa fascia d’età). La proposta di eventi live, inoltre, ha garantito la possibilità di partecipare anche da casa. Alcuni educatori hanno dichiarato di utilizzare abitualmente pagine Facebook che consentono di gestire progetti di laboratorio con bambini dai 4 ai 6 anni. Le attività laboratoriali cominciano incontrandosi in una scuola materna di una data città, si realizzano i laboratori previsti – cucina, arte, creatività, musica – e si trasferisce tutto in una pagina Facebook dedicata al progetto, che consente di raggiungere un gran numero di bambini e ricordare i vari appuntamenti durante tutta la durata del progetto. Per ogni laboratorio si pubblicano foto e video delle attività realizzate. È possibile, se ritenuto opportuno, pubblicare anche tutorial. A progetto finito la pagina aiuta a mantenere un legame con tutti coloro che hanno partecipato al progetto. Gli educatori hanno sostenuto che la creazione di ambienti di apprendimento su Facebook consente la progettazione di specifici obiettivi educativi. I bambini, anche molto piccoli, finiscono con l’usare il social network non solo per fini ludici, ma anche per una ricerca consapevole di informazioni utili alla propria crescita, al proprio apprendimento e alla propria emancipazione. A proposito, tuttavia, è bene puntualizzare che Facebook, come è noto, è un social adatto agli adulti: è possibile utilizzarlo con bambini di 4-6 anni dando comunque per scontata la necessaria supervisione dell’adulto. • Instagram: consente la pubblicazione di storie che durano 24 ore. Tali storie rappresentano strumenti per realizzare lo storytelling, vale a dire costruire la narrazione di una storia con strumenti multimediali. Questa opportunità didattica si è resa possibile quando è stato introdotto l’uso dell’audiovisivo in classe. Altre funzioni del social network sono rappresentate dalla possibilità di condividere foto e video. 44 • Meet: consente di fare videolezioni e permette di interagire direttamente con i bambini e con le loro famiglie. Il software dà poi la possibilità di gestire colloqui e di organizzare incontri (tra colleghi, con genitori, ecc.). • Pinterest: consente la condivisione di immagini. È fatto di “bacheche” che gli utenti possono decidere di seguire. Nella fascia 0-6 anni le immagini e i video sono particolarmente funzionali, perché si tratta di una fase della formazione in cui non si ha ancora grande dimestichezza con la scrittura. Il software consente anche di prendere ispirazione per i lavori creativi da fare con i bambini. • Skype: viene utilizzato soprattutto per le videochiamate, da poter fare con bambini preferibilmente accompagnati dagli adulti. • Telegram: consente molteplici funzioni, quali la comunicazione via messaggio, lo scambio di documenti (anche in formato più pesante), lo scambio di immagini (anche con qualità migliore), la creazione di gruppi con molti partecipanti (con la possibilità che non tutti vedano il numero di telefono) e la creazione di sondaggi. • TikTok: consente la creazione e la condivisione di piccoli video, che attirano l’attenzione dei piccoli e favoriscono il loro apprendimento. Questo succede soprattutto perché i video sono brevi (massimo 1 minuto). • Twitter: si tratta di un social network di microblogging, nel senso che consente la pubblicazione di piccoli contributi e brevi messaggi. Gli utenti possono interagire tra di loro e i tweet sono pubblici. Nel caso dei più piccoli, il software attira l’attenzione con frasi flash che possono diventare veri e propri slogan, facili da ricordare e da riutilizzare se necessario. • Whatsapp: permette la condivisione del proprio stato (un’informazione sintetica significativa per l’utente), di documenti, di immagini, di video e di audio. Quest’ultima opportunità, in particolare, consente di modulare toni, timbri e sfumature di voce, possibilità non permesse con un testo scritto. Inoltre, Whatsapp consente di gestire chat di classe. Permette videochiamate singole e di gruppo. L’utilizzo delle emoticon, per esempio con i più piccoli, permette di familiarizzare con emozioni e sentimenti, ma soprattutto, in questi casi, è necessaria l’intermediazione dell’adulto per promuovere un apprendimento funzionale. • Youtube: permette un utilizzo sia attivo che passivo, nel senso che alcuni utenti si registrano e si creano un profilo, mentre altri consultano i contenuti disponibili senza la necessità di identificarsi attraverso la procedura di login. Alcuni di questi, selezionati in maniera oculata, attirano l’attenzione dei piccoli e favoriscono il loro apprendimento. Altre funzioni specifiche del software in questione sono la possibilità di coinvolgere i più piccoli in drammatizzazioni, quindi rendendoli protagonisti diretti, e la possibilità di vedere e ascoltare una fiaba. Nella versione Kids, infine, Youtube consente di avere un approccio iniziale con le lingue straniere e con le fiabe motorie, piccoli racconti ideali per eseguire movimenti semplici finalizzati a interpretare la storia e i personaggi. 45 Le descrizioni riportate consentono di trarre conclusioni rispetto alle ipotesi di ricerca. In particolare, in merito alla prima ipotesi, secondo la quale è possibile promuovere un’educazione che consenta un uso responsabile della tecnologia, è opinione condivisa dagli educatori coinvolti nella ricerca che i benefici sopra esposti rischino di venir meno e di allontanare i bambini (ma anche gli adulti) dalla cornice contestuale di riferimento, laddove l’uso di questi dispositivi diventasse abuso, nel senso di utilizzo fuori misura. Inoltre, soprattutto in quei casi in cui si creano occasioni di scambi di gruppo, è necessario condividere le regole di base per l’utilizzo degli stessi, per evitare di incorrere in spiacevoli inconvenienti. I dati sono stati raccolti attraverso una trascrizione ragionata dei dibattiti realizzati durante i laboratori. Non sono stati utilizzati software specifici per la loro lettura o interpretazione, dato il carattere assolutamente esplorativo della ricerca descritta. È pertanto necessario immaginare un proseguimento della stessa, soprattutto in considerazione del fatto che i dati emersi sembrano sottolineare importanti ricadute educative per le informazioni che contengono ma che, appunto, vanno ulteriormente indagate. I suddetti dati, in particolare, dimostrano che, pur non essendo facile prendere in considerazione certi temi, perché appaiono ostici e impegnativi per il dibattito pubblico, è tuttavia necessario, soprattutto per gli addetti ai lavori, imparare a leggere questi temi e affrontarli con un approccio critico (Buckingham, 2010). In generale, da parte dei più piccoli, il confine tra la capacità di utilizzo di certi strumenti e l’acquisizione della competenza mediale è confuso. Per fare un esempio pratico si pensi a cosa succede, solitamente, quando si guarda un film: tutti siamo in grado di programmare un qualunque dispositivo funzionale al nostro obiettivo affinché si susseguano le scene del film in questione, ma a questa azione attiva segue uno stato di attenzione passiva, in cui si è solo invasi dalle informazioni che vengono proposte dal contenuto multimediale, senza processarle in alcuna maniera. L’atteggiamento attento e critico, invece, è la valida alternativa per rispondere alla visione in maniera attiva, con spirito propositivo. Per le ragioni esposte è necessario educare i giovani sin dalla più tenera età a diventare utilizzatori informati della tecnologia e a interrogarsi di più sui propri obiettivi quando usano un’applicazione o un oggetto connesso (Jean, 2021). Per competenza mediale, o media literacy, si intende l’abilità – elevata ai massimi livelli – dell’utilizzo degli strumenti tecnologici. A fare la differenza può essere solo la mediazione dell’adulto. Può essere relativa ai vecchi media, ma anche ai nuovi. Si rivolge ai giovani, ma interessa anche gli adulti. Si fa a scuola, ma anche a casa (Buckingham, 2010). Questa competenza si può costruire, ma bisogna mutare l’approccio, nel senso che siamo ancora a un livello in cui la media literacy è trattata come se fosse una risorsa individuale piuttosto che una pratica sociale. Questa competenza, invece, va portata avanti da tutta la comunità. Sono le istituzioni educative a dover gestire questo tipo di alfabetizzazione; è un’azione che non può essere lasciata al caso, affinché di questa competenza possano beneficiare tutti e perché di questa competenza non si può più fare a meno. Rispetto alla seconda ipotesi, secondo la quale la metodologia didattica del laboratorio consente di sviluppare competenze trasversali sin dalla più tenera età, 46 risulta che le abilità trasversali, in misura maggiore o minore, risultano indubbiamente incrementate nei più piccoli. La metodologia didattica del laboratorio, in particolare, incide positivamente sullo sviluppo di competenze trasversali, perché riesce a far leva su stimoli didattici variegati, che provengono da attività varie e ambienti di apprendimento alternativi: storytelling, videolezioni, immagini, videochiamate, video, audio, emoticon, lingue straniere e fiabe motorie sono stimolanti e affascinanti per i più piccoli. Come ha dimostrato il fenomeno della neuroplasticità, infatti, il cervello si modifica e si modifica in fretta (Boaler, 2021). Il cervello dei più piccoli, pertanto, non può rimanere immobile di fronte a questa valanga di stimolazioni che provengono dai dispositivi studiati in questa ricerca. Attraverso la descrizione delle emozioni, lo studente apprende una narrazione propria. A livello emotivo, peraltro, questi strumenti – soprattutto alcuni – consentono di nominare, riconoscere e rappresentare paura, gioia, tristezza, allegria, angoscia ed euforia, avvicinandosi all’elaborazione delle sensazioni negative in maniera creativa. Con la forza evocativa dei dispositivi tecnologici, inoltre, sarà possibile intuire che una certa quota di sentimenti negativi è ineliminabile e, addirittura, necessaria. A questa consapevolezza si arriverà non con strumenti poco razionali, che non sono troppo adatti a bambini piccoli, ma con contenuti di impatto, efficaci e funzionali alla fascia d’età considerata. Il riconoscimento e la gestione delle emozioni sono importanti in quanto associati allo sviluppo del processo di conoscenza. Alcuni di questi stimoli potrebbero essere connessi anche a forme più classiche di didattica e rispolverare argomenti che riguardano la tradizione scolastica. Si pensi, a proposito, alla lettura dei classici e alla possibilità di riscoprirli con una profonda attenzione critica, perché nel nostro passato si può trovare uno strumento privilegiato attraverso cui mantenere in equilibrio le pressanti richieste che investono l’attuale mondo dell’educazione. Per i protagonisti delle dinamiche educative i social network risultano essere più efficaci, meno aleatori e più duraturi nell’aprire una finestra sulla tradizione. I bambini hanno capacità di conoscenza e di sensibilità spesso sottovalutate dagli adulti. Inoltre, naturalmente, hanno la caratteristica di percepire il mondo che ci circonda, capacità che tende a diminuire con l’età, quando tutto si trasforma piuttosto in un’abitudine. I social network, con le loro peculiarità, incentivano il processo di fascinazione, stimolando creatività, pensiero laterale e immaginario. Altra leva in grado di trasmettere contenuti educativi, su cui i social network possono contare, è rappresentata dal gioco. Nella fascia d’età esaminata, l’importanza dello strumento ludico è consolidata e indiscussa. Da questa ricerca è emersa con forza la consapevolezza che i dispositivi tecnologici possono essere utilmente impiegati, non solo per giocare, ma addirittura per “inventare” un gioco, con tutta la ricaduta positiva che l’invenzione porta con sé a livello di crescita e di emancipazione. Vale la pena di indagare questo aspetto – qui appena accennato – con ulteriori tentativi di ricerca. 47 Rispetto agli scambi emersi nei focus group, sono state registrate ulteriori informazioni, che non erano state previste nelle ipotesi di ricerca iniziali. In questa metodologia di ricerca, in effetti, è possibile che si verifichi questa condizione, soprattutto quando il gruppo è compatto, partecipe e ben amalgamato. L’ulteriore informazione su cui tutti gli educatori concordano è che le abilità trasversali hanno l’ulteriore vantaggio di sviluppare la capacità di pensare in modo trasversale, qualità richiesta dall’interdisciplinarietà. Un’istruzione fatta a compartimenti stagni – è ormai noto – va del tutto abbandonata, perché si tratta di una modalità che non risulta idonea a fornire risposte a una società ricca, complessa e articolata a livello di stimoli e di bisogni che la identificano. La realtà, di fatto, non può essere rinchiusa nei recinti concettuali e metodologici delle singole discipline. I comportamenti osservati correlati a queste competenze sono stati riscontrati in percentuali alte – gli indicatori osservati, per ogni bambino, hanno riportato valori di 4 o 5, tranne i comportamenti con ricadute negative, che sono stati inseriti nella griglia di osservazione proprio per essere certi che i dati emersi fossero veritieri e non in qualche maniera falsati. L’insieme dei comportamenti comunicativi descritti nella griglia di osservazione, letti a livello globale, consente di affermare che ai bambini sottoposti agli stimoli descritti può essere riconosciuta un’ulteriore competenza, definita autoorientamento, che permette a tutti, sin da piccoli, di selezionare le informazioni di cui si ha bisogno e livello di apprendimento, di vita personale, di futura realizzazione professionale. Conclusioni Le considerazioni conclusive a valle di questa ricerca prendono le mosse da una consapevolezza: la tecnologia non è efficace o dannosa di per sé, può diventare l’una o l’altra cosa in base all’uso che se ne fa. Pertanto, nel caso in cui ai social ci si avvicini con lo spirito giusto (e solo in quel caso), si può parlare di esperienze pilota che mirano ad arricchire la progettazione didattica della fascia 4-6 anni. Tali esperienze risultano in ogni caso significative, nella consapevolezza che la ricerca è per sua natura collaborativa e non esiste un modello perfetto cui affidarsi ciecamente in qualunque circostanza, soprattutto nel caso delle tematiche oggetto di questa ricerca. Le considerazioni espresse in questa ricerca consentono di trarre due immediate conclusioni rispetto ai problemi che ci si è posti all’inizio dell’indagine. I social media hanno un ruolo fondamentale nella società odierna, anche da un punto di vista educativo. Per questa ragione sarebbe sbagliato se i più piccoli fossero tenuti lontani del tutto da questi dispositivi di apprendimento. Allo stesso tempo, tuttavia, è bene puntualizzare che i bambini non possono essere lasciati da soli con il dispositivo tecnologico, ma, al contrario, hanno bisogno di una continua e costante supervisione da parte dell’adulto. Sono necessari responsabilità, senso critico e bisogno di essere alfabetizzati rispetto all’utilizzo di questi strumenti. L’uso responsabile della tecnologia è tanto più possibile quanto più i bambini posseggono 48 competenze trasversali nell’affrontare il loro percorso formativo, competenze utili sin dalla più tenera età. La ricerca, così come affrontata in questo contesto, non prevede la possibilità di arrivare a generazioni tali che consentano di rivoluzionare le attuali evidenze rispetto al rapporto tra infanzia e tecnologia, ma concede comunque di abbandonare la visione di totale scetticismo di cui sono portatori alcuni pensatori. Determinati benefici possono esistere, purché ricercati con senso di misura e accompagnamento da parte dell’adulto. Per concludere, da un punto di vista di progettazione didattica, non si può non considerare il valore aggiunto degli stimoli proposti, non tanto perché essi debbano completamente sostituire maniere più tradizionali di proporre le attività educative e quelle formative, quanto per tendere a una varietà nell’organizzazione delle attività, nella certezza che, per garantire realmente una scuola attenta all’individuazione e alla personalizzazione degli interventi educativi e formativi, è necessario andare incontro alle esigenze di tutti e, quindi, adoperarsi affinché ogni bambino, a prescindere dal proprio stile di apprendimento, possa trovare le giuste risposte alle richieste di cui è portatore. Per un educatore, le ricette sono pericolose, perché rendono pigri e non portano ad alcun risultato adeguato dal punto di vista educativo. Ogni educando resta unico e irripetibile. Tale progettazione didattica necessita di una didattica orientativa, in grado di creare una sinergia molto solida tra genitori ed educatori, perché entrambe le figure di riferimento devono essere coinvolte nelle attività laboratoriali e nell’utilizzo critico e consapevole dei social media e dei social network (rispettivamente in generale e nel particolare). Bibliografia ACOCELLA, I. (2005). L’uso dei focus groups nella ricerca sociale: vantaggi e svantaggi. Quaderni di Sociologia, (37), 63–81. BOALER, J. (2021). Intelligenza senza limiti. HarperCollins. BUCKINGHAM, D. (2010). Il futuro della media literacy nell’era digitale/The future of media literacy in the digital age. Media Education, 1(1), 27-38. BUCKINGHAM, D. (2013). Media literacy per crescere nella cultura digitale. Armando Editore. CALVANI, A. (2011). Principi dell’istruzione e strategie per insegnare. Criteri per una didattica efficace. Carocci Editore. CAPELLANI, G. (2018). Crescere nell’era digitale. L’uso delle nuove tecnologie nell’infanzia, nell’età scolare e adulta: quale futuro?. Edilibri. CAVALLO, M., & SPADONI, F. (2010). I social network. Come cambia la comunicazione. FrancoAngeli. IAQUINTA, R., LOZUPONE, E., MANCINI, R., & MILITO, F. (2018). Lo sviluppo delle competenze. Aspetti educativi e metodologico-didattici. Anicia. 49 JEAN, A. (2021). Nel paese degli algoritmi. Editore Neri Pozza. LORUSSO, S., & SPERDUTI, M. (2012). La competenza. In F. PETRUCCELLI, I. MESSURI, & M. SANTILLI (Eds.), Bilancio di competenze e orientamento professionale e scolastico. Dalla pratica alla teoria: l’esperienza della provincia di Latina. FrancoAngeli. MESSURI, I. (2009). L’orientamento pedagogico nella società globalizzata. I modelli operativi nelle Agenzie del Lazio. FrancoAngeli. PARSI, M. R., CANTELMI, T., & ORLANDO, F. (2009). L’immaginario prigioniero. Come educare i nostri figli a un uso creativo e responsabile delle nuove tecnologie. Mondadori. RIVA, G. (2019). 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