DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER LE ANTICHE PROVINCIE MODENESI
Biblioteca - Nuova Serie N. 214
LA DONNA NELLA PREISTORIA
E NELLA PROTOSTORIA
Atti della Giornata di Studi
“La Donna nella Preistoria e nella Protostoria”
Massa, Palazzo Santa Elisabetta
25 maggio 2019
a cura di
Renata Grifoni Cremonesi e Anna Maria Tosatti
Massa - Palazzo S. Elisabetta
Modena - Aedes Muratoriana
2021
PREMESSA
Il presente volume accoglie gli atti del convegno “La donna nella Preistoria e nella Protostoria” tenutosi presso la sede della Deputazione di Storia
Patria di Massa e Carrara, il 25 maggio 2019. Argomento della manifestazione è stato appunto il ruolo della donna nella preistoria e nella protostoria:
manifestazione che rappresenta un punto importante della ricerca in quanto
viene evidenziata unicamente la figura femminile sotto diversi profili. La
giornata di studi è stata realizzata grazie e soprattutto all’intervento e al coordinamento della socia Anna Maria Tosatti, esperta del settore, conferendo
prestigio alla Deputazione, con l’importante concorso della prof.ssa Renata
Grifoni Cremonesi, già docente di Preistoria presso l’Università degli Studi
di Pisa e il coinvolgimento di docenti e funzionari di alto rilievo, operanti
nell’ambito universitario, museale e delle soprintendenze.
Particolarmente significativo risulta il saggio introduttivo di Renata Grifoni Cremonesi, che, dopo la presentazione delle principali ipotesi sul ruolo
della donna nella Preistoria, ha preso in esame alcuni dei dati più importanti,
dedotti dall’arte e dalle sepolture, nel tentativo di evidenziare le differenziazioni sociali e di rango dal Paleolitico agli inizi dell’età dei metalli.
Il contributo di Marta Colombo, funzionaria archeologa della Soprintendenza di Lucca, e Marco Serradimigni, collaboratore dell’Università di
Pisa, ha affrontato il mondo femminile nella Preistoria più antica, esaminando le parures e l’abbigliamento rinvenuti in sepolture, con particolare riferimento al Paleolitico superiore, nell’ambito del quale la diffusione della
pratica dell’inumazione dei defunti ha permesso il ritrovamento di oggetti
ornamentali sempre più differenziati e fortunatamente conservati, con specifico riferimento agli elementi decorativi della persona e a significative
notizie relative all’abbigliamento.
Particolare interesse desta il secondo saggio di Marta Colombo e di
Neva Chiarenza inerente le statue stele femminili in Lunigiana nell’età dei
metalli, un argomento già ampiamente studiato ma in questo contesto è stato
evidenziato l’elemento femminile supportato dalla forma anatomica dei seni
unitamente, in alcuni casi, alla presenza di ornamenti quali goliere e collane.
Significativa appare la relazione di Anna Maria Tosatti, già Soprintendenza Archeologia Toscana, che ha analizzato la condizione della donna
nell’età del bronzo tra Italia centrosettentrionale e alta Toscana. Di grande
spessore risultano i dati dedotti dalle necropoli in Valpadana o meglio nel
6
Olga RaffO
territorio tra l’Emilia ed il Veneto, con particolare riferimento alla necropoli
di Olmo di Nogara nel veronese, che racchiude molte indicazioni relative alla figura femminile. Le notizie raccolte hanno evidenziato alterazioni
artrosiche e traumi della colonna vertebrale dovuti ad un’intensa attività
lavorativa, a carichi molto pesanti, unitamente ad una visibile robustezza
delle braccia e ad alterazioni delle mani, probabilmente causate da lavori di
cucitura su tessuti pesanti e al telaio.
Lo studio di Nuccia Negroni Catacchio dell’Università di Milano e del
Centro Studi di Preistoria ed Archeologia di Milano, in collaborazione con
Veronica Gallo, ha voluto ricostruire l’immagine della donna “sul fil dell’ambra” nel periodo protostorico nel territorio italiano. L’origine dell’ambra, i
cui giacimenti sono presenti in gran quantità nei mari del Nord ma anche
in Italia, sull’Appennino bolognese e romagnolo e perfino lungo le rive del
fiume Simeto in Sicilia, ci riconduce al mito di Fetonte e alla metamorfosi
di Ovidio nonché al mito baltico di Saule (il sole divinità femminile). Data
la sua peculiarità, l’ambra era impiegata per creare monili, come si verifica
ancora oggi, nel periodo dell’età del rame e del bronzo. I manufatti più antichi
nel territorio italiano risalgono all’età del rame, mentre i ritrovamenti relativi
alla figura femminile risalgono al bronzo medio, periodo in cui l’ambra era
utilizzata a scopo funerario. Valga in tal senso la sepoltura rinvenuta a Trinitapoli (Foggia) 1600/ 1350 a.C. e identificata come “Signora delle ambre”,
caratterizzata dalla presenza di una parure di grande ricchezza. Così pure nel
periodo tra Bronzo medio e recente (XIV- inizi XII secolo a.C.) nella necropoli dell’Olmo di Nogara nel veronese sono state rinvenute testimonianze
di monili di ambra, collane, spilloni fermapieghe e vaghi. Nell’età del ferro
non si possono non citare le tombe femminili di Verucchio dove gli oggetti
in ambra abbondano come ornamento indicatore di stato sociale di notevole
prestigio, come si deduce inoltre dalla tomba del Tripode (seconda metà del
VI secolo a.C.) scoperta a Sesto Calende (Varese) in area golasecchiana. Nella deposizione erano conservati, unitamente ad un tripode in bronzo e ferro
da cui è derivato il nome, molti oggetti ornamentali e di abbigliamento di
notevole sontuosità tra cui non poteva mancare l’ambra.
Stefania Casini, direttrice de Civico Museo Archeologico di Bergamo,
ha analizzato alcuni aspetti della figura femminile nella cultura di Golasecca, quali ornamenti conservati e rinvenuti nelle sepolture. Le popolazioni
di questo ambito sono riconosciuti come i più antichi Celti d’Italia, la cui
origine risale al Bronzo recente, che occupavano approssimativamente un
territorio compreso tra il Serio ad est, la Sesia ad ovest, e tra le Alpi e il Po.
Particolarmente intensi erano i contatti con il popolo etrusco che comportarono un notevole sviluppo commerciale e proprio a seguito di tali contatti
si era formata una società variegata e non più egualitaria. Pertanto certi tipi
di ornamento femminile, quali fibule e catenelle, appartenevano a dame di
7
Premessa
alto rango il cui ruolo era ben definito all’interno della società golasecchiana, data anche la presenza di spiedi e vasellame di uso cerimoniale e rituale rinvenuti nelle tombe, nelle quali erano presenti anche amuleti a scopo
apotropaico. Importante il ritrovamento di fibule golasecchiane al di fuori
del loro ambito culturale, fatto che porta a esaminare il ruolo della donna
nell’esogamia, come attrice nel creare e rinsaldare relazioni di scambio e di
commercio con altre popolazioni.
Esaustivo e con dovizia di particolari risulta il saggio di Lisa Rosselli, docente presso l’Università di Pisa, nel quale ha affrontato l’analisi degli
indicatori sociali presenti nei contesti funerari femminili tardo-villanoviani
nell’Etruria settentrionale ed in particolare nel territorio di Volterra. Nel corso
dell’VIII secolo a. C si assiste ad un forte dinamismo sociale che aveva comportato una notevole differenziazione nella comunità, dovuta all’affermazione di gruppi che detenevano ricchezza e prestigio. Nell’ambito di questi gruppi emergenti pare che la donna in famiglia godesse della medesima dignità
spettante all’uomo e di privilegi che, in altre società, erano prerogativa del
maschio. Tale concetto è deducibile dalla ricchezza dei beni conservati nelle
tombe femminili. Di particolare interesse risulta la tomba 1 della necropoli
di Ripaie (seconda metà dell’VIII secolo a.C), vicino Volterra, appartenente
ad una donna di rango, munita di un abbigliamento sontuoso con accessori di
grande pregio e con la presenza di due morsi equini in bronzo che, oltreché ad
assumere un significato di notevole valore economico, allude ad un evidente
valore simbolico poiché il carro, tipico delle cerimonie nuziali, era il mezzo
per il trasferimento della sposa dalla casa paterna alla dimora del marito.
Simona Minozzi, dell’Università di Pisa, nel suo contributo ha evidenziato la presenza di tribù di Liguri Apuani in una zona compresa tra
Lunigiana, Alta Versilia e Garfagnana, con specifico riferimento alle popolazioni liguri che occupavano un esteso territorio racchiuso dall’Arno alla
Provenza, dal Mar Ligure al Po, nel I millennio a.C. Testimoniano la loro
presenza i ritrovamenti di piccole necropoli o di tombe isolate, diffuse sui
rilievi apuani tra V secolo e II secolo a.C. Non si sa molto della loro vita sociale ed economica, ma le fonti antiche ci trasmettono che i Liguri Apuani
erano molto bellicosi e che misero a dura prova le legioni romane. I corpi
dei defunti venivano cremati e nelle tombe femminili, a differenza di quelle
maschili, i corredi contenevano, unitamente ai resti combusti, accessori e
ornamenti quali collane, bracciali, cinture e, occasionalmente, fuseruole,
simbolo del lavoro domestico.
Ci si augura che questo convegno sia di stimolo al fine di proseguire
ricerche che possano giungere sino al medio evo, allo scopo di evidenziare
sempre meglio il ruolo della donna.
La presidente
Olga Raffo
Renata gRifOni CRemOnesi*
LA DONNA NELLA PIÙ ANTICA PREISTORIA E SUOI POSSIBILI
STATI SOCIALI: TEORIE E DATI RILEVABILI DA ARTE,
SEPOLTURE, ABITATI
Riassunto
Dopo una breve introduzione relativa alle principali teorie ed ipotesi sul ruolo della donna
nella preistoria, vengono presi in esame alcuni tra i più significativi dati provenienti soprattutto dall’arte e dalle sepolture per tentare di stabilire eventuali differenziazioni sociali e di
rango nelle diverse culture dal Paleolitico all’inizio dell’età dei metalli. Purtroppo, i dati
finora disponibili non sono sufficienti a delineare un quadro coerente della posizione della
donna nelle varie società e sulle sue reali funzioni nell’ambito dei gruppi in cui viveva.
Abstract
After a brief introduction on the main theories and hypothesis about the woman’s role
during Prehistory, some data, mainly from art and burials, among the most significant ones
are analysed in order to observe potential social or class distinctions in several cultures
from Paleolithic to the beginning of the Eneolithic. Unfortunately the available data are not
enough to outline a coherent context of the woman’s position in the various societies and of
her actual functions in the groups she lived in, but they permit to recognise her importance
in the several periods of Prehistory.
La mostra “Eves et rȇves,”tenuta a Nizza nel 19911, iniziava con la domanda fatta più spesso dai visitatori del Museo di Preistoria di Terra Amata,
dove è la capanna dell’Homo erectus:
Voi parlate sempre degli uomini preistorici, ma non c’erano anche le
donne?
In questa mostra c’era una documentazione che da Lucy (Australopiteco) a Miss Twiggy (Homo habilis) a Madame Arago (Homo erectus) e
Madame de Galilée (Homo sapiens), attraversava tutto l’arco della nostra
più antica storia con i più antichi reperti femminili allora noti.
Purtroppo, la scarsa conoscenza, se non totale ignoranza, dei dati, porta spesso a considerazioni assai generiche e superficiali sul problema della
*
già Università degli Studi di Pisa.
1
gOudet-duCellieR-PORte1991.
10
Renata gRifOni CRemOnesi
condizione femminile nel passato, con ricostruzioni basate su luoghi comuni e calderoni crono-culturali, soprattutto in trasmissioni televisive e su siti
internet, non solo italiani, che riprendono vecchie teorie, spesso apprese di
seconda o terza mano. Bisogna purtroppo anche rilevare che il quadro che
generalmente si ha, ancora oggi, della preistoria, è tutto sommato quello dei
fumetti e delle barzellette, con la donna trascinata per i capelli dall’uomo
armato di clava, ambedue vestiti di pelli stracciate e con dinosauro sullo
sfondo!
Il problema del ruolo della donna nelle società antiche ha sempre affascinato gli studiosi fin dal 1800, secolo in cui lo studio della preistoria si
affermò come scienza, legata soprattutto al trionfo del positivismo e delle
teorie evoluzionistiche. Interpretare i possibili modelli di organizzazione
sociale è però uno dei problemi più interessanti ma anche più difficili per
gli studiosi di preistoria2 e, come accade nel campo delle manifestazioni
artistiche ed ideologiche, si è portati ad utilizzare modelli storici od attuali,
legati soprattutto agli studi di etnologia e antropologia culturale per ricostruire modi di pensare per noi difficili da spiegare: come già ebbe a dire
Ernesto De Martino, siamo portati a “pensare il moderno indebitamente
fatto antico”3.
Innumerevoli sono state le discussioni sul ruolo della donna nella preistoria, con ipotesi basate sulla possibile divisione dei lavori (ma ancora
oggi ci sono i lavori maschili e i lavori femminili, considerati di rango inferiore!), basata sul concetto della forza dell’uomo cacciatore e sulla debolezza della donna, che rimaneva nella grotta o nella capanna ad accudire i
figli, conciare e cucire le pelli, cucinare, dopo aver zappato, raccolto erbe,
frutta e legna e altre “piccole” attività domestiche, secondo gli etnologi e i
paletnologi, non troppo faticose…
Molto importante per questo argomento fu l’influenza di Jakob Bachofen che, col suo libro del 1861 “Das Frauenherrschaft” (Il potere delle donne)4, ipotizzò una teoria generale dello sviluppo dell’umanità, teoria poco
accettata nel 1800. Egli non utilizzò il termine Mutterrecht (Matriarcato):
questo fu introdotto nel 1884 dall’etnologo Wilken, sulla base di analisi di
alcune società matriarcali allora note5.
Non va dimenticato infatti il grande influsso che l’etnologia ebbe sugli studi di preistoria nella seconda metà dell’800, per cui si cercava di
comprendere le società più antiche in base a confronti con quelle cosiddette “primitive” allora note per gli studi di etnologi e per le relazioni di
guilaine 2008.
de maRtinO 1941.
4
BaChOfen 1861.
5
Wilken 1884.
2
3
La donna nella più antica preistoria e suoi possibili stati sociali: teorie e dati...
11
esploratori e missionari. L’immagine della donna dedita alle attività domestiche era basata quindi in gran parte su studi di etnografia del 1800 e 1900,
ma è difficile immaginare un quadro omogeneo e stabile per milioni di anni,
con ruoli fissi in varie epoche e aree del mondo.
Cosa era quindi il concetto di matriarcato per Bachofen? Non si trattava del potere sociale e politico delle donne ma piuttosto di un primato
sociale basato sulla discendenza matrilineare, quella sicura, con eredità trasmessa alle figlie e un posto speciale riservato ai fratelli della madre. In
alcuni casi c’era anche il diritto di scegliere i partners e il matricidio era il
crimine maggiore. Da qui sarebbe nato nelle società agricole il potere religioso della Dea della terra e della Dea Madre, ma sarebbe poi sopravvenuta
la rivalsa dei maschi con i culti del Sole che soppianta la Luna. Tutto ciò era
basato soprattutto sull’analisi di vari miti e tradizioni religiose oltre che su
confronti con le società primitive contemporanee.
Le teorie del Bachofen destarono interesse e polemiche soprattutto
nel 1900 con l’avvento del femminismo, ma oggi le analisi delle società
primitive si basano su altri parametri molto complessi ed è comunque assai
difficile, soprattutto per i periodi più antichi, intuire le strutture sociali e il
ruolo delle donne.
L’archeologia di genere è una disciplina di recente acquisizione che
tende ricostruire il nostro più antico passato dando il giusto peso ai ruoli
svolti dall’uomo e dalla donna. La ricostruzione di queste antiche società
è stata da vari studiosi sostenuta con un’ottica androcentrica, in cui l’uomo, come genere maschile, sarebbe stato il perno della società e la donna,
dedicata alle faccende domestiche, identificata unicamente come “madre
generatrice, comunque con ruolo secondario rispetto all’uomo dominatore.
I movimenti femministi della fine degli anni ’60 fino agli anni ’80 dello
scorso secolo, hanno influenzato soprattutto l’archeologia angloamericana
proponendo punti di vista radicalmente diversi e l’archeologia di genere,
disciplina abbastanza recente, ha avuto come obbiettivo il tentativo di ricostruire e reinterpretare il ruolo avuto dalla donna nelle società più antiche6.
Un interessante approccio è stato, ad esempio, quello di Marja Gimbutas (1924-2005), studiosa lituana che visse negli Stati Uniti, che vedeva la
donna come elemento fondamentale nell’organizzazione sociale dell’epoca;
le sue teorie si basavano su una documentazione archeologica composta soprattutto da statuine e decorazioni di varie culture neolitiche, di cui cercò di
scoprire i significati sociali e simbolici proponendo anche di decifrare i segni
neolitici sulle ceramiche come ideogrammi. Propose anche una sua personale
cfr. tOsatti in questo volume; CuOzzO-guidi 2013, guidi 2012.
gimButas 1974,1989; haWkes 1968.
8
WasileWska 1994; WhitehOuse 1992.
6
7
12
Renata gRifOni CRemOnesi
interpretazione delle probabili divinità raffigurate, per cui evidenziava una
società egualitaria a base femminile in cui dominava il culto della Grande
Madre, creatrice e dispensatrice della vita e della rinascita: la supremazia della divinità femminile sarebbe poi stata distrutta da popoli provenienti dall’Est,
a dominanza guerriera e maschile, adoranti il Sole e il Toro7. Questo intreccio
di archeologia, storia delle religioni, mitologia fu da lei definito archeomitologia, ma le sue idee ricevettero critiche e opposizioni, anche per il fatto che
erano basate solo sugli oggetti di arte e non anche sui corredi delle sepolture,
da cui sarebbero potuti emergere dati più concreti sulle strutture sociali8.
Il dualismo Donna/Toro fu ripreso negli anni ’90 da J. Cauvin9 analizzando le simbologie dei gruppi pre-agricoli del Vicino Oriente, ma tutta
la problematica relativa alla Dea Madre non aiuta a risolvere la questione
dell’effettivo ruolo della donna nella società10.
Un altro interessante approccio è stato, negli anni ’90, quello di Margareth Ehrenberg11 che analizza le questioni fondamentali dell’organizzazione sociale delle società preistoriche, come il passaggio dalla raccolta
all’orticoltura e all’agricoltura e la possibile formazione di stratificazioni
sociali, utilizzando per questa analisi le varie possibilità offerte dalle analisi
delle tecniche di lavorazione degli strumenti, dei resti botanici e animali,
delle tracce di attività sulle ossa umane, e su più dettagliate analisi delle
sepolture, delle paleodiete, del DNA, ecc., ma rileva anche come le donne
che si sono occupate di preistoria abbiano incontrato notevoli difficoltà di
farsi strada in un mondo scientifico dominato dagli uomini12.
Cosa sappiamo, in effetti, del ruolo della donna nella preistoria? Dobbiamo cercare una serie di parametri che attraversino milioni di anni, società differenti, ambienti diversificati con economie di volta in volta diverse per cercare di tracciare un quadro forzatamente lacunoso, della storia
femminile. Qualche dato ci viene quasi esclusivamente dalle sepolture e
poco possiamo dedurre dagli scavi nei siti di abitato in merito alle funzioni
maschili e femminili nelle attività quotidiane.
Poco o nulla possiamo dire per i periodi più antichi: i rari resti scheletrici ci danno poche informazioni sulle strutture dei gruppi: posso citare
gimButas 1974,1989; haWkes 1968.
WasileWska 1994; WhitehOuse 1992.
9
Cauvin 1994.
10
D’altronde anche nella odierna religione cattolica, che vede una divinità maschile
alla sua base, la figura femminile, concepita come la Madre del Figlio divino, riceve culti
complessi e si rivela in vari aspetti (natività, maternità, morte del figlio, protettrice della
famiglia. ecc.) esemplificati in diversi modi nell’arte, ma li riceve in società in cui sempre è
stata prevalente la dominanza del maschio.
11
ehRenBeRg 1989.
12
Autori Vari 2016.
7
8
La donna nella più antica preistoria e suoi possibili stati sociali: teorie e dati...
13
il piccolo gruppo di Laetoli in Tanzania, con uomo, donna e piccolo che lasciarono le impronte di australopitechi nella cenere vulcanica ancora calda,
ma non si va oltre alla constatazione di un gruppo familiare, comune anche
tra i primati13.
Nulla sappiamo per il Paleolitico inferiore, data la assenza di contesti
sepolcrali e comunque di resti ossei in situazioni ben definibili.
Alcuni dati ci provengono invece dalle sepolture del Paleolitico medio, con l’uomo di Neandertal: in questo periodo, tra i 250000 e i 40000
anni da oggi, le strutture sociali cominciano ad essere più chiare ed è diffuso l’uso di seppellire i defunti con modalità che presuppongono il concetto
di sopravvivenza nell’aldilà e il rispetto per i cadaveri. Si tratta però di poco
più di 50 sepolture, tra Europa e Vicino Oriente e purtroppo si tratta in gran
parte di vecchi scavi di cui non conosciamo bene le modalità di seppellimento e per alcuni resti è anche difficile stabilire con sicurezza il sesso14.
Quelle finora note sono negli abitati e sono soprattutto maschili e di
bambini e solo nove chiaramente femminili; nessuna di esse possiede oggetti di ornamento o di corredo, a differenza dei maschi, dotati di resti di
animali e di strumenti litici, uno anche con dei fiori! La scarsità di femmine
non sembra dovuta a casualità delle ricerche poiché ci sono siti con parecchi individui e i maschi sono protetti da fosse o tumuli di pietre. Comunque,
gli uomini erano sopra i trenta anni e le femmine rinvenute tra i 15 e i 30.
Sono inoltre presenti resti di bambini tra 0 e 10 anni e un solo adolescente
dotato di corredo.
Le analisi paleopatologiche mostrano cura dei malati e dei feriti, e
vi sono maschi sepolti dopo la guarigione: potrebbe essere un concetto di
distinzione sociale, applicato anche ai bambini, ma non possiamo sapere
nulla riguardo alle pochissime sepolture femminili.
Sono poi frequenti i casi di mancanza del cranio o di ossa lunghe, interpretati come possibili fenomeni di culto degli antenati o di cannibalismo
rituale o alimentare; sono molto numerosi i resti ossei frantumati rinvenuti
sparsi in grotte e siti all’aperto, ma non è facile distinguerne il sesso15.
Qualche elemento in più si ha per il Paleolitico superiore (35-10000
anni da oggi) con l’arrivo dell’Homo sapiens sapiens: in questo lungo lasso
13
La scoperta di nuove impronte nel sito di Laetoli, effettuata da ricercatori italiani,
suggerisce che A. afarensis, la specie a cui apparteneva la famosa Lucy, vissuta in Africa
circa 3.6 milioni di anni fa, avesse una struttura sociale simile a quella dei gorilla, specie
poligama ad alto dimorfismo sessuale, e non a quella di scimpanzé e bonobo, che sono promiscui, o degli esseri umani moderni.
14
defleuR 1993. Un tempo, inoltre, l’unico modo col quale veniva dedotto il sesso
dell’individuo sepolto era l’analisi dei corredi, senza che eventuali resti umani venissero esaminati con le tecniche appropriate e molte sono state negli ultimi anni nuove analisi e revisioni.
15
CuCChiaRini 2016.
14
Renata gRifOni CRemOnesi
di tempo sono abbastanza numerose le sepolture maschili dotate di ricchi
corredi, parures e vestiario lussuoso (pellicce, abiti in pelle, copricapo e
collane di conchiglie e denti di animali), mentre più rare sono quelle femminili, anche esse però adorne con cuffie e monili.
Limitandoci all’Italia16, dato l’alto numero di sepolture in ambito europeo, mi limito a citare le più significative, rimandando alle opere citate in
nota per la vasta bibliografia specifica.
Per il periodo Gravettiano (28000/23000 anni fa) si hanno numerose
sepolture tra cui importanti quelle delle Grotte dei Balzi Rossi in Liguria.
Nella Grotta dei Fanciulli era una donna anziana con la faccia a terra
e posta sopra un giovane sepolto precedentemente, recante una pietra colorata sulla fronte (secondo alcuni una sciamana); vi erano anche due donne,
una giovane ed una anziana, con acconciature di conchiglie e braccialetti.
Alla Barma Grande era la triplice sepoltura di un adulto e due ragazze, tutti della stessa famiglia in base ad analisi del DNA, sepolti con ricchi
corredi, tra cui lame di selce francese, e parures, datati a 25000 anni fa (tav.
I, 1). Una sepoltura simile si trova a Dolni Vestonice in Moravia, descritta
come donna tra due maschi, ma ci sono dubbi sul sesso.
Nella Grotta del Caviglione una donna anziana (37 anni) fu sepolta
24000 anni fa con una ricca cuffia di conchiglie: era stata sempre definita,
fino a nuove analisi recenti, Uomo del Caviglione data l’alta statura.
Alla Grotta S. Maria di Agnano in Puglia fu rinvenuta una giovane
donna sepolta con feto 28000 anni fa, dotata di un copricapo, di un bracciale di conchiglie e di un corredo di strumenti litici17.
Sempre in Puglia, nella Grotta delle Veneri di Parabita era la sepoltura
doppia di un uomo e di una donna deposti accanto 28000 anni fa, quasi
abbracciati, con resti di una collana di canini di cervo: purtroppo i crani
furono asportati da successive fosse votive scavate dai neolitici18.
Nella Grotta Paglicci al Gargano, con altre sepolture e numerosi resti
umani era quella di una ragazza di circa 18-20 anni, risalente a 23.000 anni
fa, distesa su uno straterello di ocra, presente anche sul cranio, sul bacino
e sui piedi. Sul capo era posto un semplice diadema costituito da denti di
cervo. La testa era stata inserita in una nicchia scavata orizzontalmente e
la fossa era allargata all’altezza della parte inferiore del corpo, per lasciar
libero lateralmente uno spazio adatto ad ospitare un neonato (del quale non
sono state rinvenute tracce sicure): e ciò potrebbe far pensare a una morte
di madre e bambino durante il parto19.
gazzOni 2010; maRtini 2006; Palma di CesnOla 1993, 2006.
COPPOla 2013.
18
CRemOnesi et al 1970; gRifOni CRemOnesi 2020.
19
Palma di CesnOla 2006.
16
17
La donna nella più antica preistoria e suoi possibili stati sociali: teorie e dati...
15
Per quanto concerne la fine del Paleolitico, almeno in Italia è da notare
un mutamento nel rituale funerario: tra i 12000 e i 10000 anni da oggi si hanno molte più sepolture, spesso radunate in piccole necropoli in grotte, ci sono
vari bambini e alcune donne e scompaiono quasi del tutto i ricchi corredi del
periodo più antico; restano comunque collane o pettorali di conchiglie e canini di cervo ed elementi di corredo, tra cui frontali e ossa di cervo o bovide20.
Un caso molto singolare è quello di Grotta del Romito in Calabria: vi
furono rinvenute otto sepolture nella grotta recante il graffito di un bovide21.
Di queste le più singolari sono Romito 1 e 2, appartenenti ad un maschio
e ad un individuo femminile o adolescente, ambedue affetti da nanismo e
recanti frammenti di corno di bue tra le gambe e su un braccio. Romito 5
e 6 sono anche essi una coppia: la donna, sepolta dopo, avrebbe causato lo
spostamento degli arti del maschio e le analisi hanno rilevato una consanguineità matrilineare22.
Nella Grotta d’Oriente nell’isola di Favignana una delle sepolture apparteneva ad una donna recante un femore umano di traverso sulle spalle,
probabile reliquia; recava tracce di ocra rossa e sopra la tomba fu acceso un
fuoco23. Vi è anche una seconda donna e ambedue presentano una robustezza probabilmente dovuta ad una notevole attività fisica ed a comportamenti
abituali. Tra questi ultimi va evidenziato l’eccessivo logorio dei denti, spiegabile solamente con un utilizzo extra-alimentare della dentatura (masticazione delle pelli, preparazione di strumenti ecc.):questo tipo di patologia è
stato riscontrato su numerosi scheletri del Paleolitico superiore.
Resti di una donna erano poi nella Grotta Continenza in Abruzzo, dove
le sepolture maschili erano circondate da pietre24: di questa restavano solo le
gambe deposte su uno dei circoli contiguo a quelli delle sepolture maschili.
Per la parte terminale del Paleolitico superiore, il Mesolitico, tra 9000
7500 anni fa, si conoscono in Italia 19 sepolture, soprattutto in piccole necropoli di grotta, in fosse coperte di pietre e corredi in cui sono presenti
anche vari resti di animali. In Trentino si hanno due donne, una di 50 anni e
una giovane, sepolte in ripari sotto roccia, coperte di pietre, con poca ocra25.
La giovane era sepolta in una zona adibita ad officina litica, sgombrata dai
residui di lavorazione della selce per scavare la fossa e che era occupata
da due mandibole e un corno di cervo con tracce di rosso. Le analisi del
collagene hanno evidenziato una dieta ricca di proteine animali, carne e
gRifOni CRemOnesi 1998.
gRaziOsi 1973.
22
maRtini- lO vetRO 2014.
23
disalvO et al 2006.
24
gRifOni CRemOnesi 1998
25
Cfr. gazzOni 2013; maRtini 2006, ivi bibliografia.
20
21
16
Renata gRifOni CRemOnesi
pesce. Le due donne non avevano corredo, a differenza di due sepolture
maschili, sempre nell’arco alpino, dotate di vari oggetti. Ciò ha fatto supporre una differenza nel rituale tra i due sessi, ma la mancanza di corredo è
comune alle altre sepolture dell’epoca, come quelle della caverna dell’Uzzo
(Trapani), dove, su dieci tombe, due recavano una coppia e due erano femminili: solo un maschio singolo aveva resti di cervo e bue.
In Francia e Penisola iberica si hanno varie sepolture di donne, tra cui
particolari quelle della necropoli di Teviec26: si tratta di due donne uccise a
colpi di freccia al cranio, contornate da palchi di cervo e adorne di collane,
braccialetti e cavigliere in conchiglia (tav. I, 8); secondo alcuni studiosi
potrebbe essere una forma di sacrificio27.
In Francia è il singolare ritrovamento nel Mas d’Azil nei Pirenei del
cranio di una giovane deposto su pietra in una nicchia e con occhi ricavati
da placchette di vertebre di cervo, accompagnato da da una mandibola di
bisonte e da palchi di renna. Nel sito di Le Placard un cranio femminile era
circondato da conchiglie ed era deposto assieme a cinque calotte craniche
trasformate in coppe. Vi erano anche crani isolati e scheletri acefali28.
Un fenomeno molto particolare è stato riscontrato nell’Europa centro
settentrionale: si tratta di fosse contenenti crani di uomini, donne e bambini
che hanno subìto una morte violenta, per traumi alla testa, decapitazione
e poi scarnificazione. Nelle fosse di Ofnet in Baviera, ad esempio, le deposizioni sono composte maggiormente da individui femminili e infantili
e la maggior parte dei resti umani è accompagnata da numerosi oggetti di
corredo29. Potrebbero significare atti di guerra ma anche culto dei crani,
quest’ultimo ben testimoniato in numerosi siti di varie epoche.
Non abbiamo pertanto molti dati per ipotizzare forme di rispetto o
culto di alcune figure femminili o una loro funzione di dominio nell’ambito
del gruppo sociale. Possiamo però vedere, nonostante un gap cronologico
di circa 9000 anni tra Gravettiano ed Epigravettiano finale / Mesolitico, che
non vi erano molte differenze di rituale tra i due sessi, ma che nelle fasi finali del Paleolitico superiore compaiono molti bambini in piccole necropoli
assieme ad adulti, in massima parte maschi. Erano forse legami parentali di
nuova concezione, di discendenza o simboli di rango familiare? Si stanno
ora moltiplicando le analisi del DNA per stabilire possibili legami di parentela e discendenza e strutture familiari, collegabili all’uso e riutilizzo, in
vari casi, della medesima struttura sepolcrale30.
PéquaRt et al 1937.
ghesquièRe-maRChand 2009.
28
CuCChiaRini 2014,2016.
29
CuCChiaRini 2014,2016.
30
taRsi et al 2006; qiaOmei fu 2016.
26
27
La donna nella più antica preistoria e suoi possibili stati sociali: teorie e dati...
17
Una interessante ipotesi è quella formulata a proposito della cosiddetta Dame de Saint Germain La Rivière la quale aveva un ricco corredo di
canini atrofici di cervo forati e decorati a incisioni: poiché tale oggetto, al
contrario di quanto avveniva in Italia, era molto raro nelle sepolture d’Oltralpe, è stato ipotizzato che si trattasse di una donna di alto rango nell’ambito della sua società e che questo ornamento potesse essere indice di una
differenziazione sociale31.
L’immagine della donna nel Paleolitico è espressa però soprattutto
dalle produzioni artistiche, consistenti in massima parte in statuine in pietra, osso, conchiglia e anche in argilla come quelle in terracotta di Dolni
Vestonice, statuine raffiguranti donne dalle caratteristiche specifiche simboleggianti la fecondità e il rapporto con i fenomeni naturali.
Fu proprio l’analisi delle prime statuine scoperte nel 1800 a creare l’ipotesi che le natiche sporgenti e i grossi seni e i ventri prominenti fossero la
rappresentazione di un ideale femminile di bellezza per noi inconcepibile,
ma in auge presso varie popolazioni (vedi gli Ottentotti con la steatopigia),
per cui furono chiamate “Veneri”.
Sono moltissime, dall’Europa occidentale a quella orientale e fino alla
Siberia; nei periodi più antichi (36-26000) si hanno figure femminili, rare,
su blocchi di pietra ma tra i 26000 e i 10000 anni da oggi abbondano le
statuine, i bassorilievi, rare pitture, ma sempre con i tratti del viso estremamente schematici, nascosti o incappucciati, in contrasto con il realismo
esasperato dei corpi. Sono frequenti le figure in avanzato stato di gravidanza ma ci sono anche figurine assai stilizzate, magrissime: rari gli elementi
di vestiario o di adorno, in genere cappucci. Ci sono poi figurine con testa
animale o accomunate a corna di bisonte e le ipotesi sul significato sono
innumerevoli: simboli di divinità legate alla riproduzione, divinità animali
(lupo, volpe, bisonte ecc.), idoli domestici, bambole, ma non riusciremo
mai a conoscere i loro reali significati32 (tav. I, 2-4).
Le raffigurazioni femminili sono comunque numerosissime mentre
poche sono quelle maschili presenti con alcuni graffiti su ciottoli od ossi
o rare raffigurazioni nelle grotte dove invece dominano le immagini degli
animali33.
Con la fine del Paleolitico, nel Mesolitico, l’arte rupestre caratterizzata dalle figure realistiche di animali, scompare e lascia luogo ad un’arte
schematica e geometrica su pietre ed ossi animali: nell’Occidente iberico si
manifestano però su pareti di ripari scene in cui primeggia l’uomo cacciatore e guerriero, in gruppi armati, e compaiono anche le donne: ricordo la
d’eRRiCO-vanhaeRen 2003, 2007.
maRtini 2016; maRtini et al 2019, 2019.
33
leROi.-gOuRhan 1965.
31
32
18
Renata gRifOni CRemOnesi
raccolta del miele (tav. I, 5), le donne che danzano e quelle che partecipano
alla caccia (tav. I, 6-7). Purtroppo, la datazione di molte di queste scene
è incerta e si va dal Mesolitico al Neolitico fino all’età dei metalli: resta
comunque il fatto che le donne assumono ora diversa importanza nella vita
sociale, tanto da essere raffigurate nelle scene di vita collettiva, con particolari riferiti anche al vestiario, caratterizzato da gonne mentre gli uomini
hanno pantaloni e copricapi fastosi34.
Nel resto dell’Europa e del Vicino Oriente l’importanza della donna
nel Neolitico (10000-5000 anni fa) è testimoniata soprattutto dal ritorno
delle statuine femminili, diffuse dal Vicino Oriente ai Balcani all’Italia meridionale e poi fino in Liguria e in Sardegna, mentre divengono rarissime
andando verso Nord e Occidente: i numerosi esemplari che conosciamo
continuano in parte alcuni stilemi del Paleolitico superiore ma sono ora definiti i caratteri dei volti e numerosi elementi di vestiario e di adorno (gonne, copricapo e acconciature complessi, collane). Le statuine più antiche,
quelle di Çatal Hüyük in Anatolia, portano a considerare anche un legame
con animali selvatici, visto nella dea in trono tra felini (tav. I, 9), in un sito
di abitato di 8000 anni fa, con vani dipinti in cui dominano i simboli del
toro, i cervi e gli avvoltoi con uomini35.
Sono in genere più rare le figurine di donne chiaramente incinte, note
nel Paleolitico superiore, ma sembra di essere comunque in presenza di
simboli della fertilità, secondo molti autori collegabili alla Terra Madre e
all’agricoltura, nuovo modello economico del Neolitico, e anche ai riti della morte e resurrezione delle piante, data la presenza di statuine, oltre che
nei villaggi, anche in sepolture e in grotte dove si svolgevano riti funebri
ed agrari. Resta inoltre aperto il problema della presenza di manifestazioni
artistiche sia in grotte cultuali sia in sepolture e in abitati: troviamo le stesse
raffigurazioni in siti diversi per uso e funzione e possiamo ipotizzare una
sorta di culto domestico che si estrinseca anche nei luoghi considerati sacri
e che comunque utilizza forme di espressione artistica spesso comuni su
ampi territori denotando unità culturale e ideologica nel corso del neolitico36.
In Italia centro meridionale conosciamo, lungo l’arco del Neolitico,
almeno 250 statuine, di stili e culture diverse, (tav. I, 10-14; tav. II, 1-5)
collegabili comunque con il mondo balcanico e sono ipotizzabili rapporti con un mondo ideologico complesso in cui alla figura femminile si accompagnano possibili divinità animali quali gli anatidi (che poi saranno
simbolo del sole), evidenti in anse di vasi e statuine o il serpente, simbolo
BeltRàn 1980.
mellaaRt 1967.
36
guilaine 2003.
34
35
La donna nella più antica preistoria e suoi possibili stati sociali: teorie e dati...
19
ctonio, oltre a rare figurine di animali domestici, molto frequenti invece nei
Balcani37.
Ma cosa possiamo dedurre sullo stato sociale della donna in società
complesse quali quelle neolitiche? alcuni dati li otteniamo anche per questo periodo da sepolture o da analisi di resti ossei ma, per quanto riguarda
le funzioni e lo stato sociale, possiamo solo ipotizzare un concreto lavoro
relativo all’orticoltura e all’agricoltura, all’uso delle macine manuali in pietra, alla manifattura di vasi e alla tessitura, lavoro questo tipico domestico
femminile fino alla fine del 1800 e anche oltre, salvo i tessitori maschi delle
industrie tessili medievali e successive. Ipotizziamo inoltre, sempre sulla
scorta di confronti etnografici, allattamento, cucina, raccolta della legna,
mungitura, sartoria (come sembra di capire da una sepoltura femminile
con aghi in osso come corredo), ecc. Analisi sui resti scheletrici mostrano comunque che le donne erano sottoposte a notevoli sforzi fisici, tra cui
zappare, raccogliere e anche il trasporto di carichi pesanti: da queste analisi risulta una grande forza della parte superiore del corpo, che non trova
giustificazione nei soli lavori domestici. Inoltre, anche per il Neolitico si
stanno moltiplicando le analisi del DNA per individuare rapporti familiari
e discendenze.
Qualcosa però sembra cambiare nei rapporti sociali: sono infatti più
numerose le sepolture di donne durante l’arco del Neolitico38 e da alcune è
possibile intravvedere segnali di distinzione: nel Neolitico antico le donne,
sempre rare, sono sepolte nei villaggi e nelle grotte come gli uomini, in
fosse semplici, ma scarsi sono per entrambi i sessi gli oggetti di corredo e
di parure. Vi sono però alcuni esempi di sepolture che farebbero pensare
a donne aventi un rango particolare nella comunità, anche se non possiamo parlare di “matriarche”. Nel Neolitico antico, 8000-6000 anni da oggi,
molte sepolture sono di donne con bambini e alcune sono di un uomo e di
una donna, situate all’interno o appena fuori dagli abitati, in fosse semplici
con rari oggetti di corredo: ricordo in particolare la donna di 40/50 anni di
Balsignano (Bari) deposta in una fossa circondata da pietre con fondo pavimentato e coperta da quattro grandi pietre, con in mano una mandibola di
ovino e le due donne, una a Catignano in Abruzzo e l’altra a Trasano presso
Matera, ambedue, con cranio trapanato: la trapanazione è nota in Italia per
il neolitico anche da una sepoltura maschile molto particolare nella Grotta
Patrizi nel Lazio39. Quasi un unicum è il complesso a cremazione di Grotta
37
gRifOni-PedROtti 2012; cfr. anche Atti XLII Riunione Istituto Italiano di Preistoria
e Protostoria, Trento.
38
Per la vasta bibliografia relativa cfr. maRtini 2006; gRifOni CRemOnesi 2002, 2006;
BeRnaBò BRea et al 2006, 2010.
39
gRifOni CRemOnesi-Radmilli 2000-2001. Una donna con cranio trapanato e rimarn-
20
Renata gRifOni CRemOnesi
Continenza con i resti bruciati di due bambini coperti da quelli bruciati di
una donna, fatto eccezionale nel neolitico, testimonianza quindi di un rituale speciale in una grotta che conteneva anche i resti di 40 tra uomini, donne
e bambini, inumati40, accompagnati da fosse con i resti di animali domestici
macellati (tav.II, 6), chiara offerta rituale.
Con le fasi successive del Neolitico verso i 5000 anni da oggi, appaiono necropoli organizzate e nelle sepolture i corpi sono dotati di corredi
(vasi, armi di selce e asce in pietra levigata) e di ornamenti personali quali
collane e bracciali in pietra, osso, conchiglia: anche le donne hanno i corredi e in alcuni casi, nelle tombe del nord Italia, hanno anche asce. Una donna
nella necropoli di via Guidorossi a Parma era coperta da nocciole carbonizzate, chiaramente un’offerta votiva. La tomba di Vicofertile (Parma) (tav.
II, 7, 9) appartiene ad una donna deposta tra quattro tombe maschili, con in
mano una statuina e due vasi, uno a bocca quadrata, locale e uno della cultura meridionale di Serra d’Alto, prodotto però in loco41. Anche a La Vela
di Trento una donna anziana con patologia cranica e cranio coperto di ocra
aveva un vaso tipo Serra d’Alto e un segnacolo ai piedi, e vasi del genere
si sono trovati in altre tombe femminili del Nord 42. Questo fatto indica,
assieme ad analisi condotte sugli scheletri, una provenienza dal Sud delle
donne che portarono con se anche tecnologie e rituali di culture diverse,
integrandoli nelle nuove sedi: sul perché di questi spostamenti si è molto
discusso, ma non dobbiamo dimenticare che i neolitici avevano fitte reti di
scambi di materie prime e quindi di conoscenze; i traffici di ossidiana da
Lipari, Palmarola, Sardegna e quelli di pietre verdi dal Piemonte e di selci
pregiate dal Veneto e dalla Provenza ovviamente facilitavano gli scambi di
tecnologie e i movimenti delle persone, oltre alla diffusione di culti e credenze comuni a vari gruppi.
Col Neolitico recente e finale sono diffuse piccole necropoli ben organizzate nei villaggi e tra le tombe più significative ricordo quella di Ripoli
in Abruzzo (tav. II, 8) e quella di Chiozza in Emilia: ambedue le donne
furono sepolte con un cane, fatto che diverrà più frequente in seguito, ma
in tombe maschili di guerrieri. Cominciano inoltre ad apparire le prime
sepolture collettive, rituale che sarà poi diffuso durante l’età del Rame nel
III millennio. Anche nel resto d’Europa appaiono ricche sepolture in cui
sono presenti varie donne spesso con parures e offerte animali (bovini e
suini). Appaiono strutture diverse (fosse, grotticelle, silos, circoli di pietre
ginato era sepolta in una fossa dell’Abri Pendimoun nelle Alpi Marittime, assieme ad un’altra donna recante una perforazione sulla fronte, dovuta ad impatto violento (Beyneix 2003).
40
gRifOni CRemOnesi 2003a, 2003b, 2006.
41
BeRnaBò BRea-CultRaRO 2012.
42
BeRnaBò BRea et al 2006, 2010.
La donna nella più antica preistoria e suoi possibili stati sociali: teorie e dati...
21
ecc.), deposizioni secondarie e riutilizzo delle strutture: si trattava di rituali
diversificati di comunità con ideologie differenti43?
Va ricordato poi un altro elemento da aggiungere al quadro frammentario che abbiamo tentato di delineare: si tratta non proprio di sepolture ma
di fosse collettive contenenti i resti di uomini, donne e bambini buttati alla
rinfusa dopo essere stati colpiti alla testa e alla schiena da colpi di asce litiche e frecce: si trovano in Germania e documentano l’esistenza di lotte fra
gruppi per il possesso di territori o di acque, vere e proprie azioni di guerra
che non distinguevano tra donne e uomini e bambini44.
Con l’età del Rame (fine IV-III millennio a.C.) le sepolture sono dovunque collettive: cavità naturali, anfratti, necropoli di tombe a fossa, ma
anche numerose piccole necropoli di grotticelle artificiali scavate nella roccia, oltre a strutture megalitiche come i dolmens ed aree di culto con statue
stele45.
In queste sepolture uomini e donne sono spesso accumulati in deposizioni successive, che fanno pensare a tombe di famiglia usate per generazioni e contenenti spesso centinaia di individui, purtroppo quasi sempre alla
rinfusa. Sono infatti testimoniati rituali di riapertura delle tombe, selezione
delle ossa (spesso solo ossa lunghe e crani) e loro rideposizione, oltre ad
ammassi di ossa e frammenti alla rinfusa. Si è notato che in alcune tombe
della Campania gli uomini erano in connessione entro fosse, mentre le donne e gli adolescenti erano in deposizioni secondarie entro fosse più piccole,
talvolta in spazi differenziati da quelli maschili. Esistono però anche tombe
con coppie e alcune sepolture singole di donne46. Un caso molto particolare
e non privo di problemi è quello della cosiddetta Tomba della Vedova nella
necropoli di San Pietro nel Lazio, appartenente alla cultura di Rinaldone:
si tratta della tomba a grotticella artificiale di un maschio con ricco corredo
di armi in rame e metallo e vasi di pregio e la deposizione di un cane fuori dell’ingresso; verso l’ingresso della tomba era il corpo di una giovane
con cranio fracassato e senza corredo47. Ciò fu interpretato come il sacrificio della vedova di un capo guerriero, ma questa interpretazione, basata
soprattutto su confronti etnografici e usanze di altri popoli non ha solide
basi scientifiche per essere considerata valida, anche se molto suggestiva.
Durante tutto il periodo ci sono, piuttosto importanti, sepolture singole, di
maschi guerrieri con ricchi corredi di armi in rame e selce, vasi di pregio,
Per un quadro generale e bibliografia cfr. gRifOni CRemOnesi 2006.
guilaine-zammit 2001.
45
Per un quadro generale e bibliografia cfr. leOnini-saRti 2006; de maRinis 2014;
negROni CataCChiO 2006.
46
BailO mOdesti-saleRnO 1998.
47
miaRi 1993.
43
44
22
Renata gRifOni CRemOnesi
collane di vaghi in pietra o argento, offerte animali e in alcuni casi, anche
cani interi deposti vicino al defunto48.
È però molto difficile, dato il lungo utilizzo di queste tombe e la difficoltà di ricostruire la posizione e i rapporti tra le numerose e successive
inumazioni durate anche secoli, stabilire eventuali differenze di rituale e di
corredo tra maschi e femmine o gruppi di abitanti di una regione: sicuramente si tratta di tombe familiari o almeno di piccole comunità, che usarono lo stesso monumento per generazioni49.
Purtroppo, non abbiamo molti dati dai siti di abitato per dire qualcosa
di sicuro sulla funzione femminile in questi gruppi di agricoltori, minatori
e guerrieri e bisogna arrivare all’età del Bronzo per sapere qualcosa di più.
L’immagine della donna comunque sparisce dalle manifestazioni artistiche, ora rappresentate soprattutto dall’arte rupestre50, in cui appaiono
antropomorfi maschili stilizzati e simboli diversi: figurine femminili anche
esse assai schematiche sono solo sulle rocce dell’arco alpino e spariscono
del tutto le statuine che erano così diffuse nel Neolitico. Alcune figure femminili sono però presenti come grandi statue, le statue stele, note in Italia51
nelle valli alpine, in Lunigiana52 e rare in Puglia, ma numerose in Sardegna,
Corsica, Francia e Penisola iberica. Potrebbero essere segni di figure femminili dotate di potere o significato simbolico, oppure secondo altri studiosi
sono segni di divinità, ma tutte le ipotesi possono essere valide: in ogni caso
non ci sarà mai possibile dire con certezza cosa hanno realmente rappresentato le donne in tutte queste diverse società nell’arco di milioni di anni.
48
de gROssi mazzORin 2001.
leOnini-saRti 2006; negROni CataCChiO et al 2014; taRsi et al 2006.
50
aBelanet 1979; anati 1979; de lumley 1995; gRifOni CRemOnesi-tOsatti 2017.
51
Casini 1994; de maRinis 2014.
52
PaRiBeni et al 2012.
49
La donna nella più antica preistoria e suoi possibili stati sociali: teorie e dati...
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maRCO seRRadimigni*, maRta COlOmBO**
ABBIGLIAMENTO E PARURES FEMMINILI
NELLA PREISTORIA PIÙ ANTICA
Riassunto
Abbigliamento e parures femminili nella Preistoria più antica
Parlare di abbigliamento in Preistoria, soprattutto per le fasi più antiche, risulta piuttosto difficoltoso visto che questi elementi sono prodotti quasi esclusivamente in materiali deperibili,
che salvo casi eccezionali non si conservano fino ai giorni nostri.
Va meglio con ornamenti, parures, corredi, molti dei quali sono il più delle volte confezionati con materie prime dure animali o in pietra, per cui si conservano più facilmente anche
su periodi lunghissimi quali quelli preistorici.
Cercare di identificare gli ornamenti peculiari della donna nelle varie fasi della Preistoria
risulta poi essere ancora più difficoltoso, sia per la frammentarietà dei dati a disposizione,
sia per la vastità dell’arco cronologico e spaziale considerato: ogni gruppo umano in ciascun
momento delle sua storia si caratterizza infatti per ornamenti, acconciature, abbigliamento
diversi e che variano assai rapidamente. Si tratta insomma di quello che possiamo definire
“moda”, ossia l’aspetto e il comportamento di una comunità sociale secondo il gusto particolare del momento.
Spesso dallo studio di dettaglio delle sepolture è possibile trarre importanti spunti, ma in questi
casi non si deve mai dimenticare che gli oggetti accompagnano il defunto in questi casi possono anche non riflettere l’individuo in vita bensì ciò che gli veniva messo addosso (sia vestiti
che ornamenti) per un aspetto peculiare quale quello della morte (e i riti ad esso associati).
Grazie infine ad altri ambiti, quale ad esempio l’arte parietale e/o mobiliare, giungono fino
a noi importanti informazioni su come le persone potessero essere abbigliate o quali ornamenti personali potessero indossare.
In generale, comunque, nasce la domanda se la parure nelle varie epoche sia solo una testimonianza di vestiario oppure, come sembra più probabile, rivesta un significato sociale
e simbolico.
*
Cultore della Materia presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere-Università
di Pisa; Ricercatore indipendente.
**
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Lucca e Massa
Carrara.
28
maRCO seRRadimigni, maRta COlOmBO
Abstract
Clothing and female parures Prehistory.
Talking about clothing in Prehistory, especially for its most ancient phases, is rather difficult
since these elements are produced almost exclusively by perishable raw materials, which
except in exceptional cases are not preserved up to present.
It goes better with ornaments, parures and kits, many of which are often made with bones, shell
or stone, so they are easily preserved even over very long periods such as prehistoric ones.
Trying to identify peculiar female ornaments in different phases of Prehistory turns out to be
even more difficult, both for the fragmentation of the available data, and for the hugeness of
chronological and spatial considered period: each human group in each moment of its history
it is characterized by ornaments, hairstyles, clothing that are different and vary very rapidly.
In short, it is what we can define as “fashion”, that is the appearance and behavior of a social
community according to the particular taste of the moment.
Often from detailed studies of burials it is possible to draw important insights, but in these
cases it must never be forgotten that the objects accompanying the deceased may not reflect
only the person in life but rather what was put on him (both clothes what ornaments) for a
peculiar aspect such as that of death (and the rites associated with it).
Finally, thanks to other areas, such as rock-art and/or figurines, important information comes
down to us on how people could be dressed or what personal ornaments they could wear.
In general, however, question arises whether parures in various eras is only testimony of
clothing or, as seems more likely, has a social and symbolic meaning.
Introduzione
Parlare di abbigliamento e ornamenti in generale e femminili più nello
specifico per periodi pre-storici, ovvero prima che le fonti scritte ci permettessero di avere un supporto per riuscire a visualizzare questo particolare
ambito della vita quotidiana, risulta quanto mai difficoltoso ma decisamente affascinante.
A parte quei pochi elementi che si sono conservati fino a noi perché
costituiti da materiali non deperibili (osso, conchiglia etc…), la maggior
parte dei manufatti riferibili a questa sfera della vita umana è prodotta con
materie prime che non si preservano così tanto nel tempo e si distruggono
senza lasciare traccia alcuna, salvo rarissimi casi quali particolari ambienti
che ne permettono la conservazione.
Questi casi sono rappresentati, ad esempio, da ambienti con atmosfera
totalmente umida (palafitte, torbiere) o, al contrario, da ambienti completamente secchi (aree desertiche, tombe), i quali proprio a causa di queste
condizioni estreme, permettono la conservazione di materiali altrimenti deperibili in qualsiasi altra condizione.
Più nel particolare, a seconda dell’ambiente di conservazione si mantengono intatte alcune fibre piuttosto che altre: se l’ambiente è basico, ad
esempio quello delle palafitte alpine, si conservano quasi intatte le mate-
Abbigliamento e parures femminili nella Preistoria più antica
29
rie prime vegetali (tessuti di lino, manufatti intrecciati etc…), mentre in
un’atmosfera acida (come quella delle torbiere nord europee) si conservano
maggiormente le fibre animali (ad esempio i tessuti di lana).
Suggerimenti ci possono poi essere forniti da altri fenomeni, rari, di
mantenimento dei materiali organici, quali l’ibernazione/mummificazione
(si veda, per periodi così antichi, la mummia del Similaun, mummificata
sotto al ghiaccio) o la conservazione di impronte. In quest’ultimo caso si
tratta non più del materiale originario bensì della sua impronta che si è fossilizzata sull’ultimo supporto ove era ubicato; è il caso, ad esempio, delle
impronte di stuoie, come quella rinvenuta nella grotta di Santa Croce di
Bisceglie, appartenente al Neolitico e ad oggi la più antica in Italia1.
Escludendo, quindi, questi casi peculiari, che sono comunque purtroppo abbastanza rari, ci dobbiamo affidare, per arrivare a comprendere determinati ambiti, a ciò che direttamente (reperti in materiali non deperibili,
sepolture) o indirettamente (arte parietale, arte mobiliare) si è conservato
fino ai giorni nostri ed è venuto in luce negli scavi archeologici.
Si tratta di tutta una serie di elementi che ci permette di ricostruire, a
volte parzialmente, a volte del tutto, le modalità di abbigliarsi e ornarsi dei
nostri progenitori, e in alcuni casi è possibile arrivare ad un dettaglio che ci
fa discriminare la sfera maschile da quella femminile.
I cacciatori-raccoglitori del Paleolitico
Più si va indietro nel tempo, minori sono le possibilità di trovare determinati reperti ancora conservati; per specie umane ormai estinte, pre-sapiens, inoltre conosciamo ancora molto poco (e poco si è conservato) in
merito alle pratiche dell’ornarsi e tutto ciò ad esse collegato (vestiario compreso).
Inoltre, in quanto specie diverse dalla nostra, risulta quanto mai difficoltoso immedesimarsi nella loro “mentalità” in modo da poter in qualche
modo associare i nostri pensieri e comportamenti ai loro per poter fare dei
confronti attinenti.
I pochi, rarissimi casi, di materiali deperibili conservati per epoche
così antiche, riguardano un altro ambito, quello della caccia: nel sito di
Schöningen (Bassa Sassonia – Germania) si sono conservate ben otto “lance” da caccia in legno, appartenenti ad Homo heidelbergensis e datate tra i
300 e i 350 mila anni. Simile il ritrovamento, a Clacton-on-Sea (Inghilterra), di una punta di lancia in legno di tasso (Taxus baccata L.) datata a circa
420 mila anni.
1
BOsCatO et al 2002.
30
maRCO seRRadimigni, maRta COlOmBO
Per quanto riguarda le testimonianze legate ad Homo neanderthalensis, sappiamo che era perfettamente in grado di attuare comportamenti simbolici quali la fabbricazione e la colorazione di ornamenti. Un esempio è
dato dal ritrovamento, in alcune grotte spagnole, di conchiglie colorate e
lavorate (tav. III, fig. b) per poter essere indossate come pendagli2.
Inoltre, è ormai ben attestato l’uso di piume di aquila (Aquila macchiata) e rapaci vari come ornamenti, vista la mancanza di altra funzionalità
di questi supporti; l’utilizzo è testimoniato dalle particolari tracce lasciate
sulle ossa di questi uccelli ed identificate nei reperti rinvenuti nella Grotta
di Fumane3. Nel sito di Krapina (Croazia) (tav. III, fig. a) si hanno invece
otto talloni di aquila per i quali le analisi in microscopia ottica hanno permesso di rilevare un forte lustro da sfregamento in posizioni tipiche di un
utilizzo come pendagli e, quindi, come ornamenti4.
A Poggetti Vecchi (Grosseto – Toscana)5 recenti scavi (2012 e 2013 Soprintendenza Archeologica della Toscana) hanno permesso di analizzare
un sito di caccia neandertaliano, con ossa di elefante associate a strumenti
litici e, particolarmente importante, a “bastoni da scavo” in legno che, grazie all’ambiente termale, si sono conservati intatti fino ad oggi. Si tratta di
una quarantina di frammenti in legno di Bosso (Buxus L.) usati per la raccolta di radici, tuberi, e per cacciare piccole prede, datati a circa 170 mila
anni (fase antica/media del Paleolitico medio).
È però nel Paleolitico Superiore, con l’affermazione dell’uomo anatomicamente moderno (Homo sapiens), che gli oggetti di ornamento diventano sempre più numerosi e differenziati6; in più, la diffusione (e l’inizio?)
della pratica del seppellimento dei cadaveri ha aumentato, per noi studiosi,
le possibilità di conservazione di determinati oggetti (prevalentemente parures) che andavano ad accompagnare il defunto all’interno della struttura
sepolcrale.
Grazie a questa pratica ci sono infatti pervenute numerose informazioni sia sugli elementi di ornamento che sul vestiario, e con la determinazione
del sesso del defunto è stato molte volte possibile separare le pratiche tipicamente maschili da quelle femminili.
Tra le sepolture più ricche spiccano, ad esempio, quelle di Sungir in
Russia, dove dall’inumazione di due adolescenti disposti testa contro testa
sono venuti alla luce circa 13000 dischetti in avorio e, per uno dei due, un
2
zilhãO et al 2010.
PeResani et al 2011.
4
Radovčić et al 2015.
5
aRanguRen et al 2018.
6
guRiOli 2008.
3
Abbigliamento e parures femminili nella Preistoria più antica
31
copricapo con perline e più di 250 canini di volpe; inoltre, lungo il fianco
era deposta una lunga lancia in avorio. Soltanto il corpus di perline di ogni
fanciullo ha richiesto non meno di 5000 ore di lavoro, un impegno enorme
che suggerisce come i due adolescenti appartenessero molto probabilmente
ad un elevato stato sociale, probabilmente ereditato vista la giovane età, e
non “conquistato”7. Sungir 1 è invece la deposizione di un adulto maschio
(circa 35 anni di età) per il quale la posizione di alcuni oggetti di ornamento
ha fatto supporre che fosse stato sepolto con delle vesti ricoperte di perline
in avorio. Sulla fronte aveva tre file di perle e denti di volpe.
Tralasciando gli altri esempi europei e concentrando la nostra analisi
sulla sola Italia, le sepolture più antiche appartengono, nel nostro territorio,
al Gravettiano (29-20mila anni) e si distribuiscono in due aree distanti della
nostra Penisola8,9: in Liguria occidentale e in Puglia.
In questo periodo la pratica funeraria si caratterizza per la cura e la
ricchezza delle parures e per i corredi composti da strumenti litici e in materia dura animale di grandi dimensioni e di ottima qualità tecnica. Ne è un
esempio Il “Principe” delle Arene Candide, il quale impugnava nella mano
destra una lunga lama in selce (in materia prima di origine francese) e aveva
sulla spalla sinistra 4 bastoni forati in corno di alce, probabilmente portati
a tracolla10.
La Liguria di ponente ospita il gruppo più cospicuo e ricco di inumazioni; le parures di queste sepolture privilegiavano il distretto anatomico
superiore, principalmente la testa, con cuffie e reticelle costituite da conchiglie quali Cyclope neritea e/o Cypraea (più rare), cui si aggiunge in molti
casi una bordatura di canini atrofici di cervo. Molte parures sono collocate
anche nelle zone del collo e del torace, con collane o pettorali in cui i canini
atrofici sono associati ad altri elementi quali conchiglie, pendenti in osso a
doppia oliva e vertebre di pesce. Frequenti anche gli ornamenti posizionati
sugli arti, come bracciali, giarrettiere e ginocchiere.
Limitandoci all’analisi almeno delle più importanti inumazioni di individui femminili, in Liguria è importante, per la comprensione degli ornamenti femminili, la sepoltura cosiddetta “uomo di Mentone”. Scoperta nel
1872 nella Grotta del Caviglione11, si tratta in realtà della deposizione di
una donna “gravettiana” (tav. III, fig. c, d, e), sepolta intorno ai 24 mila anni
(stessa datazione del Principe delle Arene Candide) e morta ad un’età di circa 37 anni; aveva una parure formata da una cuffia di conchiglie e denti di
7
dOBROvOlskaya et al 2012.
Palma di CesnOla 1993.
9
maRtini 2006.
10
fiOCChi 1998.
11
de lumley et al 2015.
8
32
maRCO seRRadimigni, maRta COlOmBO
cervo e un corredo caratterizzato da ossa di cavallo. La sua notevole statura
aveva fatto supporre che si trattasse di un uomo, ma il suo essere in “stato
interessante” (aspettava almeno un figlio) ha cambiato la caratterizzazione
del sesso da maschile a femminile; inoltre, è stata riscontrata la presenza di
una ferita da difesa, fatto che potrebbe averne causato la morte.
Una donna adulta (40 anni) ed un adolescente maschio (17 anni) sono
invece venuti alla luce nella Grotta dei Fanciulli (IM): inizialmente chiamati “negroidi di Grimaldi” (poi “uomo di Grimaldi”) a causa di particolari
caratteri dello scheletro (es. dolicocefalia, forte prognatismo, naso largo)
che li aveva fatti associare a popolazioni africane, è in seguito stato scoperto come tali caratteri non fossero discriminanti di razza ma semplicemente
dei “difetti” fisici (ad esempio il prognatismo era causato da problemi di
masticazione). Il corredo dei due era composto da una lama in selce sul
braccio destro del giovane e da due grattatoi (uno sul bacino, l’altro nella
mano sinistra) e da una pastiglia di serpentino per la donna; l’adolescente
aveva un’acconciatura formata da 4 file di Nassa neritea posizionate sulla
parte sinistra del capo, mentre la donna aveva due bracciali al braccio sinistro, anch’essi composti da Nassa neritea disposte su due file.
In Puglia, altra zona particolarmente ricca di tali evidenze, le parures
per la testa sono spesso composte solo da canini atrofici di cervo, come ad
esempio a Grotta Paglicci12 e a Grotta delle Veneri13,14; le datazioni delle
evidenze pugliesi sono all’incirca coeve con quelle dell’areale ligure.
Importante è la sepoltura di Santa Maria di Agnano (Ostuni I o “Donna di Agnano”), dove una donna che è stata sepolta circa 24 mila anni fa15
in posizione fetale (rannicchiata su un fianco) portava in grembo il feto di
un bambino (morto tra le 31 e le 33 settimane, con segni di sofferenza nelle
ultime 2 settimane di vita intrauterina). Morta probabilmente di gestosi,
la donna aveva un’età di circa 20 anni e una statura di 170 cm; portava 4
bracciali al braccio destro (formati da Ciprea, Cyclope e Columbellae) e
una cuffia colorata di rosso (ematite) formata da 650 conchiglie marine e da
canini atrofici di cervo forati.
A Grotta Paglicci presso Rignano Garganico (FG) è stata scoperta la
sepoltura di un’altra donna, di 18/20 anni di età, deposta in una fossa ellittica caratterizzata da un riempimento stratificato, non caotico, forse dovuto
alle varie fasi del rito di seppellimento. Datata anch’essa intorno ai 24 mila
anni BP, era ricoperta di ocra (soprattutto sul cranio) e lungo il bordo della
fossa erano ancora conservati blocchetti di pigmento usati probabilmente
12
ROnChitelli et al 2015.
CRemOnesi et al 1972.
14
ingRavallO†-gRifOni CRemOnesi 2020.
15
fiORentinO 2012.
13
Abbigliamento e parures femminili nella Preistoria più antica
33
per la colorazione del suo corpo; come corredo aveva alcuni manufatti in
selce e una conchiglia (Pecten), mentre l’acconciatura dei capelli era caratterizzata da un diadema formato da 7 canini atrofici di cervo forati. La
fossa presentava un allargamento laterale nel quale forse era stato deposto
un neonato (che non ha lasciato tracce) o che era servito per la deposizione
di offerte funebri.
Un elemento comune ai due areali, Liguria e Puglia, è dato dall’abbondante presenza di ocra, rimasta sulle ossa dopo la decomposizione delle
parti molli, il che sta ad indicare come i cadaveri dei defunti venissero “dipinti” con questo pigmento16 e che tale pratica fosse con ogni probabilità
legata ad un qualche rito sepolcrale.
Con la fase terminale del Paleolitico superiore (Epigravettiano, 18-10
mila anni circa) il numero di sepolture si fa più numeroso ma, per contro,
diviene estremamente meno ricco in corredi e parures. Le sepolture sono
spesso senza fossa, a filo di terra, e hanno in comune con quelle più antiche soltanto la presenza dell’ocra e, più di rado, dei canini di cervo atrofici e sporadiche conchiglie marine. Ci sono però delle eccezioni, come ad
esempio dalla “necropoli” (almeno 15 deposizioni) delle Arene Candide in
Liguria17, dove diversi inumati avevano segnacoli in corna di alce e parures
formate da mantelline di code di scoiattolo (nella sepoltura di un bambino).
A Grotta del Romito in Calabria, era la sepoltura di un uomo e di una
donna abbracciati in una fossa e la deposizione di un nano; erano tutti senza
elementi di accompagno, ma testimoniano comunque una sensibilità e una
attenzione sociale difficili da pensare per epoche così remote.
Un altro ausilio alla comprensione di particolari atteggiamenti umani
ci viene dall’arte parietale, fenomeno purtroppo di scarsa portata in Italia
ma estremamente ricco e abbondante in altri territori europei, come l’area
franco-cantabrica. Nella stragrande maggioranza delle raffigurazioni paleolitiche, almeno di quelle più antiche (Gravettiano), è rappresentata esclusivamente la figura animale (ad esclusione della arcinota “scena” del pozzo
di Lascaux); ma in alcune grotte si hanno impressioni in negativo di mani
umane (tav. III, fig. f) che, seppure non ci diano indicazioni sugli elementi
di ornamento, ci suggeriscono altre caratteristiche quali ad esempio il sesso di chi ha lasciato l’impronta stessa: John Manning, biologo britannico,
in uno studio sui caratteri morfometrici delle impronte suggerisce come
uomini e donne differiscano nella lunghezza delle dita, laddove le donne
tendono ad avere anulare e indice della stessa lunghezza mentre gli uomini
16
17
seRRadimigni-COlOmBO 2015.
CaRdini 1980.
34
maRCO seRRadimigni, maRta COlOmBO
hanno l’anulare più lungo dell’indice. Dean Snow18 tramite un algoritmo
ha stabilito alcuni parametri (lunghezza delle dita, della mano, rapporto tra
indice e mignolo) per capire se le impronte sono maschili o femminili con
una sicurezza stimata intorno al 60% a causa del sovrapporsi delle misure
maschili e femminili.
Nel Levante spagnolo invece le raffigurazioni rupestri del Paleolitico
recente mostrano sia uomini che donne abbigliati con abiti che potremmo
definire, senza timore di smentita, moderni: uomini con pantaloni lunghi e
gambali, donne con abiti e lunghe gonne, i primi armati di arco, le seconde
senza altri oggetti distintivi ma probabilmente intente a danzare.
In Italia, tra le poche scene paleolitiche con figure umane possiamo
annoverare le incisioni di Grotta dell’Addaura (PA) (tav. III, fig. g), dove
due figure centrali sono circondate da altri individui: la scena, della fine del
Paleolitico superiore, ha avuto varie interpretazioni, ma gli studiosi concordano comunque sul fatto che si tratti della rappresentazione di un rito19.
In questo ambito le uniche indicazioni di vestiario o ornamenti ci vengono
fornite dalla presenza di figure incappucciate o con un sacco (portato da
donne).
Dopo le sepolture, gli elementi che più ci sono di aiuto per la comprensione degli oggetti di ornamento e di vestiario sono le manifestazioni
artistiche mobiliari, prevalentemente le cosiddette Veneri. Queste rappresentano esclusivamente la figura femminile, spesso sovrabbondante e con
evidenziate alcune particolarità anatomiche come i grossi seni, le natiche e
la vulva, presumibilmente in alcuni casi in stato interessante. Le altre caratteristiche, quali il volto o altri elementi del corpo, non vengono quasi mai
rappresentate o lo sono in maniera superficiale e schematica, ciò ad indicare
non un limite tecnico (o di capacità) nella loro realizzazione, bensì una
precisa scelta stilistica volta ad evidenziare soltanto alcune particolarità. A
dimostrazione di ciò, quando l’artista, perché di artisti si tratta, intende raffigurare altre parti, lo fa dimostrando altissime capacità manuali: un tipico
esempio è dato dalla Venere (o Signora) di Brassempouy (Francia) (tav. IV,
fig. b). Datata presumibilmente a circa 25 mila anni, è frammentaria e conserva solo la testa, il cui volto è rappresentato con fattezze estremamente
realistiche e di eccezionale fattura. È assente solo la bocca, mentre in testa
ha una particolare acconciatura o una retina per bloccare i capelli.
Anche altre Veneri presentano ornamenti (o acconciature) sulla testa,
come ad esempio la Venere di Willendorf (Austria) (tav. IV, fig. c), datata
intorno ai 20 mila anni e che presenta un probabile copricapo (simile alle
18
19
Wang et al 2013.
BOlzOni 1985.
Abbigliamento e parures femminili nella Preistoria più antica
35
cuffie di conchiglie delle sepolture) o una particolare acconciatura. Altre
acconciature o copricapo si hanno, in Italia, su una delle statuine di Grotta
delle Veneri (LE) e sul frammento di testa dai Balzi Rossi in Liguria. La
Venere più grande di Grotta delle Veneri presenta tre solchi sul volto, forse
riferibili ad un velo che copriva gli occhi, appena accennati da due piccole
depressioni circolari poste alle estremità del solco immediatamente sotto
alla fronte20.
Elementi di vestiario sono raffigurati nella Venere di Lespugue (Haute
Garonne – Francia) (tav. IV, fig. d): scoperta nel 1922, è realizzata in avorio
e indossa uno stretto e allungato gonnellino.
Da Kostenki (Russia) provengono numerose statuine su molte delle
quali sono raffigurate acconciature/copricapo, oltre ad elementi sul corpo
che potrebbero essere bordature di vestiti, corpetti o ornamenti in conchiglie.
In Italia è particolare la Venere di Tolentino (tav. IV, fig. a), rinvenuta
nel 1884 ma da alcuni ritenuta dubbia: si tratta di una figura in parte femminile (il corpo) e in parte animale (la testa, forse di lupo o di erbivoro, e
le gambe pelose, da qui il soprannome di “Donna Lupo” o “Dea Lupo”)
incisa su un ciottolo di circa 12 cm (utilizzato anche come percussore). Purtroppo di difficile attribuzione, dai sedimenti che la contenevano si ipotizza
possa datarsi tra il Tardiglaciale e l’Olocene antico (quindi tra il 12000 e
il 6000 BP), anche se appare più probabile una sua cronologia alla fine del
Paleolitico superiore (12-10 mila). Particolare la presenza di una probabile
cintura.21
La testa, indubbiamente animale, potrebbe effettivamente rappresentare un lupo o un erbivoro, mentre dei dubbi si possono avere sulla peluria
degli arti inferiori: potrebbe anche trattarsi, vista la presenza della cintura,
di pantaloni in pelliccia (che lasciano visibile il sesso) o di “segni” (piccole
ferite?) causati da particolari riti.
Il Mesolitico
Nel Mesolitico (10-7000 anni) i siti italiani con sepolture sono scarsi
e, di conseguenza, diminuisce la probabilità di poter rinvenire parures o
oggetti riconducibili a elementi d’abbigliamento.
L’unica sepoltura di notevole rilevanza, con ancora evidenti alcuni
caratteri di ricchezza che evocano i fasti delle sepolture paleolitiche, è di
sesso maschile ed è quella di Mondeval de Sora (Selva di Cadore): situata
20
21
Basile et al 2020.
massi et al 1997.
36
maRCO seRRadimigni, maRta COlOmBO
ad alta quota (2150 m), è datata intorno al 7500 BP (Castelnoviano); l’inumato, un cacciatore, è stato sepolto con una collana di 7 canini atrofici,
assenti le conchiglie22.
Purtroppo nessuna indicazione si ha fino ad oggi, almeno in Italia,
sulle sepolture femminili.
Il Neolitico
Con l’arrivo dei primi agricoltori/allevatori e la relativa “neolitizzazione” delle locali popolazioni mesolitiche, si assiste a numerosi cambiamenti nel comportamento delle società umane, cambiamenti che riguardano anche le sepolture, l’uso delle grotte e le rappresentazioni antropomorfe
che, in qualche modo, riguardano l’argomento di questo contributo.
Le sepolture perdono del tutto quella ricchezza di corredi e parures tipica del Paleolitico: gli oggetti che ritroviamo all’interno di esse rappresentano più le attività/ruolo che probabilmente aveva avuto in vita l’inumato e
non più l’abbigliamento e tutti quegli oggetti di ornamento che erano peculiari del rito di seppellimento e dello status sociale dell’individuo sepolto.
Molte sepolture sono senza corredo, soprattutto nel Centro-Sud Italia,
mentre al Nord sono caratteristiche le inumazioni delle genti della Cultura
dei Vasi a Bocca Quadrata, con corredi formati da vasi tipici di questa fase,
asce/accette in pietra verde e, in alcuni casi particolari, vasi (ollette tipo San
Martino) caratteristici della Cultura meridionale di Serra d’Alto: in molti
di questi casi si tratta di donne nate e cresciute al Sud e emigrate al Nord,
probabilmente inserite in scambi matrimoniali/alleanze23. Particolare è la
statuetta femminile rinvenuta in una sepoltura VBQ di Vicofertile (PR)24,25:
si tratta di una figura femminile su trono o su sgabello, con capigliatura che
scende ai lati del viso tramite lunghe bande (richiamo al mondo neolitico
egeo) e con un probabile abito forse impreziosito da una parure di ornamenti. Secondo alcune interpretazioni, queste figure femminili potrebbero
rappresentare non delle donne terrene bensì delle divinità.
Solo a titolo di esempio e per casi particolari citeremo in questa sede
molto brevemente alcuni reperti utili ad illustrare seppure superficialmente
la complessità e la varietà della figura femminile e dei suoi ornamenti e/o
indumenti.
22
alCiati et al 1992.
BeRnaBò BRea et al 2011-2013.
24
BeRnaBò BRea-CultRaRO 2012.
25
Cannavò et al 2011-2013.
23
Abbigliamento e parures femminili nella Preistoria più antica
37
Al primo Neolitico, o al Mesolitico finale, appartiene la cosiddetta
Venere del Gaban (tav. IV, fig. e), una statuetta in osso rappresentante una
donna26: scoperta nel 1971 nel Riparo Gaban (TN), presenta per alcuni
aspetti caratteristiche arcaiche quali la presenza di ocra, i caratteri sessuali
volutamente marcati e la decorazione a reticolo. Elementi di ornamento
e di vestiario sono qui rappresentati da un probabile collare con un pendaglio semilunare e da una cintura riprodotta tramite dei trattini paralleli.
Dallo stesso sito proviene una rappresentazione antropomorfa su ciottolo,
che potrebbe avere caratteri misti maschili, femminili (triangolo pubico) o
di una specie di divinità zoomorfa, in questo caso un pesce (a causa delle
labbra rigonfie).
Particolari, inoltre, sono le statuine femminili tipiche della Cultura di
Vinča (Penisola Balcanica, Serbia, VI-III millennio a. C.) (tav. IV, fig. f),
caratterizzate dalla presenza di ricche vesti e di fattezze realistiche e non
stilizzate. Alcuni particolari, non con certezza attribuibili a delle vesti, potrebbero secondo alcuni essere riferiti a dei tatuaggi.
Infine, non di minore importanza sono le successive cosiddette Fat
Ladies (tav. IV, fig. g) suddivise in Sleeping Ladies (ad esempio quella
dell’ipogeo di Hal Saflieni) e Sitting Ladies, dell’Isola di Malta27: si tratta
di statue e statuette (vanno da dimensioni centimetriche a più di 2 metri)
raffiguranti donne obese, in piedi (le Fat), sdraiate (le Sleeping) o sedute (le
Sitting), probabilmente rappresentazioni di divinità o di donne che partecipano a particolari culti/riti (della fertilità?). Hanno ampie gonne a pieghe
verticali e scolli a “V” inerenti a probabili vesti.
Conclusioni
Per le fasi più antiche, ci si può interrogare se esista un legame tra la
composizione e la disposizione della parures e l’età di morte, il sesso, la
posizione del defunto, oppure se questo rispecchi una differente appartenenza etnica degli inumati e, quindi, dei gruppi cui essi appartenevano. La
limitatezza del campione non permette ipotesi certe ma si può comunque
sottolineare che canini di cervo, Cyclope e Cypraeae non sono esclusivi né
di un particolare tipo di sepoltura, né di alcuna categoria di età o di sesso.
Nel Paleolitico superiore le conchiglie (anche fossili) sono la materia
prima più abbondante nei siti costieri o subcostieri, con scelte spesso legate
all’approvvigionamento locale; si trovano però conchiglie marine anche nei
siti interni, a testimonianza di scambi e percorsi su lunghe distanze.
26
27
PedROtti 2009.
BOnannO 2002.
38
maRCO seRRadimigni, maRta COlOmBO
Probabile inoltre che la scelta delle conchiglie sia voluta, non casuale,
per cui si ricercavano determinate specie piuttosto che altre, magari perché
legate a particolari riti/culti o ad un determinato clan piuttosto che a un
altro.
Inoltre, è possibile ipotizzare che alcuni degli inumati (ad esempio
quelli delle Arene Candide, Sungir, Balzi Rossi) rivestissero un’importanza
particolare all’interno del gruppo, oppure che esistesse una specifica forma
di rituale che prevedeva il seppellimento con gli abiti più ricchi.
Nel caso peculiare dei canini atrofici di cervo va tenuto conto del valore simbolico che questi denti hanno avuto fino in epoche recenti (nell’800
erano il premio a chi abbatteva il cervo per farne gemelli o spille da cravatta) e del significato sacro del cervo nelle mitologie classiche e nelle leggende medievali. Tale valore simbolico è evidente anche nelle imitazioni in
osso e pietra di questi elementi anatomici, imitazioni note già a partire dal
Paleolitico superiore (Grotta Paglicci, Grotta Continenza).
Per il Mesolitico si hanno purtroppo pochi dati, ma sembra che almeno in parte vengano mantenute le tradizioni ereditate dai cacciatori-raccoglitori paleolitici; inoltre alcuni elementi, come ad esempio le statuine del
Riparo Gaban, possono generare dei dubbi sulla loro effettiva appartenenza
al Neolitico, in quanto posseggono dei caratteri che più le accomuna (soprattutto la statuina femminile) con i periodi precedenti.
Nel Neolitico antico si assiste ad una sorta di livellamento sociale, con
individui sepolti senza tratti distintivi, anche in totale assenza di corredi e
parures, spesso nell’ambito di piccoli abitati.
Nel Neolitico medio si verifica un ulteriore cambiamento che ci fa
di nuovo supporre l’esistenza di personaggi particolari, di rango elevato o
con ruoli particolari all’interno della comunità: Radmilli aveva ipotizzato
che al Sasso di Furbara fosse sepolto uno sciamano28. Un altro esempio
sono le donne di rango appartenenti alla Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata
(per esempio la sepoltura di Vicofertile con la statuina femminile) e quelle
sepolte, in ambiti VBQ, con le ollette San Martino tipiche della Cultura di
Serra d’Alto, a testimoniare rapporti sociali ormai complessi e su lunghe
distanze.
Concludiamo con una domanda e un tentativo di risposta: la parure
nelle varie epoche è solo una testimonianza di vestiario oppure riveste un
significato sociale e simbolico? Sembrerebbe più probabile quest’ultima
ipotesi, basata sulla diversificazione delle sepolture, su alcuni evidenti segnali di rango o di appartenenza a gruppi, caratteristiche che non sappiamo
come fossero evidenziate in vita, ma che appare evidente come lo erano
28
gRifOni CRemOnesi-Radmilli 2000-2001.
Abbigliamento e parures femminili nella Preistoria più antica
39
dopo la morte. Eclatante il caso di Sungir, con i giovani inumati che probabilmente avevano “ereditato” il loro status sociale elevato dal clan di appartenenza e non per meriti effettivi derivanti dal loro comportamento in vita.
Keywords: ornamenti, parures, Preistoria, Paleolitico.
40
maRCO seRRadimigni, maRta COlOmBO
BiBliOgRafia
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maRta COlOmBO*, neva ChiaRenza*
LA DONNA NELL’ETÀ DEI METALLI:
LE STATUE STELE FEMMINILI IN LUNIGIANA
Riassunto
Le statue stele della Lunigiana costituiscono un fenomeno geograficamente circoscritto e stilisticamente definito. Nel corso degli anni all’argomento sono stati dedicati numerosi studi, che hanno preso in considerazione la distribuzione, lo stato di conservazione e le caratteristiche di questi
manufatti. In questo contesto, l’elemento femminile risulta ben rappresentato ed è riconoscibile
per la raffigurazione anatomica dei seni, alla quale si associa in alcuni casi l’illustrazione di elementi di ornamento, riconoscibili come goliere e collane; meno esclusiva sembra l’assegnazione
dei cerchielli, verosimilmente ornamenti di copricapo o orecchini, finora attestati soprattutto su
soggetti di genere indefinito o non determinabile. L’esempio induce a molta cautela nell’interpretazione di genere in assenza di chiari riferimenti anatomici nella rappresentazione.
Abstract
The stele statues of Lunigiana are a geographically circumscribed and stylistically defined
phenomenon. Over the years, numerous studies have been dedicated to the subject, which
have taken into consideration the distribution, state of conservation and characteristics of
these artefacts. In this context, the female element is well represented and is recognizable
by the anatomical representation of the breasts, which is associated in some cases with the
illustration of ornamental elements, recognizable as goliers and necklaces; less exclusive
seems to be the assignment of the rings, probably ornaments of headdresses or earrings, so
far attested mainly on subjects of an indefinite or undeterminable gender. The example leads
to great caution in the interpretation of gender in the absence of clear anatomical references
in the representation.
Inquadramento generale
Il tema delle statue stele lunigianesi è amplissimo ed è stato affrontato
nel corso degli ultimi 50 anni in numerosissimi articoli specifici e in alcune
monografie ad esse espressamente dedicate1.
*
Funzionario Archeologo Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio, Lucca.
amBROsi 1972; amBROsi 1992; anati 1981; Ratti 1994; Statuaria antropomorfa
1994; de maRinis 1995; PaRiBeni et al 2012.
1
44
maRta COlOmBO, neva ChiaRenza
In questa sede non si intende affrontare l’argomento nella sua completezza, bensì cercare di focalizzare l’attenzione su un aspetto peculiare, sotto
un punto di vista differente, relativo ad un tema specifico quale la presenza
e distribuzione sul territorio delle statue stele femminili e delle loro caratteristiche ricorrenti e distintive.
Come ben noto questi manufatti rappresentano un’astrazione della figura umana, scolpita nella pietra arenaria (“macigno”) da popolazioni vissute tra il IV e l’inizio del II millennio a.C., ossia tra l’Età del Rame e le
prime fasi dell’Età del Bronzo e, limitatamente al tipo C, nel I millennio
a.C., durante la prima Età del Ferro.
A causa della mancanza di dati di cronologia assoluta e della scarsità
di contesti archeologici di rinvenimento indagati con metodo scientifico,
allo stato attuale delle ricerche la precisa datazione di queste opere rimane
molto problematica e possiamo fare soltanto supposizioni su base relativa.
Gli scarsi reperti rinvenuti in associazione con le stele emerse dallo scavo di Minucciano2 e da quello di Pontevecchio (indagini ancora in corso)3
portano a supporre che le stele di Tipo A e B siano state prodotte a partire
dall’Età del Rame e siano rimaste “in funzione” (ma non sappiamo quale) probabilmente fino al Bronzo medio; esse sono diffuse esclusivamente
nell’area del bacino idrografico del Magra ed in base ai ritrovamenti si può
ipotizzare che insistessero prevalentemente sulla sua sponda sinistra.
Ad oggi sono state catalogate 85 statue stele, intere e frammentarie,
divise su base tipologica/stilistica in 3 gruppi omogenei; considerando,
però, solo i reperti giunti fino a noi4 e che con certezza si posso attribuire a
manufatti originali e non riprodotti in epoca moderna, il loro numero scende a 76 (77 se si considera la stele Campoli sia come stele A che come stele
C) (tab. 1).
2
amBROsi, mannOni 1974; maggi 1994.
COlOmBO, ghiRetti 2018.
4
Poco dopo la presentazione dell’articolo agli Editori è stato scoperto un nuovo
frammento di statua stele, denominato “Pontremoli Monte Galletto”; le statue stele conosciute
salgono quindi a 85. Si tratta di una testa di stele di tipo B, verosimilmente femminile vista
la rappresentazione degli orecchi tramite una coppella e degli orecchini con una coppella
bordata da un cerchiello a rilievo. Alla base del collo si conserva la rappresentazione di una
collana ad anello singolo, che sfuma lateralmente. Vista la fase già definitiva del contributo,
non è stato possibile naturalmente aggiornare tutto il testo dell’articolo e le tabelle con questo
nuovo ritrovamento. Pur presentando due ornamenti sicuri (orecchini e collana), comunque,
questo nuovo importantissimo reperto non cambia nella sostanza le considerazioni generali.
3
45
ascia
alTre armi
seni
orecchini
A PONTEVECCHIO III
7 Femminile
-
-
-
X
-
-
A PONTEVECCHIO VII
11 Femminile
-
-
-
X
-
X
Tipo, denominazione e numero del corpus
sesso
collana
pugnale
La donna nell’età dei metalli: le statue stele femminili in Lunigiana
A PONTEVECCHIO IX
13 Femminile
-
-
-
X
-
-
A MONCIGOLI I
17 Femminile
-
-
-
X
-
-
A MONCIGOLI II
18 Femminile
-
-
-
X
-
-
A PONTEVECCHIO VI
10 Maschile
X
-
-
-
-
-
A PONTEVECCHIO VIII
12 Maschile
X
-
-
-
X
-
A CASOLA
38 Maschile
X
-
-
-
-
-
A SORANO VII (QUARTARECCIA)
73 Maschile
X
-
-
-
-
-
A PONTEVECCHIO I
5 Asessuata
-
-
-
-
X
-
A PONTEVECCHIO II
6 Asessuata
-
-
-
-
?
-
A PONTEVECCHIO IV
8 Asessuata
-
-
-
-
X
-
A PONTEVECCHIO V
9 Asessuata
-
-
-
-
X
-
A CAMPOLI
4 ND (Asessuata?)
-
-
-
-
-
-
B FILETTO III
21 Femminile
-
-
-
X
?
X
B SORANO I
22 Femminile
-
-
-
X
?
X
B TRESCHIETTO
43 Femminile
-
-
-
X
?
X
B FILETTO X
47 Femminile
-
-
-
X
?
X
B BETOLLETO
65 Femminile
-
-
-
X
?
X
B TALAVORNO I
80 Femminile
-
-
-
X
?
?
B MALGRATE III
34 Femminile
-
-
-
X
?
?
B FALCINELLO
50 Femminile
-
-
-
X
?
?
B GROPPOLI II
70 Femminile
-
-
-
X
?
?
B GROPPOLI VII
77 Femminile
-
-
-
X
?
?
B GROPPOLI V
75 Femminile
-
-
-
X X (?)
-
B MALGRATE I
16 Femminile
-
-
-
X
-
-
B MALGRATE VI
58 Femminile
-
-
-
X
-
-
B GROPPOLI I
69 Femminile
-
-
-
X
-
-
B GROPPOLI VI
76 Femminile
-
-
-
X
-
-
B MINUCCIANO II
40 Maschile
X
-
-
-
-
-
B SORANO III
41 Maschile
X
-
-
-
?
?
B FILETTO IV
24 Maschile
X
-
-
-
?
?
B CANOSSA
44 Maschile
X
-
-
-
?
?
B TAPONECCO
49 Maschile
X
-
-
-
-
-
46
maRta COlOmBO, neva ChiaRenza
B VENELIA II
59 Maschile
X
-
-
-
?
?
B GROPPOLI VIII
78 Maschile
X
-
-
-
?
?
B MALGRATE V
36 Maschile
X
-
-
-
-
-
B MINUCCIANO I
37 Maschile
X
X
-
-
?
?
B MINUCCIANO III
42 Maschile
X
X
-
-
-
?
B CODIPONTE
55 Maschile
X
X
-
-
?
B GROPPOLI III
71 Maschile
X
X
-
-
-
-
B GIGLIANA
46 Maschile
X
X
-
-
?
?
B MALGRATE II
20 Maschile
?
X
-
-
-
-
B SCORCETOLI
29 Maschile
?
X
-
-
?
-
B PONTICELLO
83 Maschile
?
X
-
-
?
?
B MALGRATE IV
35 ND (Femminile?)
?
?
?
?
-
X
B VENELIA III
62 ND (Femminile?)
?
?
?
?
X
X
B SORANO II
23 ND (Femminile?)
?
?
?
?
X
X
B SAN CRISTOFORO DI GORDANA
31 ND (Femminile?)
-
-
-
?
?
?
B FILETTO XI
57 ND
?
?
?
?
X
-
B VENELIA V
82 ND
?
?
?
?
X
-
B CAPRIO
64 ND
?
?
?
?
X
-
B FILETTO V
25 ND
?
?
?
?
X
-
B FILETTO VIII
32 ND
?
?
?
?
X
?
B SARZANA (o BOCEDA)
19 ND
?
?
?
?
X
?
B VENELIA I
30 ND
?
?
?
?
X
-
B VERRUCOLA
28 ND
?
?
?
?
-
-
B CASTAGNETA
45 ND
?
?
?
?
-
-
B MOCRONE
52 ND
?
?
?
?
-
-
B ARCOLA
53 ND
?
?
?
?
-
-
B AULLA (o CALAMAZZA)
63 ND
?
?
?
?
-
-
B BORSEDA
79 ND
?
?
?
?
-
-
B GROPPOLI IV
72 ND
?
?
?
?
-
?
B SORANO IV
66 ND
?
?
?
?
?
?
B LEVANTO
84 ND
?
?
?
?
?
?
C FILETTO I
14 Maschile
-
-
X
-
-
-
C FILETTO II (o BOCCONI)
15 Maschile
-
-
X
-
-
-
C REUSA
39 Maschile
-
-
X
-
-
-
C BIGLIOLO
48 Maschile
-
-
X
-
-
-
C SOLIERA
54 Maschile
-
-
X
-
-
-
C MONTECURTO
56 Maschile
-
-
X
-
?
?
C ROMEO (o FOSDINOVO)
60 Maschile
-
-
X
-
-
-
C SORANO V
67 Maschile
-
-
X
-
-
-
47
La donna nell’età dei metalli: le statue stele femminili in Lunigiana
C LERICI
C CAMPOLI
C ZIGNAGO
61 Maschile
-
-
X
-
-
-
4 Maschile
-
-
X
-
-
-
1 ND (Maschile?)
-
-
-
?
-
C FILETTO IX
33 ND (Maschile?)
?
?
?
?
-
-
C BAIA BLU
74 ND (Maschile?)
?
?
?
?
-
?
LA SPEZIA I
LA SPEZIA II
2 Dispersa e con caratteri anomali
3 Dispersa e con caratteri anomali
FILETTO VI
26 Dispersa
FILETTO VII
27 Dispersa
CANOSSA II
51 Dubbia, forse in costruzione
SORANO VI
68 Dispersa
VENELIA IV
81 Dispersa
Tab. 1 - Elenco delle statue stele lunigianesi ordinate per tipologia e sesso. Il segno “-”
indica l’assenza dell’elemento decorativo; il segno “?” indica che la porzione di stele in
cui normalmente è rappresentato l’oggetto non è conservata. Ad esse va aggiunta la testa di
statua stele di tipo B scoperta di recente a Monte Galletto in periferia di Pontremoli.
Il Gruppo A (o tipo Pontevecchio) ha la testa a contorno semicircolare non distinta dal corpo se non per la presenza di una leggera rientranza
che indica le spalle, il viso a forma di “U” con occhi rappresentati da due
forellini o rilievi a pastiglia, una sottile fascia orizzontale in rilievo che
rappresenta la zona clavicolare, le braccia ed infine le dita delle mani, rese
quest’ultime con una serie di tratti paralleli. Si riconoscono figure femminili (identificabili grazie alla raffigurazione del seno), maschili (caratterizzate
dalla presenza di un pugnale posto al di sotto delle mani) e asessuate (a
causa dell’assenza di qualsiasi attributo caratteristico) (tab. 1; tab. 2).
Il Gruppo B (o tipo Minucciano) presenta la testa a cappello di carabiniere, ossia ad arco semicircolare con espansioni laterali, collegata al corpo
mediante un collo tronco-conico. Ha inoltre il volto ad “U” o delimitato
da un nastro a rilievo circolare, la fascia clavicolare, le braccia e le dita
delle mani espresse in modo più naturalistico rispetto al gruppo precedente.
Si riconoscono solo figure femminili (che presentano i seni e talvolta un
monile) e maschili (che portano un pugnale al quale può essere associata
un’ascia) (tab. 1; tab. 2).
Il Gruppo C (o tipo Reusa) mostra una rappresentazione più realistica
della figura umana e una lavorazione quasi a tutto tondo: la testa, rotondeggiante, è distinta dal corpo mediante un collo piuttosto largo, mentre
il volto è arricchito da particolari anatomici precisi. In un caso (Filetto II)
sono rappresentati anche le gambe e i piedi. Vengono raffigurati soltanto
personaggi maschili con armi: ascia a tallone con lama quadrangolare e
lungo manico, due giavellotti, lancia, pugnale o spada “ad antenne” sul
48
maRta COlOmBO, neva ChiaRenza
fianco sorretti dalla cintura. Almeno una statua stele (Campoli) è con ogni
probabilità una rilavorazione di un esemplare precedente (di tipo A) e in 3
casi (Zignago, Filetto II, Bigliolo) sono leggibili delle iscrizioni in alfabeto
etrusco (tab. 1; tab. 2).
Poiché in quest’ultimo gruppo di stele muta decisamente l’accezione
assunta dalla statua, in questa sede verranno analizzati esclusivamente gli
esemplari dei gruppi A e B cioè quelli che, pur in assenza di datazioni assolute e di associazioni certe con materiali archeologici ben databili, sono
stati prodotti a partire dall’Età del Rame. Le stele del gruppo C, invece,
sulla base della tipologia delle armi rappresentate, sono più tarde e cronologicamente riferibili all’Età del Ferro.
Tipo a
n
%
Tipo B
n
%
Tipo c
ToTale
n
%
Femminili
5
35,7
15
30,0
-
-
20
31,2
Maschili
4
28,6
16
32,0
10
76,9
30
31,2
Asessuate
4
28,6
-
-
-
-
4
6,4
Non determinabili
1
7,1
19
38,0
3
23,1
23
31,2
Totale
14 100,0
50 100,0
13 100,0
77 100,0
Tab. 2 - Suddivisione per sesso delle statue stele lunigianesi.
Come più volte sottolineato da vari Autori, le statue stele lunigianesi
si differenziano dalle coeve rappresentazioni antropomorfe perché non presentano decorazioni simboliche astratte, ma ritraggono solo oggetti reali,
anche se questi sono stati sicuramente idealizzati e caricati di significati che
vanno oltre il loro “semplice” uso.
Mentre le stele femminili, che verranno analizzate in dettaglio in seguito, sono riconoscibili grazie alla rappresentazione dei seni, quelle maschili si distinguono per la costante presenza del cosiddetto “pugnale tipo
Remedello”, caratterizzato da una lama triangolare con un corto manico
terminante in pomo semicircolare (tab. 1); il pugnale è raffigurato in posizione orizzontale o leggermente inclinata con la punta rivolta verso l’alto;
il pomolo è sempre alla destra della stele (sinistra per chi guarda) e l’arma
è sempre posizionata al di sotto delle mani.
Nelle stele del Gruppo A, in 4 casi il pugnale è raffigurato di profilo e
non ha mai la rappresentazione della costolatura centrale.
In quelle del Gruppo B il pugnale è presente in 12 casi: in 4 la riproduzione è del tutto simile a quella del gruppo precedente, in 6 è presente
anche la costolatura centrale della lama, mentre nei restanti 2 il pugnale è
La donna nell’età dei metalli: le statue stele femminili in Lunigiana
49
raffigurato dentro il suo fodero.
Sulla base della tipologia dei pugnali attribuibili alla Cultura di Remedello, tutti quelli rappresentati sulle statue stele lunigianesi sono ascrivibili al Tipo A, caratterizzato da una lama triangolare corta, cioè con una
lunghezza che è all’incirca il doppio della larghezza della base5.
L’oggetto ha caratteri così riconoscibili e identificativi, che più volte
e da più parti nel corso del tempo è stato sottolineato come la forma stessa
delle stele di tipo B suggerisca fortemente la forma caratteristica del pugnale remedelliano infisso nel terreno6.
Solo nelle stele di Tipo B spesso la raffigurazione del pugnale è associata a quella dell’ascia, anch’essa della stessa tipologia rinvenuta nella
necropoli di Remedello7 (tab. 1). Questa è sempre rappresentata con manico verticale o leggermente inclinato verso destra, con la lama impostata
perpendicolarmente e rivolta verso sinistra. L’unica eccezione, il cui caso è
ancora da approfondire e confermare, è costituita dal frammento di stele ad
oggi inedito rinvenuto murato come stipite di una porta nel borgo di Ponticello (Filattiera - MS).
In ben 5 stele la rappresentazione dell’ascia è associata a quella del
pugnale; nei restanti 3 (Malgrate II, Scorcetoli, Ponticello) la zona in cui
quest’ultimo è ritratto non è purtroppo conservata e questo non ci consente
di capire se questa associazione doveva quindi rappresentare una costante o
se l’ascia potesse anche essere solitaria.
Le statue stele femminili
Le statue stele femminili della Lunigiana sono in generale molto povere di decorazioni e la loro unica caratteristica evidente è data dalla resa
plastica del seno.
Allo stato attuale sono soltanto 20 gli esemplari che rappresentano con
sicurezza una figura femminile: 5 sono ascrivibili al Tipo A e 15 al Tipo B
(tab. 1; tab. 2; tav. V). A queste ultime potrebbero però aggiungersi almeno
4 reperti frammentari che, seppur con caratteristiche diverse, rappresentano
con ogni probabilità proprio delle figure femminili; il primo caso è quello
della stele detta «San Cristoforo di Gordana” (Numero 31 del corpus) nella
quale non sono presenti armi e la statua è conservata solo nella parte del
corpo, al di sotto dell’altezza dei seni. Essendo una stele con ogni probade maRinis 2013, pp. 321-327.
leOnaRdi 2012, p. 34.
7
de maRinis 2013, pp. 328-332.
5
6
50
maRta COlOmBO, neva ChiaRenza
bilità di Tipo B, allo stato attuale dei ritrovamenti sembra improbabile che
si tratti di una stele asessuata ed è quindi ipotizzabile con un buon grado di
sicurezza che nella parte non conservata fossero rappresentati i seni e che la
stele fosse quindi femminile.
Nei restanti 3 casi, invece, è riprodotta una collana, elemento che,
come sarà analizzato in dettaglio in seguito, al momento sembra l’unico accessorio esclusivamente femminile: si tratta delle stele denominate Sorano
II (numero 23), Malgrate IV (numero 35) e Venelia III (numero 62) (tab. 1).
Analizzando il complesso generale delle stele femminili sia di Tipo A
che di Tipo B, emerge chiaramente come queste non si differenzino sostanzialmente per dimensioni rispetto alle corrispettive statue stele maschili.
Inoltre, sulla base dei ritrovamenti effettuati fino ad oggi, sembra che
le figure femminili e maschili siano state rappresentate in quantità pressoché equivalente, senza una netta predominanza di una sull’altra (tab. 2). Per
di più nei due soli insiemi omogenei fino ad oggi conosciuti, quello di Pontevecchio e quello di Groppoli, le figure femminili sono sempre in numero
maggiore rispetto a quelle maschili: a Pontevecchio 3 femminili, 2 maschili
e 4 asessuate; a Groppoli 5 femminili, 2 maschili e 1 non determinabile.
Gli ornamenti nelle statue stele femminili
L’argomento degli ornamenti raffigurati sulle stele lunigianesi, soprattutto femminili, è già stato trattato negli anni passati8. Come già accennato,
a differenza di quanto avviene per i soggetti maschili, gli oggetti rappresentati non sono elementi determinanti per la definizione di genere, identificato
invece dal tratto somatico dei seni (tab. 1; tab. 2; tav. V).
Analizzando solo le 20 statue stele sicuramente femminili identificate
fino ad oggi, le stele di tipo A e quelle di tipo B sono nettamente differenziati.
Se in quelle tipo Pontevecchio solo su 1 esemplare su 5 è presente la
rappresentazione di un ornamento, con ogni probabilità una collana (Pontevecchio VII: tav. V n. 2, tav. VI n. 1-2), in quelle tipo Minucciano invece la
variabilità è senza dubbio maggiore.
In 5 casi, infatti, è sicuramente presente una decorazione nella zona
del collo, molto probabilmente a rappresentare l’effigie di una collana: Filetto III (tav. V n. 15, tav. VI n. 15-16), Sorano I (tav. V n. 14, tav. VI n.
11-12), Treschietto (tav. V n. 17, tav. VI n. 3-4), Filetto X (tav. V n. 18, tav.
VI n. 13-14), Betolleto (tav. V n. 13, tav. VI n. 5-6).
In altri 5 casi, invece, questo elemento è sicuramente assente: Groppoli
8
ROzzi mazza 1994, pp. 70-72.
La donna nell’età dei metalli: le statue stele femminili in Lunigiana
51
I (fig. 1 n. 6), Groppoli V (tav. V n. 8), Groppoli VI (tav. V n. 9), Malgrate
I (fig. 1 n. 20), Malgrate VI (tav. V n. 19).
I restanti 5 reperti sono frammentari o abrasi e non consentono di fare
ipotesi: Talavorno I (tav. V n. 16), Malgrate III (tav. V n. 12), Falcinello (fig.
1 n. 11), Groppoli II (tav. V n. 7), Groppoli VII (tav. V n. 10).
Le collane
Come appena accennato, per quanto estremamente semplici, nelle
stele sicuramente femminili e in quelle frammentarie sono rappresentate
diverse tipologie di collane, che variano essenzialmente per il numero di
linee parallele incise sul collo della statua.
La rappresentazione dell’ornamento si limita sempre e solo alla parte
anteriore della stele, sottolineando ancora una volta come le statue fossero
concepite per la sola visione frontale.
La tipologia più rappresentata è quella della cosiddetta “goliera”
(tab. 3), attestata con sicurezza su 2 stele chiaramente femminili di Tipo
B (Treschietto e Betolleto) e su 2 frammenti di testa riconducibili con ogni
probabilità a stele femminili di Tipo B proprio per la rappresentazione di
questo elemento (Venelia III e Sorano II). Si può inoltre aggiungere il caso
della stele di Sorano I, purtroppo rotta in maniera tale da non consentire la
completa lettura dell’ornamento, che risulta tuttavia riconducibile ad una
goliera; è comunque altamente probabile che la testa Sorano II appartenga
al corpo denominato Sorano I.
Seppur molto più rozza nella realizzazione, è ipotizzabile che anche
sull’unica stele femminile di Tipo A che conserva un ornamento, la Pontevecchio VII, sia rappresentata solo attraverso sottili linee incise una sorta di goliera.
Lo stato di conservazione della superficie lapidea e dei monumenti
in generale non consentono la completa ricostruzione di questi ornamenti,
ma in linea di massima si può asserire che la goliera era formata da anelli
paralleli in numero variabile da un minimo di 5 (Treschietto) ad almeno 7
(Venelia III e Sorano II) (tab. 3).
Le goliere riferibili a questo modello, composto di una serie di collari metallici, solitamente in bronzo, ottenuti tramite la lavorazione di verghette poi
unite alle estremità, si datano tra la fase arcaica dell’Antica Età del Bronzo e il
Bronzo Medio e sono diffuse soprattutto nel Nord Italia (laghi del Varesotto e
del Garda) e nell’area dell’Europa centro-orientale (area tedesca, balcano-danubiana)9. È necessario sottolineare che in tutto l’areale di attestazione delle
statue stele lunigianesi non è mai stata rinvenuta alcuna goliera in metallo.
9
ROzzi mazza 1994, pp. 71.
52
maRta COlOmBO, neva ChiaRenza
Tipo e denominazione
sesso
A PONTEVECCHIO VII Femminile
Tipologia
sTaTo di conservazione e
collana
Breve descrizione
Goliera (?)
B
TRESCHIETTO
Femminile
Goliera
B
BETOLLETO
Femminile
Goliera
ND
Goliera
(Femminile?)
ND
Goliera
(Femminile?)
B
VENELIA III
B
SORANO II
B
SORANO I
Femminile
Goliera (?)
B
FILETTO III
Femminile
A 2 fili
B
FILETTO X
Femminile
Filo singolo
B
MALGRATE IV
ND
Filo singolo
(Femminile?) con perla (?)
Integra: 5 “anelli”
conservati
Integra: 5 anelli paralleli
Parziale: 5 anelli
conservati
Parziale: 7 anelli
conservati
Parziale: 8 anelli
conservati
Parziale: 1 anello
conservato
Integra
Figura
Fig. 2 n. 1-2
Fig. 2 n. 3-4
Fig. 2 n. 5-6
Fig. 2 n. 7-8
Fig. 2 n. 9-10
Fig. 2 n.
11-12
Fig. 2 n.
15-16
Fig. 2 n.
13-14
Fig. 2 n.
17-18
Tab. 3 - Tipologia delle collane rappresentate sulle statue stele lunigianesi.
È interessante notare che segni costituiti da più linee curve parallele
sono presenti anche nella parte superiore delle raffigurazioni rupestri e su
stele di Valcamonica e Valtellina; tali segni sono confrontabili con i nostri
dal punto di vista grafico ma non da quello compositivo, dato che sono per
lo più associati con rappresentazioni di pendagli a doppia spirale o di cerchi
con tre fasci di raggi; sono stati recentemente accostati ad alcuni rinvenimenti avvenuti nella necropoli polacca di Krusza Zamkowa e interpretati
come diademi, eventualmente applicati su veli o copricapi di altro genere10.
La tipologia della goliera non è comunque l’unica rappresentata sulle
stele lunigianesi: in 2 casi (Filetto III e Filetto X) (tab. 3) è infatti presente una collana morbida ad uno o 2 fili che termina subito al di sopra
dei seni. Gli unici esempi archeologici riferibili a collane di questa forma
sono richiamati dai numerosi vaghi di collana in calcare (cilindrici e di
altre forme) e in steatite (anellini, ovoidi e romboidi) ben testimoniati nei
siti sepolcrali liguri e toscani11. Tuttavia, il fatto che in nessuno dei due casi
menzionati si noti alcun segno di segmentazione, tenuto conto del realismo
che caratterizza il repertorio lunigianese, induce a ipotizzare che le collane
delle due stele di Filetto non siano formate da una sequenza di grani12, ma
Casini 2008, pp. 10-12.
COCChi geniCk, gRifOni CRemOnesi 1985; ChiaRenza 2009.
12
Questo tipo di collana si trova invece chiaramente rappresentato sulla stele – maschile – di Arco I (TN).
10
11
La donna nell’età dei metalli: le statue stele femminili in Lunigiana
53
facciano riferimento ad un tipo di ornamento forse in materiale deperibile,
che ad oggi non trova corrispondenza nelle evidenze archeologiche.
Un ultimo tipo di collana raffigurata, infine, è quella del tutto particolare
della testa di stele (femminile?) denominata Malgrate IV in cui si nota, a
circa metà dell’altezza del collo, un anello a rilievo con forse un grano sul
davanti; si può interpretare come la rappresentazione di una collana rigida
con una probabile perla al centro.
I cerchielli: un ornamento sia maschile che femminile?
Un discorso a parte meritano le decorazioni a coppelle o a cerchiello
presenti ai lati del volto di 13 statue stele e interpretate nel corso del tempo
dai diversi studiosi sia come orecchie che come orecchini. Tuttavia la rara
ricorrenza di questo elemento mal si combina con una sua interpretazione
in chiave anatomica; a questo si aggiunga che nel caso di Filetto IX sono
presenti due coppie di coppelle ai lati del volto e in altri 2 esemplari (Filetto
VIII e Sarzana) l’elemento è reso con un cerchiello a rilievo, più simile a
orecchini a cerchietto, o comunque a decorazioni appese, che alla rappresentazione di un tratto somatico (tab. 4).
Come si può osservare da quanto riportato in tab. 4, allo stato attuale
dei rinvenimenti, la rappresentazione dei cerchietti/coppelle è documentata, nel gruppo A, su 3 stele sicuramente asessuate (Pontevecchio I, Pontevecchio IV, Pontevecchio V) e su una sicuramente maschile (Pontevecchio
VIII), mentre nei casi del gruppo B il genere non è determinabile con certezza.
Le coppelle/cerchietti non compaiono mai in stele che abbiano conservato la raffigurazione dei seni; unici esemplari che indiziano l’associazione
degli orecchini con l’elemento femminile sono Sorano II e Venelia V, per le
quali l’appartenenza alla sfera femminile è suggerita dalla goliera, ancora
leggibile nel tratto sottostante al viso (vd. supra).
In generale, quindi, mancano riferimenti affidabili per una attribuzione univoca o almeno prevalente: queste raffigurazioni fanno verosimilmente riferimento ad un ornamento posto ai lati del viso ed utilizzato
indifferentemente da donne e uomini. Segni analoghi, semplici o a cerchi
concentrici, compaiono anche nel repertorio di Valtellina e Valcamonica, ai
lati del cerchio a tre fasci di raggi, al di sopra dell’ornamento a U rovesciata
o in combinazione con il segno a T; ancora sulla scia del confronto polacco
(necropoli di di Krusza Zamkowa, tomba 90), sono stati interpretati come
larghi cerchi metallici appesi ad un velo o ad un copricapo di altro genere13.
13
Casini 2008, p. 12.
54
maRta COlOmBO, neva ChiaRenza
Tipo e denominazione
sesso
pugnale seni
T i p o l o g i a Figura
collana cerchielli
A
PONTEVECCHIO VIII Maschile
X
-
-
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
1-2
A
PONTEVECCHIO I
Asessuata
-
-
-
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
3-4
A
PONTEVECCHIO IV Asessuata
-
-
-
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
5-6
A
PONTEVECCHIO V
Asessuata
-
-
-
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
7-8
B
VENELIA III
ND
(Femminile?)
?
?
X
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
9-10
B
SORANO II
ND
(Femminile?)
?
?
X
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
11-12
B
FILETTO XI
ND
?
?
-
Coppelle
doppie
Fig. 3 n.
13-14
B
VENELIA V
ND
?
?
-
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
15-16
B
CAPRIO
ND
?
?
-
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
17-18
B
FILETTO V
ND
?
?
-
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
19-20
B
VENELIA I
ND
?
?
-
Coppelle
singole
Fig. 3 n.
21-22
B
FILETTO VIII
ND
?
?
?
Cerchiello
a rilievo
Fig. 3 n.
23-24
B
SARZANA (o
BOCEDA)
ND
?
?
?
Cerchiello
a rilievo
Fig. 2 n.
25-26
Tab. 4 - Tipologia dei cerchielli rappresentati sulle statue stele lunigianesi.
Il femminile nelle statue stele dell’arco alpino e del Mediterraneo
occidentale
Il fenomeno delle statue stele e delle incisioni rupestri ha vasta diffusione dalla fine del Neolitico fino alle prime fasi dell’Età del Bronzo, con
particolari elementi di confronto nell’arco Alpino e nel Mediterraneo occidentale. Tuttavia, l’unico insieme che ad oggi abbia permesso – e motivato
– uno studio dedicato sulla rappresentazione del femminile è quello alpino,
uno dei più ricchi ad oggi noti.
Nelle raffigurazioni di questo repertorio mancano precisi riferimenti
somatici, solo in alcuni casi suggeriti dalla disposizione degli oggetti e più
raramente dalla smussatura della parte superiore del supporto, a delinearne
La donna nell’età dei metalli: le statue stele femminili in Lunigiana
55
le spalle. La scelta e la lavorazione del supporto stesso variano comunque
molto secondo le aree: nel gruppo occidentale e in quello atesino prevalgono stele e statue menhir, in quello lessinico si annoverano betili e piccoli
menhir, mentre in Valcamonica e Valtellina si trova la congerie più varia,
costituita da pareti di roccia, massi erratici, statue menhir e stele. È tuttavia interessante notare come in entrambe queste vallate, per i monumenti
femminili si preferisca la forma della stele, con sagoma sub-rettangolare o
ovoidale, e dimensioni inferiori alle rappresentazioni maschili14.
L’esame della simbologia femminile ha prodotto interessanti osservazioni15, legate per lo più al ricorrere di ornamenti e/o monili fortemente
connotati, ma il cui legame con la sfera femminile viene definito solo raramente per l’associazione con riferimenti anatomici (ad es. Stele di Arco
IV) e più spesso per opposizione con quella più presumibilmente maschile, individuata e definita grazie alla presenza di armi e/o animali. Di fatto
sono considerati riferimenti alla donna elementi quali: pendagli a doppia
spirale, segni a U dritta o rovesciata (mantelli, veli o collari…), cerchielli
nella parte alta della raffigurazione (orecchini o decorazioni di copricapo)
quando non siano in associazione con pugnali, asce o zoomorfi. Ancora al
femminile sembra riferirsi il cerchio a tre fasci di raggi, forse riconducibile
ad un velo. Soprattutto risulta evidente la ridondanza di molte raffigurazioni, dovuta in alcuni casi alla reiterata incisione delle superfici, talora
con obliterazione dei segni precedenti; in numerosi esempi tuttavia il ripetersi ossessivo di un elemento, spesso il pendaglio a doppia spirale (ad
es. Ossimo 1), carica l’oggetto di un forte simbolismo, senza escludere che
la stessa abbondanza caratterizzasse eventualmente costumi rituali in uso
presso queste popolazioni durante particolari occasioni (cerimonie?)16. Nel
caso delle statue stele aostane, ad oggi non è possibile distinguerne con
certezza il sesso: alcune di esse portano sulla superficie la raffigurazione di
armi, altre solo di ornamenti come collane; la totale mancanza di più certi
riferimenti invita alla cautela.
Un marcato simbolismo connota anche le statue stele sarde dell’Età
del Rame, affidando l’evocazione dei tratti anatomici alla disposizione del
pugnale ed alla rappresentazione del toro: un’iconografia ad oggi riferita
dagli studiosi al solo mondo maschile.
Altri esempi che indichino la distinzione di genere si ritrovano in
Francia e nella Penisola Iberica. Nella regione dell’Aveyron sono state recuperate numerose statue stele, fra le quali sono ben distinguibili quelle
femminili, caratterizzate da seni, collane e capelli lunghi (a differenza delle
Casini, fOssati 2013, p. 161.
Casini 2008.
16
Casini, fOssati 2013, p. 171.
14
15
56
maRta COlOmBO, neva ChiaRenza
maschili, con ascia, arco e frecce). A titolo di esempio si cita qui una delle
più note: la Dame de Saint-Sernin-sur-Rance, scoperta nel 1888: su di essa
i tratti anatomici sono chiaramente definiti, per quanto stilizzati. Si distinguono il volto, i seni, le braccia e le mani, le gambe e i piedi. La figura è
riccamente istoriata su tutti i lati, con riferimenti alla capigliatura e/o alle
pieghe del vestiario sui fianchi e sul retro; la parte anteriore reca alcune
linee a decorazione del viso ed un elemento a collare sul petto, subito sopra
i seni, riconducibile verosimilmente ad una goliera; un oggetto a Y indica
forse un pendaglio o un elemento del vestiario, così come le due linee parallele in vita, riferibili ad una cintura. Malgrado la mancanza di rinvenimenti archeologici, gli studiosi collocano questa stele nella piena Età del
Rame (Néolithique final)17; ancora in Francia, nella regione del Gard, un
insieme di statue stele annovera soggetti maschili e femminili, questi ultimi
indicati dalla presenza di seni, mentre più ambigui sono numerosi esempi
che riportano la raffigurazione di collane, ma non hanno nessun riferimento
anatomico al corpo femminile, documentati sia su territorio francese sia
nella Penisola Iberica18.
Osservazioni
L’interpretazione di produzioni fortemente simboliche, come quelle
rupestri e di statue stele, pone l’inevitabile problema della contestualizzazione storico culturale; il simbolo è per definizione un oggetto che, in ragione di una visione tramandata e condivisa da un particolare gruppo sociale in
un preciso momento storico, supera il proprio valore materiale per rappresentarne uno diverso o più ampio, che può afferire a più sfere, alternative o
combinate: sociale, etnico/culturale, magica, divina.
L’unico riferimento a cui possiamo di volta in volta “agganciare” la
nostra lettura di queste rappresentazioni è quello dei rinvenimenti archeologici, preziosissimo per il suo apporto di confronti oggettivi, ma inevitabilmente privo delle informazioni e delle suggestioni culturali indispensabili per la piena comprensione dell’aspetto non materiale sotteso a queste
produzioni.
Alla distinzione di genere dei repertori figurativi di statue stele e affini
sono connesse implicazioni sociali e cultuali. Per quanto attiene alla rappresentazione della donna nel repertorio lunigianese, colpisce senza dubbio il
rapporto di parità numerica con le stele sicuramente maschili ed il fatto che
l’identificazione di genere sia affidata alla descrizione anatomica, anche in
17
18
guilaine 2005, pp. 643-645.
guilaine 2005, p. 645.
La donna nell’età dei metalli: le statue stele femminili in Lunigiana
57
assenza di ornamenti. Evidentemente, il gruppo culturale di appartenenza
è sufficientemente definito dalla forma peculiare di queste statue, la cui
sagoma, specialmente nel caso dell’insieme B, non trova confronto in altre
produzioni coeve. Rispetto alle analoghe rappresentazioni dell’arco alpino, si rileva nel repertorio della Lunigiana un realismo per così dire essenziale: gli oggetti sono richiamati con precisione, siano questi armi, foderi
o ornamenti, e sono generalmente raffigurati una sola volta, nel preciso
punto in cui verosimilmente erano indossati. Alla ridondanza con effetti
quasi decorativi riscontrabile sui massi e sulle stele di Trentino e Lombardia, corrisponde qui la scelta di una superficie liscia, iscritta in un profilo
ben definito e riconoscibile, in cui il significato dell’oggetto è affidato alla
singola rappresentazione e non alla sua ripetizione.
Il preciso riferimento alla forma anatomica (profilo, viso, braccia,
mani), trova riscontro in alcune produzioni del sud della Francia, dove però
la rappresentazione interessa tutta la superficie della stele, implicando che
l’osservatore girasse intorno al monumento; in Lunigiana invece la rappresentazione è sempre e solo esclusivamente frontale.
L’immagine generale che viene restituita è quella di un gruppo culturale in cui il vestiario sembra non avere particolari tratti distintivi; l’identificazione culturale avviene tramite il profilo, forse riferibile a particolari
pettinature o copricapi, e gli oggetti di uso, principalmente le armi e gli
ornamenti. Anche la distinzione di genere, come già accennato, è affidata
all’aspetto anatomico dei seni, mentre collane e altri ornamenti non sono
che attributi, forse di rango o forse solo descrittivi.
Il caso delle statue stele della Lunigiana, con le sue caratteristiche e
con l’alto numero di frammenti, reimpieghi e superfici abrase, mette bene a
fuoco l’insidia del salto logico, che in passato ha indotto ad attribuzioni di
genere sulla base di alcune raffigurazioni, ad esempio i cerchielli, anche in
assenza di associazioni inequivocabili e statisticamente affidabili.
58
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La donna nell’età dei metalli: le statue stele femminili in Lunigiana
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anna maRia tOsatti*
LA DONNA DELL’ETÀ DEL BRONZO NELL’ITALIA
CENTRO SETTENTRIONALE SPUNTI E RIFLESSIONI
Riassunto
Negli studi archeologici degli ultimi dieci anni una corrente di pensiero mette al centro
dell’attenzione il ruolo femminile nelle sue varie sfaccettature nelle culture antiche. L’Autrice, partendo da tre recenti lavori europei che forniscono gli esiti delle analisi di sepolture preistoriche di donne in Centro Europa, prende in considerazione i dati antropologici e
archeologici di necropoli terramaricole nord e sud padane tra Veneto e Emilia partendo da
quella dell’Olmo di Nogara (VR). Gli studi antropologici evidenziano che la donna dell’età
del Bronzo in val padana era una grande lavoratrice e mostra una marcata robustezza a carico delle braccia, ulteriore indizio di grande impegno fisico: negli arti superiori e nel cinto
scapolare sono state individuate alterazioni da stress biomeccanico dovuto al sollevamento
di pesi notevoli o anche a uso di attrezzi agricoli come ad esempio la zappa. Stress occupazionali sono stati anche notati a carico degli arti superiori e delle mani. I dati archeologici
evidenziano che esistevano differenze date dal ceto sociale.
Abstract
In the archaeological studies of the last ten years, a current of thought focuses on the female
role in its various facets in ancient cultures. The Author, starting from three recent European
works that provide the results of the analysis of prehistoric burials of women in Central
Europe, takes into consideration the anthropological and archaeological data of the northern
and southern Po Valley terramaric necropolis between Veneto and Emilia starting from that
of the Olmo di Nogara (VR).
Anthropological studies show that the Bronze Age woman in the Po Valley was a great
worker and shows a marked strength in the arms, a further indication of great physical
effort: alterations from biomechanical stress have been identified in the upper limbs and
*
Già Mibact, Soprintendenza Archeologia Toscana.
Il testo qui presentato segue lo schema e il contenuto colloquiale della relazione tenuta
a Massa il 25 maggio 2019. Tengo a ringraziare vivamente la dott. Olga Raffo della sezione
di Massa Carrara della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi e
la sede centrale di Modena in particolare il Presidente prof. Angelo Spaggiari, per averci
permesso la pubblicazione della giornata di studi in questo volume. Un pensiero va al prof.
Giordano Bertuzzi, attento tesoriere, purtroppo mancato prima di aver visto la luce di questo
lavoro. Desidero inoltre ringraziare vivamente la dott.ssa Mariarita Foti per tutto l’aiuto dato
nell’elaborazione delle immagini.
62
anna maRia tOsatti
shoulder girdle. due to the lifting of considerable weights or even to the use of agricultural
tools such as the hoe. Occupational stresses were also noted in the upper limbs and hands.
Archaeological data show that there were differences given by the social class.
Premessa
Negli ultimi dieci anni anche in Italia si è creata una corrente di pensiero – nella letteratura scientifica archeologica post-processuale volta allo
studio delle società antiche – che ha portato a focalizzare, o meglio, a cercare di individuare le tracce che portano al riconoscimento delle attività
e dell’eventuale ruolo avuto dalla donna nelle società pre-protostoriche1.
Molti dati provengono, e sono stati ben individuati, per la prima età del
Ferro in val padana2 e a seguito dei lavori in Romagna sul villanoviano di
Verucchioe sulle società etrusca e italiche preromane del centro e sud della
penisola3, mentre per l’età del Bronzo, specie nella sua fase matura, alcuni
studi recentemente hanno delineato un quadro più chiaro sulla condizione
demografica e sociale nei territori padani tra Veneto ed Emilia, come si
proverà a tratteggiare più sotto.
L’età del Bronzo, come è noto, è un’era di grandi conquiste tecnologiche e, se pensiamo al Mediterraneo orientale e Vicino Oriente, anche di
grandi civiltà capaci di organizzarsi gerarchicamente e di lasciare palazzi o
costruzioni come i grandi templi del medio regno egizio o i palazzi dell’isola
di Creta oltre a dotarsi di capacità di conto e scrittura. In Italia la situazione è
sicuramente diversa – se si eccettua la Sardegna con il fenomeno dei nuraghi
– si usano capanne di legno o di incannicciato, raccolte in villaggi, talora su
palizzate o cassoni di legno, trincerati e difesi dalle acque al nord, su costoni
e in quota al centro; ciò denota un aumento della stabilità abitativa da un lato
– e perciò sviluppo economico e sociale – ma anche una maggiore bellicosità.
Per avere un quadro chiaro del ruolo e delle attività della donna all’interno della società in cui vive, non potendoci avvalere delle fonti scritte, dirette o indirette, dovremo prendere in considerazione altri fattori quali i dati
archeologici, in particolare i corredi delle sepolture, e anche, ove possibile,
1
Non si vuole entrare qui nella discussione di un filone di archeologia teorica che
prende in considerazioni i principi del gender. Non occorre essere femministe per comprendere che in una società androcentrica come la nostra, anche gli studi sociali seguono tale
orientamento. Ben venga quindi una critica a tali impostazioni che hanno coinvolto tutte/i le/
gli studiose/i a vari livelli, noi per prime, con un salutare bisogno di cambio di direzione e di
consapevolezza. Purtuttavia in questo lavoro si cercherà di focalizzare il fare delle donne e
di parlare di componente femminile all’interno della società cfr. guidi 2000, 2007; diaz-andReu 2000; teRRenatO 2000; Bietti sestieRi 2012; CuOzzO-guidi 2013 a, b con bibliografia.
2
Vedi Casini infra.
3
vOn eles 2007; ROsselli infra.
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
63
i resti antropologici, in quanto lo studio delle ossa può fornire prove dirette
e affidabili.
Attraverso analisi multidisciplinari su particelle fisico-chimiche, gli
isotopi stabili dell’ossigeno e dello stronzio, il radiocarbonio, il collagene
nelle ossa, e effettuando TAC e analisi del DNA, si può chiarire il quadro
della dieta, delle paleopatologie, delle parentele, delle relative datazioni.
Sui resti scheletrici si possono eseguire studi di laboratorio che conducono a nozioni sulla mobilità, sulle attività individuali degli appartenenti ad
una determinata comunità e il livello di impegno fisico quotidiano, ossia lo
stile di vita; questo metodo costituisce uno dei modi migliori, integrato dai
dati dei corredi funerari, per la ricostruzione dei modelli comportamentali,
della stratificazione sociale e della suddivisione del lavoro4.
Senza avere pretesa di completezza o di originalità, questo lavoro
prende in considerazione studi editi su alcune necropoli, eventualmente sugli abitati, nel territorio padano del periodo terramaricolo pieno e maturo,
sperando di dare un aiuto a chiarire, se pure in modesta misura (o forse
ad aprire), alcune problematiche coinvolgenti la condizione femminile fra
XVI e XII secolo a.C.
Apro il discorso riprendendo i risultati di due studi esteri sulle donne
usciti nel corso del 2017, che sono di fondamento per lo sviluppo del discorso sotto presentato, a partire da quello della dott.ssa Alison Macintosh
che ha preso in esame sepolture di donne adulte europee, in Centro Europa,
tra Serbia e Germania, in un periodo che passa dal Neolitico (tra il 5300
e il 4600 a.C. cal.) età del Bronzo (tra 2300-1450 a.C.), età del Ferro (tra
850-100 a.C.) fino all’alto Medioevo (800-850 d.C.)5 e ne ha confrontato i
dati con analisi sulle ossa di donne contemporanee: un gruppo di atlete di
canottaggio, calcio e maratona dell’università di Cambridge e un gruppo
di donne normali, sedentarie, ma sane. I risultati chiariscono che le donne preistoriche prese in considerazione, pur mostrando di essere stanziali,
erano decisamente robuste nel tronco, con braccia uniformemente più forti
di quelle delle attuali atlete. Abbiamo un primo indizio di come le donne
preistoriche probabilmente contribuivano alla vita e alla crescita della comunità dal punto di vista economico e della forza lavorativa: non solo madri o penelopi nel villaggio, al contrario, esse svolgevano lavori pesanti e
trasportavano grandi carichi al punto da deformare braccia e spina dorsale.
Possiamo pensare, come esempio, alle generazioni a noi più vicine
dell’inizio e metà del secolo scorso, prima della rivoluzione meccanica post
secondo conflitto mondiale: in particolare alle donne delle comunità montane
CiuRletti 2016-17; CaRlsOn-maRChi 2014; sPaRaCellO et al 2011; maRChi 2008.
maCintOsh et al 2017 p. 10 tav. S2, si riportano dati e datazioni pubblicati
nell’articolo. Studio in sinergia tra Università di Cambridge, Vienna e Ontario.
4
5
64
anna maRia tOsatti
dedite all’agricoltura e a lavori di fienagione, trasporto dei foraggi per la cura
degli animali, trasporto del latte, della carne, dell’acqua, di legna, mungitura
e lavorazione casearia, orticultura, oltre la cura dei figli e, probabilmente,
carico dei più piccoli sulla schiena durante i vari lavori fuori dal villaggio.
Questi compiti lavorativi, tenendo presente la progressiva stanzialità
del sito abitativo a partire dal Neolitico, coinvolgevano a gradi variabili
l’arto inferiore, ma nel complesso non richiedevano probabilmente elevati
livelli di mobilità6.
Il secondo studio è stato effettuato dall’équipe di Corina Knipper7 – che
raccoglie vari istituti universitari – mediante analisi degli isotopi stabili di
carbonio, azoto e ossigeno e degli aplogruppi (DNA) delle popolazioni tra
Neolitico finale e Bronzo Antico stanziate intorno al Fiume Lech, in Baviera, al fine di definire con sicurezza il sesso dei defunti, le relazioni parentelari e chiarire alcune domande sulla loro società.
Da questi studi (si prendono in esame circa ottocento anni fra il 2500 e
il 1700 a. C.), si evidenzia che la società era basata sulla patrilocalità – l’uomo deteneva ricchezza e potere – mentre un’alta mobilità femminile mostra
l’alto valore culturale dell’esogamia e il ruolo cruciale di questa istituzione
e il suo impatto sulla trasformazione della composizione della popolazione.
Grazie allo studio delle sepolture e degli oggetti deposti a corredo è stato
possibile delineare un quadro di piena integrazione di queste donne “straniere” all’interno della società, alla pari con le donne locali. Secondo gli
Autori, una semplice nozione di “migrazione” non spiegherebbe la complessa mobilità umana delle società del terzo millennio a.C. in Eurasia. Al
contrario, una parte di ciò che gli archeologi considerano come migrazione
sarebbe in realtà il risultato di una mobilità individuale su larga scala, legata al sesso e all’età8. Da ciò traiamo una considerazione: che occorra tener
conto del grande valore della trasmissione culturale mediata attraverso queste immissioni di donne in una società allogena.
Il terzo studio multidisciplinare, edito nel 2015, darebbe forza alle
teorie su esposte circa la mobilità femminile durante la preistoria ed è interessante anche per le modalità di studio. Sono state effettuate analisi dei
valori nella composizione molecolare dello stronzio su varie parti del corpo
di una giovane donna dell’età del Bronzo danese, di 16-18 anni, trovata a
6
Al proposito si vedano i lavori sulle popolazioni neolitiche liguri di ponente: cfr.
maRChi 2008.
7
kniPPeR et al 2017 p. 1083. Nelle more del lavoro ho avuto modo di sentire online
la LIV R.S. IIPP tenutasi a Roma alcuni mesi dopo questo convegno massese: https://www.
iipp.it/on-line-tutta-la-liv-riunione-scientifica-iipp-a-roma. Cfr. in particolare la relazione di
Cavazzuti et al.
8
Sul tema delle migrazioni impossibile aprire qui una parentesi, ma da ultimo Cavazzuti v. nota 7.
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
65
Egtved nel 1921. Lo stato di conservazione buono permise di recuperare,
in un tumulo di trenta mq circa, l’intera sepoltura, datata alla seconda metà
del II millennio a.C. (datata con metodo dendrocronologico al 1370 a.C.),
scavata in un albero di quercia, con un bimbo di 5-6 anni cremato e deposto
in un contenitore vicino alla testa (tav. VII a). Il corpo, adagiato sopra una
pelle di bovino, manteneva tracce biologiche dei capelli biondi, cervello,
pelle, denti e unghie. Inoltre, si erano mantenuti anche gli indumenti in
lana: un gonnellino di corde e una maglia a maniche corte chiuso da un
cinturone in bronzo decorato con un soleiforme (tav. VII b). Nella tomba fu
trovato un ricco corredo, tra cui spille di bronzo, un punteruolo, una retina
forse per i capelli, oltre a tracce di offerte di fiori di achillea e, in un vaso,
di una bevanda alcolica, una birra fatta con grano fermentato. La sepoltura
denota che la donna, di alto lignaggio, era perfettamente integrata nella società dove viveva, dato il carattere del corredo e degli oggetti presenti. Lo
stronzio, che è un elemento che si accumula nei tessuti vegetali e animali,
differisce da luogo a luogo creando “firme” che funzionano come un GPS
geologico. Confrontando le tracce di stronzio sui resti della ragazza con le
“firme” di diverse località in Europa nord-occidentale, gli Autori avrebbero
evidenziato, tramite le analisi sui denti, che la giovane sarebbe nata nella
Germania sudovest a circa 800 km di distanza dal luogo in cui morì e in cui
presumibilmente viveva. Le fibre di lana presenti negli abiti (un completo blusa/gonna) avrebbero avuto origine nella Foresta Nera tedesca. Dalle
analisi dei capelli e dell’unghia del pollice, che contengono stronzio accumulato negli ultimi due anni della sua vita, gli Autori avrebbero ricostruito
anche due viaggi dalla Danimarca al suo luogo natio9.
I dati dalle necropoli dell’età del Bronzo in Valpadana
Per introdurre qualche valutazione sulla condizione della donna
nell’età del Bronzo in Italia, riporto qui di seguito alcuni dei dati dedotti
da lavori editi di alcune necropoli nel territorio tra Veneto e Emilia e dello
studio dei relativi corredi funerari. (fig. 1 a).
9
Si veda in Italia il progetto FIBRE che ha lo scopo di aumentare le conoscenze sulle
fibre tessili nell’ Italia preistorica e protostorica attraverso la raccolta sistematica di dati e l’analisi di campioni di fibre ottenuti dai tessuti ritrovati sui siti archeologici, cfr. gleBa 2012 p.
328, tra i metodi usati l’analisi del DNA, delle tinture, tracciabilità degli isotopi dello stronzio
ecc. i materiali provengono per lo più da siti dell’età del Bronzo padano e alpino. Il tessuto in
lana più antico in Italia proviene dalla terramara di Castione dei Marchesi, ibid. p. 329. Cfr. anche saBatini-eaRle-CaRdaRelli 2018 che mettono in luce l’importanza socioeconomica della
lana nell’età del Bronzo e conseguentemente del lavoro delle donne.
66
anna maRia tOsatti
Figura 1
a. Mappa dei siti presi in considerazione. Da David-Elbiali 2010, p. 205 fig.1
b. Olmo di Nogara (VR). Planimetria della necropoli. Da David-Elbiali 2010, p. 207 fig. 2.
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
67
In questo lavoro si è presa in considerazione innanzitutto la necropoli
che ha fornito più dati ad oggi, l’Olmo di Nogara nel veronese, che dà utili
indicazioni circa la figura della donna durante la seconda metà del II millennio a.C. in alta Italia. Questo sito si configura pienamente nella Cultura
delle Terramare10, di cui si prenderanno in esame più sotto siti emiliani. Gli
Autori sono generalmente d’accordo nel dire che esistono differenze di rito
e quindi di ideologie religiose tra le necropoli a nord del Po (a inumazione)
e quelle emiliane a sud (a incinerazione) mentre a partire dalla fine dell’età
del Bronzo Medio viene introdotto anche a nord il costume rituale funerario
della cremazione.
Necropoli di Olmo di Nogara (VR)
Birituale11, datata tra Bronzo Medio e Recente12, è interessante per
l’ampiezza del campione antropologico e per il numero dei corredi funerari
che hanno ricondotto a studi di natura sociologica, denotando un tipo di
società tribale ad assetto territoriale e stanziale. Numerosa la bibliografia a
partire da quella dell’autore delle indagini scientifiche, dott. Luciano Salzani, effettuate dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto a
partire dal 1987 per oltre un decennio13.
Le sepolture
In fossa semplice con barella lignea sottostante, il corpo, supino nella
maggior parte dei casi, era orientato W-E o SW-NE e NW-SE, la testa è
generalmente volta a est, il 3% S-N o N-S. Le anomalie riguardano quasi
esclusivamente donne, di varie classi di età, e bimbi piccoli (12 tombe)14.
10
“Terramare” è un termine che localmente designava la terra nera fertile che veniva
cavata per fertilizzare i campi. È usato per specificare gli abitati del BM-BR della bassa padana orientale, perimetrati da un terrapieno e circondati da un fossato connesso ad un corso
d’acqua attivo, da ultimo cfr. viCenzuttO 2017.
11
Le tombe prese in esame sono 420, di cui 48 a incinerazione comprese le dieci
tombe a inumazione scavate nel 2009 cfr. salzani et al 2016; CanCi et al 2015 p. 329;
questo lavoro presenta i dati del progetto interdisciplinare che ha coinvolto Soprintendenza
del Veneto, Università di Padova, di Pisa e di Roma. Fra i vari studi e le tante tesi di laurea,
specialistiche, magistrali e di dottorato in materia osteoarcheologica cfr. CiuRletti 2016-17;
medaglini 2015-16; PulCini 2013-14; faResin et al 2012;.
12
Le suddivisioni delle fasi divergono leggermente a seconda degli Autori. Non si
entrerà qui nel particolare delle differenze ideologiche e di datazione delle diverse scuole,
poiché non è nostro compito, qui interessano solo i dati più generali, culturali e antropologici, relativi alla componente femminile.
13
Per approfondimento sui codici funerari e le suddivisioni tipocronologiche del periodo
cfr. i numerosi studi: salzani et al 2016; de maRinis 2015, 1999; de maRinis-RaPi 2016; david
elBiali 2010; salzani 2005; de maRinis-salzani 2005; CuPitò-leOnaRdi 2005a, 2005b.
14
PulCini 2013-14 p. 190, fondamentale, tra le altre, questa tesi da cui si sono desunti
molti dei dati qui presentati. Per quanto riguarda sepolture anomale cfr. saRaCinO et al.
68
anna maRia tOsatti
La necropoli è stata suddivisa in quattro zone da A a D (fig. 1 b).
Dati antropologici
Dei numerosi dati si presenta una sintesi dei principali in forma schematica:
•
Tutti, anche i giovani, presentano alterazioni artrosiche che ovviamente aumentano con l’avanzare dell’età; questo dato è letto come indizio
di prolungate e pesanti attività lavorative15.
•
Nel 13,7% dei casi femminili, di età adulta e matura, sia con sia senza corredo, è presente la spondilolisi, trauma a carico della colonna
vertebrale causato da attività fisica intensa, da carichi pesanti e lavori
prolungati in piedi con la schiena curva e gli arti inferiori distesi16.
L’abitudine a portare carichi pesanti si traduce anche in alterazioni
dell’articolazione tra le ossa coxali e osso sacro17.
•
Le femmine mostrano una marcata robustezza a carico delle braccia,
ulteriore indizio di grande impegno fisico: negli arti superiori e nel
cinto scapolare sono state individuate alterazioni da stress biomeccanico dovuto al sollevamento di pesi notevoli o anche a uso di attrezzi
agricoli come ad esempio la zappa18. Compromessi anche omero, radio e ulna, a causa di intensi movimenti rotativi19 sia dell’avambraccio
sia con flessione e estensione (19% sul campione maschile, 15% femminile, compresi i giovani ma soprattutto a carico degli adulti maturi).
Anche l’osservazione sulle mani, femminili e in età matura, denota
alterazioni possibili con l’ipotesi di lavori tipo cucitura con un ago
pesante su tessuti robusti (osteoartrosi delle falangi della donna nella
t. 422)20, telaio, lavori da cestaio, non esclusa l’attorialità nelle varie
fasi di produzione della ceramica.
•
Gli individui femminili hanno una percentuale più elevata dello sviluppo
del terzo trocantere, indice che le donne si abbassavano e si rialzavano
molto frequentemente. Ciò potrebbe indicare una pluralità di attività, dalla
raccolta delle erbe e delle messi nei campi o della legna o dell’acqua o
altro, ma anche all’interno delle attività domestiche e artigianali nel villaggio si può pensare ad attività quali la tessitura ma anche la molitura
delle sementi con utilizzo del pestello in pietra su macinello posto a terra.
2017 anche riguardo i dati di tombe di infanti e la sottostima numerica degli stessi e della
supposta delocalizzazione del cranio di elementi femminili cfr. Ibid. p. 78, de maRinis 2000.
15
PulCini 2013-14 p. 107.
16
PulCini 2013-14; CanCi et al 2015.
17
PulCini 2013-14 p. 171 con biblio precedente.
18
PulCini 2013-14 p. 159.
19
PulCini 2013-14 p. 163 ss.
20
PulCini 2013-14 p. 169; david elBiali 2010 tab. VI p. 222.
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
•
•
•
•
•
•
69
È provato l’utilizzo del cavallo da parte di entrambi i sessi, caratterizzati da “sindrome del cavaliere”21: gli uomini la presentano più
frequentemente delle donne, per cui viene suggerita l’ipotesi che il
cavallo fosse usato anche per le attività belliche22; il cavallo veniva
cavalcato a pelo. È probabile che questo fosse usato come cavalcatura
anche per attività comunitarie come il controllo del territorio e dei capi
bestiame o per raggiungere altri luoghi per commerci.
Particolarmente maschile (89% contro il 62% femminile) è un’alterazione a carico degli arti inferiori e del calcagno dovuto, secondo
le ipotesi, alla posizione accovacciata nel primo caso e ..alla permanenza su una superficie rigida sottoposta a continuo movimento come
nel caso dei carrettieri23, nel secondo. Se ci fossero prove di carri da
guerra si potrebbe ipotizzare l’uso della biga in alternativa al carro a
due ruote per il trasporto di persone o cose.
Le analisi sui traumi di entrambi i sessi evidenziano chiari segni di
guarigione delle varie patologie: evidentemente le cure erano efficaci
e consentivano spesso la completa riabilitazione degli individui malati24.
Le analisi paleonutrizionali hanno confermato una dieta ricca ed equilibrata per tutti gli appartenenti al gruppo, siano essi con o senza corredo, sorprendentemente a base di miglio25, probabilmente integrato dal
consumo di prodotti caseari dato l’allevamento di bovini.
Conferma di una buona alimentazione si ha anche nella relativa alta
statura generalizzata. Su 115 individui maschi adulti si misura una
media di 1,66 m (ma un individuo era alto 1,89 m, quello più basso
1,50 m; fra gli armati di spada il più basso ha una statura di 1,78);
fra le 96 donne adulte la media è 1,56 m con un picco per una donna
con corredo (t. 545 del BR) di 1,72 m, la più bassa (t. 245) 1,46 m.
Tra quelle senza corredo la più alta misura 1,68, la più bassa 1,48 m.
Le medie, piuttosto alte, rispecchiano il risultato di una dieta ricca e
variata soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza e per tutti, indipendentemente dalle classi sociali e di ceto.
Per quanto riguarda le malattie riscontrate, si ha una relativa incidenza di tubercolosi fra i maschi e malattie respiratorie tra le donne a
conferma della differenziazione delle attività: i maschi si occupavano dell’allevamento di bovini da cui erano infettati, mentre le donne
CanCi 2003.
CiuRletti 2016-17 p. 113; medaglini 2016; PulCini 2013-14; CanCi 2003.
23
PulCini 2013-14 p. 183.
24
PulCini 2013-14 p. 123.
25
tafuRi et al 2009.
21
22
70
•
anna maRia tOsatti
passavano tempo prolungato in ambienti chiusi e umidi da cui i problemi polmonari26.
Si osserva una forte concentrazione dei decessi degli uomini adulti
fra 30 e 45 anni (18% dei decessi totali) a scapito dei decessi degli
ultracinquantenni (6%). La presenza di lesioni da traumi infitti a carico dei maschi adulti suggerisce che la supermortalità maschile in età
30-45 possa essere dovuta a fatti violenti (eventi bellici). Fra le donne,
sono relativamente più numerosi i decessi sotto i 30 anni o superiori
ai 50. Causa della supermortalità femminile tra i 20 e i 29 anni è probabilmente il parto o complicanze successive. Si nota la presenza di
sepolture bisome donna/bimbo.
Dati archeologici27
Si contano 533 sepolture (BM 2,3 e R) dislocate su tre aree (A, B, C):
il 44 % delle inumazioni presenta corredo, mentre delle 62 tombe a incinerazione solo 4 ne sono provviste e i materiali sono riconducibili a individui
femminili. Le incinerazioni si distribuiscono a partire dal BM3 per tutto il
BR, periodo di progressiva scomparsa dell’inumazione. Su 420 inumazioni
studiate, risultano 123 adulti e 121 adulte, 24 di sesso n.d. e 136 subadulti28.
Secondo la tabella riassuntiva delle sepolture in David Elbiali29 si notano due dati: 85 tombe femminili presentano corredo ricco di bronzi e ambra, 45 tombe maschili sono distinte dalle armi. Delle sepolture femminili
il 75% tra 18 e 25 anni presenta un corredo (contro il 23% dei maschi della
stessa età)30. Sono stati notati due picchi di età nella presenza di corredo
PulCini 2013-14 pp. 95-100, 246-247.
salzani 2005; salzani et al 2016; de maRinis 2015; de maRinis-salzani 2005; Cfr.
CuPitò-leOnaRdi 2005 in cui viene pubblicata una lista degli indicatori femminili dei corredi
qui sotto presentata:
1 fase BM1: spillone a capocchia perforata trasversale tipo C;
2 fase BM2: affermazione spillone a 3 anelli e tipi esclusivi come a duplice asola tipo
Lonato e Pieve S. Giacomo, e una variante del tipo Povegliano;
3 fase BM3: spillone a 3 anelli, tipo Nogara e Montata;
4 fase:
passaggio tra BM e BR con tipi del BM a tre anelli e Nogara e diffusione e
affermazione dei tipi del BR1 a spirale tipo Peschiera e S. Caterina (fase BM3/
BR);
BR1
spilloni a doppia spirale tipo Peschiera e S. Caterina e affini tipo Bacino
Marina;
BR2
spilloni a capocchia cilindrica perforata tipo Cà del Lago e con capocchia
forata tipo Boccatura del Mincio.
Per gli uomini: su 43 sepolture con spade, 41 al BM, 1 al BR1 e altri elementi come copricapo
borchiato + pugnale, freccia o gorgiera con chiodi.
28 CanCi et al 2015.
29
david elBiali 2010 p. 217.
30
david elBiali 2010 p. 224.
26
27
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
71
femminile: tra i 18 e 25 anni e tra 40 e 60 anni. Sempre presenti due spilloni,
anche grandi e pesanti in bronzo e molte ambre sotto forma di fermapieghe
e vaghi presenti soprattutto nelle fasi del Bronzo medio per diminuire nelle
fasi finali del BM e nel BR. Grande importanza veniva riservata alle giovani donne morte in età fertile, forse in conseguenza di problematiche legate
alla gravidanza, e alle donne in età matura e senile, che vengono quindi premiate per il rango o l’occupazione svolta all’interno della società. Perciò,
l’età e l’esperienza erano tenute in considerazione. Inoltre, anche sepolture
di infanti (0-3 anni) e bimbe (3-12 anni) presentano corredo, probabilmente
in virtù del ceto o del genere femminile. In queste si trovano pettini in osso/
corno, elementi esclusivamente femminili assenti nelle tombe di adulte o
senili, eccetto pochi esempi come la t. 411 (BM3), che è particolarmente
ricca31 (fig. 2 a). Questa sepoltura di donna matura32 (50-60 anni) presenta
due spilloni gemelli, e uno a tre anelli, due perle in ambra, due fermatrecce, un ago, un pugnale in bronzo e una tazza fittile con una piccola ansa
verticale impostata sulla carena. La struttura stessa denota nella sua costruzione un’intenzione di distinzione o di particolare cura, mentre la tazza e
il pugnale potrebbero alludere all’attività in vita della defunta. Per quanto
riguarda il pugnale, si tratta di un oggetto polifunzionale, che talora si trova
associato a elementi funzionali alla tessitura (soprattutto a partire dall’età
del Ferro33), che però nella necropoli dell’Olmo sono assenti.
Un altro caso di tomba ricca è la n° 545 dagli scavi del 200934, che si
riferisce a una donna adulta inumata (età stimata 30-35 anni) del BR (fig. 2
b); presenta un corredo di materiali enei: due spilloni a doppia spirale tipo
Peschiera di grandi dimensioni sul petto, una borchia circolare in lamina
con foro centrale e un altro vicino al bordo, uno spillo con capocchia rotonda, un vago fusiforme e uno cilindrico, un saltaleone, un fermatrecce di filo
a vari avvolgimenti (fig. 2 c). Le analisi antropologiche35 evidenziano alterazioni a carico del tronco (osteofiti dei corpi vertebrali, noduli di Schmörl)
che indicano come anche questa donna in vita avesse svolto un’attività che
comportava il trasporto di grandi carichi sulle spalle.
31
CanCi et al 2015 p. 330; per il pettine cfr. anche de Marinis 2015; CuPitò-leOnaRdi
2005. All’Olmo vediamo grande sfoggio di ricchezza nelle tombe femminili, estesa anche
ai bimbi fino a 12 anni (20 t. “femminili” contro solo 5 “maschili”) evidenziando come la
progenie prima del dimorfismo ormonale (e forse dei ruoli sociali) fosse un affair totalmente
femminile.
32
david elBiali 2010, p. 219, 222; PulCini 2013-14
33
Pizalis 2011, p. op. cit.
34
salzani et al 2016 pp. 198, 201 figg. 4-6.
35
Rizzi 2016 p. 211.
72
anna maRia tOsatti
Figura 2
a. Olmo di Nogara (VR). Sepoltura n. 411 del BM3 di donna anziana. Da David-Elbiali
2010, p. 223 fig. 10
b. Olmo di Nogara (VR). Sepoltura n. 545 del BR di donna adulta. Da Salzani et Al. 2016, p.
201 fig. 6
c. Olmo di Nogara (VR). I corredi delle tombe 540 (nn. 1-2), 545 (nn. 6-13), 546 (nn. 3-4),
547 (n. 5) (n. 5 = ¼ gr. nat.; gli altri = ½ gr. nat.). Da Salzani et Al. 2016, p. 200 fig. 5.
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
73
Questi dati sembrano in parte confermare quanto avanzato da vari Autori circa la società in cui queste persone agivano, il rango era dato dal ceto
ereditario di nascita, perciò l’individuo era definito in base all’appartenenza a un determinato segmento della comunità36. Questo sarebbe confermato
dalla presenza, di una spada nella sepoltura di un uomo con così grave handicap fisico da trauma ostetrico (T. 410)37, tale da non permettergli la forza
atta ad usare tale arma che quindi assumerebbe simbolo ereditario e di ceto.
Tale situazione era stata del resto già notata per la tomba di giovane affetto
da polio a Roncoferraro Mantovano38 e nel caso di un bimbo cremato nel
BR a Canegrate39, entrambi con spada. Resta da definire per le donne se tale
trattamento sia stato esteso in caso di esogamia, come sembra probabile, e
in ultima analisi, se questa supposta “gerarchia” fosse molto incidente nella
vita sociale o se invece non sia altro che conseguenza della nostra abitudine
a pensare in questi termini la società antica. Sembra comunque confermata
una certa stratificazione sociale o, comunque, di un ceto emergente (chiefdoms) che si distingue anche nel momento della deposizione funeraria, e
che riscontra come l’elemento femminile sia preponderante.
Per quel che riguarda l’elemento maschile, le sepolture con armi sono
nel BM nelle due aree, B e C, e sono presenti spade tra cui tipo Sauerbrunn
e Boiu, quindi decorate e in un certo senso rappresentative (fig. 3 a). Sono
anche numerose: tali da permettere di attestare la presenza di un gruppo
di guerrieri, ma sembra anche lecito pensare40 che possa non trattarsi di
una casta guerriera, come nella lettura peroniana41, bensì di un manipolo di
uomini delegati al controllo del territorio e quindi alla difesa del villaggio
da razzie varie (comprese le offese in contraccambio) e che quindi vengano
premiati anche con la possibilità di essere sepolti insieme ad armi di una
certa ricchezza; inoltre, la maggiore bellicosità che si denota nel bisogno
delle comunità di rafforzare le difese del villaggio, cui probabilmente contribuivano anche le donne, porterà l’evoluzione della società e la nascita del
ceto guerriero in epoca successiva a partire dal BR pieno.
CanCi et al 2015 p. 33; CuPitò-leOnaRdi 2005.
PulCini p. 128; CuPitò-leOnaRdi 2005 p. 151.
38
Per la tomba di Roncoferraro loc. Cascina Due Madonne (MN), datata all’inizio
del BM dalla spada tipo Bigarello: cfr. de maRinis 2009 b, david elBiali 2010 p. 227-28, a
causa di una dissimetria scheletrica veniva ipotizzata una poliomelite infantile, cfr. CORRain
1961, RittatORe vOnWilleR 1961.
39
RittatORe 1953-54 tomba 92 “di giovinetto” con spada rotta intenzionalmente fig.
13, tav. XII.
40
Anche in david elBiali 2010 p. 238.
41
PeROni 2000, 2004. Cfr. anche CuPitò-leOnaRdi 2005.
36
37
74
anna maRia tOsatti
Figura 3
a. Olmo di Nogara (VR). Sepoltura n. 31 maschile con armi. Da David-Elbiali 2010, p. 219,
fig. 8.
b. Elementi incisi su vasi. Da Guerreschi-Limido-Catalani 1985 p. 63 tav. XXXIX, p. 75 tav.
LI.
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
75
Lo spillone, nel BM grande e pesante, spesso provvisto di fermapieghe in ambra, è probabilmente un elemento distintivo di ceto che si perde
entrando nella fase successiva: gli spilloni sono più piccoli ma presenti in
più sepolture e anche l’ambra tende a diminuire (tav. VII c). Nel Bronzo
Recente infatti intervengono alcuni cambiamenti nel rituale: aumentano le
incinerazioni e i pochi corredi funerari sono femminili, continuano a mostrare la presenza di oggetti d’ornamento e sono caratterizzati da una certa
varietà rispetto a quelli maschili che non hanno più le armi all’interno della
sepoltura. Questo apparente appiattimento dei corredi maschili fa risaltare
le poche tombe ricche per cui si potrebbe ipotizzare un cambiamento rituale
e forse anche sociale. Da rilevare che secondo alcuni autori42 la non deposizione di armi nelle tombe maschili durante il BR, sarebbe imputabile a un
tabù rituale e da questo la diminuzione di oggetti di prestigio caratterizzanti
i maschi. Secondo altri in questo periodo si avrebbe un mutamento sociale
portando all’appiattimento dei corredi per nascondere invece un potere più
accentuato e accentrato nelle mani di pochi.
Passando ad altre necropoli del gruppo nordpadano abbiamo preso in
considerazione Bovolone e Scalvinetto nel veronese, entrambe birituali43.
La prima, datata tra Bronzo medio e recente (BM3-BR), ha restituito 200
tombe, circa 40 a inumazione, le altre a incinerazione. Il defunto era sepolto
con testa a est, rari gli oggetti di corredo. Si nota una prevalenza di individui di sesso femminile e di subadulti44. Lo studio antropologico e paleopatologico – diversamente dall’OdN – non evidenzia particolari alterazioni a
carico dello scheletro, al contrario i dati presentano una popolazione sana,
senza stress biomeccanici. Balza però all’evidenza una particolare e diffusa
usura dei denti dovuta forse a un’alimentazione con cibi coriacei tipo carne
secca o farine con residui di grani petrosi dovuti a macinazione poco raffinata, ma potrebbe anche derivare da un uso dei denti in una qualche attività
domestica o artigianale, come ad esempio la produzione di corde e di cesti,
o la lavorazione delle pelli45. In seconda analisi sarebbe possibile ipotizzare
la specializzazione artigianale e produttiva dei vari villaggi, alcuni forse
satelliti di uno centrale primario, ma si tratta ovviamente di ipotesi da verificare con nuove ricerche.
42
sPeCiale-zanini 2012.
salzani 2010.
44
mazzuCChi-CattaneO 2010.
45
L’uso di masticare la pelle era funzionale a ottenere una maggiore morbidezza della
materia. È presente anche nell’uomo del Similaun cfr. de maRinis-BRillante 1998.
43
76
anna maRia tOsatti
Attigua all’abitato di Fondo Paviani, la necropoli di Scalvinetto46 (Legnago – VR) è uno dei più importanti complessi funerari birituali del BM
finale e BR in Italia settentrionale enumerando 705 tombe di cui 268 a
inumazione e 437 a cremazione. Nel complesso, i corredi delle sepolture inumate femminili al 15% presentano uno o due spilloni, ferma-trecce
in bronzo, vaghi d’ambra, conchiglie marine. Le sepolture a incinerazione
sono senza corredo.
Necropoli terramaricole a sud del Po
Gli studi pluriennali intrapresi dal prof. A. Cardarelli, e i lavori della Soprintendenza archeologica a partire dagli ultimi decenni del secolo
scorso hanno portato a risultati interessanti sulla demografia e sulla società
terramaricola tra BM e BR in Emilia. Le necropoli sud padane presentano
dati difformi da quelle del gruppo terramaricolo tra mantovano e veneto sia
nel rituale sia nei corredi funerari. La possibilità di studiare globalmente sia
l’abitato sia la coeva necropoli di Casinalbo (Modena) ha dato informazioni
prima mancanti.
Nella necropoli di Casinalbo47 (datata BM3 e BR), il rito è la cremazione, le sepolture sono del tipo a fossa, deposte con una grande densità
numerica (gruppi che vanno da dieci a settanta), segnalate da sassi di fiume.
Guardando all’elemento femminile, sono presenti alcune costanti come la
fratturazione rituale dell’ansa dei cinerari, la predominanza di alcune classi
vascolari come i biconici (46% contro il 27% dei maschi); se usate come
urne, forme aperte come le ciotole, scodelle e tazze attingitoio, arrivano al
100% in tombe di donne e subadulti, e si ha presenza esclusiva o prevalente
di alcune classi di coperture. I corredi sono poco frequenti e la componente
femminile si distingue per la presenza di poche suppellettili come spilloni,
fibule ad arco di violino, fermatrecce, vaghi di vetro o materia dura animale; all’interno della necropoli è stata notata una disposizione topografica per
raggruppamenti di sepolture. Tra questi, alcune tombe vicine, solo di donne
e infanti, presenta una singolarità: l’urna più antica alla base della stratigrafia (tomba 157) non ha restituito resti umani: Cardarelli ha ipotizzato che
potrebbe essere un cenotafio, di un’antenata o di un antenato. Intorno a questa tomba vuota stanno le altre, più recenti, indicate da segnacoli di cui uno
di grandi dimensioni. Non è chiaro a quale mito o necessità socio-rituale sia
dovuto tale raggruppamento.
46
47
salzani 2004, 1994; Cavazzutti 2011; id. et al 2015.
CaRdaRelli 2014.
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
77
Dal punto di vista sociale e demografico, lo studio del villaggio ha
dato alcune utili indicazioni circa la vita della donna: la stima media della discendenza femminile ha consentito di stabilire che a Casinalbo una
coppia generava mediamente 6, 38 figli; di questi solo due sopravvivevano
in età giovane e adulta. Ogni capanna ospitava una famiglia mononucleare48
(Tav. VII, d, e). Per Cardarelli, seguendo le teorie peroniane, nella cultura
terramaricola vi è una distinzione fra generi con presenza di un ceto più
elevato in una società non più solo a clan familiari ma che è il risultato di
un’aggregazione all’interno della quale si giocano le dinamiche tra i gruppi49. Secondo il modello di Cardarelli, si tratta di una società complessa e
gerarchizzata in cui la componente comunitaria è più importante rispetto ai
clan parentali, che continuano a governare tramite le gerarchie interne e di
élite anche attraverso matrimoni esogamici.
Le differenze basate sul rango saranno definitivamente acquisite alla
fine del Bronzo Recente quando, con la crisi del sistema terramaricolo e la
nascita dei grandi nuclei abitativi della fine dell’età del Bronzo, la società
evolverà verso un sistema sociale complesso, protourbano, in cui quindi
viene a delinearsi l’importanza sempre più del potere delle armi e di chi le
detiene50, determinando anche un nuovo modello identitario maschile (che
si rifletterà anche sulla donna) creando il ceto elitario della casta guerriera.
Uno degli effetti della crisi, climatica o di sistema, che ha coinvolto
le terramare nel periodo finale del Bronzo Recente51 si rileva nella discesa
in Toscana di gruppi alla ricerca di nuovi territori dove stanziarsi (tav. VIII,
a). È accertato infatti che i materiali con connotazione padana del villaggio
di Fossa Nera di Porcari (LU)52, caratterizzato da costruzioni su impalcato
ligneo in zone umide, indicano la discesa di genti che, passato l’Appennino
tosco-emiliano, attraverso la valle del Serchio (dove l’abitato del BM di
48
Cfr. Cavazzuti 2011. Per un esempio di villaggio cfr. le ricostruzioni del modello
della terramara di Montale (tav. VII, c-d). Una capanna mononucleare può significare che la
società fosse strutturata a somiglianza della nostra con padre madre e figli, ma occorre tenere
presenti altri esiti: se matrilineare, i figli potrebbero essere allevati dagli zii o da altri consanguinei o estranei legati da patti familiari; oppure potrebbe essere una società poligamica
e ogni capanna avrebbe potuto ospitare una moglie con o senza i suoi figli. Si presentano
questi esiti come possibilità, non probabilità, ma si ritiene che occorra pur sempre una certa
cautela e attenzione nel proporre modelli di società umana basati sul nostro o anche su società coeve ma distanti.
49
PeROni 2000, 2004. Cfr. per il concetto di clan conico le diverse considerazioni:
CuPitò-leOnaRdi 2005, 2015; de maRinis 2009 a.
50
Bietti sestieRi et al 2013; CuPitò-leOnaRdi 2015.
51
Primo venticinquennio del XIII secolo circa.
52
andReOtti-zanini 1995-96, figg. 2: presenti uno spillone tipo Mezzocorona, vaghi
discoidali in ambra simili a quelli nelle necropoli venete; CiamPOltRini 2013.
78
anna maRia tOsatti
Pieve Fosciana53 indica questo passaggio anche in età precedenti), vanno a
stanziarsi nella zona paludosa del Bientina a nord di Pisa. I materiali, che
trovano alcune somiglianze con il sito di via Buonarroti a Pisa54 e Bosco
Malenchini nel livornese55, rispecchiano le fasi tarde dell’età del Bronzo
Recente padano fino alle soglie del Bronzo Finale, sia nelle tazze carenate
con alta ansa a nastro decorato a solcature o a bastoncello con due appendici sommitali56, sia nelle pareti decorate a pastiglie coniche (come nel
bresciano per esempio a Castellaro di Gottolengo57. Mentre già si delineano
tipi del Bronzo Finale (tazza a profilo sinuoso, decorazione a turbante).
Di poco recenziore è la sepoltura (il metodo di datazione AMS58 la fa
risalire al 1170 circa a.C,), trovata nel paleoalveo dell’Auser, vicino all’altro villaggio del Bientina, Fossa559. Si tratta di uno scheletro di una donna
adulta inumata che presenta molte caratteristiche simili a quelle già viste
all’Olmo di Nogara: costituzione robusta, altezza (m 1,63), plurigravidanze, e soprattutto alterazioni da stress biomeccanico negli arti superiori per
sovraccarico di lavoro e sollecitazione a carico degli arti inferiori, proprio
di una persona che si accovaccia e si alza numerose volte. Purtroppo, in
Italia siamo solo all’inizio di campagne di analisi del DNA che potrebbero chiarire i gruppi parentelari e quindi provare o meno se la donna fosse
discendente del gruppo di gente terramaricola stanziatosi lì tra XIII e XII
secolo.
Considerando tutti i dati fino a qui presentati, si evince un momento
della società umana in cui vari gruppi con diverse tradizioni culturali si
cominciano a distinguere, portando a specificità sociali e rituali locali che
rimanderanno a tradizioni ed etnie diverse. I gruppi scesi in Toscana, anche
precedentemente, si sono probabilmente integrati, e certamente hanno influenzato la cultura materiale locale, influenze che si notano in alcuni siti:
per le fasi medie dell’età del Bronzo alla Grotta della Gabellaccia a 5 km
da Carrara, più tardi nelle ceramiche dal sito di Monte Lieto sui monti di
Pietrasanta60 e nella Grotta dell’Ambra di Candalla nel camaiorese61 (tav.
CiamPOltRini-nOtini 1995; CiamPOltRini 2013.
BRuni 1997.
55
zanini 1997.
56
Si veda al proposito la datazione della fase Cà de Cessi 3 al BR in de maRinis-RaPi
2016 fig. 15:4-6, p. 55.
57
fROntini 2011 fig. 4.22:8. I materiali denotano influenze dall’area padana si vedano
le tazze a carena accentuata dal nord-padano mantovano p.es. Sabbioneta, Campo Poli o
Castellaro del Vho cfr. fROntini 2011 fig. 4. Le datazioni portano alla seconda fase del BR.
58
Metodo di datazione della Spettrometria di Massa Ultrasensibile detta anche Spettrometria di Massa con Acceleratore, utilizzabile sia per isotopi stabili che radioattivi.
59
CenCetti et al 1995 pp.151-152; CiamPOltRini 2010.
60
aRanguRen 1995 pp. 46-49.
61
Insediamenti in grotta del gruppo “Candalla” cfr. COCChi geniCk-gRifOni CRemOnesi
53
54
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
79
VIII a). Alla Gabellaccia è presente un grande frammento fittile pertinente
molto probabilmente, nonostante la difficile lettura dell’edito, a una ciotola
a calotta con fondo umbelicato, decorata all’interno e all’esterno con un
motivo impresso, a solcature e coppelline, che richiama tipi del terramaricolo62, confermando la grande forza di penetrazione di questa cultura nei
territori limitrofi, come le zone adriatiche sud Romagna e Marche da un lato
e Toscana a sudovest dall’altro.
L’immagine della donna, specchio delle sue attività
Tornando al tema qui allo studio, l’iconografia dell’età del Bronzo non
ci viene in aiuto per comprendere aspetti socioculturali del mondo femminile: dopo l’espressività artistica dal Paleolitico Superiore al Neolitico, che
si esplica nelle statuette a figura femminile, e dell’Eneolitico con le statue
stele e i menhir con le fattezze femminili, compresi vesti e gioielli, per il
periodo qui attinente, anche le incisioni rupestri si rarefanno e per lo più si
tratta di antropomorfi del tipo lineare o a bastoncello con una coppella tra
gli arti inferiori a forbice a delineare il sesso63. Possiamo però prendere in
considerazione l’apparato figurativo “decorativo” sulla produzione vascolare, che come noto, viene generalmente attribuita alle donne e si può notare come le immagini rispecchino quel mondo simbolico femminile: bugne
mammelliformi circondate da solcature a semiluna spesso sulla carena o
sulla parete di vasi biconici, probabili contenitori di derrate o di liquidi;
fasce di triangoli, zig-zag, coppelline e solcature, spesso in unione sullo
stesso vaso, di solito ciotole e tazze, tipici elementi da mensa (fig. 4a). Le
solcature orizzontali e a fasci paralleli riconducono idealmente ai solchi
della terra aperta dall’aratro, tipiche di una società che ha ascendenze contadine e ritualità agresti, mentre le piccole coppelle emisferiche simboleggiano la raccolta dell’acqua.
1989.
62
Radi 1976 fig 5,1, si tratta di un tipo di decorazione a fasci di solcature e coppelline
visto anche su ciotole della Boccazzola (MN) cfr. tOsatti 1984 fig.6:73, 13:130 in villaggio
pienamente terramaricolo; anche le piccole anse canaliculate su orlo o su carena di tazze e
scodelle, associate nello strato sembrano indicare un complesso culturale omogeneo attinente al BM fasi antiche.
63
Cfr fOssati 2010 per tipi in Valtellina fig. 2:C, E.; per Valcamonica cfr. feRRaRiO
1994 fig. 5.
80
anna maRia tOsatti
Figura 4
a. Esempi di corrispondenze tra fusaiole e vasi ceramici di varia tipologia. Da Leonardi 2011,
p. 342 fig. 6, pp. 345-346 fig. 13. 15. 16.
b. Incisione rupestre di donna davanti a telaio verticale, Naquane (Valcamonica), datato
all’XI sec. a.C. (da Fossati 1998).
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
81
Ricordiamo che in molte società l’umido, l’acqua, il latte, il liquido
amniotico, il sangue, il colore rosso, sono collegati alla figura femminile e
attraverso lei alla vita, cui si connettono anche simboli quali le conchiglie, le
lumache, la spirale, il triangolo, la luna ecc. quale rimando alla fertilità e alla
rigenerazione. In questo senso appare interessante un elemento inciso su un
fondo di vaso dal villaggio dell’età del Bronzo Medio-Recente di Castellaro
Lagusello (BS), che mostra un elemento a croce che consiste in due fasci di
quattro linee che si incrociano in maniera perpendicolare a formare un reticolato centrale, quattro cerchi sono incisi alle quattro estremità, e si può leggere come: luna64 / mese lunare / tessitura65, ricordando come la tessitura sia
un’altra attività generalmente attribuita alle donne66 (fig. 3, b); che le attività
dell’intreccio e della tessitura siano compito femminile trova inoltre conferma, ad esempio, in alcuni oggetti in bronzo nuragici che riproducono cesti
miniaturistici (tav. VII, l) e nella statuetta di donna con cesto in testa67 Questo
è un chiaro rimando, poiché, sicuramente, uno dei manufatti per rendere più
facile la vita domestica è dato dall’intreccio della fibra vegetale68 per ottenere
contenitori oppure stuoie da mettere in terra o sulle pareti ma anche cappelli
e mantelli da indosso: la conoscenza del mondo vegetale non è certamente prerogativa solo del mondo femminile, ma sappiamo che generalmente
64
Accanto alla figura della luna, non mancano esempi di soleiformi, di due tipi: a Isolone del Mincio, a Bor di Pacengo, ma anche a Castellaro Lagusello: asPes 1980 fig. 48:10, su
fondo umbelicato, grande coppella da cui dipartono fasci di linee parallele, tipo che si ritrova
in numerosi casi nel terramaricolo, per es. alla Boccazzola Vecchia cfr. tOsatti 1984 nr. 73, fig.
13:130; soleiformi come ruote crociate e cerchi da cui dipartono raggi sono presenti al Farneto:
BeRmOnd mOntanaRi-Radmilli 1955 fig. 3: 4,5,7,8, dove si trovano accanto a spicchi lunari
cfr. in gueRResChi et al 1985 p. 75 tav LI. La ruota è il Sole ma anche il cerchio quadripartito
della Luna contenente in sé il concetto di ciclicità e fertilità: 4 fasi lunari, 4 stagioni, 4 maree,
4 le direzioni geografiche, 4 le prove da superare, 4 le fasi vitali dell’uomo.
65
Cfr. gueRResChi et al 1985 p. 75 tav LI, ma linee intrecciate anche a Lucone, Id.
p. 63 tav. XXXIX; alla Boccazzola Vecchia di Poggio Rusco, un fascio di cinque linee si
intreccia con un fascio di quattro su un frammento: cfr. tOsatti 1984 p. 192, fig. 14:134 in
cui ben evidente è il tema della trama e dell’ordito, ma anche il frammento fig. 14: s.n. in alto
a sinistra su parete di vaso biconico riporta essenzialmente un reticolo a linee ortogonali,
confermando il portato culturale della connessione artigianale tessitura/ceramica.
66
In Valcamonica è rappresentato un telaio verticale davanti al quale sta una figura
femminile cfr. fOssati 1998 fig. 3 da Naquane, roccia 1, incisione datata al Bronzo Finale.
67
dePalmas 2018 fig. 42.
68
Prove di intreccio si hanno, oltre che dalle statuette sarde, anche dalle impronte talora lasciate nell’argilla cruda dei fondi dei vasi appoggiati sulle stuoie a essiccare, anche con
intenti decorativi, come nel sito neolitico antico dell’Isolino Virginia (VA). In Italia impronte sono state trovate in un villaggio neolitico pugliese cfr BOsCatO P.-gamBassini P.-ROnChitelli a., Una stuoia in fibre vegetali del Neolitico Antico nella Grotta di Santa Croce in La
Preistoria della Puglia, Paesaggi, Uomini e Tradizioni di 8.000 anni fa, a cura di f. Radina,
Bari 2002, pp.71-76. Intrecci vegetali sono stati trovati in scavi in profondità in ambiente
anerobico cfr. ad es. il cesto dal lago di Costanza sito di Arbon cultura di Pfyn 35-3400 a.C.
82
anna maRia tOsatti
l’intreccio così come la tessitura sono attribuite a questo (già dal lontano Neolitico e attraverso le culture eneolitiche del 3 millennio), come si evince dai
miti e dall’immaginario del mondo greco a noi noto, cui si rimanda (dalle tre
Parche a Atena, a Aracne, a Penelope ecc.) e che si conferma tramite i corredi
contenenti fusi, fuseruole e rocchetti nelle sepolture femminili dell’età del
Ferro in cui sono spesso deposti69.
A proposito delle fuseruole, in ambito terramaricolo uno studio ipotizza
che queste siano una riproduzione miniaturizzata di alcune forme vascolari70,
in particolare da mensa (contenitori biconici e scodelle decorate con motivi
solari) e vasellame potorio (fig. 4, a): le donne oltre che avere attorialità produttiva nella tessitura, si dedicavano anche alla ceramica, e prova sarebbe il
valore semantico e ideologico dato dalle decorazioni sulle fuseruole stesse
come tradizione culturale trasmessa tramite la figura femminile. Questo concetto è estensibile anche alla piccola plastica trovata nei villaggi terramaricoli71 raffiguranti antropomorfi e zoomorfi, tra i quali si trovano equidi che
sembrano confermare una valenza simbolica cavallo-donna.
Un supposto spazio delle donne potrebbe essere l’ambiente della capanna 16 nel villaggio annesso al complesso nuragico di Brunku ʼe s’Omu
(Villa Verde)72, ma cronologicamente successivo datato entro il Bronzo Finale, in cui furono rinvenuti vari frammenti fittili pertinenti a orcioli, ciotole, una brocca askoide e vari vasi che caratterizzano un ambiente domestico
per la preparazione dei cibi, pur in mancanza di un focolare per cuocere,
accanto a elementi per la tessitura, due rocchetti, quattro fuseruole, un ditale per cucito, ed elementi litici per la molitura a terra (macina e pestello) più
un grande bacile con foro per far defluire i liquidi. Anche il vano F di S’Urbale-Teti, forse un ripostiglio delimitato da tre lastre di granito, conteneva
materiali fittili e litici, tra cui fuseruole, rocchetti, pesi da telaio, affilatoi,
pestelli, macinelli, una pintadera, un’accetta litica ed una riserva d’argilla
non ancora depurata73, a determinare le probabili attività domestiche cui
doveva sottintendere la donna. Ancora in Sardegna, agli inizi del primo
millennio a.C. si trova una importante produzione iconografica femminile:
le statuette nuragiche enee, datate tra Bronzo Finale e prima età del Ferro,
già citate sopra, che raffigurano vari momenti della vita femminile secondo
moduli schematici e ripetitivi propri di una produzione forse dedicata al
rito, in cui prevale la figura della madre e dell’offerente. È presente una
69
Al riguardo si veda ROsselli infra.
leOnaRdi 2012 p. 341 figg. 4, 5 con ipotesi “..l’aspetto sociale delle attività produttive legate alla sfera femminile”.
71
BianChi-BeRnaBò BRea 2012
72
CiCillOni et al 2016.
73
fadda 1987, pp. 53-61; 1990, pp. 115.
70
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia Centro Settentrionale. Spunti e riflessioni
83
donna seduta su uno sgabello con un guerriero in braccio, letta come madre che abbraccia per l’ultima volta il figlio deceduto74, oppure seduta con
infante sulle ginocchia e braccio destro alzato con la mano destra aperta
in saluto (tav. VII g-h). Altrimenti, in posizione stante, con veste attillata e
lungo mantello, le braccia aperte in posa offerente. Se si eccettua il caso di
donna con anfora in testa da Olbia, che è abbigliata semplicemente con un
gonnellino corto (tav. VII i), si nota che alcune delle vesti sono realizzate
con una ricercatezza di particolari che rispecchia la ricchezza che dovevano
avere alcune di queste stoffe, a cui si aggiungono particolari della fattura
come le balze sotto le ginocchia, frange, particolari decorativi e preziosi sui
mantelli elaborati (tav. VII f). L’abbigliamento era completato da un cappello forse in fibra vegetale intrecciata o un velo di tessuto a coprire il capo.
Un numero di statuine proviene da contesti in prevalenza connessi al culto
delle acque75 e alcune di queste raffigurazioni danno idea di un ruolo della
donna nel rito, forse come offerenti ma anche come sacerdotesse, attive
nella gestione del rapporto con la divinità.
Numerosi i manufatti di adorno in bronzo, in quanto espressione di
ostentazione della ricchezza, ci aiutano poi a avere un’idea della magnificenza mostrata in vita e talvolta anche nell’uso funerario del corredo tombale.
Un esempio a noi vicino geograficamente è il grande paramento in
bronzo, datato al Bronzo Finale (anni intorno al 1000 a.C.), che dagli Autori
è ritenuto probabilmente femminile, rinvenuto sporadico nell’alta valle del
Serchio in loc. Cima La Foce (Lucca) (tav. VIII, b. c), i cui confronti portano
verso il nord Italia occidentale e oltralpe francese76. Recentemente, si sono
visti in Sardegna, da ambiti nuragici, alcuni elementi simili ma mediati attraverso la capacità di riproduzione metallurgica locale. Della stessa epoca o un
poco recenziore è il noto ripostiglio di bronzi da Pariana77, loc. Tecchiarella,
vicino alla città di Massa e prospiciente le miniere di calcopirite che si trovano sui due versanti del fiume Frigido78, in cui sono presenti alcune armille
a nastro di tipo Zerba-Pariana a sezione carenata e decorati finemente a incisione con motivi geometrici (tav. VIII, d, e). Questi materiali sono il preludio dell’ostentazione della ricchezza che caratterizzerà le società italiche del
primo millennio, come si vedrà presso le donne etrusche e anche nel sud ad
esempio con le ricche parures enotrie dei secoli tra VII e IV a.C.
dePalmas 2018 p. 96 fig. 38 dal complesso nuragico di Santa Vittoria Serri (CA).
dePalmas 2018 p. 107.
76
CiamPOltRini et al 2015. Confronti portano ai tipi di paramenti tipo Chiusa Pesio,
RuBat BORel 2009.
77
Cateni 1984; PaRiBeni e., Ripostiglio di Pariana:gli oggetti del premio di rinvenimento, in “NotSBAT”, 8/2012, suppl 1, 2013, pp. 41-46.2012.
78
Cfr. tOsatti 2013 con bibliografia.
74
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Rivista di Scienze Preistoriche, Firenze
Riunione Scientifica dell’Istituto di Preistoria e Protostoria, Firenze
Studi di Preistoria e Protostoria, Padova
nuCCia negROni CataCChiO*, veROniCa gallO**
ORNAMENTI IN AMBRA COME INDICATORI DI PRESTIGIO
NEL MONDO FEMMINILE PROTOSTORICO
Riassunto
L’intento di questo contributo è quello di ricostruire “sul filo dell’ambra” l’immagine femminile in epoca protostorica nel territorio italico: i monili in questa materia consentono
infatti di identificare alcuni individui femminili ai quali, per vari motivi, doveva essere riconosciuto uno status privilegiato.
Il ritrovamento di ornamenti in ambra in sepolture femminili è attestato a partire dall’età del
rame e continuerà poi durante l’età del bronzo, fino ad arrivare alle tombe delle ricche dame
dell’Italia preromana: in questo ultimo periodo l’ambra, in tutta la Penisola, viene utilizzata
per evidenziare figure femminili di particolare prestigio, che si distinguono per la estrema
ricchezza del corredo di accompagno.
Figura femminile e ambra sono legate anche nella mitologia: nel mito di Fetonte riportato
da Ovidio sono le Eliadi a “piangere lacrime d’ambra”, mentre in una leggenda baltica è la
figura femminile, il dio Saule, a “piangere bacche rosse”.
Abstract
The aim of this contribution is to reconstruct the female figure in protohistoric times in the
Italian territory following the “amber thread”: the jewels in this field, indeed, allow to identify
some female individuals who, for various reasons, had to be granted a privileged status.
The discovery of amber ornaments in female burials is attested from the Copper Age and
continue during the Bronze Age, up to the tombs of the preroman Italy rich ladies: in this
latter period, amber was used, throughout the Peninsula, to emphasize female figures of
particular prestige, which were distinguished by the extreme richness of the grave goods.
The female figure and amber are also associated in the mythology: in the myth of Phaeton
reported by Ovid, the Heliadae “cry amber tears”, while in a Baltic legend a female figure,
the God Saule, “cries red berries”.
Premessa (N.N.C., V.G.)
L’ambra è una resina fossile di origine vegetale, derivante dalle secrezioni di alcune antiche specie di conifere che formavano un’immensa
foresta situata nella zona della Fennoscandia, estesa dalla Groenlandia agli
*
Università degli Studi di Milano; Centro Studi di Preistoria e Archeologia, Milano.
Centro Studi di Preistoria e Archeologia, Milano; Università degli Studi di Padova.
**
92
nuCCia negROni CataCChiO, veROniCa gallO
Urali e comprendente le Isole Britanniche, il Nord della Francia, la Scandinavia e il Baltico. Durante l’Oligocene inferiore, queste conifere furono
abbattute e sommerse dal mare, a causa probabilmente di movimenti tellurici: iniziò così il lento processo di fossilizzazione di questa resina. Il moto
ondoso le fece assumere la forma di piccoli noduli e sospinse l’ambra così
formata verso il bagnasciuga, creando depositi talora cospicui, di cui i più
rilevanti in correlazione agli studi preistorici e protostorici si situano lungo le coste del Mare del Nord e del Baltico. Alcuni giacimenti, di diversa
origine, sono stati rinvenuti in numerose località europee e, in Italia, sulle
pendici dell’Appennino bolognese e romagnolo e lungo le rive del fiume
Simeto in Sicilia1.
Tale è l’origine di questa materia, utilizzata da popoli di diverse epoche, fino ad oggi, per creare sontuosi ornamenti.
Sebbene durante la protostoria la pratica di ornarsi d’ambra sia documentata anche per la sfera maschile2, i monili in questa materia consentono
di identificare alcuni individui femminili ai quali, per vari motivi, doveva
essere riconosciuto uno status privilegiato.
L’intento di questo contributo è quindi quello di ricostruire “sul filo
dell’ambra” l’immagine femminile in epoca protostorica nel territorio italico.
La componente femminile nel mito dell’ambra (N.N.C.)
L’ambra è protagonista di molti episodi della mitologia, in cui la componente femminile gioca un ruolo importante. Due casi risultano particolarmente esemplificativi in tal senso: uno è rappresentato dal mito greco di
Fetonte riportato da Ovidio3, l’altro è una leggenda baltica dove la figura
femminile riveste il ruolo di divinità principale.
Presso i Greci era noto il mito di Fetonte, figlio di Helios (il dio Sole).
Si narra che Epafo, figlio di Zeus, un giorno mise in dubbio la paternità
divina di Fetonte. Egli, per avere la certezza di essere veramente il figlio
del Sole, dopo essersi rivolto alla madre Climene (una ninfa abitatrice delle
acque dell’Oceano) ed essere stato rassicurato in proposito, si reca al palazzo del padre. Il dio lo conforta: Fetonte è veramente suo figlio, anzi per
dimostrargli il suo affetto è pronto a concedergli qualunque cosa desideri. Il
giovane chiede di poter guidare per un sol giorno il carro paterno. Il Sole si
inquieta, sa che da questo deriveranno grandi sventure, ma ha giurato sulle
negROni CataCChiO 1978a.
negROni CataCChiO 2011.
3
OvidiO, Metamorfosi 1, 747-779 e 2, 1-366.
1
2
Ornamenti in ambra come indicatori di prestigio nel mondo femminile protostorico
93
acque della palude Stigia e non può rifiutarsi. Inizia così il grande viaggio,
ma Fetonte non riesce a dominare i cavalli; spaventato, abbandona le redini
e i cavalli, senza più guida, errano per regioni ignote del cielo: ora salgono
fino alla volta celeste, cozzando contro le stelle fisse, ora precipitano più in
basso. Inizia qui la narrazione delle grandi catastrofi, che il carro, trascinato
in un percorso troppo vicino alla terra, provoca: le nubi incendiate si dissolvono in fumo, la terra, divorata dalle fiamme, si fende in crepacci, si consuma di sete. I pascoli diventano bianchi per l’arsura, gli alberi bruciano,
intere città periscono. Anche il mare si abbassa scoprendo il fondo arido ed
emergono i monti che la profondità delle acque ricopriva. La descrizione di
Ovidio è molto particolareggiata e sicuramente arricchisce una tradizione
più scarna e sintetica, che comunque non deve avere variato nelle sue linee
essenziali: la Terra, dolorante in tutte le sue parti, si rivolge a Giove, chiedendogli se proprio si è meritata quella rovina e Giove, trovando giuste le
sue lamentele, scaglia un fulmine contro Fetonte, togliendogli ad un tempo
il carro e la vita: il giovane precipita nel fiume Eridano e viene sepolto dalle
ninfe Esperie.
L’ultima parte della vicenda spiega, dopo tante traversie, l’origine
dell’ambra e la metamorfosi che ne sta alla base. Morto Fetonte, la madre
Climene e le Eliadi, sue sorelle, dato sfogo al loro dolore, corrono per tutta
la terra per trovare almeno la tomba del loro caro; rinvengono alfine le sue
ossa, sepolte in terra straniera e per quattro lune, prostate sul suo sepolcro,
continuano il loro lugubre pianto, finché, quasi inaspettata ormai dopo che
la vicenda sembrava conclusa, ecco la metamorfosi: “Faetusa, la maggiore delle sorelle, mentre voleva prostrarsi a terra, si lamentò che i piedi le
si indurivano: la candida Lampezie mentre tentava di correrle vicino, fu
trattenuta mettendo di colpo radici; la terza, mentre stava per dilaniarsi i
capelli con le mani, non strappa che fronde: una si lamenta perché le sue
gambe sono imprigionate da un tronco, l’altra perché le sue braccia si vanno mutando in lunghi rami, mentre con meraviglia guardano questi casi,
la corteccia ricopre l’inguine e poi per gradi avvolge il ventre, il petto, le
spalle, le mani: a loro restava solo la bocca che chiamava la madre”.
Climene non può far nulla se non correre da una figlia all’altra senza
poter dare alcun giovamento: tenta di strappare i corpi dai tronchi e nel far
questo, spezza con le mani i rami appena formatisi, e dai rami, come da ferite, stillano gocce di sangue. Le figlie chiedono pietà: quell’albero è oramai
il loro corpo: “La corteccia suggellò le ultime parole. Dai nuovi rami fluiscono ora le lacrime; ai raggi del sole si irrigidiscono in gocce di ambra,
che il limpido fiume raccoglie e manda poi alle giovani donne latine, da
portare come ornamento”4.
4
negROni CataCChiO 1985.
94
nuCCia negROni CataCChiO, veROniCa gallO
L’episodio greco appena illustrato sembra ricordare un mito baltico,
riportato da M. Gimbutas5: anche in questo caso Saule, il Sole (ma si tratta
di una divinità femminile) intraprende il suo viaggio su un carro con ruote
di rame tirato da focosi destrieri. Essa naviga anche in una barca d’oro o
si identifica con la barca stessa che si tuffa in mare. La palla del sole che
tramonta è descritta come una mela rossa che cade dall’albero nell’acqua;
la mela rossa che cade fa piangere il sole e le sue lacrime si trasformano in
bacche rosse.
L’immagine dipinta dalle parole di questa leggenda non è quindi molto distante da quella del mito greco: in entrambi i casi l’ambra si origina
dalle lacrime di una figura femminile.
I monili d’ambra nell’età del rame e del bronzo (N.N.C.)
Le testimonianze più antiche di manufatti in ambra nel territorio italico si ascrivono all’età del rame e si collocano in Puglia6 e Romagna. Si
tratta in entrambi i casi di ambra siciliana. La tomba rinvenuta a Gattolino
Cesena (tomba 1 di via Violone) è di scavi più recenti: si tratta della sepoltura di una donna che indossava una collana con vaghi in ambra siciliana e
argento7.
L’ambra baltica, invece, arriva in Italia più tardi, a partire da una fase
avanzata del Bronzo Antico (circa 1800 a.C.)8.
I primi esempi connessi alla figura femminile si ascrivono al Bronzo
Medio, epoca in cui si inquadra l’utilizzo a scopo funerario dell’Ipogeo dei
Bronzi di contrada Madonna di Loreto a Trinitapoli (Foggia) (in particolare
tra 1600 e 1350 a.C.), dove spicca una sepoltura identificata come “Signora delle ambre”. La deposizione si distingue per una parure di notevole
ricchezza, composta, tra gli altri, da due orecchini in ambra e una collana
con vaghi della stessa materia. L’ambra era presente anche in altri corredi
femminili, soprattutto in forma di vaghi di collana9.
Nel periodo successivo, ossia l’età del bronzo recente (tra XIV e inizi
XII secolo a.C.), troviamo l’associazione tra genere femminile e ambra ad
esempio nella necropoli veneta dell’Olmo di Nogara (Verona), che ci restituisce l’immagine di donne ornate da vesti che erano trattenute da coppie
di spilloni in bronzo, dotati di perle fermapieghe in ambra; a tale scopo
gimButas 1967, pp. 195-196.
BianCOfiORe 1967.
7
miaRi 2016.
8
negROni CataCChiO 1978b.
9
tunzi sistO 2006. nava, saleRnO 2007.
5
6
Ornamenti in ambra come indicatori di prestigio nel mondo femminile protostorico
95
venivano usati i vaghi di dimensioni maggiori, mentre le perle più piccole,
insieme ai distanziatori di fili, formavano probabilmente ricche collane. Ne
sono un esempio le tombe 122 e 190 (fig. 1): la prima è la sepoltura di una
giovane donna (18-19 anni), sul cui petto erano presenti due perle e un
distanziatore di fili in ambra, che dovevano probabilmente comporre una
collana; la seconda rappresenta la deposizione di una donna adulta matura,
che recava una perla d’ambra sulla spalla destra, utilizzata forse come fermapieghe, e altre otto sul petto, di cui la più grande fungeva probabilmente
di nuovo come fermapieghe e le altre, più piccole, dovevano comporre un
altro monile10.
Durante il Bronzo Finale (tra XII e X secolo a.C.) appaiono largamente diffusi i ben noti vaghi “tipo Tirinto” e “tipo Allumiere”, indicatori di una
rete di scambi ad ampio raggio che, tra l’età del bronzo recente e l’inizio
dell’età del ferro, coinvolge il territorio italiano, i Balcani, la Grecia, fino
al Mar Nero e al Mediterraneo orientale11. Queste perle in ambra si trovano
soprattutto in sepolture femminili, come ad esempio nella tomba XXXI
della necropoli di Campo Pianelli a Bismantova (Reggio Emilia)12. La sepoltura, databile tra la fine dell’XI e gli inizi del X a.C., consta dell’urna
contenente i resti cremati di un individuo femminile e di un ricchissimo
corredo, composto da manufatti bronzei (due fibule, un’armilla e due anellini), 312 perline in materiale vetroso, 49 dischetti in osso forati e due cipree,
anch’esse forate. Oltre a questi elementi, era appunto presente un cospicuo
gruppo di vaghi in ambra, che dovevano formare una preziosa collana: si
tratta di cinque vaghi tipo Tirinto, sei del tipo Allumiere, tre biconici, due
cilindrici e due discoidali (tav. IX A).
L’ambra tra le ricche dame dell’Italia preromana (V.G.)
Anche durante l’età del ferro l’ambra viene utilizzata per evidenziare
figure femminili di particolare prestigio. Tale pratica sembra caratterizzare
più o meno tutto il territorio italiano, da nord verso sud.
In questo momento si sviluppa la cosiddetta “via occidentale” dell’ambra baltica. Il collegamento tra l’Italia nord-occidentale e l’Europa centrale
era costituito dall’alta valle del Reno e dal passo del San Bernardino: da
qui, attraverso la Valmesolcina, sita nel Cantone dei Grigioni in Svizzera,
l’ambra poteva raggiungere Bellinzona e i siti del lago Maggiore. L’esistenza di tale direttrice è confermata dall’alta concentrazione di rinvenimenti
salzani 2005, pp. 169, 196-197, 427-428.
negROni CataCChiO 2014.
12
miaRi 2007.
10
11
96
nuCCia negROni CataCChiO, veROniCa gallO
Fig. 1 - Necropoli di Olmo di Nogara, elementi di corredo dalle tombe 122 e 190 (da salzani 2005, tavv. XIII, XVIII).
Ornamenti in ambra come indicatori di prestigio nel mondo femminile protostorico
97
nel Canton Ticino, in un arco di tempo che va dalla metà del VI secolo a.C.
a fine IV - inizio III a.C.13. Da qui l’ambra veniva distribuita verso l’area
golasecchiana e ligure.
In area golasecchiana un esempio significativo dell’associazione tra
ambra e figura femminile è costituito dalla cosiddetta “Tomba del tripode”
(seconda metà VI secolo a.C.), rinvenuta a Sesto Calende (Varese), in località Mulini Bellaria14. La sepoltura, attribuita a un individuo femminile,
presenta un corredo di eccezionale ricchezza: oltre al tripode in bronzo e
ferro a cui deve il proprio nome e ad altri elementi che compongono il set
del banchetto (spiedi in ferro, coppe ad alto piede e una situla bronzea), la
deposizione spicca per i numerosi oggetti di ornamento e abbigliamento
personale. Tra questi ultimi troviamo anche l’ambra: una fibula con arco
rivestito, che reggeva un pendente-pettorale bronzeo lungo circa mezzo
metro, e altri elementi dalla forma più o meno complessa, tra cui alcuni
vaghi e pendenti (fig. 2). Sempre in territorio golasecchiano, troviamo un
simile abbigliamento e l’utilizzo dei monili in ambra nel territorio di Novara, a Pombia, in una tomba femminile (2/1993) datata intorno al 500 a.C.15.
Anche in questo caso erano presenti numerose perle in ambra (150), che
formavano una collana, e una fibula con arco rivestito in ambra che recava
appeso un complesso pendaglio-pettorale bronzeo (tav. IX B).
Nel periodo in esame, persiste anche una “via orientale” dell’ambra,
che raggiungeva l’alto corso della Drava e, attraverso il passo del Tarvisio,
arrivava all’Alto Adriatico lungo l’Isonzo, che allora sfociava nei pressi di
Monfalcone. Da qui forse anche via mare, il percorso raggiungeva e risaliva
il corso del Po16.
È questa la strada che deve aver percorso l’ambra baltica per giungere
nei centri dell’Etruria padana, dove si distinguono per ricchezza Verucchio
(Rimini) e Bologna.
Il primo, tra l’VIII e la metà del VII secolo a.C., spicca per l’eccezionale quantità di manufatti in ambra presenti nelle sepolture. Questa materia
era utilizzata soprattutto per realizzare e impreziosire fibule, orecchini, pettorali, collane e vesti (attraverso bottoni e ricami con perle applicate), ma in
alcuni casi poteva anche decorare oggetti non legati alla persona: strumenti
da tessitura (come le conocchie), elementi di armatura (come foderi di spade o coltelli), morsi equini, vasellame ceramico e bronzeo (tav. IX C)17.
Nelle necropoli di Verucchio l’ambra appare diffusa prevalentemente nelle
13
negROni CataCChiO 1972; 1975.
de maRinis 2017, pp. 225-226.
15
IbIdem, p. 224; gamBaRi 2017, p. 326.
16
negROni CataCChiO 1976.
17
BOiaRdi et al. 2006.
14
98
nuCCia negROni CataCChiO, veROniCa gallO
Fig. 2 - Sesto Calende, ornamenti in ambra dalla “Tomba del tripode” (da de maRinis 2017, p. 225).
Ornamenti in ambra come indicatori di prestigio nel mondo femminile protostorico
99
sepolture femminili, dove concorre, insieme a tutti gli ornamenti personali
e agli oggetti di corredo, a mostrare lo status sociale, il potere e il benessere della famiglia di appartenenza. Le ricche dame di Verucchio, inoltre,
avevano probabilmente un ruolo attivo di rilievo legato alla manifattura
dei tessuti, che doveva valicare la sfera domestica e sul quale è possibile
che si basi il riconoscimento sociale della figura femminile all’interno della
comunità18.
Nel centro di Bologna l’ambra è attestata in quantità significativa a
partire dal VI secolo a.C. e caratterizza le sepolture femminili di particolare
pregio, in cui si trovano numerosi manufatti intagliati a formare figure umane e animali19. È il caso delle tombe 11 e 12 dei Giardini Margherita, dove
sono presenti numerosi pendagli figurati in ambra che rappresentano arieti,
leoni, cinghiali, lepri, oltre che teste umane20.
Scendendo lungo la costa adriatica si arriva nel territorio dei Piceni,
che ha restituito il maggior numero di manufatti in ambra dell’età del ferro della Penisola italiana21. Qui la ricchezza dell’abbigliamento femminile
durante il VI secolo a.C. appare straordinaria ed evidenzia probabilmente
alcuni personaggi di rango elevato. Tra gli esempi di maggiore rilievo vi
sono certamente la Regina e la Dama di Cupra Marittima (Ascoli Piceno)22,
nonché la Regina di Sirolo (Ancona)23.
Per quanto riguarda Cupra, si tratta di due tombe femminili rinvenute
durante gli scavi del primo Novecento condotti da I. Dall’Osso. La “Regina
di Cupra” (fig. 3) indossava una veste ricamata lungo i bordi con elementi
di ambra, bronzo e probabilmente materiale vetroso; un velo copriva la testa ed era fermato ai lati e al centro della fronte da ambre; è stato ipotizzato
che la donna abbia indossato per il suo rituale funebre non solo la veste da
parata, ma tutti i sui gioielli, al fine di testimoniare il ruolo di rilievo che
aveva ricoperto in vita presso la propria comunità. La deposizione della
“Dama di Cupra” appare simile alla precedente, ma con una ricchezza inferiore, che indica probabilmente un rango leggermente meno elevato: il corredo comprendeva orecchini in bronzo e ambra, collana d’ambra, armille,
pettorali di ambra e bronzo.
Ancor più straordinario è il caso della “Regina di Sirolo”. Il rango elevato di questa donna è testimoniato dalla presenza di due carri, di un telaio
e di ricchissimi ornamenti: sono stati rinvenuti infatti circa 1600 monili, di
18
vOn eles 2012.
malnati 2007.
20
nava-saleRnO 2007, pp. 152-156.
21
negROni CataCChiO 2003.
22
negROni CataCChiO 2007.
23
landOlfi 2007.
19
100
nuCCia negROni CataCChiO, veROniCa gallO
Fig. 3 - Tomba della Regina di Cupra, foto Dall’Osso scavi 1911/12 (da PeRCOssi-fRaPiCCini
2004).
Ornamenti in ambra come indicatori di prestigio nel mondo femminile protostorico
101
cui molti in ambra; tra questi ultimi vi sono ambre intagliate in forma di
protome di ariete e leone e alcuni grandi pendagli-pettorali appesi a fibule,
costituiti da catenelle in bronzo, su cui sono state inserite perle in ambra,
materiale vetroso e osso (tav. X A).
Anche il versante tirrenico ha restituito l’immagine di ricche dame
ornate d’ambra.
In Etruria, a Vetulonia (Grosseto) sono state portate alla luce tombe
di grande ricchezza, con in particolare numerose ambre figurate. Ne è un
esempio la tomba femminile del Circolo dei Monili, presso la necropoli di
Poggio alla Guardia, che deve il suo nome proprio ai monili del corredo,
numerosissimi e di eccezionale ricchezza24: erano infatti presenti collane
con vaghi in bronzo, bracciali e fibule in oro, fibule in argento, scarabei in
smalto, moltissime perle in ambra e ben 24 pendenti figurati in ambra25, che
rappresentano un pesce, alcune scimmiette accovacciate e figure femminili nude, caratterizzate da una lunga treccia che scende lungo la schiena e
vestite di soli ornamenti (collane e armille) (fig. 4). È possibile che queste
ultime raffigurassero divinità, che dovevano accompagnare la defunta nella
tomba e introdurla verso la sua nuova vita, in cui avrebbe di nuovo avuto
ricchezza e fertilità, simboleggiate dai monili e dagli organi sessuali in evidenza26.
Anche le donne falische, come quelle etrusche, amavano ornarsi
d’ambra. Ne è un esempio la tomba 18 (XXXII) della necropoli di Monte lo
Greco, a Narce (Viterbo), datata alla fine dell’VIII secolo a.C.27. Si tratta di
una sepoltura bisoma con una adulta e una bambina, probabilmente madre
e figlia. Entrambe apparivano sontuosamente abbigliate con un cinturone a
losanga in bronzo, fermagli in osso con intarsi d’ambra, collane con perle in
ambra e manufatti figurati, collane in oro e pasta vitrea, pendenti in bronzo
e fibule con arco rivestito in ambra e osso. La donna adulta reca anche gli
strumenti del lavoro femminile, come la conocchia in bronzo e un pendente
in forma di pettine, che rimandano alle attività di filatura e tessitura.
Nel Latium vetus, a Satricum (Latina), è stata rinvenuta una delle sepolture più ricche d’ambra del versante tirrenico. Si tratta della tomba VI
della necropoli a nord-ovest dell’acropoli (650-640 a.C.)28, appartenuta a
una donna di alto rango, forse ad una sacerdotessa, che recava con sé oltre
500 elementi in ambra, che costituivano la componente quasi esclusiva del
corredo. Oltre a rivestimenti di fibule e perle di forma geometrica, erano
24
naldi vinattieRi 1957.
massaRO 1943.
26
negROni CataCChiO-gallO cds.
27
aRanCiO-massimi 2012, pp. 65-67.
28
WaaRsenBuRg 1992-93.
25
102
nuCCia negROni CataCChiO, veROniCa gallO
Fig. 4 - Esempi di pendagli figurati in ambra dal Circolo dei Monili, necropoli di Poggio alla Guardia, Vetulonia (da negROni CataCChiO 1993).
Ornamenti in ambra come indicatori di prestigio nel mondo femminile protostorico
103
presenti numerosi esemplari figurati. Questi ultimi rappresentano figure
femminili nude e scimmiette accovacciate (simili a quelle di Vetulonia),
ma anche cani, conchiglie, parti anatomiche umane e esseri fantastici, quali
satiri uniti per schiena, leoni alati e figure ibride metà feline e metà umane.
Ognuna di queste rappresentazioni non serviva soltanto a impreziosire la
parure, ma doveva anche rivestire ulteriori valenze apotropaiche (fig. 5).
Per la Campania si possono ricordare i rinvenimenti di Calatia, in particolare la tomba 201 della necropoli dell’area sud-occidentale (seconda
metà dell’VIII secolo a.C.)29. Qui venne seppellita una giovane donna riccamente abbigliata, come è stato possibile ricostruire sulla base dei numerosi
oggetti di ornamento rinvenuti al di sopra e presso il corpo, tra cui molti in
ambra. Due grandi fibule con arco rivestito in ambra dovevano trattenere il
velo, ai lati del capo, altre ancora dovevano chiudere altre vesti. La donna
indossava probabilmente alcune collane, la cui esistenza è indiziata da numerosi vaghi in ambra di varia forma e da alcuni distanziatori di fili, oltre
che da alcuni pendagli in argento e ambra. Una cospicua concentrazione di
perle nei pressi del bacino suggerisce inoltre il ricamo di tali elementi sulla
parte inferiore della veste, ad impreziosire ulteriormente l’abbigliamento
(tav. X B).
Proseguendo verso sud, chiudiamo il panorama qui illustrato con alcuni esempi dalla Basilicata. Nelle necropoli enotrie si trovano infatti alcune
sepolture femminili che restituiscono l’immagine di dominae di alto livello
sociale, che dovevano partecipare a pieno titolo dei privilegi dello status
aristocratico. La sontuosità delle parures femminili era quindi utilizzata
come espressione del prestigio familiare e la componente in ambra risulta
piuttosto abbondante30.
Lo testimoniano, per esempio, alcuni contesti funerari femminili da
Chiaromonte e Latronico (Potenza), dove l’ambra impreziosisce orecchini, collane, fibule e cinturoni31. Per il primo sito, si pensi alla tomba 152
(contrada Sotto la Croce) (fine VII a.C.)32, che conta: due orecchini con tre
vaghi d’ambra ciascuno, due collane di sola ambra (di cui una a più fili di
perle, tenuti insieme da distanziatori), due fibule con arco rivestito d’ambra
e una preziosa cintura, formata da tessere forate quadrangolari e triangolari
intessute tra loro, da cui pendono file di perline desinenti in pendenti a bulla
capovolti. Per Latronico, un esempio significativo è costituito dalla tomba
83 (contrada Colle dei Greci) (inizi VII a.C.)33, i cui ornamenti mostrano
BORRiellO 2007, pp. 198-201.
negROni CataCChiO 2007.
31
Magie d’ambra 2005.
32
BianCO 2007a.
33
BianCO 2007b.
29
30
104
nuCCia negROni CataCChiO, veROniCa gallO
Fig. 5 - Esempi di ambre figurate dalla tomba VI di Satricum: un leone alato, un leone sul cui dorso si innesta un altro animale, un leone e un
essere umano uniti per il dorso (da negROni CataCChiO-gallO 2016).
Ornamenti in ambra come indicatori di prestigio nel mondo femminile protostorico
105
un’abbondanza d’ambra maggiore rispetto alla sepoltura precedente: oltre a
collane e pendagli, è presente un cinturone simile a quello di Chiaromonte
citato, ma ulteriormente impreziosito da vaghi in forma di anatrella, ed una
stola, formata da tessere quadrangolari e rettangolari forate e intessute tra
loro, con fili di perle e pendagli terminali da entrambi i lati (tav. X C).
Infine, colpisce per la giovane età della defunta la ricchezza della tomba 102 di Braida di Vaglio (Potenza) (tra VI e V a.C.)34. Vi era infatti sepolta
una bambina di circa sette anni, con il corpo completamente ricoperto da
una parure formata da monili d’oro e d’argento e da manufatti d’ambra. Tra
quest’ultimi si contano circa 300 vaghi e alcuni pendenti figurati: una sfinge
alata, due alabastron, un’anforetta, un aryballos, una conchiglia, un animale accovacciato, un vitello accovacciato, un cane accovacciato, un cinghiale, sedici protomi di ariete, due protomi femminili, una serie di vaghi a
forma di pigna e di melograno (fig. 6). La ricchezza degli ornamenti ha fatto
ipotizzare che si tratti della tomba di una giovane “principessa”, sepolta col
corredo che avrebbe dovuto indossare al momento del matrimonio35.
34
35
BOttini-setaRi 2003, pp. 32-40.
Magie d’ambra, p. 74.
106
nuCCia negROni CataCChiO, veROniCa gallO
Fig. 6 - Braida di Vaglio, tomba 102. Ricostruzione grafica della parure con le collane in ambra
(da BOttini-setaRi 1995).
Ornamenti in ambra come indicatori di prestigio nel mondo femminile protostorico
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stefania Casini*
ALCUNI ASPETTI DELLA FIGURA FEMMINILE DI AMBIENTE
CELTICO DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
Riassunto
Il contributo analizza alcuni aspetti che riguardano la figura femminile nell’ambito della
cultura di Golasecca, attraverso gli ornamenti e la presenza degli spiedi nelle tombe.
Fibule e pendagli decorati con lunghe catenelle sono esclusivi di corredi funerari di ricche
defunte. L’analisi della cronologia di questi ornamenti permette di stabilire che, a partire dal
VII secolo a.C., ricchi corredi femminili cominciano a comparire accanto a quelli maschili con
oggetti esotici e armi che esprimono il ruolo di capo e guerriero. Nel VI secolo a.C., invece,
l’esaltazione del prestigio familiare è affidata alla figura femminile, che acquisisce nell’ambito
del gruppo anche un ruolo nei rituali, come dimostrano gli spiedi deposti nelle loro tombe,
insieme a vasi cerimoniali. Le due situazioni riflettono due momenti di evoluzione sociale e di
strategie matrimoniali.
Ciò che rivela il problema dell’alta mortalità femminile nell’età del Ferro, dovuta a gravidanze e complicanze nel parto, è la deposizione di un numero elevato di amuleti nelle tombe
di donne della cultura di Golasecca, soprattutto tra il VI e i primi del IV secolo a.C. L’analisi
delle forme di questi ornamenti suggerisce che il valore apotropaico fosse affidato forse ad
alcune divinità.
Infine, l’analisi della dispersione delle fibule della cultura di Golasecca al di fuori del suo
territorio permette di valutare la mobilità femminile, dovuta probabilmente a strategie matrimoniali per rinsaldare le relazioni di scambio e di commercio tra l’VIII e i primi del IV
secolo a.C., ossia fino all’arrivo dei Galli nell’Italia settentrionale nel 388 a.C.
Abstract
The following article analyzes some aspects pertaining to the female figure in the purview of
the Golasecca culture, through the ornaments and the presence of spits within the tombs.
Fibulas and pendants decorated with long chains are exclusive to funeral equipment of rich
women. The analysis of the chronology of these ornaments allows to establish that, starting
from the 7th century BC, rich female funeral equipment start to appear along with their
masculine counterparts, which are characterized by exotic objects and weapons that signal
their role of chief of the tribe and warrior. In the 6th century BC, instead, the exaltation of
the familial prestige is assigned to the woman, who also acquires within the family group a
role in rituals, as demonstrated by the spits found within their tombs, along with ceremonial
*
Civico Museo Archeologico, Bergamo.
112
stefania Casini
vases. The two situations reflect two moments of social evolution as well as the development
of matrimonial strategies.
What unveils the problem of the high female mortality rate in the Iron age, caused by
pregnancies and complications at the stage of birth, is the presence of a significant number of
amulets within the Golasecca women’s tombs, especially between the 6th and the beginning
of the 4th century BC. The analysis of the shapes of these ornaments suggests that the
apotropaic value was maybe assigned to some deities.
Finally, the analysis of the Golasecca culture’s fibulas’ dispersion outside its territory allows
to evaluate women’s mobility, probably attributable to matrimonial strategies directed at
solidifying commercial relationships between 8th and the beginning of 4th century BC, until
the arrival of the Gauls in northern Italy.
Introduzione
Le genti della cultura di Golasecca sono state riconosciute essere i più
antichi Celti d’Italia grazie alle iscrizioni vascolari e su pietra che esprimono una lingua celtica1. Questi gruppi occupavano un territorio grossomodo
compreso tra il Serio a est, la Sesia a ovest, lo spartiacque alpino a nord
e il Po a sud. Le loro origini risalgono all’età del Bronzo Recente e, nel
corso della prima età del Ferro, nell’arco di circa cinque secoli, la società
da egualitaria divenne complessa e articolata, tanto che nel V secolo a.C. si
erano ormai formati centri proto-urbani, tra i quali l’insediamento nei pressi
di Como fu il più importante2.
Questo sviluppo è stato incentivato dai continui contatti con gli Etruschi fin dal IX secolo a.C., contatti che si sono trasformati nel V secolo a.C.
in un vero e proprio partenariato nella gestione di un importante commercio
organizzato che convogliava verso l’Europa centrale lussuose merci provenienti dalla penisola e più in generale dal Mediterraneo orientale3.
Bisogna premettere che gli aspetti della figura femminile che qui sono
proposti derivano dall’analisi dei soli contesti funerari, come osservano G.
Bartoloni e F. Pitzalis, sono proprio quelli che soggiacciono a filtri di tipo
ideologico e propagandistico e richiedono dunque una particolare prudenza nell’interpretazione4. A ciò si aggiunge il fatto che nell’ambito della
cultura di Golasecca, che crema i propri defunti, la figura femminile è individuabile solo attraverso la composizione dei corredi funerari.
In assenza delle analisi osteologiche dei resti cremati, M. Primas5 si
maRinis 1988a; mOtta 2000 con bibliografia precedente.
maRinis 1988a, pp. 177-192. Casini-de maRinis-RaPi 2001.
3
de maRinis 1988b.
4
BaRtOlOni -Pitzalis 2011, p. 137.
5
PRimas 1970, pp. 88-89.
1
de
2
de
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
113
è basata proprio sugli oggetti di ornamento personale, in associazione con
alcuni oggetti funzionali, per stabilire il sesso del defunto.
Gli ornamenti tipici del costume maschile, spilloni e poi fibule serpeggianti o a drago, non ricorrono mai in associazione con oggetti di ambito muliebre, come le fusaiole e i rocchetti, ma con le armi. Gli ornamenti femminili,
invece, che sono molto più numerosi e non sono mai associati alle armi ma
eventualmente con fusarole e rocchetti, comprendono fibule ad arco semplice
e ingrossato, a coste, a navicella, a sanguisuga (variamente decorate, a incisione o con incrostazioni di corallo), ad arco composto da elementi di ambra
o di corallo, di tipo Civiglio, deposte insieme a collane con vaghi d’ambra o
di pasta vitrea, catenelle e pettorali di bronzo, decorazioni per il capo e per i
capelli, orecchini, armille e anelli da dito, una grande varietà di pendagli, il
più delle volte con funzione di amuleti, fibbie di cintura in bronzo a placca
quadrangolare o romboidale con decorazione incisa o sbalzata.
Dunque quanto qui viene proposto sono ipotesi interpretative e non
certezze definitive; tra queste ultime, tuttavia, vi è la consapevolezza che
fino a non molto tempo fa i soli ruoli che permettevano alla donna di compiere la propria identità di genere erano quelli di moglie e di madre6.
Alcuni ornamenti femminili come indicatori di rango
Nel IX secolo a.C. persiste in uso un tipo di fibula molto caratteristico
e fortemente identitario, caratterizzato da piccole o grandi coste (fig. 1)
che con alcune modifiche formali entra fino alla fine del VI secolo a.C.7.
L’appartenenza a sepolture femminili è dimostrata dai contesti integri della
cultura di Golasecca, come la t. 289 della Ca’ Morta, con fibule ad arco
ingrossato e pendagli a bulla, ciò che resta di una collana di perline d’osso
e di vetro blu, azzurro e rosso, con separatori d’osso; la tomba Ca’ Morta
302 (fig. 1:2) con porzioni di collana con pendaglietti di corallo, tra gli altri
numerosi oggetti; la tomba Ca’ Morta III/1921 con vaghi di pasta vitrea8.
Si tratta di sepolture particolarmente ricche, come dimostrano anche le
più tarde tombe Ca’ Morta 126, con numerose fibule e vasellame decorato a
stampiglia, e Ca’ Morta 255 (fig.1:4), con una capeduncola di bronzo e una
collana d’ambra e pasta vitrea9.
BaRtOlOni-Pitzalis 2011, p. 137.
maRinis 1995, Casini 2011, de maRinis 2017, p. 24, fig. 23.
8
de maRinis 1995, p. 94 e 97, figg. 3-4 (CM 289); la tomba è forse bisoma, per la
presenza anche di alcuni frammenti di spilloni, tipici dei corredi maschili, ma il maggior
numero di ornamenti è riferibile al mondo muliebre. de maRinis 2000, fig. 2 (CM 302). de
maRinis-PRemOli silva 1969, tavv. XIII:3-4 (CM III/1921).
9
vOn eles masi 1986, n. 401 (CM 126); Età del ferro a Como, tav. 32 (CM 255).
6
7
de
114
stefania Casini
È, dunque, evidente che questo tipo di fibula identifica donne di condizione elevata all’interno della società. La pertinenza a defunte di rango
sembra confermata anche dai contesti esterni alla cultura di Golasecca con
fibule a coste, come ad esempio nel Bolognese la tomba 27 di Villanova-Le
Roveri, oppure le due tombe di San Vitale 777 e 77810, con un corredo
particolarmente ricco e nel Padovano la tomba di Este Candeo 301, con 6
fusarole oltre a numerosi oggetti di ornamento11.
Nel corso del VII e VI secolo a.C. queste fibule si arricchirono di lunghe catenelle alle estremità delle quali vi sono pendagli a doppia spirale,
anch’essi indicatori di rango (fig. 1:2-4); si vedano gli esemplari delle già
citate tombe 126 e 255 della Cà’ Morta, due fibule dalla tomba 302, due
fibule da Rebbio-fondo Rovelli, sempre della Ca’ Morta12. Di queste due
fibule, rinvenute nel 1858, quella illustrata da P. Castelfranco è ornata da 10
catenelle di lunghezza decrescente ai lati, per una lunghezza totale, con la
fibula, di 46 cm (fig. 1:3).
Le lunghe catenelle non ornavano solo queste fibule, ma anche alcuni pendagli, agganciate a elementi tubolari, a loro volta sospesi a sostegni
lavorati a giorno; si tratta anche in questo caso di indicatori di alto rango
delle defunte.
L’esemplare più antico, purtroppo molto frammentato, è quello della
tomba di Sesto Calende-Monsorino 26/198513 del G. I C (VII secolo a.C.)
le cui catenelle terminavano con pendaglietti “a melograna”.
Un esemplare del G. II A (prima metà VI secolo a.C.), anch’esso in frammenti, era nella tomba 10 di Albate14 (fig. 2:1); i quattro frammenti degli elementi tubolari hanno un rigonfiamento globoso alle estremità e un’espansione
carenata all’estremità opposta15, il corpo è decorato da costolature piccole e
grandi. Le catenelle, formate da elementi fusiformi con anelli alle estremità,
terminavano con pendagli “a melograna”16. Nel corredo della tomba figuravano anche altri pendagli con lunghe catenelle, tra cui due formati da piastrine
triangolari decorate a sbalzo con motivi geometrici e dotate di fori alla base per
la sospensione di catenelle di doppi anelli, terminanti con pendaglietti a doppia
spirale (fig. 2:2); un altro elemento, purtroppo frammentario era costituito da
10
gamBaRi 1979, p. 66, fig. 41 (Le Roveri); PinCelli-mORigi gOvi 1975, tav. 322:8-9
(S. Vitale 777 e 778).
11
ChieCO BianChi et Al. 1976, tav. 3:3.
12
de maRinis 2000, fig. 2 (CM 302); CastelfRanCO 1878, tav. 3:1 (Rebbio).
13
gRassi 2009, figg. 3, 11-12.
14
de maRinis, fig. 14.
15
de maRinis 2017, p. 11.
16
Per la discussione dei pendagli a melograna e la relativa cronologia si veda de
maRinis 2017, pp. 24-25.
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
115
un anello a tortiglione, in cui erano inserite alcune catenelle terminanti con
una linguetta per l’applicazione di globetti di vetro, oggi perduti17 (fig. 2:3).
La ricchezza della deposizione con una situla di bronzo a collo distinto e spalla
cordonata, una coppa e un boccale in ceramica decorati a lamelle metalliche, il
“candelabro” ceramico a tre bracci sormontati da gutti ornitomorfi, anch’esso
decorato a lamelle metalliche, insieme a ornamenti di grande pregio, quali fibule a grandi coste e fibule con elementi di corallo o d’ambra, due separatori in
osso per una collana probabilmente formata da vaghi di vetro con decorazioni
oculiformi, tra i molti altri oggetti, connotano una defunta di alto rango.
Un pendaglio meglio conservato è quello della tomba 2 di Grandate-via dei Pradei18, del G. II A (prima metà VI secolo a.C.), a cui manca
solamente il sostegno superiore; i tre elementi tubolari erano caratterizzati
da tre rigonfiamenti globulari distribuiti alle estremità e al centro; a quello inferiore erano agganciate tre piastrine triangolari con cinque fori alla
base per l’inserimento di altrettante catenelle, terminanti con pendagli “a
melograna”. La lunghezza massima conservata dell’ornamento è di 40 cm,
ma doveva essere maggiore di almeno 5/7 cm corrispondenti al sostegno
superiore ora perduto.
Tra gli esemplari più tardi si conta il pendaglio denominato tipo Trezzo dalla tomba di Trezzo d’Adda in cui fu rinvenuto19 (fig. 3:1); è diffuso
nella seconda metà del VI secolo a.C. (G. II B) ed è costituito da un sostegno superiore a giorno con caratteri antropomorfi, da cui pendono tre elementi tubolari terminanti in basso con quattro anellini per la sospensione di
altrettante lunghe catenelle, in numero totale di 12, alle estremità delle quali
vi erano a loro volta appesi pendaglietti globulari con appendice fusiforme.
Di tipo differente, ma caratterizzato da lunghe catenelle è anche il pendaglio della tomba 4 di Mulini Bellaria a Sesto Calende (fig. 4:1), detta
anche la Tomba del Tripode della seconda metà del VI secolo a.C.20. Il pendaglio è lungo 48 cm ed è formato da due tubetti spiraliformi lunghi 14,5
cm, avvolti su un’anima di legno entro cui passa un filo di bronzo che in
alto crea, unendoli, un ponticello e in basso due grandi occhielli triangolari
la cui base è fornita di anellini per la sospensione di 15 lunghe catenelle
per parte (in totale 30), terminanti con pendaglietti a globetto. Il pettorale
era sospeso all’ardiglione di una fibula ad arco composto con un elemento
d’ambra. La ricchezza di questo ornamento e la costruzione particolarmente
complessa ne fanno un pezzo davvero unico.
de maRinis 2017, figg. 14, 7 e 15, 1-2.
JORiO 2017, pp. 44-46, figg. 7 e 12.
19
de maRinis 1974, tav. 2, 1.
20
de maRinis 2019, pp. 12-36, figg. 26-27.
17
18
116
stefania Casini
La tomba della defunta aveva una struttura monumentale, della lunghezza di oltre due metri, era foderata e coperta di grandi lastre di pietra; del corredo facevano parte, oltre al pettorale, undici fibule, di cui 4 ad
arco composto con elementi di corallo, una ad arco composto con elementi
d’ambra, una ventina di vaghi, due pendagli e cinque elementi troncoconici
o cilindrici, tutti d’ambra, pertinenti a una collana, una rarissima armilla di
sapropelite, una cintura a borchiette di bronzo con una fibbia rettangolare;
vi erano poi uno spiedo in ferro, numerose coppe di ceramica, una situla di
bronzo decorata con borchie e puntini a sbalzo e, soprattutto, un tripode in
bronzo. Nel suo complesso il corredo è riferibile, nell’ambito della cultura
di Golasecca, a una vera e propria “principessa”.
A partire dunque dal VII secolo a.C. corredi femminili di prestigio
cominciano a comparire accanto a quelli maschili, che sono comunque i
più ricchi di oggetti pregiati e all’interno dei quali le armi esaltano l’aspetto
guerriero e gli oggetti esotici rivelano contatti con altri ambienti culturali,
tra cui gli Etruschi. Stando al modello di K. Kristiansen21, dunque, il VII
secolo a.C. corrisponderebbe a un momento espansivo della cultura di Golasecca, la cui società era dominata da élites guerriere, il cui potere era riflesso nei rituali funerari e nella deposizione nelle tombe di beni di prestigio
acquisiti da altri ambiti culturali; si suppone che in questa fase i matrimoni
fossero esogamici, in funzione delle alleanze per consolidare l’apertura di
nuovi mercati.
Questo quadro sembra mutare nel VI secolo a.C., durante il quale l’esaltazione del prestigio familiare viene affidata in via quasi esclusiva alla figura
femminile, che acquisisce nell’ambito del gruppo anche un ruolo nei rituali, come sarà illustrato più avanti, rivelato dalla presenza nelle tombe degli
spiedi, dei vasi ornitomorfi e dei cosiddetti doppieri o “candelabri”. Sempre
secondo lo schema di Kristiansen, la differente strategia di esaltazione della ricchezza, e dunque del potere, rifletterebbe un cambiamento di carattere
economico e anche sociale: si sarebbero create “dinastie” familiari, la cui
ricchezza si basava prevalentemente su beni immobili (proprietà terriere?) e
nelle quali la donna poteva ereditare i beni di famiglia e trattenerli all’interno
del nucleo di provenienza attraverso i matrimoni endogamici.
Tipi di pendagli compositi con catenelle sono in uso anche nelle fasi
più recenti della cultura di Golasecca, pur risultando meno appariscenti.
Dalla necropoli di Brembate Sotto (Bergamo), con sepolture databili
tra la seconda metà del VI e gli inizi del IV secolo a.C., provengono due interessanti esemplari che rientrano nella categoria dei pendagli “compositi”,
purtroppo entrambi privi del contesto funerario originario.
21
kRistiansen 1998, pp. 394-402.
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
117
Di uno22, che doveva essere particolarmente elaborato, non si conosce
la forma completa, poiché è mancante di molte parti, essendo stato sul rogo,
ed è anche privo di confronti (fig. 4:2-3). Il corpo centrale, a campana, si
restringe in due punti per poi espandersi con quattro lobi laterali conformati
ad anello. L’estremità superiore, terminante ad anello, contribuisce a conferire al pendaglio un profilo di forma vagamente antropomorfa.
Nei lobi laterali erano sicuramente inserite tramite anelli piastrine rettangolari, dotate anch’esse di anelli con appese catenelle; una sola si conserva, priva di terminazione.
Due piccoli lobi forati sono anche alla base del corpo centrale, anch’essi utili alla sospensione di altre componenti e/o catenelle. Il corpo a
campana è cavo e nella parte inferiore un perno trasversale fissa due laminette, ciò che resta di altri elementi decorativi. Il corpo e le laminette
rettangolari sono decorate a occhi di dado disposti fittamente uno accanto
all’altro e allo stesso modo sono decorate due lamine frammentate e in parte
deformate, che certamente dovevano essere pertinenti a questo pendaglio
(fig. 4:3). Una delle due reca lungo un tratto di margine superstite dei forellini, probabilmente per l’inserzione di catenelle e/o pendaglietti.
Questo ornamento, in origine ricco di piastrine e di catenelle, è al momento un unicum. La forma del corpo ricorda alcuni pendagli a lancetta,
provenienti da Introbio (Lecco) (3 esemplari privi di contesto associativo),
dalla tomba 73 di Castaneda e dalla tomba 1 di Blucina (Rep. Ceca), sia per
i lobi laterali forati, funzionali ad accogliere qualche catenella o pendaglietto, sia per il corpo completamente decorato a occhi di dado23.
Affinità si riscontrano anche con un pendaglio antropomorfo rinvenuto nell’abitato etrusco del Forcello24, proveniente dalle raccolte di superficie, che oltre ad avere un profilo con quattro lobi laterali forati, dove
sono inserite catenelle, ha il corpo decorato a occhi di dado. Si tratta forse
di un’importazione dall’ambiente paleoveneto o di una copia, poiché ha un
confronto molto preciso in un esemplare sporadico di Caverzano (Belluno)
e affinità con due pendagli rinvenuti a Este e a Pian della Gnela (Montebelluna)25, dai quali differisce per la parte superiore ad anello, conformato
negli ultimi due casi a volto umano. La datazione dei pendagli di Pian de
la Gnela è alla seconda metà del VI secolo a.C. L’esemplare di Brembate
Casini 2017, pp. 136-140, fig. 77.
Casini 1983, tav. XI, 4-6 (Introbio). nagy 2012, 2, Taf. 63, 467 (Castaneda 73).
Blučina: čižMář 1991, Abb. 2:6.
24
m.e. BaRaldi, in menOtti m.e. (a cura di), È l’eleganza che ci conquista. Moda,
costume e bellezza nelle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Mantova, Tre Lune
edizioni, Mantova 2003, pp. 63-64, fig. 11.
25
nasCimBene 1999, p. 109, fig. 23, 252 (Caverzano). nasCimBene 2015, p. 169, fig. 2,
1 (Pian de La Gnela) e 2 (Este).
22
23
118
stefania Casini
Sotto potrebbe essere considerato una tarda interpretazione locale di una
forma originata in ambiente paleoveneto e datato al G. III A3 (inizi IV secolo a.C.), come i pendagli a lancetta.
Il secondo pendaglio composito di Brembate Sotto26 (tav. XI:1) è costituito da una piastra rettangolare con lobi forati agli angoli, che dovevano accogliere catenelle o pendaglietti globulari; la piastra è sormontata da
un elemento a doppio triangolo a giorno con un anello per la sospensione
all’apice. Alcuni elementi fusiformi ritorti sono uniti tramite le estremità ad
anello e pendono dal margine inferiore forato della placchetta rettangolare;
erano in origine cinque serie. La decorazione sulla placchetta è costituita da
tre grandi occhi di dado centrali, marginati in alto e in basso da due file di
occhi di dado più piccoli.
I confronti si trovano in area leponzia, a nord del Monte Ceneri, sempre nell’ambito della cultura di Golasecca27. Esemplari pressoché completi
sono nelle tombe 107 e 109 di Cerinasca d’Arbedo28 (tav. XI:3); due figurano nel corredo della tomba 305 di Giubiasco (tav. XI:2), uno nella tomba di
Solduno E129, insieme a un pendaglietto di tradizione golasecchiana.
Gli esemplari di Cerinasca d’Arbedo e Castaneda mostrano come dovevano essere quando completi, con o senza la piastrina rettangolare intermedia (Cerinasca d’Arbedo 109); a questa o direttamente alla piastra superiore
erano appesi elementi fusiformi o catenelle cui erano attaccati pendaglietti di
lamina di bronzo, anch’essi decorati a occhi di dado. Agli anelli laterali della
piastra superiore potevano essere appese le laminette a disco (ad es. Cerinasca d’Arbedo 109) o piccoli pendagli globulari (ad es. Giubiasco 305). Al di
fuori dell’ambiente leponzio, si contano, oltre agli esemplari di Brembate
Sotto, quello di Pasturo (Lecco)30, uno sporadico da Castione della Presolana31, un elemento con laminetta a disco rinvenuto al Guado di Gugnano e una
laminetta a disco di questo tipo da Chur-Welsschdörfli32.
26
Il pendaglio fu trafugato alla fine degli anni Settanta del secolo scorso dal Museo
Archeologico di Bergamo; fortunatamente negli anni Sessanta R.C. de Marinis ne aveva
fatto il disegno, che mi ha gentilmente passato.
27
l. tORi, in Giubiasco III, pp. 63-64. nagy 2012, pp. 161-162. Casini 2017, pp. 138140, fig. 79.
28
Riprendo la citazione da L. Tori, in Giubiasco III, p. 64, poiché gli esemplari di
Cerinasca d’Arbedo sono disegnati in una tesi di specializzazione: minaRini l., La necropoli
di Cerinasca d’Arbedo (Bellinzona): le tombe del IV e III secolo a.C., Università degli Studi
di Bologna, a.a. 1996-97, tav. 139, A12454 (t. 109) e tav. 135, A12241a (t. 107). Si veda
anche ulRiCh 1914, tav. XVII, 1 e 3.
29
Giubiasco III, p. 293, 305:1b-2b (Giubiasco). stöCkli 1975, Taf. 34:E1-7 (Solduno).
30
Casini 1994-b, fig. 73:1.
31
Ritrovamento sporadico, inedito, mostratomi dal sig. Angelo Migliorati, Sindaco di
Castione della Presolana, che ringrazio vivamente.
32
Guado di Gugnano: de maRinis 1981, tav. 66, 5. ChuR-Rageth 2000, Abb. 5:19.
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
119
La datazione di questi pendagli è probabilmente da collocare tra il G.
III A3 e il LT B1, ossia al IV secolo a.C. Ce lo suggeriscono il pendaglio
della tomba di Pasturo del G. III A3, oltre alla constatazione che la decorazione a occhi di dado è frequente su ornamenti in uso in questa fase e nel LT
B133. Tuttavia, l’esemplare frammentato del Guado di Gugnano potrebbe
far risalire la datazione fino al G. III A2, fase a cui sono attribuibili i reperti
rinvenuti nel 187634.
Nel caso della tomba di Solduno, datata al LT C2, si tratta certamente
della conservazione di oggetti più antichi; per quanto riguarda la tomba 305
di Giubiasco, il corredo non è attendibile; poiché alcuni degli oggetti più
antichi sono stati trovati a profondità maggiore35 è possibile che la tomba
del LT B2/C1 avesse intaccato una sepoltura più antica.
Altri esemplari provengono dalla necropoli di Castaneda e uno dalla
Collezione “Bullinger”36, tutti privi dell’originario contesto di deposizione.
Questo tipo di pettorale si colloca nella tradizione dei pendagli compositi con lunghe catenelle della cultura di Golasecca, ma per la sua prevalente diffusione in ambiente leponzio, può essere considerato un elemento
caratteristico e identitario del costume femminile di quel gruppo.
Come ultimo esempio di questi ornamenti tardi, si può citare il pettorale dalla tomba di Plesio (Como)37, che purtroppo è molto frammentato per
essere stato sul rogo con la defunta (fig. 5); è costituito da un supporto per
catenelle di doppia lamina di bronzo di forma semilunata, decorata a sbalzo
con motivi di borchiette e puntini. La base è dotata dei fori per la sospensione di catenelle, all’estremità delle quali erano appesi pendaglietti a doppia
spirale. I doppi anelli delle catenelle formavano in alcuni punti dei motivi
romboidali, che forse erano originariamente collegati tra loro a formare una
sorta di rete di bronzo. Due grandi spirali di filo di bronzo potevano appartenere a questa collana in forma di grande pendaglio a doppia spirale, forse
posto centralmente (fig. 5). Il corredo fu raccolto nel 1900 facendo lavori di
costruzione e non sappiamo se ciò che resta corrisponde alla totalità degli
oggetti deposti; era ricco di ornamenti di bronzo (fibule, placchette decorative di cintura, fibbia, armille e molti frammenti non più identificabili), tra
cui molti amuleti: pendagli a stivaletto, a forma di cavallino e a secchiello.
Il corredo appartiene ai primi del IV secolo a.C. (G. III A3).
maRinis 1981, pp. 232 e 235.
maRinis 1981, pp. 177-179.
35
Giubiasco III, p. 293.
36
nagy 2012, pp. 161-162, Taf. 157, 1210-1215, Taf. 249, 2366.
37
Casini 1983, tav. 4, 1-9.
33
34
de
de
120
stefania Casini
Gli spiedi nelle sepolture femminili
Nella fase G. II (VI secolo a.C.) alcuni elementi contribuiscono a definire il ruolo della donna di rango all’interno della società golasecchiana. In
alcuni corredi femminili dell’area comense particolarmente ricchi di ornamenti, infatti, sono stati deposti gli spiedi (fig. 6:1-3), insieme a vasellame
ceramico di uso cerimoniale, come i vasi a candelabro e/o ornitomorfi delle
tombe Grandate-via dei Pradei 238, CM 177 e 25539, o da arredi, sempre
attinenti alla sfera rituale, come il tripode della t. 4 di Mulini Bellaria40.
Queste donne in vita officiavano dei rituali connessi probabilmente con i
sacrifici durante i quali erano addette alla cottura delle carni e forse alla loro
distribuzione all’interno del gruppo. Come si è visto dagli ornamenti, infatti, la figura femminile fin dal VII secolo a.C. nell’area di Como cominciò
a rivestire un ruolo determinante nell’ambito delle famiglie aristocratiche.
Nella cultura di Golasecca, gli spiedi del VI secolo a.C. sono di ferro,
dotati di una capocchia ad anello; nei casi in cui è possibile ricostruire la
lunghezza sulla base dei frammenti, questa supera i 30 cm raggiungendo in
alcuni casi anche 40 cm.
Gli spiedi sono solitamente appannaggio della figura maschile. O.H.
Frey osserva come sulla situla Certosa sia un uomo d’alto rango a portare
gli spiedi per il sacrificio e non una delle tante figure femminili raffigurate41.
Nell’XI/X secolo a.C. l’uso di deporre gli obeloi nelle tombe maschili
compare a Cipro e a Creta, una consuetudine che poi si diffonde in tutto il
bacino del Mediterraneo nel corso dell’età del Ferro. Gli spiedi fanno parte di
interi corredi da banchetto (tripodi, alari, coltelli, colini, oltre al vasellame per
le bevande) nelle tombe principesche maschili, che richiamano in tal modo il
ruolo del defunto all’interno della società42; al VII e VI secolo a.C. risalgono
gli spiedi che si rinvengono nei santuari greci, come negli Heraion di Samos
38
JORiO 2017, fig. 15, 9. La Jorio attribuisce la t. 2 a un guerriero, ma è possibile che
la sepoltura fosse bisoma per la struttura, la composizione e collocazione del corredo. Il
doppiere è un vaso cerimoniale che in area comasca contraddistingue i corredi femminili,
come anche il pendaglio con elementi tubolari e i pendaglietti a melograna di tipo Albate;
esso contribuisce, inoltre, a datare la sepoltura al G. II A anziché al G. II A/B. Doppiere e
pendaglio erano collocati insieme allo spiedo, al guttus ornitomorfo, ai boccali situliformi,
a quattro bicchieri e alcune coppe sul lato est della tomba ed è possibile che questo insieme,
separato da quello con le armi che giaceva verso ovest, sia riferibile alla deposizione
femminile. Nel quadro comasco l’anomalia potrebbe essere la t. 3 di Grandate, una tomba
maschile con spiedi: JORiO 2017, pp. 54-61.
39
RaPi c.s. Ringrazio Marta Rapi per le informazioni relative a questi oggetti in corso
di studio da parte sua e di prossima pubblicazione.
40
de maRinis 2019, pp. 29-31, fig. 21.
41
fRey 1980, pp. 97-98.
42
vOnhOff 2011, in particolare pp. 147-148.
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
121
e di Argo, nel santuario di Zeus ad Olimpia e di Apollo a Delfi, riferibili a
seconda dei casi sia al loro uso nei sacrifici sia a doni votivi43.
Anche nel resto della penisola italiana gli spiedi sono prevalentemente
appannaggio delle figure maschili di rango elevato44; basti citare a titolo
d’esempio per il mondo etrusco la tomba dei Flabelli di Populonia45, per
quello laziale le tombe XV e CLII di Castel di Decima46, per quello piceno
le tombe orientalizzanti di Tolentino-S. Egidio e di Pitino Monte Penna
3147. Tuttavia, pur essendo in minoranza, si riscontrano anche sepolture
femminili particolarmente ricche con gli spiedi, come la tomba di Oliveto
Cairano-Bisaccia 6648 oppure la tomba X di Castel di Decima49, la tomba
9 di Contrada Cugnolo a Torre di Palme50, la tomba 1 di Passo Gabella di
Matelica51; C. Kholer e A. Naso ipotizzano forme di deroga alle consuetudini, che avvengono nell’ambito delle famiglie aristocratiche, oppure nuove
attribuzioni nelle pratiche religiose alle donne52. A. Bedini osserva che solo
alcune donne della società vengono sepolte con gli spiedi e ipotizza per loro
un ruolo di mater familias53.
Nel mondo paleoveneto la deposizione degli spiedi nei corredi è più
rara e di epoca più recente (V-IV secolo a.C.); possiamo citare per Este le
tombe Nazari 161 (seconda metà del V secolo a.C.), Franchini 1954, Capodaglio 31 e Boldù Dolfin 52-5355. Spiedi miniaturistici sono nella tomba 18/1984 di Este-Casa di Ricovero dei primi del VI secolo a.C. e nella
126/1993 di Este-Casa di Ricovero della fine del IV secolo a.C. e modellini
di spiedi compaiono nelle tombe femminili 23 e 36 di Este-Casa di Ricovero e nelle stipi patavine56.
A Monte Bibele la deposizione degli spiedi nelle tombe si diffonde a
partire dalla fine del IV secolo a.C.57; si tratta di corredi maschili, guerrieri
vOnhOff 2011, in particolare pp. 146-147.
Si veda la lista dei contesti con spiedi in staRy 1979, pp. 56-60, con ampie lacune.
45
BRuni-ROmualdi 1987.
46
F. zevi, in Civiltà del Lazio Primitivo, Roma, 1976, pp. 260 ss. e 269 ss.
47
Tolentino: PeRCOssi seRenelli 1992, fig. 7:c. Monte Penna: sguBini mORetti 1992,
fig. 9:b.
48
BailO mOdesti 1982, p. 251.
49
Bedini 1977, p. 287. A Castel di Decima su 31 tombe con spiedi 6 sono femminili.
50
POstRiOti-vOltOlini 2018, pp. 51-64, gli spiedi in tav. VII:55.
51
COen 2008.
52
khOleR-nasO 1991, p. 46.
53
Bedini 1977, p. 287.
54
tiRelli 1981; ivi per la t. Franchini si veda la nota 44 a p. 26.
55
fRey 1969, p. 99, Taf. 32-33 (Capodaglio 31). fOgOlaRi-fRey 1965, pp. 292-293
(Boldù Dolfin 52-53).
56
Ruta seRafini 1981 (Area ex Pilsen); tOmBOlani 1976, pp. 180-185, tav. 32 (via Rialto).
57
vitali 2006.
43
44
122
stefania Casini
o uomini anziani, di cui probabilmente si vuole sottolineare l’importanza
sociale.
In conclusione possiamo affermare che in un quadro generale la presenza degli spiedi nelle tombe femminili del VI secolo a.C. della Ca’ Morta (Como) è forse da considerare peculiare dell’area comasca nell’ambito
della stessa cultura di Golasecca; nel G. III A (V secolo a.C.) gli spiedi si
trovano solamente in due tombe femminili, quali Legnano 315 e Ca’ Morta
141 e in tre tombe maschili ossia Ca’ Morta del 1890 e la 11058, mentre
nella necropoli di Brembate Sotto gli spiedi si rinvengono sempre nelle
tombe maschili 6, 10 e 1459. È peraltro difficile dire se il caso delle tombe
femminili con spiedi dell’area occidentale della cultura di Golasecca sia
un’anomalia circoscritta geograficamente o se alla fine del VI secolo a.C.,
a seguito di modifiche nell’organizzazione sociale, venga esteso anche agli
uomini il ruolo precedentemente rivestito dalla donna in alcuni cerimoniali.
Gli amuleti
Nell’ambito della cultura di Golasecca, numerosi oggetti di ornamento dalle forme peculiari o realizzati con materiali particolari (vetro, ambra,
corallo) avevano valore apotropaico, ossia erano utilizzati come amuleti. Lo studio condotto da L. Pauli60 sui corredi funerari dell’età del Ferro
nell’Europa centrale ha dimostrato che la deposizione degli ornamenti con
funzione di amuleti riguarda le sepolture femminili e dei bambini, mentre
raramente è riferibile a soggetti maschili; in questi sporadici casi si tratta di
sepolture anomale o di defunti con malformazioni congenite o deformazioni dovute a traumi o, comunque, patologie invalidanti.
L’analisi delle fonti antiche e i confronti etnografici hanno permesso
a Pauli di ricostruire in via ipotetica l’utilizzo degli amuleti da parte delle
popolazioni antiche: l’uso più frequente era quello di indossarli in vita, i
bambini per difendersi dalle malattie e dal malocchio, abbandonandoli nel
passaggio all’età adulta, segnato dai rituali di iniziazione; le donne fino
al matrimonio e anche nel corso della gravidanza, a protezione del feto.
Nell’antichità bambini e donne erano i soggetti più deboli all’interno delle
società, gli uni a causa delle malattie infettive e le altre per l’assenza di
igiene e le complicanze durante le gravidanze e i parti.
58
de maRinis 1981, tav. 10, 16 (L 315); tav. 25, 13-19 (CM 141); tav. 21, 26-29 (CM
del 1890); tav. 39, 5-7 (CM 110).
59
Casini 2017, pp. 147-149, fig. 83.
60
Pauli 1975.
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
123
Nella cultura di Golasecca gli ornamenti-amuleto hanno un’accresciuta importanza, soprattutto per l’elevato numero, nel corso del V e all’inizio del IV secolo a.C. Si tratta probabilmente di un periodo di accentuata
mortalità infantile e femminile, forse in seguito a epidemie o a situazioni di
vita precarie o, come sostiene Pauli, si tratta forse di un periodo di crisi di
valori che accompagna quei cambiamenti politici, sociali ed economici che
preludono alle invasioni galliche del 388 a.C.
Uno studio approfondito sulle tradizioni legate agli amuleti in ambito
golasecchiano è inficiato, da una generale ignoranza di tutti gli aspetti spirituali e religiosi e dal rituale funerario stesso, che prevedeva la cremazione
del defunto. È quindi impossibile osservare la posizione degli amuleti sul
corpo del defunto, nonché ricavare informazioni sulle cause della morte o
su eventuali patologie. In mancanza dello studio dei resti combusti non è
possibile neanche determinare l’età del defunto; nel fortunato caso della t.
116 della Ca’ Morta (Como) (prima metà V secolo a.C.) le analisi hanno
permesso di attribuire i resti a un individuo infantile che un elevato numero
di ornamenti femminili permette di riconoscere come una bambina61.
In termini molto generali si può affermare che nell’ambito della cultura di Golasecca gli amuleti erano indossati dal defunto al momento della
cremazione, poiché spesso mostrano segni di deformazione per effetto termico.
La forma di alcuni amuleti permette di pensare in via del tutto ipotetica a un loro possibile significato62. L’analisi delle fonti iconografiche coeve
permette di ritenere il pendaglio a stivaletto (fig. 6:6-7) la rappresentazione
della pars pro toto di una divinità femminile assimilabile alla dea Reitia di
ambito paleoveneto. È possibile che anche il pendaglio a lancetta (fig. 6:4),
derivato probabilmente da esemplari dell’età del Bronzo Recente, rappresenti una divinità, la cui immagine è il risultato di un processo di antropomorfizzazione di un oggetto, ossia il pugnale. Nei pendagli a falcetto (fig.
6:5) si è invece proposto di riconoscere la figura di un cavallo con cavaliere.
L’attinenza alla sfera religiosa è dimostrata dalla frequenza della rappresentazione del cavallo, dal suo ruolo in determinate cerimonie religiose e da
alcune divinità connesse con i cavalli (Diomede, i Dioscuri)63.
Interessante notare inoltre che le divinità riconosciute nei pendagli
(la dea Reitia e i Dioscuri) hanno tutte caratteri sananti: i loro santuari si
de maRinis 1981, p. 87.
Casini 1995.
63
Si veda la testimonianza di Strabone, V, 1, 9 e VI, 3, 9 sul sacrificio del cavallo bianco
a Diomede presso i Veneti; de min 1976, pp. 197-218 e 206 (San Pietro in Montagnon).
maggiani 2002, pp. 79-80 (Casale a Este). A Castore era dedicato il santuario di Steinberg
sull’Achensee dove le iscrizioni votive sono prevalentemente di donne (Pauli 1987, p. 177).
61
62
124
stefania Casini
trovano in prossimità di sorgenti termali con acque curative; la dea Reitia,
definita anche Sainati, è forse da mettere in parallelo alla spartana Orthia,
che soccorre le donne nel parto64.
Difficile per il momento proporre un’interpretazione dei pendagli a
secchiello (fig. 6:8-11), in uso nella cultura di Golasecca tra il VI e il IV
secolo a.C.: potrebbero essere stati piccoli contenitori di qualche elemento
considerato apotropaico. Come altre forme di pendagli (a lancetta, a falcetto), che risultano attestati talvolta oltre i limiti cronologici della cultura di
Golasecca, i pendagli a secchiello compaiono anche nei corredi di sepolture
La Tène del Canton Ticino fino al III secolo a.C., documentando probabilmente l’uso di tramandare da una generazione all’altra, forse di madre in
figlia, oggetti con un preciso valore simbolico che non era venuto meno nel
corso dei secoli.
Le donne golasecchiane tra scambi e commerci
Fin dall’VIII secolo a.C. si osserva una diffusione di oggetti di produzione golasecchiana al di fuori del territorio di pertinenza, fatto che si può
spiegare come conseguenza dei costanti contatti che i Celti golasecchiani
hanno intrattenuto con le popolazioni a sud e a nord delle Alpi. A partire dall’VIII secolo a.C. le concentrazioni di questi oggetti in determinati
territori rivela una certa direzionalità nelle relazioni che si modifica nel
corso del tempo e che quasi sempre coincide con le rotte degli scambi e dei
commerci.
La diffusione risulta particolarmente ampia tra la metà del VI e i primi
decenni del IV secolo a.C., un periodo che coincide con la fioritura, l’affermazione e il successivo declino dei commerci tra gli Etruschi e i Celti d’Oltralpe attraverso l’Italia settentrionale. Le popolazioni golasecchiane65 non
disponevano di materie prime o risorse agricole tali da poter essere scambiate con i prestigiosi prodotti importati dal Mediterraneo restituiti dalle
loro tombe e dagli insediamenti, tra cui Schnabelkannen e situle stamnoidi, ceramica attica, contenitori di profumo e incensi medio-orientali, ma il
controllo di alcuni importanti passi alpini, la conoscenza dei percorsi d’alta
montagna, che potevano creare seri rischi a chi non ne era pratico, la lingua,
che permetteva di comunicare facilmente con i gruppi celtici d’Oltralpe, e
un’elevata mobilità fecero delle genti della cultura di Golasecca gli intermediari ideali tra Etruschi e Celti centro-europei66.
maestRelli 1960, p. 282 ss.; maggiani 2002, pp. 78-79, 84-85.
de maRinis 1988a, pp. 218-220.
66
de maRinis 1991, pp. 95-102.
64
65
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
125
Alcuni degli oggetti, come le situle, le ciste in bronzo e altri prodotti di
toreutica particolarmente pregiati sono stati senza dubbio diffusi attraverso
gli scambi commerciali, ma per quanto riguarda le fibule che si rinvengono
al di fuori del territorio di origine, il loro valore è tale da non poter pensare
che facessero parte di doni cerimoniali o che venissero poste sulla bilancia
commerciale67. Le fibule connotano l’identità culturale di chi le indossa e
sono il principale mezzo per dichiarare la propria appartenenza a un determinato gruppo umano o a particolari categorie sociali e dunque possono
essere indizi di mobilità degli individui68.
Nel corso dell’VIII secolo a.C. è significativa la distribuzione al di
fuori dei confini della cultura di Golasecca delle fibule a grandi coste di
tipo Mörigen e di tipo Castelletto Ticino69 (tav. XII:a), che come abbiamo
visto, sono ornamenti golasecchiani caratteristici. La loro distribuzione indica un’area di contatti privilegiati rivolta verso est e nord-est: Bologna
(tomba 27 di Villanova-Le Roveri e le tombe San Vitale 777 e 778 già
citate), i principali insediamenti paleoveneti della pianura (Este Candeo
301) e la valle dell’Adige (Nomi, Romagnano, Ravina, Zambana, Dercolo, Sanzeno)70, che costituiva l’asse dei contatti, attraverso l’odierno passo
del Brennero, con i territori a nord delle Alpi orientali. Fanno eccezione in
questo quadro le fibule svizzere di Mörigen, di Egg-Stirzental e quella più
meridionale di Sain-Julien-de-Mont-Denis71, che preludono a vie di contatto e relazioni più occidentali, maggiormente sfruttate a partire dalla fine del
VI secolo a.C.
È stato più volte sottolineato il ruolo di Bologna villanoviana e orientalizzante come centro di smistamento dei prodotti peninsulari nei territori
a nord del Po e a nord delle Alpi72 e in questo periodo i rapporti tra l’area
golasecchiana e Bologna sono documentati anche dagli oggetti villanoviani
rinvenuti nella cultura di Golasecca, come ad esempio la piccola fibula di
tipo Savena presente in una tomba di Moncucco (CO)73 e il frammento di
cinturone a losanga restituito dagli scavi dell’abitato protostorico di Como,
67
fRey 1988, pp. 40-41, relativamente alle fibule tardo-hallstattiane rinvenute a sud
delle Alpi.
68
kRistiansen 1998, p. 386.
69
Casini 2011, fig. 5.
70
vOn eles masi 1986, nn. 317 (Nomi), 332 (Sanzeno), 333 (Dercolo). maRzatiCO
1997, I, p. 331 ss., tav. 74, 959 (Romagnano), tav. 89, 1028-1029 (Zambana).
71
BetzleR 1974, nn. 159-163, Taf. 16 (Mörigen), n. 158, Taf. 16 (Egg-Stirzental).
BOquet 1991, fig. 13:B5 (Sain-Julien-de-Mont-Denis).
72
de maRinis 1986, pp. 52-55. de maRinis 1999, pp. 604-605, con bibliografia
precedente. de maRinis 2001, pp. 51-53 e de maRinis 2009, pp. 45-49.
73
de maRinis 1970, tav. VIII:8.
126
stefania Casini
a Prestino (via Isonzo-La Pesa)74. A questo riguardo mi pare significativo
che, oltre che a Bologna, cinturoni dello stesso tipo siano presenti, a nord
del Po, a Baldaria di Cologna Veneta e a Este, pur essendo forse delle produzioni locali, e poi anche a Wörgl75, tutte località dove compaiono anche
le fibule a grandi coste golasecchiane dell’VIII secolo a.C.
Attraverso la mediazione di Bologna ha avuto inizio l’importazione
in area golasecchiana del corallo, proveniente dalla baia di Napoli, con cui
venivano realizzati i pendaglietti a T76 e sono giunti anche oggetti come i
morsi di cavallo a treccia e il bidente della tomba della Vigna di Mezzo
(Como)77, il vaso a stivale del gruppo Bologna-Vetulonia-Veio della tomba
di Breccia-Villa Giovio (CO)78, le ciotole baccellate di produzione vetuloniese, l’ascia con innesto a cannone di tipo S. Francesco e l’attingitoio in
bronzo con manico a S della tomba del Carrettino (CO)79. Un altro attingitoio di tipo bolognese è nel corredo della t. 11 della Ca’ Morta (con una fibula
a grandi coste), mentre un frammento incerto è nella tomba V-VI/1921 della
stessa necropoli80.
I contatti con la penisola probabilmente si sono intensificati nel corso
del VII secolo a.C. (G. I C): a Bologna ci riportano oggetti come il coltello
in bronzo di tipo Arnoaldi rinvenuto a Golasecca81, privo di contesto, il gancio di cintura a quattro anelli in bronzo scoperto a Grandate (CO), di produzione picena, presente anche a Bologna82. Due perle di pasta vitrea con
motivi oculiformi e a zig-zag gialli, conosciute a Bologna nel Villanoviano
IV B1 e due vaghi cilindrici con costolature longitudinali di pasta vitrea
azzurra con bande ondulate bianche, frequenti nell’Orientalizzante etrusco,
fanno parte del corredo della t. III/1921 della Ca’ Morta, dove si trovano,
fra l’altro, in associazione con fibule a grandi coste di tipo Ca’ Morta83. Da
inquadrare nell’ambito di questi contatti è l’introduzione della scrittura in
alfabeto nord-etrusco nell’ambito della cultura di Golasecca a partire dal
VII secolo a.C., documentata da un’iscrizione ([---]iunθanaχa) graffita su
una ciotola di G. I C di Sesto Calende, Cascina Presualdo84.
de maRinis 1999, pp. 605-611, figg. 1-2.
gleiRsCheR 1994, pp. 70-71, fig. 2:1; de maRinis 1999, p. 610, fig. 3.
76
de maRinis 2000.
77
gamBaRi-COlOnna 1988, p. 159; de maRinis 1988a, pp. 178-179, idem 1999, pp.
610-611.
78
de maRinis 1999, pp. 611-616, figg. 5-6.
79
BeRtOlOne 1956-57. de maRinis 1988a, pp. 178 ss., figg. 150-153.
80
de maRinis 1986, p. 59 con bibliografia precedente.
81
de maRinis 2001, pp. 51-52, fig. 9.
82
de maRinis-PRemOli silva 1969, tav. XIV:3; de maRinis 1988a, p. 195.
83
de maRinis-PRemOli silva 1969, tavv. XIII:13, 14, 15 (vaghi di vetro), 3-4 (fibule
tipo Ca’ Morta). de maRinis 1988a, p. 209.
84
de maRinis, in de maRinis R.C.-massa m.-PizzO m., (a cura di), Alle origini di
74
75
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
127
I contatti tra la cultura di Golasecca e l’ambiente paleoveneto, dove
sono diffuse le fibule a grandi coste, sono testimoniati attraverso oggetti come
il piccolo coltello con lama in ferro e impugnatura di bronzo lavorata a giorno
da una tomba di Moncucco 187685 (Como), le tre piccole fibule a sanguisuga
ad arco ribassato, databili all’VIII secolo a.C., rinvenute una a S. Maria di
Vergosa (Como) e due a Ponte San Pietro (Bergamo) prive delle originarie associazioni86; hanno confronti a Este nelle tombe Ricovero 143 e 23687e anche
a Bologna, nella necropoli di San Vitale88. Dalle officine di Este provengono
anche i coperchi decorati a sbalzo e a cesello con motivi dell’arte delle situle
dei cinerari in bronzo della tomba I/1885 e della tomba 2 di via dei Pradei,
entrambe di Grandate (Como)89.
La presenza delle fibule a coste di produzione golasecchiana al di fuori
del territorio della cultura di Golasecca si inserisce, dunque, in un ampio
quadro di relazioni, confortando la proposta di riconoscervi uno stretto legame con le attività di scambio90; probabilmente documentano episodi di
mobilità femminile verso altre cerchie culturali, secondo la pratica dei matrimoni esogamici, la cui funzione era quella di rinsaldare i legami tra le
comunità a scopo commerciale. Tali legami sembrano durare anche più generazioni, a giudicare dalla presenza dei tipi di fibule a coste sia di VIII che
di VII secolo a.C.: a Este sono presenti tutti i tipi, a Baldaria i tipi Mörigen e
Castelletto Ticino, a Gazzo e a Wörgl sono attestati il tipo Castelletto Ticino
e il tipo Ca’ Morta91.
Tra l’VIII e il VII secolo a.C., dunque, le fibule a coste, che come è
già stato evidenziato appartengono a donne di rango elevato, sono gli unici
ornamenti golasecchiani diffusi al di fuori del territorio della cultura, suggerendo che solo nell’ambito di questa categoria sociale venissero scelti i
soggetti destinati a contrarre matrimoni esogamici. Un caso emblematico
è quello di Kuvei Pulesnai, ricordata nell’iscrizione di uno dei due cippi
sepolcrali di Rubiera, una donna golasecchiana che nella seconda metà del
VII secolo a.C. era andata in sposa a un capo militare etrusco, lo zilath, in
un territorio di confine92. Purtroppo, la perdita del corredo impedisce di
verificare con quali parure fosse stata sepolta.
Varese e del suo territorio, Bibliotheca Archaeologica, 44, Roma 2009, pp. 157-159, fig. 1.
85
de maRinis 1970, tav. VII: 7.
86
de maRinis 1970, tav. VIII:9; de maRinis 1971-72, pp. 81-86, tav. XIII:4-5, p. 93.
87
vOn eles masi 1986, nn. 575 e 567.
88
Tt. 774, 655, 661, 749: PinCelli-mORigi gOvi 1976, rispettivamente tavv. 312:4,
265:10, 269:7-8, 299:4.
89
de maRinis-PRemOli silva 1969, tav. IX; JORiO 2017, figg. 6, 8-11.
90
Casini 2011.
91
Casini 2011, pp. 267-268.
92
vitali 1998, p. 257.
128
stefania Casini
Come abbiamo già accennato, secondo Kristiansen93 la pratica dei matrimoni esogamici avviene durante i momenti espansivi di una cultura, per
favorire le alleanze alle frontiere e stabilire contatti commerciali a lunga
distanza. Mi pare, inoltre, interessante la considerazione che questa pratica
avvenisse nell’ambito delle classi sociali elevate e che implicasse il pagamento da parte dell’uomo di un “tributo” per poter contrarre il matrimonio,
consistente in doni, definiti hédna nel mondo greco94.
De Marinis suggerisce di considerare gli oggetti preziosi di importazione villanoviana ed etrusca del IX-VII secolo a.C. nell’ambito dei gift
trade95, ma forse in parte potrebbero essere considerati hédna, che, insieme
ai patti matrimoniali, che sarebbero documentati da queste fibule, aprivano
l’accesso a nuovi mercati stranieri, per lo scambio di beni oggi in gran parte
archeologicamente invisibili.
A partire dalla metà del VI e per tutto il V secolo a.C. gli scambi imperniati sul sistema dei gift trade lasciano spazio a un commercio organizzato,
ossia all’instaurarsi di ciò che P. Brun96 definisce l’“economia-mondo”, che
presuppone l’esistenza di “centri motori” di prodotti non disponibili localmente, di nodi intermediari per promuovere il trasferimento di questi prodotti su lunghe distanze e di un sistema di scambio che poteva avere luogo
anche senza la moneta. L’Europa fu percorsa da mercanti che scambiavano
l’olio e il vino greci, destinati ai principi celti, accompagnati da servizi
da simposio di fabbrica greca ed etrusca, con il sale, la carne, le pelli, gli
schiavi e, soprattutto, lo stagno della Cornovaglia, di cui la Grecia e i paesi
del Mediterraneo orientale facevano grande richiesta per produrre armi di
bronzo.
In questa rete complessa di relazioni a lunga distanza, la cultura di
Golasecca ebbe un ruolo di intermediazione, che modificò le strategie delle
precedenti alleanze, almeno territorialmente, ma forse non fece del tutto
tramontare la pratica dei matrimoni esogamici, in quanto ornamenti golasecchiani femminili risultano comunque diffusi su un ampio territorio (Tav.
XII:b). Evidentemente il suo inserimento in questa vasta rete commerciale
impose la necessità di assicurarsi, forse attraverso legami di sangue, nuove
alleanze lungo i percorsi di transito delle merci dirette verso il paese dei
Celti e la continuità di rifornimento dei beni di prestigio provenienti dal
Mediterraneo tramite gli empori dell’Etruria padana97.
kRistiansen 1998, pp. 394-399. BaRtOlOni-Pitzalis 2011.
sCheid 1979. BaRtOlOni-Pitzalis 2011, p. 138.
95
de maRinis 2001, p. 53.
96
BRun 1991, pp. 325-329; BRun 1992, pp. 189-192 e 196-201.
97
L’argomento è stato trattato per la prima volta in Casini 2000, con un ampio repertorio
93
94
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
129
Tra la metà del VI e il V secolo a.C. la gamma degli ornamenti golasecchiani, per la maggior parte femminili, diffusi su un vasto territorio
si amplia: oltre alle tipiche fibule a sanguisuga, anche fibbie di cintura in
bronzo, armille, collane d’ambra, corredi da toilette, pendagli di vario tipo,
anche se non tutti i casi sono riconducibili a episodi di mobilità.
Sepolture riferibili a donne golasecchiane sono la t. 13 di Sant’Ilario d’Enza98 (Reggio Emilia) della seconda metà del VI secolo a.C., dove
compaiono una cintura decorata a borchiette in bronzo che trova un confronto nella parure della tomba del tripode di Sesto Calende, e una fibbia di
tipo Golasecca var. B99; la tomba 10 del tumulo I di Wohlen-Hochbühl100,
con una serie numerosa di pendagli a secchiello a fondo arrotondato var. B
sempre databile alla seconda metà del VI sec. a.C.; la tomba 30 di Este-Capodaglio101 della seconda metà del V sec. a.C. (G. III A2), con una fibula a
sanguisuga di tipo tardo-alpino var. B; la tomba 57 della Certosa di Bologna
del V sec. a.C. (G. III A1-2), con un bicchiere a risega mediano tipo C1, già
attribuita a un probabile bambino, forse di origine golasecchiana102.
Una vera principessa era la donna golasecchiana sepolta nella t. 30
di Genova103 (fig. 7), della seconda metà del V secolo a.C. (G. III A2), con
un corredo da toilette tipo Rebbio in argento e oro (fig. 7:2), una fibula a
sanguisuga di tipo tardo-alpino var. B e una collana d’ambra con un pendaglio a stivaletto sempre in ambra (fig. 7:1 e 3); della stessa epoca è anche
la tomba di Route du Dun a Bourges (Cher), con tre pendagli a secchiello a
fondo profilato var. B (fig. 7:4) e un anello decorativo, associati a una situla
stamnoide e una Schnabelkanne, entrambe di importazione104.
La tomba 48 di St. Sulpice (Vaud), dei primi decenni del IV secolo a.C.
(G. III A3) si distingue per le preziose fibule, ricoperte di foglia d’oro e ornate
di perle di corallo, e annovera un pendaglio a secchiello a fondo profilato var.
C e una collana di perle d’ambra e di vetro, con confronti nel Canton Ticino,
che rendono assai probabile, come già proposto da G. Kaenel, l’attribuzione
della sepoltura a una giovane donna golasecchiana di rango105.
di ritrovamenti. Da allora il quadro si è precisato meglio, aggiungendo nuovi ritrovamenti e
distinguendo le imitazioni dalle produzioni certamente golasecchiane. La realizzazione di carte
di distribuzione secondo le scansioni cronologiche della cultura di Golasecca ha permesso di
acquisire nuovi dati per un quadro complessivo. Si veda anche Casini-Chaume 2014.
98
Sant’Ilario d’Enza 1989, tav. XXXIV.
99
de maRinis 2019, pp. 12-37 (tomba del Tripode); per le fibbie di cintura: Casini
1998, fig. 15:3.
100
kOlleR 1998, p. 143, Taf. 10:C.
101
TERžan 1977, p. 364, fig. 32:4.
102
sassatelli 1989, p. 64, fig. 16.
103
melli 2004, fig. 5, p. 342-347.
104
Willaume 1985, nn. 77-79 e 82.
105
kaenel 1990, pl. 41:11.
130
stefania Casini
La distribuzione degli ornamenti tra la metà del VI e la fine del IV
secolo a.C. (G. II B-LT B1) non è rimasta costante, ma subì delle variazioni quantitative e geografiche, influenzate dagli eventi storici: la diffusione
degli ornamenti femminili golasecchiani ha raggiunto il suo apice nel corso
della prima metà del V secolo a.C., è diminuita nella seconda metà del
secolo per interrompersi del tutto nel 388 a.C. con la discesa delle tribù
galliche nell’Italia settentrionale, che ha segnato la rottura degli equilibri
politico-economici dei periodi precedenti e quindi probabilmente anche
delle alleanze e delle strategie matrimoniali.
In conclusione, tutti questi elementi ci inducono a pensare che in particolare tra l’VIII e il VII secolo a.C. e poi nuovamente alla fine del VI e nel
V secolo a.C., vi sia stata una grande mobilità degli individui, soprattutto
femminili, che si trasferivano a vivere presso comunità straniere confinanti
con la cultura di Golasecca sulla base di strategie matrimoniali, volte a garantire la continuità delle relazioni commerciali tra comunità molto distanti,
non solo territorialmente, ma anche culturalmente.
Non tutti gli studiosi106 che hanno preso in considerazione gli ornamenti golasecchiani fuori dell’area di origine per sottolineare gli stretti rapporti
intrattenuti dalla cultura di Golasecca con i territori alpini sono concordi
nel ritenerli indizio di mobilità femminile. M. Schindler si chiede addirittura se sia possibile ritenere il gruppo definito dalla ceramica di Tamins e
quello dell’Oberwallis due facies della cultura di Golasecca, proprio per la
presenza dei bronzi golasecchiani107. Adam, invece, propone di considerare
le fibule nord-italiche una sorta di “passaporto”-lasciapassare per l’identificazione di coloro che transitavano spesso da un versante all’altro delle Alpi
per motivi commerciali108. Cicolani ritiene che le fibule golasecchiane nei
contesti a nord delle Alpi non debbano essere considerati indizi di mobilità
femminile, ma il risultato di doni nel quadro di relazioni diplomatiche tra
élites o l’esito di scambi commerciali109.
BOquet 1991, pp. 139-141; dunning 1991, p. 375; SchMidT-SikiMič 1991, pp. 393-398.
sChindleR 1998, pp. 262-263.
108
adam 1992, pp. 183-184.
109
CiCOlani 2017, p. 288.
106
107
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
131
Fig. 1 - Fibule a coste: 1) tipo Mörigen da Sesto Calende, Balzaretti t. I/1956 (da de maRinis
2001); 2) Ca’ Morta t. 302 (da de maRinis 2000); 3) da Rebbio (da Castelfranco 1878); 4)
Ca’ Morta t. 255 (da de maRinis 1988a) (bronzo; 1-3 rid. 1:2; 4 fuori scala).
132
stefania Casini
Fig. 2 - Ornamenti femminili dalla tomba 10 di Albate (Como): 1) frammenti di un pendaglio a catenelle tipo Albate; 2) placchette triangolari sbalzate con catenelle; 3) anello con
catenelle alle estremità delle quali vi erano gocce di vetro (rielab. da de maRinis 2017)
(bronzo, rid. 1:3).
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
133
Fig. 3 - Pendagli tipo Trezzo: 1) Trezzo d’Adda (da de Marinis 1974); 2) ricostruzione del
pendaglio della tomba Ca’ Morta t. 294 (da de maRinis, in Età del Ferro a Como) (bronzo,
rid. 1:2).
134
stefania Casini
Fig. 4 - Pendagli compositi: 1) a catenelle da Sesto Calende, Mulini Bellaria t. 4 (del tripode)
(da de maRinis 1988a); 2) Brembate Sotto scavi 1888 (foto S. Casini); 3) placchette con fori
di sospensione probabilmente appartenenti al pendaglio di Brembate Sotto (dis. S. Casini)
(bronzo, 2-3 rid. 1:2).
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
135
Fig. 5 - Elementi residui del pettorale di Plesio: placchetta semilunata decorata a sbalzo,
catenelle con pendagli a doppia spirale, ipotesi ricostruttiva delle spirali (dis. S. Casini;
bronzo, rid. 1:2).
136
stefania Casini
Fig. 6 - Spiedi: 1-2) Ca’ Morta t. 122 (da de maRinis 2000); 3) Grandate via dei Pradei t. 2
(da JORiO 2017) (ferro, rid. 1:3). Amuleti: 4) pendagli a lancetta da Introbio; 5) pendagli a
cavallino da Plesio; 6) pendagli a stivaletto da Plesio; 7) pendagli a stivaletto da Esino Lario;
8-10) pendagli a secchiello da Brembate Sotto; 11) pendaglio a secchiello da Esino Lario
(dis. S. Casini; bronzo, rid. 1:2).
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico dell’Italia settentrionale
137
Fig. 7 - Elementi di provenienza dalla cultura di Golasecca nella tomba 30 di Genova: 1)
collana in ambra; 2) corredo da toilette di tipo Rebbio in argento e oro; 3) pendaglio a stivaletto in ambra; 4) fibula di tipo tardo-alpino in bronzo; 5) terminazioni di staffe di fibule e
anelli ferma ago in bronzo; 6) disco di bronzo decorato a sbalzo (da melli 2004) (rid. 1:2).
138
stefania Casini
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lisa ROsselli*
INDICATORI SOCIALI IN CONTESTI FUNERARI FEMMINILI
TARDO-VILLANOVIANI IN ETRURIA SETTENTRIONALE:
IL CASO DI VOLTERRA
Parole chiave
Archeologia di genere
Volterra
Villanoviano
Sepolture femminili
Corredo funerario
Riassunto
Nell’ambito dello studio dei rapporti sociali nell’Italia preromana e in particolare dell’archeologia di genere, la ricostruzione del periodo più antico della civiltà etrusca, che affonda le sue radici
nella protostoria, si basa prevalentemente sull’analisi dei dati provenienti dalle sepolture, nelle
quali attraverso gli oggetti di corredo e i rituali funerari appaiono precocemente espressi simboli
e ideologie proprie di un gruppo sociale. Nel corso dell’avanzata prima età del Ferro (VIII secolo a.C.) si manifesta una prima esplicita differenziazione sociale all’interno delle comunità che
controllano vasti comprensori territoriali ed alcune tombe di questo periodo, pertinenti a ristretti
gruppi dominanti, iniziano a contenere materiali preziosi e in gran numero. All’interno di queste
élites, la figura femminile pare godere della ricchezza e dei privilegi maschili, come testimonia la
profusione di beni all’interno di alcune sepolture. In attesa di uno studio complessivo dei contesti
funerari femminili del periodo villanoviano e orientalizzante dell’area etrusco-settentrionale, si
presenta in questa sede il caso studio di Volterra, attraverso l’analisi di alcuni rilevanti contesti
funerari pertinenti a donne di rango. Si tratta di tre tombe ad incinerazione di struttura monumentale, due situate in posizione isolata nell’area di Badia e della località L’Ortino e una all’interno
della necropoli delle Ripaie. I pregiati materiali che accompagnavano le defunte, oltre ad indicare
lo status sociale elevato esibito mediante ricche parures di ornamenti personali, sottolineano
il ruolo centrale all’interno della famiglia e della comunità attraverso il controllo delle attività
domestiche, in particolare la tessitura, ma anche la partecipazione ad eventi cerimoniali come la
preparazione e il consumo dei cibi durante il banchetto.
Keywords
Gender archaeology
Volterra
Villanovan period
*
Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere - Università di Pisa.
146
lisa ROsselli
Female burials
Funerary equipment
Abstract
As regards the studies of social relations in pre-Roman Italy and gender archaeology, the
reconstruction of the most ancient period of the Etruscan culture, that goes back to the
protohistory, is mainly based on the analysis of the burials, where social groups precociously
expressed their symbols and ideologies, especially through funerary equipment and rituals.
During the late Iron Age (8th century BC) the first marked social differentiation was manifested
within the communities controlling wide territories and resources and some tombs of that
period, referring to small ruling groups, began to include a large number of precious items.
Within these élites women seemed to share the male wealth and privileges, as evidenced by the
amount of goods put in some rich female burials. While waiting for an overall study of female
Villanovan and Orientalizing funerary contexts in the northern Etruscan area, we present the
case study of some relevant tombs of Volterra, pertaining to women of high social rank. These
are three graves with monumental structure, two located in a prominent position near the
localities Badia and Ortino, and one situated in the necropolis of Ripaie. Many precious objects
placed together with the deceased ladies, specially rich parures of jewellery and personal
ornaments, demonstrate on sight their high social status. Furthermore, other valuable goods
emphasize the central role of the women within the family and the social group, indicating
the control of domestic activities, especially weaving, but also the partecipation in ceremonial
events such as the preparation and consumption of food in the banquet.
Negli studi relativi all’identificazione delle dinamiche sociali dell’Italia preromana in anni recenti si è assistito ad un rinnovato interesse nei
confronti dell’archeologia di genere, intesa come complesso di indagini
volte alla ricostruzione dei meccanismi che regolano i rapporti tra le diverse componenti umane all’interno delle comunità antiche1. Relativamente al
periodo protostorico, viste l’assenza di testimonianze letterarie2 e la scarsa
disponibilità di documentazione iconografica, un ruolo essenziale in questo
processo di analisi va attribuito alla cultura materiale, poiché rappresenta
l’insieme di strumenti attraverso i quali gli individui si relazionano gli uni
con gli altri e definiscono così, mediante differenti modalità di uso, le dinamiche e le trasformazioni della realtà sociale.
In questa prospettiva, i dati provenienti dalle necropoli rappresentano
una fonte di fondamentale valore per la ricostruzione delle norme sociali
vigenti all’interno di tali comunità: la preferenza per una determinata tipologia di sepoltura, gli oggetti di corredo e i rituali funebri forniscono il
minetti 2008, pp. 105-106, con bibliografia; Pitzalis 2011, pp. 15-16, con riferimenti.
Alcuni caratteri delle comunità medio-tirreniche dell’età del Ferro, almeno a livello
delle classi dominanti, si possono cogliere tuttavia nei versi omerici, nei quali sono riflesse
le istituzioni economiche e sociali dell’aristocrazia guerriera greca contemporanea: BaRtOlOni 2007, pp. 13-14; Pitzalis 2011, pp. 14-15, con ulteriori riferimenti.
1
2
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani in Etruria...
147
contesto più evidente, per quanto complesso e filtrato da scelte concettuali
spesso sfuggenti, nel quale l’individuo è rappresentato nella sua identità
sociale e nel quale si manifestano, attraverso un linguaggio simbolico, le
valenze ideologiche del gruppo di appartenenza3. Dall’osservazione della
composizione dei contesti funerari si ricavano dunque informazioni sulle
onoranze tributate ai defunti dalla comunità, sul ruolo rivestito in vita e
sulla posizione che veniva loro riconosciuta sia in ambito familiare che
all’interno del corpo sociale.
Nell’area geografica interessata dallo sviluppo della civiltà etrusca,
nell’avanzata prima età del Ferro, ossia nel corso dell’VIII secolo a.C., si
manifestano i segnali di un intenso dinamismo sociale e di una crescente
differenziazione all’interno delle comunità villanoviane, che portano all’affermazione di gruppi gentilizi che detengono ricchezza e potere, derivati
principalmente da fattori di natura economica, ossia dal controllo di vasti
comprensori territoriali e delle risorse disponibili. E all’interno di queste
élites, la figura femminile4 pare godere, all’interno della dimensione familiare, di pari dignità rispetto all’uomo, e dunque dei privilegi che in altre
società sono riservati esclusivamente all’ambito maschile, come traspare
dalla profusione di beni deposti a corredo delle sepolture.
Nel suo recente lavoro di analisi sistematica dei contesti funerari femminili dell’Etruria meridionale, dell’agro falisco e del Latium Vetus tra la
fine del Villanoviano e l’Orientalizzante antico, F. Pitzalis ha messo a fuoco, attraverso l’esame dei materiali di corredo intesi come indicatori di genere e di ruolo, gli aspetti significativi della condizione della donna nella
sua dimensione privata e pubblica all’interno delle comunità dell’Italia medio-tirrenica, evidenziando sia il ruolo di primo piano nella gestione delle
attività domestiche nell’ambito del legame familiare, sia il suo coinvolgimento nella sfera pubblica all’interno del gruppo sociale di appartenenza5.
Altri studi recenti, parimenti basati sull’analisi di contesti funerari, hanno
esaminato il ruolo della donna nelle comunità etrusco-padane tra VIII e VII
secolo a.C., in particolare a Bologna e a Verucchio6, mettendone in risalto la
centralità nell’organizzazione della sfera domestica, ma anche la funzione
attiva in alcuni ambiti produttivi, soprattutto a livello di artigianato tessile
e, in alcuni casi, di manifattura ceramica7.
3
BaRtOlOni 2000, p. 273; BaRtOlOni 2007, p. 13; Bettini 2008, p. 67; in generale su
questo aspetto, cfr. l’ampia bibliografia raccolta in BaRtOlOni-Pitzalis 2011, p. 137, nota 1.
4
Per un panorama degli studi sulla donna nell’antichità, con particolare riferimento
alla donna etrusca, cfr. i riferimenti bibliografici in Pitzalis 2011, p. 16 e note 28-35.
5
Pitzalis 2011; cfr. anche le considerazioni in Pitzalis 2016.
6
Significative a questo proposito le recenti mostre Verucchio 2007 e Castelfranco
Emilia 2015. Cfr. anche Bentini et alii 2015, pp. 67-71.
7
BaRtOlOni 2003, p. 129; kRuta POPPi 2015, p. 28; Pitzalis 2016, p. 66.
148
lisa ROsselli
Manca attualmente un analogo lavoro complessivo relativo al comparto etrusco-settentrionale, mentre alcuni studi di genere hanno preso in
considerazione le testimonianze di singoli territori: tra i più noti, un inquadramento dei contesti funerari femminili della più antica età del Ferro
di Populonia si deve alle ricerche di G. Bartoloni8. Per rimanere in questo
ambito e fornire un contributo al tema oggetto di questa giornata di studi, saranno presi in esame alcuni particolari contesti funerari di epoca tardo-villanoviana di Volterra che, anche in assenza di analisi sui residui ossei,
sono chiaramente riferibili a deposizioni femminili in base alla tipologia
degli oggetti di corredo. Si tratta in particolare di tre sepolture ad incinerazione, situate sui versanti nord-occidentale e meridionale del colle9 (tav.
XIII, a), che hanno restituito una consistente e preziosa quantità di elementi
strettamente connessi alla sfera degli indicatori di genere e di quelli legati
al rango e che consentono di formulare alcune riflessioni sul ruolo rivestito
da queste signore di elevato livello sociale, esponenti della nascente aristocrazia locale, e più in generale sulle valenze di identità collettiva espresse
dalla comunità volterrana dell’avanzata età del Ferro. Oltre che per la composizione dei corredi, questi complessi tombali si distinguono inoltre per
la monumentalità degli apparati costruttivi, nonché per la loro posizione di
spicco nel paesaggio funerario volterrano di questo periodo.
La prima evidenza, edita ancora in via preliminare, è rappresentata da
una tomba a cremazione entro dolio, di recentissimo rinvenimento (2015)
in località L’Ortino, sulla pendice meridionale del colle di Volterra10. La
sepoltura, datata nei primi anni della seconda metà dell’VIII secolo a.C.,
costituisce l’attestazione più antica e imponente di un piccolo nucleo sepolcrale utilizzato tra l’età tardo-villanoviana e la piena età orientalizzante.
Le ceneri della defunta erano racchiuse in un grande dolio di impasto rosso
sigillato da un coperchio ligneo, inserito in un pozzo di grandi dimensioni
e sostenuto da una triplice corona di pietre alternate a strati di sabbia (tav.
XIII, b). La custodia conteneva un ossuario ovoide di impasto bruno con
l’intera superficie ornata da un motivo inciso a meandro spezzato, al quale
sembra sia stato riservato il rito della vestizione con un lembo di tessuto11,
BaRtOlOni 1989; BaRtOlOni 2003, passim.
Nonostante il campione ristretto, queste evidenze emergono fortemente nel panorama funerario tardo-villanoviano di Volterra, così da poter attribuire alle defunte una indubbia posizione di rilievo all’interno della compagine umana stanziata sul colle in questo
periodo, a conferma dell’avvenuta affermazione di nuclei emergenti: a questo proposito cfr.
maggiani 2010, pp. 38-39.
10
sORge et alii 2016, pp. 281-282, figg. 99-102; G. Baldini in Baldini-sORge 2019a,
pp. 43, 45 e 51, fig. 9; Baldini-sORge 2019b, pp. 344-345, n. 242. Il complesso è tuttora in
corso di studio da parte di G. Baldini ed E. sORge.
11
Baldini-sORge 2019b, p. 344.
8
9
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani in Etruria...
149
a giudicare dal ritrovamento dentro al dolio, ma all’esterno del cinerario,
di due fibule e uno spillone di bronzo con terminazione a rotolo (tav. XIII,
c.3-4-5). Questa cerimonia, che inscena la rappresentazione simbolica del
defunto dopo la distruzione del corpo per l’azione del fuoco, è ben documentata tra IX e VIII secolo in area tirrenica e padana, a Verucchio, ma anche in area marchigiana12, applicata sia a sepolture femminili che maschili,
in un’ampia varietà di forme e modalità. A Volterra, per quanto i dati di
scavo consentono di ricostruire, tale pratica è adottata raramente, essendo
stata finora riconosciuta soltanto nella tomba Guerruccia 2, a cremazione
maschile entro dolio, di poco più antica della sepoltura dell’Ortino13. Il cinerario era stato adagiato su uno strato di terra di rogo, sistemato sul fondo
del dolio14. All’interno del vaso, insieme ai resti ossei, era inserito un corredo di ornamenti per la persona: due coppie di fibule in bronzo, una del tipo
a sanguisuga piena con arco decorato con fasci di linee parallele (tav. XIII,
c.6-7), simile ad un esemplare sporadico ad arco cavo proveniente dalla necropoli delle Ripaie15, l’altra della serie ad arco pieno ingrossato e ribassato,
decorato con incisioni longitudinali (tav. XIII, c.8-9), caratteristica soprattutto del distretto padano e veneto16 e meno frequente in area tirrenica, due
fermatrecce di filo semplice di bronzo (tav. XIII, c.11) e una rara armilla ad
arco trinato in bronzo (tav. XIII, c.10), che trova confronti stringenti sia in
ambiente etrusco-meridionale (Veio) che nel bolognese17.
Completava la dotazione della defunta una fuseruola di impasto di forma
lievemente biconica, con decorazione impressa a cordicella (tav. XIII, c.13)18,
un elemento estremamente ricorrente nei corredi femminili di questo periodo,
secondo un’usanza funeraria ampiamente condivisa dai centri villanoviani e,
più in generale, da gran parte delle comunità italiche dell’età del Ferro. Come
12
Ampia casistica del fenomeno nell’età del Ferro in Bentini et alii 2015, p. 62, con
riferimenti.
13
nasCimBene 2012, p. 131, periodo IIA (prima metà VIII secolo a.C.).
14
Per la presenza della terra di rogo nelle sepolture a cremazione di epoca villanoviana e orientalizzante di Volterra cfr. nasCimBene 2012, pp. 130-131, con confronti in area
etrusca e italica.
15
ROsselli 2009, p. 296, n. 22, fig. 10, con riferimenti.
16
P. vOn eles, Classificazione tipologica delle fibule, p. 24, tav. 29 (vicino al tipo 30),
in Atti Verucchio 2015 (DVD allegato al volume).
17
G. Baldini in Baldini-sORge 2019b, p. 345, n. 242.10. Un elemento bronzeo alterato
dal rogo di forma vagamente globulare (tav. XIII,c.12), raccolto all’interno del cinerario e
identificato ipoteticamente come una fibula a sanguisuga deformata, potrebbe anche essere interpretato come un pendente utilizzato come accessorio decorativo per l’abbigliamento, come
attestato in diversi corredi femminili bolognesi di VIII secolo a.C.; solo a titolo di esempio, cfr.
A. dORe in Castelfranco Emilia 2015, p. 35 e p. 36, n. 2 (dal sepolcreto Benacci).
18
Per il tipo e le principali attestazioni in ambito padano e centro-italico cfr. nasCimBene 2012, p. 40, tipo F.I.1.
150
lisa ROsselli
è noto, la fuseruola ha lo scopo di fungere da contrappeso posizionato alla
base del fuso per agevolare la rotazione del filo che si avvolge intorno all’asticella, spesso realizzata di legno e perciò non conservata all’interno delle
sepolture, dove resta soltanto l’oggetto in materiale non deperibile, come può
verosimilmente essere accaduto nel caso in esame.
Per la sua assidua presenza all’interno delle deposizioni femminili19 la
fuseruola è considerata un “indicatore minimo di genere”20, che accompagna
la donna nel suo ultimo viaggio e ne riproduce simbolicamente l’identità.
Che sia deposta singola o, meno frequentemente, in più esemplari, di forma variegata (globulare, troncoconica, biconica, liscia o con decorazioni
incise o impresse), fittile o in materiale pregiato, essa rappresenta dunque
all’interno dei corredi funerari il simbolo qualificante della donna nell’ambito dell’opposizione tra i sessi: le armi per gli uomini, le fuseruole e gli
altri strumenti per la filatura e tessitura per le donne, così da determinare
una separazione netta delle sfere di competenza21. Essendo quella di badare
all’oikos la principale prerogativa delle donne all’interno della dimensione
familiare, oltre ovviamente a generare e allevare i figli, gli strumenti relativi alle attività domestiche sono deposti in maniera sistematica tra i beni
che accompagnano le defunte, a prescindere dal rango: nel caso di figure di
livello sociale elevato, ciò che si differenzia non è il tipo, ma la varietà e la
ricercatezza degli strumenti deposti22. Tornando alla signora dell’Ortino, la
sua posizione di rilievo è evidenziata soprattutto dal sontuoso apprestamento funerario e dal pregio di alcuni ornamenti personali, mentre la dedizione
alle attività di ambito domestico in questo caso è indicata soltanto dalla
presenza dell’utensile più semplice ed ordinario.
All’avanzata seconda metà dell’VIII secolo appartiene anche la tomba
I della necropoli delle Ripaie23, anch’essa situata sul versante meridionale
di Volterra affacciato sulla val di Cecina. La sepoltura, a cremazione, era
posta nel settore orientale del sepolcreto in mezzo a tombe risalenti al secolo
19
Sulla presenza di fuseruole in contesti funerari maschili, interpretate come doni
muliebri al defunto cfr. BaRtOlOni 2003, p. 120.
20
Pitzalis 2011, p. 213; Pitzalis 2016, p. 64.
21
Questa concezione è presente già in Omero, nei cui poemi la pratica della filatura/
tessitura e le competenze ad essa connesse rappresentano una delle maggiori peculiarità delle donne, specialmente di alto rango: indicativi al proposito i passi dell’Iliade VI, 490-493,
nel quale Ettore apostrofa Andromaca: “ma tu torna alla casa e pensa ai tuoi lavori, al telaio
e alla conocchia, comanda alle serve di fare il loro lavoro, alla guerra penseranno gli uomini,
tutti quelli che sono nati a Troia, ed io soprattutto”, e dell’Odissea XXI, 350-353, dove Telemaco si rivolge alla madre Penelope: “Su, torna alle tue stanze e pensa all’opere tue, telaio
e fuso; e alle ancelle comanda di badare al lavoro; all’arco penseran gli uomini tutti, e io
sopra tutti; mio qui in casa è il comando”. Per l’analisi dei passi: BaRtOlOni 2007, pp. 19-21.
22
BaRtOlOni 2007, p. 19; BaRtOlOni 2008, p. 28.
23
Per l’analisi dettagliata del contesto cfr. maggiani 2009; ROsselli 2021, pp. 109-113.
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani in Etruria...
151
precedente (tav. XIII, d), verosimilmente per rimarcare il legame familiare
della defunta con gli incinerati delle generazioni più antiche. Vi era deposta
anche in questo caso una donna di rango elevato, sottolineato mediante la
deposizione nel corredo di un insieme di oggetti di particolare pregio (tav.
XIII, e), oltre che dalle dimensioni imponenti del dolio che custodiva le sue
spoglie, pari a circa un metro di altezza (fig. 1.1)24, di gran lunga superiori
a quelle degli altri vasi utilizzati a questo scopo nella necropoli. Il grande
dolio era stato inserito in un pozzo semplice, senza ulteriori apprestamenti,
mentre le ceneri della defunta erano racchiuse in un cinerario di impasto
nero con decorazioni a denti di lupo impressi a cordicella (fig. 1.2-2a), di
cui rimangono pochi frammenti a causa dello sconvolgimento subito dalla
sepoltura in occasione dello scavo.
La donna era provvista di un abbigliamento sontuoso e ricercato, il cui
accessorio di maggiore decoro consiste in un cinturone a losanga in lamina di bronzo, ridotto in frammenti, che presenta un’elegante decorazione
con tre dischi e altri motivi incisi e a sbalzo (fig. 1.3): spiace che non sia
stato rinvenuto nella sua posizione originaria, così da poter comprendere
se anche in questo caso fosse stata messa in atto la rappresentazione simbolica della defunta mediante la vestizione dell’ossuario con elementi tipici
del costume muliebre. L’oggetto, unica attestazione volterrana finora nota,
rientra nel gruppo Volterra di A. Maggiani, comprendente numerosi esemplari distribuiti tra l’Etruria e Bologna nell’avanzata seconda metà dell’VIII
secolo25. La deposizione era accompagnata inoltre da una articolata parure
di fibule di foggia e dimensioni differenti, presenti rigorosamente in coppia
secondo una tradizione ricorrente nelle sepolture femminili volterrane di
questo periodo. Per quanto non sia possibile attribuire in maniera inequivocabile i tipi delle fibule ad un determinato sesso, ma tutt’al più individuare
fogge preferite in relazione ad un certo abbigliamento26, la presenza reiterata dei medesimi tipi, spesso con medesime associazioni, in tombe maschili o femminili riflette, soprattutto in ambienti conservatori come quello
volterrano, un gusto di genere tendenzialmente certo e riconoscibile. Nella
tomba delle Ripaie sono dunque presenti tre coppie di grandi fibule a navicella con staffa poco allungata di tipo Sundwall F I β, ciascuna con una
diversa combinazione di motivi incisi e impressi sull’arco, che compren24
Date le cattive condizioni di rinvenimento dell’intera sepoltura, il dato è stato ricostruito sulla base della ricomposizione ed integrazione dei frammenti superstiti.
25
maggiani 2009, pp. 313, 321-323, fig. 6, c e p. 330, tav. IIIe, con attestazioni del
tipo in ambito etrusco.
26
BaRtOlOni 1989, pp. 40-41; BaRtOlOni 2003, p. 115. In effetti la questione non gode
ancora di punti fermi: in Etruria sono noti casi di sepolture singole maschili con associazioni
di fibule a navicella, a losanga e ad arco rivestito di ambra, oppure di fibule a drago in contesti femminili.
152
lisa ROsselli
Fig. 1 - T. Ripaie I: dolio, cinerario, cinturone di bronzo (dolio e cinerario: disegni dell’autore,
cinturone: da maggiani 2009).
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani in Etruria...
Fig. 2 - Fibule del corredo della t. Ripaie I (foto e disegni dell’autore).
153
154
lisa ROsselli
Fig. 3 - Elementi del corredo della t. Ripaie I (foto e disegni dell’autore).
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani in Etruria...
155
dono metope, file di cerchielli e sequenze a spina di pesce (fig. 2.4-9); ad
esse è associata un’altra coppia di fibule a sanguisuga di grandi dimensioni,
ma con arco rivestito da segmenti di osso con incastonature di ambra (fig.
2.10-11), tradizionalmente diffuse in contesti femminili di area bolognese e
di Verucchio, ma note anche in Etruria27, e presenti a Volterra anche in altri
contesti. Fanno parte di questo nucleo di monili anche una fibula ad arco rivestito da un unico vago di ambra, di cui resta solo la grande perla di forma
romboidale (fig. 2.12), tipo che ricorre ampiamente nelle regioni adriatiche
e del bolognese, dalle quali viene redistribuito nell’Etruria tirrenica tra la
seconda metà dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C., e una serie di fibule di bronzo di misura inferiore, anch’esse presenti in duplice esemplare,
che esibiscono ulteriori varietà di modelli: a navicella con arco inciso con
losanghe puntinate, a sanguisuga cava ad arco inciso con motivi a pannello, con arco ingrossato pieno decorato con profondi solchi trasversali
(fig. 2.13-18). Alcune sottilissime foglie d’oro decorate a sbalzo con cerchi
concentrici e motivi geometrici (fig. 3.20), fortemente frammentate e dunque difficilmente inquadrabili, potrebbero forse essere state utilizzate per
impreziosire una veste, secondo un uso attestato in contesti gentilizi tanto
in area tirrenica che padano-adriatica28. Ancora alla sfera degli ornamenti
personali può essere riferito un dente di squalo frammentato (fig. 3.22),
custidito verosimilmente come amuleto dalle proprietà apotropaiche e terapeutiche, virtù che l’oggetto condivide, nelle credenze degli antichi, con
l’ambra29.
Anche per la dama della tomba I delle Ripaie le prerogative di signora
della casa e delle attività tessili sono rappresentate da una fuseruola troncoconica di impasto, ornata con triangoli incisi e campiti da trattini obliqui
(fig. 3.23), e dall’asticella del fuso, se così si può intendere una sottile verghetta di bronzo a sezione ottagonale con estremità appena ingrossate, che
trova confronto con un tipo attestato nella necropoli Benacci di Bologna30,
mentre maggiori dubbi pone una seconda asticella di bronzo a sezione
27
Ad es. nella tomba II della necropoli di Banditella a Marsiliana d’Albegna: Cianfe2007, p. 99, fig. 4.
28
BaRtOlOni 2000, p. 275; CianfeROni 2007, p. 98, fig. 3, ancora dalla sontuosa tomba
II della necropoli di Banditella-Marsiliana; L. Bentini in Atti Verucchio 2015, p. 4, tipo 3
della “Classificazione tipologica degli elementi decorativi del costume” (DVD allegato al
volume), dalla necropoli Lippi di Verucchio. Diversa l’ipotesi di A. Maggiani, secondo cui
le laminette d’oro potrebbero essere appartenute al rivestimento di una fibula a disco: maggiani 2009, p. 311.
29
Per gli amuleti deposti nelle tombe cfr. le considerazioni di L. Pagnini in Cygielman-Pagnini 2006, p. 145. Per il valore e le proprietà dell’ambra cfr. Pitzalis 2011, p. 222;
cfr. anche il contributo di N. negROni CataCChiO e V. gallO in questi atti.
30
tOvOli 1989, p. 286, tipo 174, tav. 122.
ROni
156
lisa ROsselli
quadrangolare ed estremità superiore ingrossata, solo ipoteticamente interpretabile come un secondo fuso o parte di una conocchia (fig. 3.24-25)31. Se
fosse questa l’interpretazione corretta dei due utensili bronzei della tomba,
si tratterebbe allora di un caso, non molto frequente nei contesti villanoviani, di compresenza nel corredo funebre di entrambi gli strumenti necessari
per la filatura32, in versione metallica, a conferma della posizione di rilievo
della defunta.
Nonostante in letteratura archeologica il fuso e la conocchia siano stati
talvolta utilizzati come sinonimi, anche perché non sempre tipologicamente
distinguibili, essi rappresentano due oggetti diversi, complementari nelle
operazioni di trasformazione del nucleo di fibre in filo33: se il fuso è l’asticella lungo la quale viene avvolto il filo ottenuto dalla torsione delle fibre,
la conocchia è l’asta utilizzata per sostenere il batuffolo di lana grezza, lino
o canapa durante la filatura e può essere lunga da poche decine di centimetri fino ad oltre un metro. Questi utensili, legati all’uso quotidiano, erano
solitamente semplici e realizzati in legno e nel caso siano stati deposti nelle
sepolture difficilmente hanno lasciato traccia; quelli fabbricati in materiale
pregiato, soprattutto le conocchie, in bronzo o con inserti in osso, o gli
esemplari più preziosi in ambra e in pasta vitrea, talvolta prodotti di importazione, come - per restare in ambito etrusco - la fuseruola e la conocchia
della tomba orientalizzante II della necropoli di Banditella-Marsiliana (tav.
XIV, a)34, inseriti nel corredo funerario non dovevano richiamare tanto una
funzione pratica, ma rappresentavano oggetti cerimoniali allusivi all’importanza della defunta, simboli dell’autorità di colei che li possedeva35, paragonati in alcuni casi a veri e propri scettri.
Inoltre, la presenza nelle tombe di diverse combinazioni di strumenti
relativi alle fasi della lavorazione dei tessuti (solo fuso/fuseruola, fuso e
conocchia, altri utensili come rocchetti, pesi, aghi, forcelle o coltelli) ha
suggerito l’idea di una differenziazione delle mansioni di filatrice e tessitrice all’interno dei corredi, secondo una gerarchia di ruoli basata sull’età,
sui rapporti intrafamiliari oppure in base alla maggiore o minore laboriosità
maggiani 2009, p. 312, nota 5; ROsselli 2021, p. 112.
Rimanendo in ambito volterrano, anche nel successivo periodo orientalizzante la
stessa significativa associazione è probabilmente attestata nella tomba B, ad inumazione
femminile, della necropoli di Casa Nocera presso Casale Marittimo (metà del VII secolo
a.C.): A.M. esPOsitO in Cecina 1999, pp. 61-63 e 65.
33
Pitzalis 2011, pp. 211-212 (conocchia); pp. 212-214 (fuso).
34
CianfeROni 2007, p. 99; BaRtOlOni 2007, p. 18, fig. 2. Si tratta di una conocchia
con anima in ferro rivestita di pasta vitrea, ritenuta di produzione vicino-orientale, e di una
fuseruola dello stesso materiale, accompagnate da un coltellino in osso a completamento del
set per la produzione dei tessuti, datato alla metà del VII secolo a.C.
35
Pitzalis 2016, pp. 66-67.
31
32
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani in Etruria...
157
delle operazioni legate alla trasformazione delle fibre, per cui, almeno a
livello di gruppi gentilizi, quelle più delicate e creative erano appannaggio
delle donne più esperte e di rango più elevato36. Secondo alcuni studi, tale
distinzione delle attività sulla base dei dati restituiti dai contesti tombali
trova riscontro nella lettura iconografica di due reperti eccezionali come il
tintinnabulo della tomba degli Ori dall’Arsenale Militare di Bologna (tav.
XIV, b)37 e il trono ligneo della tomba Lippi 89 di Verucchio (tav. XIV, c),
in particolare il registro superiore dello schienale figurato38, veri manifesti
cerimoniali del mondo muliebre aristocratico, nei quali i lavori appaiono
svolti dalle donne in una sequenza spazio-temporale ben definita scandita secondo un crescente valore di prestigio sociale39, per cui le operazioni
preliminari potevano essere espletate anche da figure subalterne, mentre la
filatura e soprattutto la tessitura erano eseguite dalla domina.
Tornando alla tomba delle Ripaie, nell’accurata selezione del corredo
deposto nella tomba l’esibizione del rango gentilizio della defunta è affidata
anche alla presenza di due morsi equini in bronzo tipo Veio, con filetto snodabile formato da verghe ritorte e montanti a cavallino (fig. 4.26-27)40, deposti come pars pro toto con allusione al possesso di una coppia di cavalli
e dunque di un carro, un’usanza praticata anche nelle sepolture femminili41,
oltre che maschili, di area centro-italica fin dalla fine del IX secolo a.C., ma
che si diffonde maggiormente nel corso dell’VIII.
Il tipo di carro associato alla figura muliebre è solitamente il calesse
a due ruote, su cui i passeggeri viaggiavano seduti su sedili collocati sul
pianale. Oltre che elemento di alto valore economico e segno di prestigio, la
deposizione del carro nella tomba femminile42, o l’allusione al suo possesso
tramite la presenza di parti di esso, ricopre principalmente un forte valore
36
BaRtOlOni 1989, p. 42, con riferimenti; RallO 2000, p. 134; BaRtOlOni 2007, p. 19;
CianfeROni 2007, pp. 100-101. Sull’argomento cfr. anche le osservazioni in Pitzalis 2011,
pp. 218-219 e 258-259. Riserve rispetto ai parametri di questo assunto in vOn eles 2007, p.
82; minetti 2008, p. 107.
37
mORigi gOvi 1971; tORelli 1997, pp. 59-60; BaRtOlOni 2000, p. 274; Verucchio
2007, p. 184, n. 135.
38
tORelli 1997, pp. 57-62; per una diversa lettura delle scene del registro figurato,
non tutte connesse con la preparazione dei tessuti, cfr. A. BOiaRdi-P. vOn eles in vOn eles
2002, specialmente pp. 265-272.
39
tORelli 1997, p. 59.
40
vOn hase 1969, pp. 6-10, nn. 1-18 e 22-23; maggiani 2009, p. 312. A Volterra sono
attestati altri due esemplari del tipo: vOn hase 1969, p. 7, nn. 11-12, taf. 1, 11-12.
41
Sulla deposizione dei morsi nelle sepolture femminili come indicatori del possesso
del carro a due ruote cfr. BaRtOlOni-gROttanelli 1984, pp. 384-385; BaRtOlOni 2003, pp.
139-143; Pitzalis 2011, p. 245.
42
Per un repertorio dei carri nelle tombe femminili etrusco-laziali cfr. N. CameRin e A.
emiliOzzi in Viterbo 1997, pp. 311-335; cfr. anche minetti 2008, p. 112.
158
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Fig. 4 - Elementi metallici del corredo della t. Ripaie I (foto e disegni dell’autore).
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani in Etruria...
159
simbolico: il veicolo usato nella cerimonia nuziale per il trasferimento della
sposa dall’oikos paterno alla nuova dimora, primo fondamentale passaggio
rituale dell’esistenza della donna dalla condizione di fanciulla a quella di
adulta, è poi utilizzato, e talvolta lasciato nella tomba, in occasione dell’ultimo viaggio, che segna il passaggio estremo, quello dalla vita alla morte43.
Relativamente all’uso femminile del carro non è tuttavia da considerare soltanto l’aspetto cerimoniale: un uso reale e frequente del calesse nella
vita quotidiana è una circostanza verosimile per le donne di rango elevato,
il cui ruolo non doveva essere limitato alle sole mansioni all’interno delle
mura domestiche. Come ha sottolineato P. von Eles44, non si può escludere
infatti che esse esercitassero un ruolo attivo in alcune attività esterne alla
casa, connesse con la produzione di tessuti a livello più ampio, che coinvolgeva diversi aspetti, come il controllo degli allevamenti o le attività di
tosatura e preparazione della lana, motivi per cui potevano servirsi effettivamente di questo mezzo per i loro spostamenti.
Il possesso del carro da parte della signora delle Ripaie è ulteriormente confermato dall’inserimento nel corredo di quattro falere di lamina di
bronzo con piccolo umbone centrale (fig. 4.28-31), usate come elementi
decorativi della bardatura equina45, di un genere diffuso sia in Etruria che
in area padana (Bologna, Verucchio) nel Villanoviano evoluto. Ai medesimi finimenti potrebbero appartenere anche cinque pendenti romboidali di
bronzo lavorati a giorno con foro di sospensione (fig. 4.32-36), a meno di
non volerli attribuire all’ornamento di un recipiente in lamina di bronzo, se
così si vogliono interpretare alcuni malridotti frammenti con chiodi ribattuti46 (fig. 4.37), il cui pessimo stato di conservazione non ne permette tuttavia
una adeguata determinazione.
Ai decenni centrali della seconda metà dell’VIII secolo appartiene
pure il terzo contesto funerario volterrano qui preso in esame, la ben nota
tomba di Badia, scoperta sullo scorcio del 1885 in posizione isolata nelle
immediate vicinanze dell’edificio ecclesiastico (tav. XIV, d)47 ed entrata a
far parte delle collezioni del Museo Guarnacci nell’anno successivo48. La
BaRtOlOni 2003, p. 142; BaRtOlOni 2007, pp. 17-18; F. Pitzalis in BaRtOlO2011, pp. 141-142.
44
vOn eles 2007, p. 82; Bentini et alii 2015, p. 74.
45
BaRtOlOni-gROttanelli 1984, p. 385.
46
L’ipotesi è di maggiani 2009, p. 312, che vi riconosce i frammenti di un’ansa. Per
un possibile confronto del tipo cfr. tOvOli 1989, p. 253, tav. 114, n. 68.
47
La tomba è stata pubblicata per la prima volta da ghiRaRdini 1898, cc. 101-112. Cfr.
anche fiumi 1961, pp. 253-254; fiumi 1976, p. 36; maggiani 1997, p. 59; Cateni 1998, pp.
40-47; G. Cateni in Venezia 2000, pp. 540-541; nasCimBene 2012, p. 122.
48
Sulle circostanze del ritrovamento e sull’acquisto della tomba da parte del Museo
Guarnacci cfr. ROsselli 2005.
43
ni-Pitzalis
160
lisa ROsselli
sepoltura, anch’essa pertinente ad una figura femminile di alto rango49, consiste in un’imponente architettura di sei grandi lastre di pietra arenaria che
formano le pareti, il fondo e il coperchio di un cassone di 85 cm di lato e un
metro di altezza (tav. XIV, e). L’uso della sepoltura entro cista litica è caratteristico di Volterra e del suo territorio tra l’età tardo-villanoviana e le prime
fasi dell’Orientalizzante per deposizioni di entrambi i sessi e trova numerosi
confronti in area fiorentina, nelle necropoli bolognesi, venete e golasecchiane, mentre appare meno diffusa nell’Etruria meridionale50. Oltre al caso in
oggetto, una tomba analoga fu individuata sempre sul finire dell’Ottocento in
località S. Cipriano, a circa un chilometro di distanza dalla Badia, già violata
e mancante della lastra di copertura51. La stessa tipologia tombale, anche se di
dimensioni assai più modeste e con allestimento meno accurato, fu utilizzata
per due deposizioni ad incinerazione della vicina necropoli della Guerruccia,
la 3 e la 852: la prima, tra le più antiche del sepolcreto, risalente alla prima
metà dell’VIII sec. a.C., custodiva le spoglie di un individuo femminile subadulto, l’altra, del primo quarto del VII secolo, ospitava un dolio con le ceneri
di un maschio adulto dalla marcata connotazione militare. La piccola cassetta
costruita con spezzoni di pietra identificata come tomba V nella necropoli
delle Ripaie rappresenta un caso piuttosto problematico, poiché sul fondo
della struttura, già parzialmente distrutta, furono trovati soltanto residui di
una cremazione senza alcun elemento di corredo, il che rende impossibile
una chiara definizione tipologica e cronologica53. Tra le attestazioni presenti
nel territorio, gli esempi più noti sono costituiti dalle tombe a cassone A ed
E della necropoli di Casa Nocera a Casale Marittimo, più recenti di alcuni
decenni rispetto al complesso di Badia54.
All’interno del piccolo vano, come per le tombe precedenti, l’ossuario
con i resti combusti della defunta era inserito in una ulteriore custodia costituita da un grande dolio di impasto, ricostruito solo in parte a causa della forte frammentazione constatata già al momento del rinvenimento. Alla
semplicità del contenitore delle ceneri, un biconico liscio di impasto nero
con spalla molto pronunciata coperto da una ciotola a vasca carenata, fa ri-
49
Sulla base della composizione del corredo, mancando la determinazione antropologica dei resti ossei. Cateni 2006, p. 45 ipotizza invece una sepoltura bisoma.
50
nasCimBene 2012, pp. 131-132. Per le attestazioni nel territorio fiorentino cfr. da
ultimo CaPPuCCini 2019, pp. 8-10, con ulteriori considerazioni sulla diffusione del tipo in
area etrusco-settentrionale.
51
ghiRaRdini 1898, c. 102.
52
Tomba 3: ghiRaRdini 1898, cc. 137-140; maggiani 1997, p. 59; nasCimBene 2012,
pp. 78-79. Tomba 8: ghiRaRdini 1898, cc. 157-164; maggiani 1997, p. 59; nasCimBene 2012,
pp. 85-86.
53
ROsselli 2021, p. 127.
54
Cfr. da ultimo A.M. esPOsitO in Cecina 1999, pp. 31 e 39-56.
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani in Etruria...
161
scontro il prestigioso corredo di bronzi della defunta, formato sia da oggetti
di ornamento personale che da strumenti che ne connotano chiaramente l’alto
lignaggio. Tra gli indicatori di genere rientra il set di fibule, ancora una volta
differenti per foggia e dimensioni, per chiudere le vesti in punti e modi diversi, e ancora una volta deposte in coppie (tav. XIV, f.1). Le forme sono le stesse
attestate nella dotazione funebre della signora delle Ripaie: sei grandi fibule
a sanguisuga e navicella a staffa breve, con arco decorato a fasce e pannelli
incisi, due di simile fattura ma di dimensioni inferiori, con incisioni a bande
e a losanghe puntinate, e una coppia di fibule polimateriche con arco formato
da segmenti di osso intarsiati con ambra, del tipo già visto nella sepoltura
precedente. Ad esse si aggiungono altre due fibulette ancora ad arco rivestito
con osso e ambra, di dimensioni minori e fattura lievemente diversa.
Il collo della defunta doveva essere impreziosito da una collana, indiziata dalla presenza di quattro vaghi globulari di bronzo con foro passante
e due pendenti sferici con piccolo anello di sospensione (tav. XIV, f.2)55. A
Volterra simili monili composti da perle in metallo prezioso o in pasta vitrea
provengono anche dalle tombe a fossa femminili XII e XIII della Guerruccia, entrambe della prima età orientalizzante56. Del corredo facevano parte
anche alcuni frammenti di foglie d’oro decorate a sbalzo (tav. XIV, f.3),
con impronte di cerchi concentrici: forse utilizzate anche in questo caso per
ornare una veste, come farebbero pensare i forellini sui margini di alcuni
ritagli, esse potrebbero anche essere state applicate a laminette metalliche,
visti i residui di contatto con bronzo e ferro rimasti su alcuni lacerti, o aver
rivestito un cofanetto o suppellettili simili.
Solo dubitativamente si possono interpretare alcuni frammenti di spirali di filo di bronzo (tav. XIV, f.4) come dei lunghi fermatrecce utilizzati per
comporre una ricercata acconciatura, dal momento che la lunghezza delle
parti più conservate (7,5 cm) sembra effettivamente eccessiva per questo
tipo di accessori; d’altra parte, l’assenza di tracce di legno e la mancanza
di armi da getto impediscono di interpretare questi oggetti come spirali di
raccordo per congiungere le punte di lancia all’asta.
Compare nel corredo una conocchia in lamina di bronzo con terminazione troncoconica campanulata ed estremità lavorate a noduli (tav. XIV,
g.2)57, un tipo diffuso nel villanoviano avanzato oltre che in Etruria propria,
a Bologna, a Verucchio, in Veneto e nel Piceno. Per quanto l’interpretazione
55
A meno di non voler immaginare questi pendenti uniti a catenelle per la decorazione
di abiti o altri accessori.
56
nasCimBene 2012, rispettivamente p. 92 e p. 95.
57
Cateni 1998, p. 43; Pitzalis 2011, p. 190, nota 624. Per il tipo cfr. BaRtOlOni 1989,
p. 43; tOvOli 1989, p. 286, n. 173; Pitzalis 2011, p. 211; A. dORe in Castelfranco Emilia
2015, p. 46, n. 11.
162
lisa ROsselli
del tipo come conocchia non veda concordi tutti gli studiosi58, l’utensile, nella
sua pregiata variante metallica, rientra, come si è detto, nello strumentario per
la filatura e denota da parte della defunta la dedizione alle attività domestiche
e il controllo diretto della produzione dei tessuti all’interno dell’oikos. Anche
in questa sepoltura, la signora si dimostra proprietaria di un carro, a cui allude
un insolitamente singolo morso di cavallo con filetto snodabile senza montanti, se così possono essere interpretati alcuni frammenti deformati ed ossidati di verga di ferro con terminazione ad anello (tav. XIV, f.5). Potrebbero
avvalorare questa tesi alcune borchie piatte con rigonfiamento centrale (tav.
XIV, f.6), utilizzate come ornamento dei finimenti equini o del carro stesso.
Tra gli indicatori di ruolo presenti all’interno del corredo si annovera un
lungo spiedo di bronzo con terminazione a cruna, dalla quale pendono due
catenelle (tav. XIV, g.1), un oggetto di alto valore simbolico e di distinzione
sociale, indizio del consumo delle carni e della partecipazione al banchetto59,
che la donna non si limitava a preparare, in quanto custode del focolare domestico e del cibo, ma al quale, a differenza di altre culture, poteva prendere
parte di diritto come momento unificante della vita familiare, legato ad aspetti
cerimoniali condivisi; motivo per il quale non sono infrequenti nei corredi
femminili di area etrusco-laziale anche coltelli, asce e altri utensili connessi al
taglio e alla spartizione della carne. Mentre nell’Etruria tirrenica la deposizione dello spiedo è attestata in un numero maggiore di casi nei corredi maschili,
nelle necropoli bolognesi ricorre di solito nei contesti femminili.
Infine, emerge per rilevanza tra gli oggetti deposti all’interno del dolio
una fiaschetta circolare in bronzo laminato (tav. XIV, g.3), decorata a sbalzo
con fasce circolari concentriche campite da punti e denti di lupo, appartenente ad una classe di produzione etrusco-meridionale del Villanoviano recente60
ispirata a modelli vicino-orientali e forse connessa con il consumo del vino.
Pur non essendo l’unica attestazione volterrana del tipo61, essa costituisce un
caso rarissimo di associazione ad una deposizione femminile, ripetuto nella
straordinaria tomba ad incinerazione 6 delle Arcatelle a Tarquinia-Monterozzi62, nella quale questo recipiente compare associato ad una conocchia “ad
ombrellino” di medesima fattura di quella di Badia, oltre che a strumenti di
indiscutibile prestigio sociale della defunta, come il coltello e la doppia ascia.
58
Sulla definizione non sempre certa di questo tipo di oggetto come conocchia o fuso,
soprattutto nel caso di sepolture a cremazione, cfr. Pitzalis 2011, p. 212. Per l’interpretazione dell’oggetto come fuso cfr. vOn eles 2007, p. 81, nota 24.
59
Pitzalis 2011, pp. 242-243; A. dORe in Castelfranco Emilia 2015, pp. 36-37, con
riferimenti.
60
Per il tipo cfr. maRzOli 1989, p. 36, n. 16; Cateni 1998, p. 26; iaia 2005, pp. 251-264.
61
BOnamiCi 2014, p. 93, note 27 e 33, con riferimenti.
62
henCken 1968, pp.191-194; Pitzalis 2011, pp. 93-94, scheda 140, con bibliografia
precedente; BaRtOlOni-Pitzalis 2011, p. 146; Pitzalis 2016, p. 68.
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani in Etruria...
163
L’individuo femminile deposto nella tomba di Badia rientra dunque
tra le figure eminenti della comunità volterrana dell’avanzata età del Ferro,
onorata con una profusione di beni di pregio che richiamano quelli di altri
personaggi di spicco come il guerriero di Poggio alle Croci, vissuto nello
stesso periodo e destinatario nella sua dimora sepolcrale di beni di estremo
valore, materiale e simbolico, tra i quali risaltano armi e manufatti di produzione tarquiniese o veiente, in virtù dei quali è stata ipotizzata una sua
origine etrusco-meridionale. Per il tipo di sepoltura e la composizione del
corredo non è anzi da escludere la medesima provenienza anche per la raffinata signora di Badia, in un momento, che è stato ben delineato da numerosi
studi63, di forte mobilità di figure o nuclei emergenti dai centri propulsori
dell’Etruria meridionale verso i distretti più settentrionali.
Altre sepolture volterrane del Villanoviano maturo pertinenti a individui femminili sia alle Ripaie (tomba S1, a cremazione64) che alla Guerruccia (tombe XXIV, a inumazione, 4 e 5 a cremazione65), pur non mostrando
la stessa quantità e varietà di beni di corredo dei casi appena presentati,
confermano tuttavia la pari rappresentatività nelle sepolture rispetto alla
componente maschile, di cui viene esaltato soprattutto il ruolo militare.
Per concludere, durante l’VIII secolo, quando alcuni clan familiari di
area medio-tirrenica, contraddistintisi grazie all’accumulo di risorse e dei
proventi del loro sfruttamento, cominciano ad ostentare il loro potere, uomini
e donne, pur nella distinzione dei ruoli e attraverso parametri differenti, sono
sepolti con le medesime forme rituali e manifestano nella rappresentazione funeraria l’importanza rivestita in seno alla comunità. E dunque, in linea
con le coeve sepolture di queste nascenti aristocrazie, le tombe dei membri
femminili dell’élite volterrana esibiscono preziosi indicatori del loro livello
sociale e di determinate prerogative che in altre culture appartengono generalmente alla sfera maschile, testimoniando così la partecipazione e il pieno
inserimento nelle cifre ideologiche dei gruppi emergenti.
A questo proposito, ad un ultimo aspetto vale la pena di fare cenno
per ribadire il ruolo centrale della figura femminile nelle più antiche comunità etrusche: il precoce coinvolgimento nell’acquisizione e nella pratica della scrittura. Studi ormai consolidati hanno accertato come le donne
abbiano avuto un ruolo fondamentale nella trasmissione dell’uso scrittorio in Etruria, testimoniato da numerosi rinvenimenti nelle loro tombe, già
nell’avanzato VIII secolo a.C., di oggetti legati all’artigianato tessile come
rocchetti, fuseruole o recipienti contrassegnati con segni alfabetici66. Se
Cateni 1998, pp. 30-33; CamPOReale 2009, pp. 72-73; BOnamiCi 2014, pp. 93-94.
ROsselli 2021, pp. 106-108.
65
nasCimBene 2012, pp. 79-83 e pp. 98-99, tavv. VI, VIIa, XV.
66
RallO 2000, pp. 131-134; BaRtOlOni 2003, p. 120; vOn eles 2007, p. 78, con
63
64
164
lisa ROsselli
dunque con l’apparire della scrittura compaiono iscrizioni su alcuni oggetti
di esclusivo uso muliebre, si può verosimilmente ipotizzare che le donne,
almeno quelle di livello più elevato, avessero accesso alla loro comprensione e fossero anch’esse in grado di realizzarle.
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simOna minOzzi*
DATI BIOARCHEOLOGICI DA NECROPOLI LIGURI APUANE
Introduzione
Nella Toscana settentrionale, nell’area compresa tra Lunigiana, alta Versilia e Garfagnana, sono molte le attestazioni riferibili alla presenza dei Liguri
Apuani, una delle tribù Liguri che abitavano il vasto territorio compreso tra
l’Arno e la Provenza, e tra il Mar Ligure e il Po, durante l’Età del Ferro1.
La presenza degli Apuani è testimoniata soprattutto da piccole necropoli o da tombe sporadiche, spesso rinvenute in modo fortuito in passato, e
con scarsa documentazione archeologica che testimoniano la loro diffusione sui rilievi apuani a partire dal V secolo a.C. fino al II a.C. e anche negli
anni successivi alla conquista romana2.
Queste popolazioni, accomunate all’etnia Ligure da elementi ricorrenti nella produzione ceramica e metallurgica e nelle pratiche di culto, erano
organizzate in piccoli insediamenti sparsi, spesso fortificati (castellari) e
con abitazioni in legno, arroccati sui crinali in posizione elevata a controllo
del territorio e delle vie di comunicazione. Non conosciamo molto della
loro organizzazione sociale ed economica, perché scarsamente citati nelle
fonti storiche antiche, se non in relazione alla loro ferrea resistenza all’espansione romana nell’Italia settentrionale. Floro (I,19,4-5; ca.75-145 d.C.)
riporta: “Quanto ai Liguri che vivevano aggrappati ai piedi della catena
delle Alpi tra i fiumi Vara e Magro e racchiusi tra boscaglie selvatiche, era
maggiore la fatica di trovarli che quella di sconfiggerli”3. Sebbene le battaglie tra Apuani e Romani si fossero concluse con la deportazione di gran
parte della popolazione nell’Italia meridionale (180-179 a.C.) e con la fondazione della colonia romana di Luna4, alcuni insediamenti dell’entroterra
*
Divisione di Paleopatologia Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove
Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa.
de maRinis 2004 p. 198.
maggiani 2004 p. 369 ss.
3
maRas 2007 p. 25.
4
maggiani 2004 p.369 ss.
1
2
168
simOna minOzzi
rimasero in essere durante la romanizzazione, come quelli di Genicciola5 e
di Filattiera6.
L’economia apuana era basata sulla pastorizia, la caccia, una rudimentale agricoltura montana e sul commercio. L’importanza del controllo delle
vie commerciali trova un riscontro anche sul mare, dove alla foce del fiume
Magra, la necropoli di Cafaggio ad Ameglia testimonia la presenza di un
importante approdo ed uno dei nodi di interscambio tra le popolazioni che
vivevano lungo la costa (dove il trasporto marittimo raggiungeva le terre
greche ed etrusche), i centri padani e l’Europa centrale7.
La presenza e la diffusione dei Liguri Apuani è soprattutto segnalata
da piccole necropoli di tombe a cassetta litica, mentre degli abitati restano
solo sporadiche tracce, pertanto la maggior parte delle informazioni sono
desunte dalle sepolture e dai loro corredi. Il rituale funebre è quello della
cremazione, caratteristico di tutta l’etnia Ligure, rituale funerario che si diffonde in Italia tra la media e la fine dell’Età del Bronzo (XV-X sec. a.C.) e
permane presso molti popoli per tutta l’Età del Ferro (IX-III sec. a.C.), fino
all’età romana imperiale (II sec. d.C).
I Liguri cremavano i defunti su pire di legna, talvolta assieme a corredi
o animali, e dopo la combustione i resti venivano posti in un’urna fittile coperta da un coperchio, in genere costituito da una ciotola capovolta. Le urne
venivano poste in una cassetta in pietra accompagnate dal corredo funebre,
costituito da oggetti di ornamento, armi e recipienti da mensa. I corredi che
accompagnavano le sepolture maschili comprendevano armi di ferro (lancia,
spada ed elmo) ritualmente piegate e rese inutilizzabili, sottolineando l’importanza della funzione guerriera nella società ligure. L’attività battagliera
e il temperamento bellicoso degli apuani non è solo testimoniato dalle armi
rinvenute a corredo dei defunti, ma anche dalle fonti storiche che li vede
protagonisti di strenue battaglie contro Romani ed Etruschi8. Tito Livio (59
a.C. - 17 d.C.) nella sua Storia di Roma scrive: “…I Liguri, forte stirpe di
guerrieri…(XXVII.48,9). I Liguri erano nemici per così dire nati apposta
a mantener viva la disciplina militare dei Romani…Un nemico armato alla
leggera, veloce e mobile, che non permetteva in nessun luogo di trovare un
momento di tranquillità o una posizione sicura…” (XXXIX. 1,1)9.
Le sepolture femminili erano invece accompagnate da accessori e ornamenti come collane, bracciali, spiralette, cinture e anelli, talvolta la fuseruola simbolo dell’attività domestica della filatura. Elementi ornamentali o
5
CamPana et Al. 2012 p. 42 s.
PaRiBeni 2004 p. 378 ss.
7
duRante 1982 p. 25 ss.
8
maggiani 2007 p. 65 ss.
9
CasaBuRO 2007 p. 61 ss.
6
Dati bioarcheologici da necropoli Liguri Apuane
169
facenti parte del vestiario, come le fibule, sono spesso stati rinvenuti all’interno del cinerario, con i segni della combustione.
In alcuni casi, come nella necropoli di Cafaggio ad Ameglia, le tombe erano raggruppate in recinti che probabilmente riflettevano la struttura
sociale e familiare della comunità10. In altri casi erano coperte da tumuli e
segnalate da cippi o segnacoli, come nella necropoli di Genicciola11.
A fronte di numerosi e sparsi insediamenti nell’area apuana, manca
una visione d’insieme di ciò che potesse essere la vita di queste popolazioni ma soprattutto manca una caratterizzazione fisica e demografica degli
abitanti. Pertanto, l’unica fonte biologica di conoscenza è rappresentata dai
resti scheletrici umani rinvenuti all’interno delle urne cinerarie e che, anche
se profondamente distorti e frammentati dalla combustione, hanno rivelato
un’elevata valenza informativa.
Nel 2012, grazie al progetto “Antiche Genti Apuane” finanziato dalla
Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara e dalla Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, è stata avviata una ricognizione delle evidenze
archeologiche e osteologiche relative a siti del territorio apuano. Partendo
dalle testimonianze storiche e bibliografiche relative a insediamenti sepolcrali Liguri Apuani sono state condotte ricerche presso la Soprintendenza per i
Beni Archeologici della Toscana e presso i diversi Musei e depositi in cui si
presupponeva potessero essere conservati i resti scheletrici umani provenienti
da tombe apuane. In questo modo sono stati individuati i resti combusti di
oltre un centinaio di sepolture che sono stati sottoposti a studio antropologico.
Materiali e metodi
I siti indagati e il numero di urne oggetto di studio sono elencati nella
tav. XV assieme alla localizzazione. I dati raccolti ed i risultati ottenuti sono
stati archiviati in un database realizzato allo scopo.
La maggior parte dei siti è caratterizzata da tombe sporadiche e scarsamente numerose, pertanto i dati raccolti sono stati riuniti assieme per
l’elaborazione e l’interpretazione dei risultati.
Lo studio dei resti combusti è stato effettuato attraverso l’identificazione dei frammenti, la loro suddivisione nei principali distretti anatomici,
e la determinazione del loro peso, al fine di valutarne la rappresentatività
all’interno del cinerario. Ciò consente di individuare il numero di soggetti
presenti all’interno dell’urna e di determinare se tutte le parti del corpo
sono rappresentate e in quale proporzione. La determinazione del sesso è
10
11
duRante 1982, 1985, 2004.
POdestà 1879 pp. 295 ss.
170
simOna minOzzi
stata principalmente effettuata in base alle dimensioni e allo spessore dei
frammenti cranici e della corticale delle diafisi. In alcuni casi è stato possibile valutare alcune caratteristiche morfologiche sessualmente dimorfiche
che hanno permesso di applicare i medesimi criteri seguiti per le inumazioni12.. Quando possibile, la diagnosi antropologica, effettuata “al buio”
senza conoscere la tipologia di corredo, è stata integrata dalle informazioni
archeologiche relative al sesso, a posteriori. La stima dell’età alla morte nei
subadulti è stata basata sull’evoluzione di denti e scheletro durante l’accrescimento (eruzione dentaria e stadio di saldatura tra epifisi e diafisi)13. Per
gli adulti, è stato valutato il grado di fusione delle suture craniche14 e l’eventuale presenza di alterazioni degenerative del tessuto osseo legate all’età,
come artrosi e rarefazione del tessuto spugnoso.
Risultati e discussione
I siti indagati coprono un arco cronologico che va dal IV al I secolo
a.C. in piena romanizzazione, benché si tratti di un periodo piuttosto ampio e caratterizzato da importanti cambianti socio-economici, in tutte le
necropoli l’identità culturale e l’appartenenza all’etnia Ligure non sembra
variare nelle tipologie cultuali. Per questo motivo e per la scarsità di sepolture rimaste integre nella maggior parte degli insediamenti, i dati raccolti
sono stati raggruppati assieme per consentire la valutazione di un campione
sufficientemente consistente.
Complessivamente sono state esaminate 111 urne nelle quali sono stati
identificati 126 individui, appartenenti ad entrambi i sessi e a tutte le fasce di
età. Nove urne possono essere considerate bisome, in quanto i resti ossei di
entrambi gli individui sono ben rappresentati, in genere si tratta di un adulto
con un bambino, ma non mancano casi di commistioni tra due adulti, come
nel caso della tomba di Resceto o a Genicciola, in cui erano deposti nel cinerario un uomo e una donna adulti. In un solo caso, nella necropoli di Genicciola sono stati rinvenuti tre individui nella medesima urna: un uomo ed una
donna adulti, assieme ad un bambino15. In undici cinerari sono stati rinvenuti
resti sporadici di un secondo individuo, ma in assenza di un microscavo stratigrafico durante lo svuotamento delle urne, non è stato possibile stabilire se
si tratti di raccolta involontaria da resti precedentemente cremati nel medesimo ustrinum, oppure se si tratti di una commistione volontaria e rituale.
feRemBaCh et Al. 1980 pp. 517 ss., minOzzi, CanCi 2015 pp. 199 ss.
alqahtani et Al. pp. 481 ss., Scheuer, Black 2000.
14
meindl, lOveJOy pp. 57 ss.
15
minOzzi, saCCò c.s.
12
13
171
Dati bioarcheologici da necropoli Liguri Apuane
Nella tabella 1 è riportato il profilo demografico dell’intero campione, mentre in figura 2 è mostrata la distribuzione percentuale dell’età alla
morte.
classi di età
maschi
femmine
n.d.
totali
infantile (0-2)
0
1
2
3
% (n=119)
2,5
infantile 1 (3-6)
3
4
7
14
11,8
infantile 2 (7-12)
0
0
3
3
2,5
adolescente (13-19)
7
5
0
12
10,1
giovane adulto (20-29)
19
19
1
39
32,8
adulto (30-39)
15
16
0
31
26,1
maturo (40-49)
6
6
1
13
10,9
senile (>50)
0
4
0
4
3,4
adulto n.d.*
1
5
1
7
totali
51
60
15
126
46%
54%
% M:F
<13 anni
20 = 15,9%
<19 anni
32 = 25,4%
Tab.1 - Profilo demografico del campione apuano
Fig. 2 - Distribuzione percentuale dell’età di morte della popolazione apuana in fasce di età.
172
simOna minOzzi
La distribuzione dell’età alla morte indica che la maggior parte del
campione è rappresentata da individui tra 20-29 anni seguita da 30-39,
mentre le fasce in età più avanzata sono meno presenti. Un quarto della
popolazione (25,4%) è morto prima di raggiungere l’età adulta e tra questi
il 38,5% è costituito da pre-adolescenti (15,9% della popolazione). Interessante osservare che tre soggetti infantili hanno un’età inferiore ai due anni
e quindi in probabile fase di allattamento. Molto poco rappresentata è la
classe di età tra 7 e 12 anni.
Il confronto tra i due sessi nella distribuzione dell’età è presentato in
figura 3, dove non compaiono i soggetti infantili in quanto solo in pochi
casi è stato possibile determinare il sesso. Il grafico mostra una maggiore
frequenza di uomini nelle fasce di età più giovani, rispetto alle donne, che
invece sono le uniche ad essere rappresentate nella fascia superiore ai 50
anni. Tenendo in considerazione il fatto che non sembrano esserci selezioni
o discriminazioni in base a sesso ed età all’accesso al rituale funebre, la
distribuzione osservata nel grafico appare anomala rispetto a quanto generalmente osservato nelle popolazioni antiche. Infatti, in passato, la mortalità
femminile nelle fasce di età giovanili era decisamente più elevata di quella
maschile a causa di complicazioni legate a gravidanza e parto, mentre qui
osserviamo il contrario.
Ciò può essere essenzialmente dovuto a due fattori: una maggiore
mortalità maschile in giovane età o una minore vulnerabilità femminile alle
complicanze e alle infezioni da parto. Nel primo caso, è probabile che la
maggiore mortalità giovanile sia legata a fattori estrinseci più che ad una
fragilità di genere, come una maggiore esposizione a pericoli sia per attività
lavorativa o bellica. Nel secondo caso, non ci sono elementi per poter evidenziare una particolare resistenza alle complicazioni legate alla gestazione
o al parto, sebbene le fonti storiche descrivano le donne liguri come tenaci
e resistenti partorienti: “E dicono che anche questo sia singolare fra loro,
che le donne partoriscano mentre lavorano e dopo aver lavato il bambino
con dell’acqua, subito scavino e zappino e si occupino delle altre cose che
avrebbero dovuto fare anche se non avessero partorito”16.
Per quanto riguarda la distribuzione tra i due sessi nel campione complessivo, come si evince dalla tabella 1, la presenza femminile è leggermente più elevata di quella maschile (rispettivamente 54% e 46%) ma la proporzione non si discosta molto da un campione naturale. La determinazione
del sesso è stata effettuata integrando il risultato dello studio antropologico
con la tipologia di corredo rinvenuto nella tomba o nell’urna stessa. Nella
maggior parte dei casi il dato archeologico ha confermato la diagnosi antropologica: su 67 individui in cui il confronto è stato possibile, le diagnosi
16
Ps.-Arist., de mir. Ausc. 90-91 (837b) in maRas 2007.
Dati bioarcheologici da necropoli Liguri Apuane
173
corrette sono state 59 (88,1%), confermando la validità dei criteri di valutazione applicati.
Fig. 3 - Confronto tra i due sessi nella distribuzione dell’età.
È possibile che la maggiore presenza femminile sia dovuta ad una
lieve distorsione delle attribuzioni su base archeologica, infatti nei resti infantili non è possibile determinare il sesso su base antropologica e solo in 8
su 20 è stato possibile farlo in base alla tipologia di corredo, di questi 8, 5
sono femminili. Questo perché il corredo ornamentale femminile è spesso
contenuto all’interno dell’urna, permettendo l’attribuzione del sesso, mentre il corredo maschile è in genere all’esterno e nel caso di cassette con più
di un cinerario, l’attribuzione è risultata talvolta impossibile.
In ogni caso, non sembrano esserci differenze tra i due sessi nel rituale
funebre e nella sepoltura, se non legate alla tipologia di corredo che resta sesso-specifico, armi per gli uomini e oggetti ornamentali e fuseruola per le donne. Fibule e vasi accessori in ceramica sono comuni ad entrambi i sessi. La
ricchezza del corredo potrebbe essere invece legata al ruolo socio-economico
del defunto, anche se non mancano esempi in cui altre ipotesi possono essere prese in considerazione, come nel caso della sepoltura di Vagli (200-180
a.C.)17, in cui una sorprendentemente ricca quantità di oggetti ornamentali
accompagnava le spoglie di una giovane adolescente, tra 12 e 14 anni di età18.
17
18
CiamPOltRini, nOtini 2011.
minOzzi 2011.
174
simOna minOzzi
Nella cassetta litica e nell’urna vennero rinvenuti due armille in bronzo, una
coppia di spiralette in argento, quattro anelli in bronzo e uno in argento (tav.
XVI), una novantina di vaghi d’ambra, pertinenti ad almeno 4 o 5 collane,
10 fibule in bronzo e una in argento, un’ottantina di borchie in bronzo pertinenti ad almeno 4 o 5 cinture, e una fuseruola in steatite. Oltre al cinerario,
costituito da olla ovoide a fasce rosse con coppa coperchio a vernice nera, era
presente anche il corredo vascolare rappresentato da poculo e kylix a vernice
nera. Un corredo ornamentale così straordinario non ha confronti nel mondo
ligure e probabilmente è riferibile alla dotazione dell’intera componente femminile della famiglia a cui apparteneva la fanciulla. Questo, se da una parte ha
indotto a interpretare un lascito dei beni di fronte all’abbandono delle proprie
terre conseguente alla conquista romana19, dall’altro evidenzia l’attenzione e
la valenza attribuite a una donna anche se ancora immatura.
Del resto, nelle sepolture apuane non mancano esempi di ricchi corredi
ornamentali in dotazione alle donne di qualsiasi età. Ad esempio a Levigliani,
la sepoltura di una donna di 25-35 anni (T.1967/2)20 era accompagnata da tre
fibule in bronzo, una collana con 33 vaghi di ambra, due anelli in bronzo,
18 borchie di cintura e una fusaiola in steatite21. Ma i corredi più ricchi sono
indubbiamente quelli di Ameglia, l’insediamento più antico (IV-III sec. a.C.),
dove i contatti ad ampio raggio con l’Etruria e l’area golasecchiana consentivano l’arrivo di pregiate oreficerie, come la coppia di orecchini in lamina con
decorazioni a filo d’oro rinvenuti nella tomba 40 appartenente ad una donna
adulta o quella rinvenuta nella tomba 7 sempre in oro, assieme a numerosi
altri oggetti ornamentali, come alcune fibule, anello in argento, spiralette, armilla in bronzo, collana e cintura, oltre al corredo potorio e a due fusaiole;
in quest’ultimo caso il corredo è pertinente ad almeno due donne e un adolescente, infatti all’interno della cassetta erano presenti tre urne22.
In conclusione, i dati provenienti dallo studio antropologico dei resti
umani combusti delineano un quadro piuttosto omogeneo nella rappresentatività degli individui per sesso e per età nella popolazione apuana, evidenziando un accesso paritario al rituale funebre e al corredo, a partire fin dalla
più tenera età, e senza discriminazioni tra i due sessi. Per quanto riguarda la
figura femminile il ritratto che ne esce è concorde con quanto già affermato
da Ciampoltrini23: “dure compagne di guerrieri, come dichiarano le fonti
letterarie, ma attente all’immagine e agli indicatori di status”.
Ringraziamenti
19
CiamPOltRini, nOtini, 2011.
minOzzi et Al. 2015.
21
maggiani 1995.
22
duRante 2004.
23
CiamPOltRini 2019, p.5.
20
Dati bioarcheologici da necropoli Liguri Apuane
175
Vorrei ringraziare la Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara che ha
finanziato le ricerche e tutti coloro che hanno consentito l’accesso ai materiali: Dott.ssa Anna Maria Durante già Soprintendenza Archeologica della Liguria, Dott.ssa Emanuela Paribeni già Soprintendenza Archeologica
della Toscana, Dott. Giulio Ciampoltrini già Soprintendenza Archeologica
della Toscana, Dott. Roberto Macellari Museo Civico di Reggio Emilia,
Dott.ssa Daniela Locatelli Museo Archeologico di Parma, Dott. Antonio
Bartelletti Parco Regionale delle Alpi Apuane, Dott.ssa Donatella Alessi
Museo Archeologico di La Spezia.
BiBliOgRafia
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e IX.
Scheuer L. - Black S., Developmental Juvenile Osteology, London 2000.
TAVOLE A COLORI
Tavole a colori
179
Tav. I (Grifoni) - n. 1 La triplice sepoltura della Barma Grande (foto Museo Preistorico
dei Balzi Rossi, Ventimiglia); n. 2 Venere di Laussel; n. 4 Venere di Lespugue (da leROi
gOuRhan 1965); n. 3 Grotta delle Veneri di Parabita (foto R. Galluzzi, Università di Pisa);
n. 5 Levante spagnolo: la raccolta del miele (da BeltRàn 1980); nn. 6, 7 Cogul, Levante
spagnolo (foto Prisma Activa); n. 8 La sepoltura di Teviec (foto D. Descouens); n. 9 La
Venere di Çatal Hüyük (da mellaaRt 1967); n. 10 Statuina neolitica da Vucedol; n. 11 la
danza delle dee serpente (Cucuteni) (da GIMBUTAS 1974); nn. 12-13 Statuine neolitiche
dalla caverna delle Arene Candide (foto Museo Archeologico del Finale); n. 14 Statuina
neolitica sarda (da mORavetti et al 2017).
180
Tavole a colori
Tav. II (Grifoni) - nn. 1, 2 Immagini femminili neolitiche sarde (da mORavetti et al 2017); nn.
3, 4, 5 Immagini femminili della cultura di Serra d’Alto da grotte pugliesi: n. 3 Grotta dei Cervi
di Porto Badisco (foto IIPP); n. 4 Grotta Pacelli, n. 5 Cala Scizzo (da geniOla 1979); n. 6 Il
complesso a cremazione di Grotta Continenza (foto U. Irti); n. 7 La sepoltura di Vicofertile,
n. 9 La statuina ivi deposta (foto Museo Archeologico Nazionale, Parma); n. 8 La sepoltura
della donna col cane, da Ripoli, Abruzzo (Foto Soprintendenza Archeologia dell’Abruzzo).
Tavole a colori
181
Tav. III (Serradimigni-Colombo) - a, talloni di aquila da Krapina (Croazia) (da Radovčić et
2015); b, conchiglia (Pecten) con tracce di ocra da Cueva Antòn in Spagna (da zilhaO et
al 2010); c, d, e, sepoltura della Dama del Caviglione con la ricostruzione 3D dello scheletro
(c), la raffigurazione del cadavere (d) e il particolare della testa (e) (Balzi Rossi-Liguria)
(da de lumley et al 2015); f, impronte in negativo con pigmento rosso e nero dalla Grotta
di Gargas (Pirenei meridionali-Francia) (da fOuCheR et al 2007); g, incisioni antropomorfe
dalla Grotta dell’Addaura (Palermo) (foto del calco conservato presso l’allora Dipartimento
di Scienze Archeologiche-Università di Pisa).
al
182
Tavole a colori
Tav. IV (Serradimigni-Colombo) - a, ciottolo-percussore con incisa la Venere di Tolentino
(Macerata) (da massi et al 1997); b, testa in avorio della Venere di Brassenpouy (Francia)
(da vialOu 1997); c, Venere di Willendorf con copricapo (Austria) (da vialOu 1997); d,
Venere di Lespugue con gonnellino posteriore (Francia) (da vialOu 1997); e, Venere del Gaban (Trento), attribuita al Neolitico antico (da PedROtti 2009); f, statuine e ricostruzioni del
loro vestiario da Vinča (Serbia) (foto degli Autori presso Museo Archeologico di Zagabria,
pannelli mostra 2007); g, Fat Ladies dell’Isola di Malta con larghe gonne anche colorate (da
BOnannO 2002).
Tavole a colori
183
Tav. V (Colombo-Chiarenza) - Particolari delle collane rappresentate sulle statue stele lunigianesi. 1-2: Pontevecchio VII; 3-4: Treschietto; 5-6: Betolleto; 7-8: Venelia III; 9-10: Sorano
II; 11-12: Sorano I; 13-14: Filetto X; 15-16: Filetto III; 17-18: Malgrate IV. (Scale diverse).
184
Tavole a colori
Tav. VI (Colombo-Chiarenza) - Particolari dei cerchielli rappresentati sulle statue stele lunigianesi. 1-2: Pontevecchio VIII; 3-4: Pontevecchio I; 5-6: Pontevecchio IV; 7-8: Pontevecchio V;
9-10: Venelia III; 11-12: Sorano II; 13-14: Filetto XI; 15-16: Venelia V; 17-18: Caprio; 19-20:
Filetto V; 21-22: Venelia I; 23-24: Filetto VIII; 25-26: Sarzana (o Boceda). (Scale diverse).
Tavole a colori
185
Tav. VII (Tosatti) - a. La giovane donna di Egtved (Danimarca): immagine della sepoltura in
tronco di quercia, si notano la maglia e la gonnella in lana, cintura con placca in bronzo con
decorazione solare (Photo: Roberto Fortuna, with kind permission of the National Museum of
Denmark, da Frei et Al. 2015). b. la giovane di Egtved (Danimarca): ricostruzione dell’immagine
(https://www.solahistorielag.no/ragedronninga/). c. Spilloni in bronzo dalle terramare di Montale
(CR 3), Casinalbo (FO 12), Rastellino (CE 106), Gorzano (MA 5) e Gazzade (CR 4) (h max
20,5 cm), Bronzo Medio e Recente. Modena, Museo Civico Archeologico Etnologico. Da SisTeMoNet http://www.sistemonet.it/sistemonet/viewArchaeology-action.do?id=2959&tab=image&imageId=1122¤tPage=1&popup=yes. d. Montale ricostruzione grafica del villaggio
terramaricolo. https://www.slideshare.net/laboratoridalbasso/ldb-30-19062014-cardarelli-il-parco-openair-di-montale-dalla-ricerca-alla. e. Montale ricostruzione grafica del villaggio terramaricolo; dal Parco archeologico e Museo all’aperto della TERRAMARA di Montale – Comune di
Modena. f. Statuina di donna offerente ritrovata a Cantaru Addes, Bonorva (SS). Fronte e retro
(Alba 2014, p. 382) da ALBA E., Bronzi a figura femminile, in A. MORAVETTI, E. ALBA, L.
FODDAI (eds.), La Sardegna nuragica. Storia e materiali, Sassari 2014, pp. 381-391. g. Madre
dell’ucciso da Urzulei (NU) http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_26_20060401123630.
pdf fig. 60. h. Statuina di madre con bambino – dal Complesso nuragico di Santa Vittoria Serri
(CA), ora Museo Archeologico di Cagliari. Da Istoria de Pedra - https://www.facebook.com/
santavittoriaserri/photos/a.988340467965157/1961510230648171. i. Statuina di donna con
vaso Olbia- complesso nuragico di Riu Mulinu a Cabu Abbas; Museo Archeologico Nazionale di Cagliari – Da Istoria de Pedra - https://www.facebook.com/1978572555803256/photos
/a.1980695018924343/2529298824063957/. l. Cesto miniaturistico dal Complesso nuragico di
Santa Vittoria Serri (CA). Da Donna o Dea p. 166.
186
Tavole a colori
Tav. VIII (Tosatti) - a. Mappa dei siti dell’età del Bronzo tra Massa e Lucca. b. Il paramento
di Cima La Foce (LU), da Ciampoltrini 2015 p. 15 fig. 9. c. Ricostruzione ipotetica
dell’impiego del paramento di Cima La Foce come capo di abbigliamento. Da Ciampoltrini
2015 p. 19 fig. 14. d. Pariana (MS): armille del ripostiglio di bronzi (da collezione privata).
e. Armilla a nastro tipo Zerba, cultura di Golasecca, da SIRBeC scheda RARL - 1m06002958.
Tavole a colori
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Tav. IX (Negroni Catacchio-Gallo) - A. Necropoli di Campo Pianelli a Bismantova, urna e
corredo della tomba XXXI (da MIARI 2007, p. 77); B. Pombia, ornamenti dalla tomba 2/1993
(da GAMBARI 2017, p. 326); C. Esempi di manufatti in ambra da Verucchio: a sinistra un
pettorale dalla tomba 3/1970 del sepolcreto Le Pegge (da ORSINI 2010, p. 179) e a destra una
conocchia composita dalla tomba 3/1972 della necropoli Lippi (da NAVA-SALERNO 2007,
p. 139).
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Tavole a colori
Tav. X (Negroni Catacchio-Gallo) - A. Pendaglio-pettorale dalla tomba della Regina di Sirolo
(da LANDOLFI 2007, p. 175); B. Gruppo di vaghi e pendagli che dovevano essere cuciti
sull’abito della defunta della tomba 201 di Calatia (da BORRIELLO 2007, p. 201); C.
Manufatti in ambra dalla tomba 83 di Latronico (da BIANCO 2007b, p. 238).
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Tav. XI (Casini) - Pendagli compositi: 1) Brembate Sotto scavi 1888 (dis. R.C. de Marinis);
2) Giubiasco t. 305 (da Giubiasco III); Cerinasca t. 109 (© Museo Nazionale Svizzero, inv.
A-12454) (bronzo, rid. 1:2).
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Tavole a colori
a.
b.
Tav. XII (Casini) - a. Distribuzione delle fibule a grandi coste dell’VIII e VII secolo a.C. al
di fuori della cultura di Golasecca: (●) tipo Mörigen; (■) tipo Castelletto Ticino; (stella) tipo
Ca’ Morta. b. Distribuzione delle fibule della cultura di Golasecca al di fuori dei suoi confini
tra la fine del VI e i primi del IV secolo a.C.
Tavole a colori
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Tav. XIII (Rosselli) - a. Ubicazione delle tombe volterrane analizzate nel testo; b. Dolio della
tomba in località L’Ortino in corso di scavo (da Sorge et alii 2016); c. Corredo della tomba in
località L’Ortino (da Baldini-Sorge 2019b); d. Ubicazione della t. I nella necropoli delle Ripaie
(disegno L. Giustarini); e. Corredo della t. Ripaie I nel Museo Guarnacci (foto dell’autore).
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Tavole a colori
Tav. XIV (Rosselli) - a. Fuseruola e conocchia in pasta vitrea dalla t. II di Banditella-Marsiliana
(da Bartoloni 2007); b. Tintinnabulo di bronzo dalla t. degli Ori, necropoli dell’Arsenale
Militare-Bologna (da Torelli 1997); c. Trono ligneo dalla t. 89, necropoli Lippi di Verucchio
(da Torelli 1997); d. Localizzazione della t. di Badia (rielaborato da Rosselli 2005); e. Struttura
a cassone della t. di Badia con dolio e cinerario (da Cateni 1998); f. Corredo della t. di Badia
nel Museo Guarnacci (foto Museo Guarnacci); g. Spiedo, conocchia e fiasca di bronzo del
corredo della t. di Badia (da Cateni 1998).
Tavole a colori
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Tav. XV (Minozzi) - Distribuzione del campione apuano.
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Tavole a colori
Tav. XVI (Minozzi) - Alcuni elementi di corredo della “fanciulla di Vagli”: gruppo di vaghi in
ambra (A), fibula d’argento (B), anello “a sella” in argento (C) (da CiamPOltRini e nOtini 2011,
CiamPOltRini 2019).
INDICE GENERALE
indiCe geneRale
PRemessa
pag.
5
Renata gRifOni CRemOnesi
La donna nella più antica preistoria e suoi possibili stati sociali:
teorie e dati rilevabili da arte, sepolture, abitati
pag.
9
maRCO seRRadimigni, maRta COlOmBO
Abbigliamento e parures femminili nella Preistoria più antica
pag.
27
maRta COlOmBO, neva ChiaRenza
La donna nell’età dei metalli: le statue stele femminili
in Lunigiana
pag.
43
anna maRia tOsatti
La donna dell’età del Bronzo nell’Italia centro settentrionale.
Spunti e riflessioni
pag.
61
nuCCia negROni CataCChiO, veROniCa gallO
Ornamenti in ambra come indicatori di prestigio nel mondo
femminile protostorico
pag.
91
stefania Casini
Alcuni aspetti della figura femminile di ambiente celtico
dell’Italia settentrionale
pag. 111
lisa ROsselli
Indicatori sociali in contesti funerari femminili tardo-villanoviani
in Etruria settentrionale: il caso di Volterra
pag. 145
simOna minOzzi
Dati bioarcheologici da necropoli Liguri Apuane
pag. 167
tavOle a COlORi
pag. 177
Finito di stampare nel mese di luglio 2021
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