Tesserae iuris
IV.1 (2023)
Tesserae iuris
IV.1 (2023)
La pubblicazione della presente rivista è stata resa possibile grazie al contributo del Dipartimento di Giurisprudenza, Studi politici e internazionali dell’Università di Parma, del
Dipartimento di Scienze giuridiche, del linguaggio, dell’interpretazione e della traduzione
dell’Università degli Studi di Trieste, del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università
del Piemonte Orientale, del Dipartimento di Diritto privato e Storia del diritto dell’Università Statale di Milano, del Dipartimento di Economia, Società, Politica dell’Università degli
Studi di Urbino Carlo Bo, del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari e
del Dipartimento di Diritto, Economia e Culture dell’Università dell’Insubria.
Tesserae iuris
ISSN 2724-2013
Periodico scientifico
S.S.D. IUS/18 “Diritto romano e diritti dell’antichità”
Realizzazione editoriale
Oltrepagina s.r.l., Verona
Direttore Responsabile
Salvatore Puliatti (Univ. di Parma)
Comitato di Direzione
Ulrico Agnati (Univ. di Urbino Carlo Bo)
Fabio Botta (Univ. di Cagliari)
Chiara Buzzacchi (Univ. di Milano Bicocca)
Iole Fargnoli (Univ. Statale di Milano)
Paolo Ferretti (Univ. di Trieste)
Paolo Garbarino (Univ. del Piemonte Orientale)
Luigi Garofalo (Univ. di Padova)
Renzo Lambertini (Univ. di Modena e Reggio Emilia)
Maria Antonietta Ligios (Univ. del Piemonte Orientale)
Dario Mantovani (Collège de France)
Luigi Pellecchi (Univ. di Pavia)
Salvatore Puliatti (Univ. di Parma)
Andrea Trisciuoglio (Univ. di Torino)
Comitato Scientifico
Francesco Arcaria (Univ. di Catania)
Martin Avenarius (Univ. di Colonia)
Anna Bellodi Ansaloni (Univ. di Bologna)
Thomas van Bochove (Univ. di Groninga)
Pietro Cerami † (Univ. di Palermo)
Giovanna Coppola (Univ. di Messina)
Francisco Cuena Boy (Univ. Cantabria Santander)
Rosario De Castro Romero (Univ. di Siviglia)
Lucio De Giovanni (Univ. Federico II di Napoli)
Lucetta Desanti (Univ. di Ferrara)
Antonio Fernández de Buján (Univ. Autónoma de Madrid)
Federico Fernández de Buján (Univ. UNED Madrid)
Thomas Finkenauer (Univ. di Tubinga)
Margarita Fuenteseca (Univ. di Vigo)
Lorenzo Gagliardi (Univ. Statale di Milano)
Fausto Goria (Univ. di Torino)
Peter Groeschler (Univ. di Magonza)
Olivier Huck (Univ. di Strasburgo)
David Kremer (Univ. di Paris-Descartes)
Paola Lambrini (Univ. di Padova)
Sergio Lazzarini (Univ. dell’Insubria)
Andrea Lovato (Univ. A. Moro di Bari)
Lauretta Maganzani (Univ. Cattolica di Milano)
Arrigo Diego Manfredini (Univ. di Ferrara)
Francesco Milazzo (Univ. di Catania)
Paul Mitchell (UCL London)
Maria Luisa Navarra (Univ. di Perugia)
Malina Novkirishka (Univ. di Sofia)
Antonio Palma † (Univ. Federico II di Napoli)
Stefania Pietrini (Univ. di Siena)
Isabella Piro (Univ. Magna Grecia di Catanzaro)
Roberto Scevola (Univ. di Padova)
Martin Schermaier (Univ. di Bonn)
Silvia Schiavo (Univ. di Ferrara)
Francesco Sitzia (Univ. di Cagliari)
Daniil Tuzov (Univ. Vysšaja Škola Ekonomiki, San Pietroburgo)
Comitato di Redazione
Federico Battaglia (Univ. di Milano Bicocca)
Diane Baudoin (Univ. Panthéon-Assas di Parigi)
Grzegorz J. Blicharz (Univ. Jagellonica di Cracovia)
Alessia Carrera (Univ. di Torino)
Alice Cherchi (Univ. di Cagliari)
Federica De Iuliis (Univ. di Parma)
Marina Evangelisti (Univ. di Modena e Reggio Emilia)
Monica Ferrari (Univ. di Milano Bicocca)
Veronica Forlani (Univ. di Modena e Reggio Emilia)
Luca Ingallina (Univ. di Milano Bicocca)
Sabrina Lo Iacono (Univ. Statale di Milano)
David Magalhães (Univ. di Coimbra)
Giorgia Maragno (Univ. di Trieste)
Jorge Menabrito Paz (Univ. UNAM di Città del Messico)
Ana Mohino Manrique (Univ. UNED Madrid)
Eleonora Nicosia (Univ. di Catania)
Alberto Rinaudo (Univ. di Torino)
Andrea Sanguinetti (Univ. di Modena e Reggio Emilia)
Enrico Sciandrello (Univ. di Torino)
Marios Tantalos (Univ. di Atene)
Marcello Valente (Univ. del Piemonte Orientale)
Francesca Zanetti (Univ. di Parma)
Finalità e declaratoria del periodico
Tesserae iuris (ISSN 2724-2013) è un periodico di carattere scientifico dedicato al settore del Diritto romano e delle discipline a esso affini, con riferimento in particolare al s.s.d. IUS/18 “Diritto
romano e diritti dell’antichità”. Il periodico viene pubblicato due volte l’anno, in forma cartacea,
e contemporaneamente viene reso consultabile online attraverso la propria copia elettronica integrale, in modalità open access e senza restrizioni né periodo di “embargo”, mediante una licenza
Creative Commons (CC-by 4.0) e secondo le migliori pratiche scientifiche correnti. Il periodico
intende seguire, sino dalla sua creazione, tutte le pratiche di eccellenza e di rigore scientifico, etico
ed editoriale che ne permettano successivamente la possibile valutazione positiva per l’inserimento in fascia “A” ai fini dei criteri per la Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) e l’indicizzazione integrale nei più diffusi e autorevoli database scientifici online.
Processo di referaggio
Il processo di referaggio per gli articoli proposti a Tesserae iuris viene svolto con la modalità del
referaggio fra pari a doppio cieco (double-blind peer review), grazie alla collaborazione di referee
scientifici esterni, e viene seguito in ogni sua fase dal Direttore responsabile e dai Comitati di Direzione e di Redazione. Gli articoli ricevuti vengono resi anonimi a cura dei Redattori del periodico
prima dell’inizio del processo di referaggio e sia le identità degli autori degli articoli proposti sia
quelle dei referee individuati risultano vicendevolmente celate lungo l’intero iter di valutazione.
Codice etico e selezione dei contenuti
La Direzione e i Comitati del periodico promulgano e rendono pubblica, con cadenza annuale,
una Call for papers per il numero seguente del periodico stesso, dandone la massima diffusione
all’interno della comunità scientifica. La selezione dei contenuti si basa esclusivamente su criteri di valore scientifico e intellettuale degli articoli proposti, senza alcun riferimento all’identità
dell’autore, alla sua origine, ai suoi orientamenti politici o religiosi. Gli articoli proposti devono
essere pienamente originali e la Direzione e i Comitati del periodico si attivano, per quanto è loro
possibile, al fine di individuare e segnalare qualsiasi caso di plagio, sia parziale sia totale. Ogni
singolo autore accetta, al momento della proposta, la propria piena responsabilità in termini di
paternità e in termini legali del contenuto e dell’originalità dell’articolo proposto, sollevandone in
toto i Comitati del periodico e il Direttore responsabile.
Tematiche e caratteristiche degli articoli pubblicati
Il periodico Tesserae iuris seleziona articoli riguardanti in particolare il Diritto romano (s.s.d.
IUS/18 “Diritto romano e diritti dell’antichità”) e le discipline ad esso affini, potendo queste ultime rientrare di volta in volta in diverse aree scientifiche fra cui: Area 10 “Scienze dell’antichità,
filologico-letterarie e storico-artistiche”; Area 11 “Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche, psicologiche”; Area 12 “Scienze giuridiche” (cfr. D.M. 855/2015). All’occasione, il periodico può
programmare numeri monografici fuori serie, anche al di là della periodicità annuale dei numeri
istituzionali. Il periodico possiede un proprio “Foglio di stile”, che viene reso pubblico mediante
il sito web dedicato e le varie Call for papers.
Partizioni interne
La rivista è divisa in sezioni: una prima destinata ai saggi; una seconda, Periscopio, raccoglie brevi
interventi scientifici di contenuto vario; una terza, Sul tavolo, propone brevi segnalazioni di pubblicazioni recenti; gli scritti per questa sezione non sono corredati di note. Una quarta sezione, A
proposito di, è destinata a recensioni “con titolo”. Infine, la quinta e ultima sezione, Sullo scaffale,
segnala anno per anno le pubblicazioni romanistiche, quelle relative ai diritti dell’antichità e al
diritto bizantino e, in genere, quelle che possono interessare gli studiosi di Diritto romano. Per
facilitare la ricerca bibliografica la sezione ha un’impostazione sistematica entro la quale sono distribuiti i vari titoli.
Tesserae iuris, IV.1 (2023)
issn 2724-2013
Nuove riflessioni in materia di concubinato
nell’esperienza romana
Francesca Lamberti
Università del Salento
Abstract: The essay examines some profiles of the roman concubinage, from the
archaic period to the dominate. A particular focus is dedicated to the social esteem of
the ‘concubinae’ in the middle and late Republic and to the shifts of the legal institute
in the Principate. The author verifies some current assumptions about the possibility
of concubinage with ‘mulieres ingenuae’ in the late Principate, through the analysis of
the legal innovations in the late antiquity about acknowledgement of the illegittimate
sons (and about the connected ‘de facto’ marriages).
Keywords: concubinage, family law, Augustus’ marriage laws, women “in quas
stuprum non committitur”, acknowledgement of the illegittimate sons.
1.
Il concubinato nell’esperienza giuridica romana è tema che ha conosciuto, a
partire dalla seconda metà del Novecento1, una intensa riflessione soprattutto
ad opera degli storici non giuristi2 . Una rinnovata attenzione al fenomeno da
parte dei romanisti si registra nell’ultimo decennio, non a caso a ridosso delle
innovazioni normative nel nostro diritto positivo: mi riferisco in particolare
alla legge n. 219 del 2012 e al d. lgs. n. 154 del 2013 che, modificando l’art. 74
c.c., hanno introdotto una nuova nozione di parentela, rendendo la filiazione,
e non più il matrimonio, il presupposto costitutivo del ‘gruppo’ familiare; e
soprattutto alla legge n. 76 del 2016, seguita dal d. lgs. n. 5 del 2017, provvedimenti che riconoscono finalmente, nel nostro ordinamento, le unioni civili
1 Si segnalano in ogni caso, sin dalla fine dell’Ottocento, importanti contributi in materia:
Meyer, Der römische, passim; Costa, Il concubinato, 233-243; Plassard, Le concubinat,
passim; Castello, In tema, passim.
2 Si menzionino in questa sede, in modo non esaustivo, i contributi di Rawson, Roman
Concubinage, 279-305; Treggiari, Concubinae, 59-81; Thomas, Concubinatus, 230-236;
McGinn, Concubinage, 335-375; Friedl, Der Konkubinat, passim; Fayer, La ‘ familia’ romana 3, 1-54.
133
Francesca Lamberti
tra persone dello stesso sesso e le convivenze3. Copiosa letteratura giuridica sul
punto è presente anche in Spagna, specialmente a seguito del riconoscimento
delle “uniones de hecho” e del matrimonio omosessuale, previsioni risalenti al
2004 e ascrivibili al primo anno di legislazione del governo socialista di José
Luis Rodriguez4.
Gli studi, sia storici che giuridici, della fine del secolo scorso e del nuovo
millennio, hanno evidenziato la presenza di numerose possibili declinazioni
delle unioni ‘alternative al matrimonio’ nell’esperienza romana, con variabilità
di terminologia e possibili scollamenti rispetto allo stato del diritto, e ovviamente diverse zone d’ombra in riferimento ai temi del ‘concubinato’ e delle
‘unioni di fatto’ nell’antichità5. Svariate riflessioni (anche di segno innovativo)
sono emerse nella letteratura degli ultimi decenni, anche per via delle nuove
prospettive delineatesi nella ricerca romanistica a partire dagli anni ‘80 in
poi: la più matura attenzione al discorso dei giuristi, alla controversialità delle
opinioni, alle ragioni delle varianti casistiche, in connessione anche con una
attenta valutazione cronologica degli interventi giurisprudenziali, e dei singoli
contesti di operatività di ciascun giurista6; la più intensa riflessione sui profili
3 Sulle disposizioni di legge si vd. per tutti i contributi raccolti in Blasi - Campione - Figone - Mecenate - Oberto, La nuova regolamentazione, passim, e in Unioni civili, passim;
più recentemente Patti, Regolamentazione, passim. Quanto alla produzione romanistica si
vd. part. Cristaldi, Unioni non matrimoniali, 143-200; con attenzione al fenomeno, dal
punto di vista giuridico, nella tarda repubblica e nel principato, Lamberti, Convivenze, 1-20;
rilevanti in materia anche i lavori di Coppola, La famiglia di fatto, 197-241 e Pezzato,
L’‘amor’, 172-202. Per quanto attiene alla figura della paelex (su cui infra) la letteratura è poi
sterminata: si rinvia, fra i lavori più recenti, a McGinn, Concubinage, 344; Peppe, Paelex,
343-359; Giunti, Adulterio, 141-155; De Bernardi, In margine, 71-89; Albanese, Questioni, 43-57; Tramunto, Paelex, 179-186; Laurendi, Leges regiae, 83-122; Sanna, Dalla
paelex, 173-190; Arces, La ‘pelex’, 207-224; Sirks, Paelex, 241-253; Arces, Il regime, 1-22;
Brescia, La paelex, 91-120; e soprattutto al vasto lavoro di Zuccotti, Paelex, passim.
4 Castán Pérez Gomez, El concubinato 1459-1478; Ghirardi, Regulación juridica
(online); Arévalo Caballero, Notas, 77-86; Parra Martin, Mujer y concubinato, 239248; Fernández de Buján, Reflexiones, 29-44; Panero Oria, El concubinato romano,
92-125; Robles Velasco, Ritos, 303-318; Muñoz Catalán, El origen, passim; da ultimo,
García Cantero, Parejas de hecho, 322-379.
5 Si vd. part., fra i lavori più recenti, le valutazioni del fenomeno – in chiave storico-evolutiva – di Cristaldi, Unioni non matrimoniali, 144-200; Lamberti, Convivenze e unioni
di fatto, 1-20; Coppola, La famiglia di fatto, 197-241. Una densa panoramica storica, con
attenta valutazione del dato epigrafico, è in Friedl, Der Konkubinat, passim.
6 Impossibile citare l’immensa mole di letteratura sul punto. Si v., per tutti Bretone, Tecniche, passim; i contributi raccolti in ‘Ius controversum’, passim; Schiavone, Ius, passim; Capogrossi Colognesi, La costruzione, passim; i volumi del progetto SIR (Scriptores Iuris Romani), accessibili al link: http://www.scriptores-iuris-romani.eu/it/content/pubblicazioni.
134
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
di natura processuale sottesi ad alcune delle fonti considerate7; una rinnovata
attenzione agli aspetti lessicali e semantici della terminologia giuridica (e letteraria) antica, riguardata anche nell’ottica delle continuità e delle trasformazioni. Inutile precisare che sul concubinato e sulle unioni di fatto (e non solo tra
tarda repubblica e principato) sono ancora aperte diverse questioni. Di seguito
mi soffermerò su alcuni profili di carattere generale inerenti la terminologia e
su aspetti salienti del tema oggetto di indagine per poi esaminare alcuni esempi
della riflessione giurisprudenziale in materia.
2.
Prima di fermarmi sul concubinatus – che appare, in quanto sostantivo
‘astratto’, usato quasi esclusivamente a partire dal principato8, diversamente
dal ‘concreto’ concubina – appare opportuna qualche osservazione sulla paelex,
figura menzionata nelle fonti a partire da tarda età repubblicana, ma che pare
rimandi a fenomeno ben più antico9.
Le testimonianze-chiave sulla paelex sono fondamentalmente tre: un riferimento dalle Noctes Atticae (4, 3, 3) di Aulo Gellio; un passaggio dall’epitome
festina di Paolo Diacono (s.v. pelices, L. 248); un frammento (accolto nel titolo
50.16 dei Digesta, De verborum significatione) del commento di Paolo alla lex
Iulia et Papia.
A quanto si ricava dai testi in esame, nel principato erano diffuse dispute
intorno al significato del sostantivo paelex, in particolare quanto allo ‘slittamento semantico’ che doveva aver subito dall’età arcaica alla tarda repubblica e
al primo principato10.
Di regola l’interesse degli studiosi moderni si è appuntato particolarmente
sulle due testimonianze che collegano tale figura a una legge di Numa (paelex
aram [o aedem] Iunionis ne tangito; si tangit, Iunoni crinibus dimissis agnum
7 Si rinvia per indicem soltanto ai contributi presenti nel secondo volume dell’imponente
trattato Handbuch des römischen Privatrechts, passim, interamente dedicato agli strumenti di
tutela processuale apprestati nel corso dell’esperienza romana in riferimento ai singoli istituti
giuridici e al loro sviluppo.
8 Se ne rinvengono, per l’età repubblicana, solo due attestazioni: Plaut. Poen. 102 (illam
minorem in concubinatum sibi / volt emere miles quidam, qui illam deperit) e Trin. 689-691 (sed
ut inops infamis ne sim, ne mi hanc famam differant, / me germanam meam sororem in concubinatum tibi, / si sine dote <dem>, dedisse magis quam in matrimonium).
9 Per la bibliografia essenziale sui ‘molteplici volti’ della paelex si rinvia ai cit. supra n. 3. Sulla pallakeìa nel diritto ateniese, vd. part. Wolff, Marriage Law, 43-95; Maffi, Matrimonio,
concubinato, 177-214; De Bernardi, In margine, 71-89; Bertazzoli, Giuste nozze, 641-686.
10 Si rinvia sul punto alle osservazioni di Giunti, Adulterio, 146.
135
Francesca Lamberti
feminam caedito), vale a dire quella di Gellio e quella di Festo. La regola di ius
sacrum che al tempo di Numa avrebbe vietato alla paelex di avvicinarsi ai luoghi
sacri alla dea Giunone è stata oggetto di innumeri tentativi di interpretazione11.
Prima di soffermarmi su di esse vorrei considerare il frammento di natura giuridica che riferisce di un dibattito in materia di paelex12:
D. 50.16.144 (Paul. 10 ad l. Iul. et Pap.): Libro memorialium Massurius scribit
‘pellicem’ apud antiquos eam habitam, quae, cum uxor non esset, cum aliquo tamen
vivebat: quam nunc vero nomine amicam, paulo honestiore concubinam appellari.
Granius Flaccus in libro de iure Papiriano scribit pellicem nunc volgo vocari, quae
cum eo, cui uxor sit, corpus misceat: [quosdam] <quondam> eam, quae uxoris loco
sine nuptiis in domo sit, quam παλλακήν Graeci vocant.
Il frammento, nella sua struttura, presenta una varietà di strati13. Paolo,
nel soffermarsi sul termine pelex (o paelex), menzionava i libri memorialium di
Masurio Sabino14, che sicuramente usava come fonte nel commentare la legge
augustea. È possibile che la lex Iulia et Papia (ovvero Sabino nel relativo excur11 Inter plures: Castello, In tema, 37-50; Peppe, Paelex, 343-459; Giunti, Adulterio,
142-176; Albanese, Questioni, 43-57; Laurendi, Leges regiae, 83, 108-120; Cristaldi,
Unioni, 154-166; Sirks, Paelex, 246-253; Arces, Il regime giuridico-sacrale, 1-22; Brescia,
La ‘paelex’, 91-125; Zuccotti, Paelex, 1-44, 111-127.
12 Imponente la letteratura su D. 50.16.144. La si vd. sintetizzata, per menzionare solo i
più recenti, in Laurendi, Leges regiae, 83-120; Astolfi, Matrimonio 14-16; Cristaldi,
Unioni, 150-156; Sanna, Dalla ‘paelex’, 173-206; Arces, Il regime giuridico-sacrale, 1-22;
Zuccotti, Paelex, 30-32.
13 Di lettura ‘stratigrafica’ parla anche Giunti, Adulterio, 146, lettura «atta a differenziare
i valori semantici in rapporto ai livelli temporali (‘nunc … antiqui’, ‘antiquissima lege’, ‘apud
antiquos … nunc’)».
14 Sabino è citato come ‘Massurius’ solo in D. 50.16.144 e in D. 38.10.10.16 (l. s. de grad.
et adfin.), mentre nei restanti 54 frammenti in cui Paolo lo menziona, lo fa sempre col nome
‘Sabinus’. La circostanza non è sfuggita agli studiosi (es. Cristaldi, Unioni, 150-151 e n. 29;
Ruggiero, Iulius Paulus, 191 n. 771), secondo i quali Sabino sarebbe stato qui citato solo
come Massurius visto che l’opera indicata (i Memorialia, o Memoralia) non aveva contenuto
strettamente giuridico («in altri termini l’uso consueto sarebbe venuto meno … quando – in
via eccezionale – Sabino era ricordato a proposito di opere aventi un tale contenuto»: Ruggiero, Iulius Paulus, 191 n. 771). Estende l’analisi alle menzioni del giurista provenienti da
fonti letterarie De Bernardi, In margine, 84-85 (precipuamente sulla base di Huschke Seckel - Kübler, Iurisprudentiae, 72-76), per concludere che «siamo … in possesso di dati
sufficienti per affermare che, mentre i giuristi erano soliti citare il ben noto Masurio Sabino
semplicemente con il ‘cognomen’ Sabinus, gli scrittori non giuristi lo indicavano in modo assai
vario, spesso per esteso quale Massurius Sabinus, oppure solo come Massurius o Masurius, di
rado come Sabinus». Sui libri memorialium, part. D’Ippolito, I ‘Memorialia’, 71-85; Battaglia, An Aulus Gellius ‘Commentary’, 97-148.
136
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
sus) richiamasse la paelex in un significato equiparabile a quello di concubina:
quest’ultima, come vedremo più avanti, era nel principato di regola colei che
convivesse stabilmente con un civis ma in assenza di matrimonio, o perché colpita dai divieti matrimoniali delle leggi augustee, o perché liberta o comunque
di umile condizione sociale15. Trascorso qualche decennio dalla lex Papia (ultima delle due in ordine di tempo, approvata nel 9 d.C.), se i libri memorialium
(come si reputa) furono scritti dopo la morte di Tiberio16, è probabile che Sabino commentasse alcuni aspetti applicativi della legislazione, fra cui appunto
quelli concernenti il concubinato e la paelex.
La citazione di Sabino, operata da Paolo, doveva portare con sé il riferimento a Granio Flacco (autore di età cesariana o al più proto-augustea)17: troviamo
Granio menzionato nel seguito del frammento, dove quasi certamente era Sabino, nei memorialia, a menzionarne l’opera18. Perde dunque consistenza, se
si segue tale ipotesi il rilievo (diffuso in dottrina) per cui le due citazioni, in
Paolo, sarebbero «in ordine cronologico inverso»19. Assai verosimile che, nella
recensio giustinianea, il frammento paolino sia andato incontro a una sintesi
dalla quale non si evinceva più la ragione della menzione di Granio Flacco dopo
e non prima di Sabino.
In realtà la ‘catena di citazioni’ parrebbe rimandare indietro sino ad un’indefinita antichità. Paolo riferisce infatti che Sabino rinviava all’accezione di
paelex (o pellex) diffusa apud antiquos: presso ‘gli antichi’ la paelex era una
donna che conviveva con un uomo pur senza essere sua moglie (cum uxor non
esset). Deve immaginarsi che gli antiqui in esame fossero autori di qualche generazione antecedente a quella di Sabino20. L’opera di Granio Flacco in cui si
15 Senza escludere che con concubina potessero indicarsi anche tipologie di donne non rientranti nelle categorie su elencate. Approfondimenti infra, nel § 6.
16 D’Ippolito, I ‘Memorialia’, 73.
17 Avrebbe dedicato a Lucio Giulio Cesare (non è chiaro se il console del 90 o quello del
64 a.C.) un suo lavoro de indigitamentis; nota è anche un’opera de auspiciis. Il riferimento in
D. 50.16.144 è ad un’ulteriore opera in tema di leges regiae, che appare essere stata designata
correntemente come ius Papirianum: De Bernardi, In margine, 78-83.
18 Circostanza, questa, ben vista da Astolfi, Matrimonio, 15: «Non si può escludere che
Paolo leggesse Granio nell’opera di Sabino, il quale avrebbe citato Granio per confronto».
19 Brescia, La paelex, 98; Ruggiero, Iulius Paulus, 191.
20 Secondo Tondo, Introduzione, 47 si sarebbe trattato dei «vecchi giuristi repubblicani»;
analoga opinione in De Bernardi, In margine, 75 e in Zuccotti, La paelex, 36; come opportunamente argomentato da Mantovani 2017, part. 309-310, è invero possibile che, nel
passaggio dall’età repubblicana al (primo) principato, proprio giuristi come Sabino avessero
maturato «la coscienza d’assistere e di partecipare a un rinnovamento dei tempi»; si vd. anche
ibid. 313: «Tante corrispondenze … ci riportano ad Augusto e suggeriscono, dal punto di
137
Francesca Lamberti
trovava il riferimento alla paelex era certo una raccolta di leges regiae, il c.d. ius
Papirianum21: vi è però da tener presente che le norme in essa contemplate vi
apparivano in una formulazione che era quella del I sec. a.C., e dunque, sinanche là dove nel VII-VI sec. a.C. fosse esistita una previsione concernente una
data tipologia femminile (quella della – non meglio precisata – ‘concubina’ o
paelex), i testi in esame documentano solo per la accezione del termine corrente
nell’ultimo secolo della res publica22 .
Per gli ‘antiqui’, dunque, affermava Sabino, costei era quae, cum uxor non
esset, cum aliquo tamen vivebat; per la propria epoca invece si usavano, con
la stessa valenza di paelex, i lemmi amica e/o, in modo un po’ più onorevole,
concubina. Sia paelex che concubina (e in modo meno lusinghiero ‘amica’) indicavano dunque, in un senso ancora diffuso in età tiberiana, la condizione di
colei che vivesse stabilmente con un uomo, sia che si trattasse di una unione
monogamica ma in assenza di matrimonio, sia che ella fosse la convivente di un
pater già ammogliato23.
Leggermente diverse le asserzioni di Granio Flacco. Nella sua opera de iure
Papiriano l’erudito forniva due significati del termine: uno proprio della sua
epoca (della fine, dunque, del I sec. a.C.), uno diffuso invece quondam (in un
vista degli stessi contemporanei e delle generazioni seguenti, che il suo intervento, per modi e
contenuti … fu sentito come una cesura, quella di cui Sabino andava prendendo coscienza e
che fu più tardi formalizzata definendo veteres i giuristi a lui anteriori».
21 Per tutti sul punto Laurendi, Leges regiae, 83-122.
22 Coglie il problema ad esempio Laurendi, Leges regiae, 108: «i dati … relativi allo status
sociale e giuridico della paelex in età arcaica non sono assolutamente desumibili dallo scarno
dettame legislativo numano, ma sostanzialmente emergono dai contesti letterarii attraverso i
quali la norma ci è giunta; … contesti corrispondenti a fasi cronologiche differenti, nei quali
si rispecchia inevitabilmente una cultura giuridica ormai molto lontana dall’epoca numana». Che frammenti paolini di commento a Sabino difficilmente possano essere utili per la
ricostruzione dell’esperienza romana arcaica è convinzione condivisa anche da Rizzelli, La
figura paterna, in Appendice.
23 Come opportunamente rilevato da Zuccotti, La paelex, 32-34, «guardando alle fonti letterarie in generale, il senso più ricorrente di paelex risulta essere in linea di massima
quello di ‘amante’ piuttosto che quello di ‘concubina’. Già nelle commedie plautine, infatti,
la presenza della paelex sembra essere legata a relazioni extraconiugali, anche di breve durata» (con esempi tratti dal Rudens 1046 s., dalla Cistellaria, 36 s.); «anche Cecilio Stazio,
nel Plocium … parla di essa come una rivale della moglie». Analoga la situazione, secondo
Zuccotti, anche in Cic. Cluent. 70, 199 e in Ovid. Metam. 10, 348 s. L’autore ne ricavava
(Zuccotti, La paelex, 35-36) che «nel complesso le fonti tardo-repubblicane usano il termine in questione in consonanza alla doppia definizione di Granio Flacco, ossia talora nel
significato di ‘concubina’, forse più antico e già indicato da Sabino, nonché … in quello di
‘amante’, secondo la alquanto diffusa accezione più recente». E tali fonti, in definitiva, fanno testo solo a partire dal I sec. a.C.
138
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
tempo genericamente ‘passato’), se il quosdam presente nel testo va (come nell’opinione dei più) corretto in quondam24. ‘Un tempo’, dunque, paelex era colei
che, senza essere sposata, viveva uxoris loco, ossia «alla stessa stregua di una moglie», nella casa (evidentemente) del compagno25; al tempo di Granio il termine
era invece passato, nella lingua comune, in via colloquiale (volgo), a indicare in
modo spregiativo la donna che intrattenesse rapporti carnali con un uomo sposato26. In ogni caso l’accezione di paelex valida ‘quondam’, quella che indicava
la donna che vivesse stabilmente con un uomo sine nuptiis, parrebbe almeno in
parte corrispondere alla definizione che si rinveniva in Sabino: quae, cum uxor
non esset, cum aliquo tamen vivebat. Se infatti la paelex nota secondo Sabino apud
antiquos era colei che veniva accolta nella casa del compagno senza esserne moglie, la paelex ‘di un tempo’ in Granio Flacco aveva qualcosa in più: costei viveva
nella casa comune uxoris loco, sullo stesso piano di una vera e propria moglie27.
Per entrambi gli autori dunque la paelex di età arcaica era una convivente
stabile e, almeno secondo una certa tradizione testuale (quella riferita da Granio Flacco), ‘in domo’ uxoris loco28.
24 Lo reputa un glossema (sia pur non influente sul senso complessivo del frammento)
Wolff, Marriage Law, 73.
25 Mi sembra che sul punto Astolfi, Matrimonio, 14-16 (sulla scia di riflessioni sul piano
del ius sacrum) sovrainterpreti quel che nel testo manca, vale a dire che la donna che convive
uxoris loco lo faccia con un uomo già sposato con un’altra (in ciò attribuendo alle affermazioni
di Granio quel che invece si rinviene solo in Gell. 4, 3, 3 e in Paul.-Fest. s.v. pelices L. 248). Del
tutto condivisibile, invece, la lettura di Giunti, Adulterio, 148-149 e n. 175.
26 La ‘nota di disprezzo’, nel testo, si intravede in quel corpus misceat che allude appunto
a un’attività che non si confà alla dignitas matronalis. Per una equilibrata lettura del testo si
vd. part. Brescia, La paelex, 99: «Le due accezioni riportate da Granio Flacco … apportano
significativi tasselli che concorrono alla definizione e, soprattutto, all’evoluzione della sfumatura semantica del termine riferito a questa figura e al suo ruolo: la prima, attestata nell’età
a lui contemporanea, individua come elemento caratterizzante la relazione carnale con un
partner sposato e corrisponde, pertanto, alla definizione adottata da Festo per la/il paelex ai
suoi tempi; la seconda, risalente a una fase più remota, recupera invece i tratti costitutivi di
questa figura nella lex di Numa (la convivenza con un uomo; la mancanza di legittimità di
questa relazione che non prevede la celebrazione di iustae nuptiae; l’alterità di ruolo rispetto a
quello della moglie; la assimilazione alla posizione della παλλακή)».
27 Diversamente, sul punto, Cristaldi, Unioni, 151-154; Astolfi, Matrimonio, 14-16.
28 L’espressione uxoris loco ricorre, nel principato, presso svariati autori. Le occorrenze più
significative sono, a mio modo di vedere, quella di Liv. per. 131, riferita al legame tra Antonio
e Cleopatra (Antonius Artavasden, Armeniae regem, fide data perductum in vincula conici iussit, regnumque Armeniae filio suo ex Cleopatra nato dedit, quam uxoris loco iam pridem captus
amore eius habere coeperat), dove la regina è detta essere da lui tenuta uxoris loco (più forse,
direi, per la sua condizione di peregrina che non per essere l’amante di un uomo sposato); e
soprattutto quella, riferita al legame stabile, e avviata dopo la morte della moglie, che Vespa139
Francesca Lamberti
Quello di mulier che aveva rapporti continuativi con un uomo che avesse
presso di sé, all’interno della domus familiare, altra donna è invece il senso di
paelex documentato per l’alta antichità da Gellio, nelle Noctes Atticae e da Paolo
Diacono negli Excerpta ex libris Pompei Festi29:
Gell. Noct. 4, 3, 3: «Paelicem» autem appellatam probrosamque habitam, quae
iuncta consuetaque esset cum eo, in cuius manu mancipioque alia matrimonii
causa foret; hac antiquissima lege ostenditur, quam Numae regis fuisse accepimus:
«Paelex aedem Iunonis ne tangito; si tangit, Iunoni crinibus demissis agnum
feminam caedito». «Paelex» autem quasi πάλλαξ, id est quasi παλλακίς. Ut
pleraque alia, ita hoc quoque vocabulum de Graeco flexum est.
e
Paul.-Fest. s.v. Pelices (L. 248): Pelices nunc quidem appellantur alienis succumbentes non solum feminae, sed etiam mares. Antiqui proprie eam pelicem nominabant, quae uxorem habenti nubeat. Cui generi mulierum etiam poena constituta
est a Numa Pompilio hac lege: «Pelex aram Iunonis ne tangito; si tanget, Iunoni
crinibus dimissis agnum feminam caedito».
Gellio definiva la paelex come colei che fosse unita e ‘consueta’ (ossia ‘in
rapporti intimi’, ma anche, verosimilmente, in modo duraturo) ad un uomo
che aveva presso di sé un’altra donna in manu mancipioque matrimonii causa.
Nell’epitome festina di Paolo Diacono la terminologia usata è quae uxorem
habenti nubeat.
Le due fonti in esame appaiono coincidere solo riguardo alla citazione (pressoché identica, se si fa eccezione per l’aram in luogo di aedem) della lex regia che
imponeva alla paelex di non toccare l’altare di Giunione, e là dove infrangesse la
norma, di sacrificare alla dea30.
siano intrattenne con Antonia Caenis (Suet. Vesp. 3, 1: post uxoris excessum Caenidem, Antoniae libertam et a manu, dilectam quondam sibi revocavit in contubernium, habuitque etiam
imperator paene iustae uxoris loco), su cui part. infra.
29 Si rinvia, quanto alla letteratura sui passi, ai cit. in n. 3.
30 Nonostante divergenti opinioni dottrinali (per cui si rinvia a Cristaldi, Unioni, 154156) secondo cui la paelex rappresenterebbe una seconda moglie (in relazione di inferiorità
rispetto alla prima) in un contesto di supposta poligamia di età arcaica (vd. fra altri Giunti, Adulterio, 141-150, Peppe, Paelex, 343-359, Astolfi, Il matrimonio, 11-18) deve credersi
piuttosto che le sanzioni irrogate alla paelex fossero motivate dal non poterla considerare alla
stregua di una uxor: il culto di Giunone era infatti riservato alle sole donne sposate, anche
l’acconciatura della paelex (crines dimissi) rinviava a un tipo di pettinatura ben diverso da
quella delle coniugate, e con l’inosservanza del divieto (si tanget) si sposava bene l’ipotesi del
piaculum attraverso il sacrificio dell’agnella. Vd. part. Zuccotti, Paelex, 19-44.
140
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
Al di là delle complesse riflessioni sul piano del ius sacrum e dei rapporti
fra ordini originate in dottrina dalle due testimonianze31, occorre probabilmente partire dall’osservazione per cui «una donna che abitualmente convive con un uomo che abbia un’altra donna in potestà a causa di matrimonio»
potrebbe essere anche colei che vive con qualcuno che abbia nella propria
manus una nuora, moglie di un proprio figlio (a sua volta in potestate patris)32:
considerato tuttavia che una simile ipotesi doveva fuoriuscire dal fenomeno della paelex, non può che aderirsi all’opinione per cui è verosimile che in
Noct. 4, 4, 3 vi sia «un prestito da un’altra fonte malamente seguita e forse
riassunta o epitomata»33.
Se dunque le fonti in esame documentano un significato di paelex quale
‘amante’ (di carattere stabile) di un uomo già sposato34, non pregiudicano la
possibilità che con paelex (se non necessariamente in età numana in ogni caso
in un’epoca assai risalente35) si potesse avere riferimento a una convivente
(stabile) di un uomo non coniugato, come sia la citazione di Granio Flacco
che quella di Sabino in D. 50.16.144 lasciano intravedere36: che d’altro canto
situazioni di questo tipo potessero essere correnti nella media repubblica è
31 Si vd. fra altri, ad esempio, Sirks, Paelex, 241-253. Uno studio imponente per dottrina
e vastità degli strumenti impiegati nell’analisi è (l’ultimo che sia apparso essendo ancora in
vita l’autore) Zuccotti, Paelex, part. 19-44. Sul punto spero di pubblicare in un prossimo
futuro un’ulteriore analisi.
32 È l’acutissima intuizione di Zuccotti, Paelex, 25, con rinvio (n. 52) all’analogo andamento espressivo di Gell. Noct. 18, 6, 9 (Matrem autem familias appellatam esse eam solam, quae in mariti manu mancipioque aut in eius in cuius maritus manu mancipioque esset,
quoniam non in matrimonium tantum, sed in familiam quoque mariti et in sui heredis locum
venisset).
33 Zuccotti, Paelex, 25.
34 Non prendo posizione, in questa sede, sulla possibile esistenza di rapporti poligamici
‘istituzionalizzati’ in età regia, fra i quali potesse sussistere una sorta di gerarchia (ma vd.
ad esempio i già citati Giunti, Adulterio, 141-150 e Peppe, Paelex, 343-359). Mi pare che
riflessioni di questo genere dovrebbero condurre a ragionare anche sulla possibilità di una
originaria ‘endogamia gentilizia’ e su quali possano essere state le problematiche di carattere
familiare legate al dissolversi delle gentes con il progressivo affermarsi delle strutture cittadine
a seguito della fondazione di Roma. Si tratta di un terreno estremamente scivoloso, in ordine
al quale ogni affermazione va formulata con enorme cautela.
35 Lo ipotizza Giunti, Adulterio, 148-149.
36 Nonostante le svariate argomentazioni in proposito di Zuccotti, Paelex, 43-142, continuo a ipotizzare che la paelex di età arcaica potesse non essere solo (o non essere necessariamente) la donna che conviveva con un uomo attendendo il compiersi dell’usus che consentisse
l’acquisto, su di lei, della manus («in una situazione in quanto tale non considerabile a tutti gli
effetti come un normale matrimonio di fronte allo ius Quiritium», ibid., 44).
141
Francesca Lamberti
documentato dalle commedie plautine37 e senz’altro per l’ultima età repubblicana38.
Sia nel frammento di Paolo ad legem Iuliam et Papiam che nell’excursus
gelliano appare importante, in ogni caso, il riferimento alla παλλακία greca.
Il legame fra la antica paelex e la παλλακή del diritto ateniese andrebbe, a mio
modo di vedere, opportunamente verificato in un nuovo studio39. L’ istituto
della παλλακία o παλλακεία vanta per vero un annoso dibattito fra studiosi
dei diritti greci, che si appunta in particolare sulla effettiva rilevanza giuridica
della situazione di convivenza (in presenza o meno di un parallelo matrimonio) nel diritto ateniese40. Nonostante i dubbi in materia, ad oggi gli studiosi
paiono concordare sul dato che una norma, risalente a Dracone (VII-VI sec.
a.C.) e ancora considerata vigente al tempo di Lisia (V-IV sec. a.C.), consentisse
a un cittadino di mettere a morte l’adultero sorpreso in flagrante con moglie,
figlia, sorella, o παλλακή41. Per παλλακή si intendeva verosimilmente, almeno
nell’Atene fra VII e IV sec. a.C., la convivente stabile di un cittadino ateniese,
di regola là dove l’unione fosse intesa alla procreazione di figli42: più di uno
studioso reputa che si trattasse di un’alternativa al matrimonio e, per definire
la relativa situazione, ricorre al concetto di ‘concubinato legittimo’; taluni affermano si trattasse invece di una unione, sia pur stabile, sovente parallela a un
già esistente matrimonio43. Non è possibile, in questa sede, prendere posizione
sulle divergenti opinioni dottrinali. Quanto è possibile tuttavia desumere dal
parallelo tracciato sia da Granio Flacco che (in modo forse impreciso ma in ogni
caso significativo) da Aulo Gellio, fra paelex (o pellex) e παλλακή è che, almeno
a partire dall’ultima fase della repubblica, fra le concezioni correnti del termine
(e non improbabilmente anche di quello all’epoca paragonabile di ‘concubina’)
ricorresse quella di ‘convivente stabile’: non solo di un uomo già coniugato ma
37 Infra, nel § seguente.
38 Dové essere ad esempio il caso di Antonio e Cleopatra dopo il divorzio del primo dalla
moglie Ottavia (là dove il rapporto era tuttavia iniziato in costanza di matrimonio). Sul punto
per tutti Lamberti, Convivenze, 6-8.
39 Si vd. comunque, in prima battuta, Bertazzoli, Giuste nozze, 641-686, e Arces, Il
regime, 1-22.
40 Inter multos Wolff, Marriage Law, 43-95; Maffi, Matrimonio, concubinato, 177-214;
De Bernardi, In margine, 71-89; Bertazzoli, Giuste nozze, 641-686.
41 Demost. in Aristocr. 53, 23; Lisia in Eratost. 30-31. Ampia disamina da ultimo in Bertazzoli, Giuste nozze, 641-686.
42 Supra, § precedente.
43 Si vd. ad es. Wolff, Marriage Law, 73-82. Sintesi recente del dibattito in Bertazzoli,
Giuste nozze, 641-660.
142
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
anche – se diamo fede a Granio Flacco e a Sabino – di un uomo non sposato
(spesso, pare di poter ipotizzare, per assenza di connubium) 44.
In età tardorepubblicana e nel principato il senso principale di paelex era
oramai divenuto quello ‘attuale’ (nunc) all’epoca di Granio Flacco45: si trattava,
nell’uso corrente, di colei che concedeva il proprio corpo a un uomo già sposato
(quae cum eo, cui uxor sit, corpus misceat). D. 50.16.144 non mi pare in ogni caso
escludere che il termine (ancora al tempo di Granio Flacco e Sabino) potesse
aver conservato la valenza antica, quella di cui si è appena detto.
4.
Quanto al termine concubina, nella media repubblica, come risulta da diversi luoghi della commedia plautina, esso pare implicare una relazione continuativa nel tempo. Come già rilevato in seno ai nostri studi46, da ultimo da
Cristaldi, concubina sembra avere quasi sempre il significato in esame in Plauto:
eccezion fatta, forse, per il Mercator, nel quale l’uso del termine è oggetto di
interpretazioni divergenti47, le altre occorrenze, che non sono numerosissime,
44 Sul punto, benché con diverso processo argomentativo, analoghe le conclusioni di Cristaldi, Unioni, 147 s.: «Mentre … l’inciso uxorem habenti corrisponde … perfettamente
all’alienis relativo al significato più recente, un discorso differente va fatto riguardo al nubeat
finale. Nubere infatti ha qui … un significato atecnico che allude a una stabile convivenza e che
rende il medesimo senso dell’espressione iuncta consuetaque utilizzata da Gellio: qualcosa di
più che una mera relazione sessuale. Alla luce … della testimonianza offerta da Festo, apud antiquos la paelex è non una semplice amante, ma la compagna abituale dell’uomo sposato … Tra
le due accezioni del termine paelex c’è dunque un minimo comune denominatore costituito
dalla relazione sessuale tra i due soggetti e dall’altruità della persona con la quale questa relazione ha luogo. La stabilità e la coabitazione caratterizzano invece il significato più proprio
(apud antiquos) del termine paelex».
45 Una possibile spiegazione alternativa – stante la lacunosità (o meglio, la parzialità dell’informazione) delle fonti in esame – che tuttavia non considera le sfumature di significato presenti nel termine παλλακή è in Cristaldi, Unioni, 153 s., per cui «la mancanza nel frammento di ogni riferimento alla condizione dell’uomo (qui come nella parte iniziale in cui si riferisce
il pensiero di Masurio Sabino), se non può attribuirsi direttamente alla mano dei compilatori
giustinianei, costituì probabilmente la ragione per la quale essi pensarono di mantenerlo. Questa operazione di conservazione, infatti, si comprende bene se si considera che Giustiniano, con
una costituzione del 531, vietò la coesistenza tra concubinato e matrimonio, e dunque la coesistenza tra relazioni stabili. Tenuto conto della nuova disposizione, i compilatori non potevano
dare conto di una risalente coesistenza tra relazioni stabili che sarebbe risultata in contrasto con
le nuove direttive imperiali». Sul punto anche infra, nei §§ 7 e 8.
46 Watson, Law of Persons, 1-10.
47 Plaut. Merc. 757: Coc. Scitam hercle opinor concubinam hanc. Nell’opinione di Watson,
Law of Persons, 8, non è certa né una traduzione del termine come ‘amica’ o ‘amante’, e neppure
143
Francesca Lamberti
hanno il senso già osservato. Concubina è termine che ricorre con frequenza
nel Miles gloriosus48: esso è stato analizzato in particolare nel contrappunto
con l’uso, nella stessa commedia, di amica. La protagonista della commedia,
la giovane cortigiana ateniese Philocomasium, in più luoghi è detta concubina
del soldato fanfarone Pirgopolinice. La donna intrattiene in modo stabile e
monogamico una relazione col soldato: quando nella commedia è riferimento a lei in questo ruolo, prevale l’uso del termine concubina49. Quando invece
si allude alla relazione intrattenuta dalla donna, di carattere saltuario, con il
precedente innamorato, Pleusiche, Philocomasium è definita amica50 . Anche
in altre commedie plautine, quali ad esempio l’Epidicus o il Poenulus, la ‘concubina’ è una schiava manomessa, che è compagna di un ingenuo non sposato.
«Mai nelle commedie plautine … colui che prende una concubina è sposato o,
se lo è stato, è ora vedovo»51. Non si rinverrebbero, dunque, in Plauto, casi di
presenza contestuale di un matrimonio e di un concubinato. Tale circostanza
potrebbe certo essere riferibile al modello greco seguito dal sarsinate: e tuttavia la frequenza con cui è usato il termine concubina nella valenza in esame ha
indotto taluni a chiedersi se nelle sue commedie esso non abbia sempre il senso
indicato, vale a dire di donna in una relazione stabile con un convivente di stato
celibe (o vedovo)52 .
5.
Se in Plauto era prevalente, anche se non esclusivo, il senso di concubina come
convivente con un non coniugato, analogamente alla ‘duplicità’ di significato già
vista per il termine paelex, esso poteva essere impiegato anche a connotare una
donna che intrattenesse una relazione (di solito stabile) con un uomo già sposato.
come ‘convivente’: si tratterebbe piuttosto, nel caso in esame, di ‘donna facile’ («good in bed»);
nello stesso senso (di donna che si presta a un’avventura casuale) Castello, In tema, 29.
48 Sulla commedia si rinvia per tutti a Cristaldi, Unioni, 157-163.
49 Plaut. Miles arg. 1, 11, arg. 2, 15; 140; 146; 337; 362; 416; 458; 470; 508; 549; 814; 937;
973; 1095; 1145.
50 Cristaldi, Unioni, 158-159 (discussione part. in n. 69): «mentre la relazione con Pleusiche è furtiva e saltuaria, quella con Pirgopolinice è stabile e caratterizzata dalla convivenza
nella stessa casa».
51 Cristaldi, Unioni, 160.
52 Nel senso in esame sempre Cristaldi, Unioni, 161: nel Miles «Pirgopolinice, prima
d’iniziare una nuova relazione con una donna che egli intende sposare, si chiede come deve
comportarsi nei confronti della donna che già aveva a casa sua come concubina: Quid illa
faciemus concubina qui domist? (v. 973). E lo fa insistentemente, evidenziando la impossibilità
di una convivenza nella stessa casa della moglie con la concubina».
144
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
La definizione riferita in D. 50.16.144 a Sabino, si è visto, individuava la
concubina (e, prima di lei, la paelex) nella mulier che cum uxor non esset, cum
aliquo tamen vivebat. Con il termine si intendeva dunque sia la convivente di
un uomo non sposato che l’amante stabile di un coniugato.
Senz’altro in questo secondo senso rinveniamo il vocabolo in Cicerone.
Cic. Or. 1, 40, 183: Quod usu memoria patrum venit, ut paterfamilias, qui ex
Hispania Romam venisset, cum uxorem praegnantem in provincia reliquisset, Romae alteram duxisset neque nuntium priori remisisset, mortuusque esset intestato
et ex utraque filius natus esset, mediocrisne res in contentionem adducta est, cum
quaereretur de duobus civium capitibus et de puero, qui ex posteriore natus erat, et
de eius matre, quae, si iudicaretur certis quibusdam verbis, non novis nuptiis fieri
cum superiore divortium, in concubinae locum duceretur.
Nel de oratore l’Arpinate narra un aneddoto risalente alla generazione a lui
precedente (usu memoria patrum)53: un cittadino romano sui iuris (pater familias) aveva sposato in Spagna una donna (con la quale evidentemente intercorreva connubium – onde il matrimonio era da qualificarsi iustae nuptiae, e i figli
nati dall’unione legittimi), che aveva lasciato in provincia, incinta, per venire
a Roma. Aveva qui trovato una nuova donna (cum Romae alteram duxisset),
senza inviare una qualche forma di ripudio alla prima moglie (neque nuntium
priori remisisset)54. Il civis aveva avuto un figlio anche dalla seconda donna ed
era poi morto senza aver confezionato testamento (intestatus). Al tribunale
centumvirale fu affidato il compito di decidere se la seconda donna fosse da
considerarsi uxor e se il figlio nato dalla seconda moglie fosse legittimo, godendo dunque del diritto di succedere al padre55. Il quesito da risolvere dipendeva
dalla risoluzione del seguente problema di natura giuridica: se per divorziare
fosse necessario l’uso di determinate parole (certis quibusdam verbis), oppure
fosse sufficiente contrarre nuove nozze. Nel caso in cui fosse da considerarsi necessario un espresso repudium, essendo mancato un atto che dichiarasse apertis
53 Sull’episodio in esame, fra i tanti, Robleda, Il divorzio, 374-375; Fayer, Familia 3, 6466 e nn.; Astolfi, Sintesi, 282; Astolfi, Matrimonio, 150; Giumetti, Soluto matrimonio,
27-29.
54 A mio modo di vedere potremmo intendere nuntius o come un messaggero o come un
sinonimo di libellus repudii; lo intende solo nel secondo senso, valorizzando il riferimento
ciceroniano ai certa verba, Robleda, Il divorzio, 375.
55 Vd. anche Cic. Or. 1, 56, 238: Nam, quod maximas centumviralis causas in iure positas
protulisti, quae tandem earum causa fuit, quae ab homine eloquenti iuris imperito non ornatissime potuerit dici? Quibus quidem in causis omnibus, sicut in ipsa M.’ Curi, quae abs te nuper est
dicta, et in C. Hostili Mancini controversia atque in eo puero, qui ex altera natus erat uxore, non
remisso nuntio superiori, fuit inter peritissimos homines summa de iure dissensio.
145
Francesca Lamberti
verbis la volontà di divorziare, il matrimonio contratto in provincia restava in
piedi, la seconda donna era da reputarsi una concubina, e il figlio nato dall’unione illegittima privo di aspettative successorie.
Alla fine dell’età repubblicana (come lascerebbe pensare l’accezione di paelex diffusa ‘apud antiquos’ e ribadito ancora di recente da Astolfi56) il secondo
matrimonio avrebbe sciolto il primo: ipotesi di ‘bigamia’ non potevano verificarsi, in quanto uno dei rapporti era considerato nullo e quindi solo uno dei
due integrava iustae nuptiae57. La testimonianza di Cicerone pare escludere la
possibilità di presenza in contemporanea di due rapporti qualificabili come
matrimonio: l’alternativa che si profilava era dunque quella fra un ripudio
correttamente manifestato (atto a fornire senza alcun dubbio validità alla
seconda unione) e un ripudio non correttamente manifestato (che rendeva la
seconda unione non un matrimonio, ma appunto un concubinato). Dal de
oratore non può evincersi se i centumviri reputassero valido il ‘comportamento concludente’ (sposare un’altra donna, senza informarne espressamente la
prima moglie), oppure se si richiedesse una dichiarazione verbatim della volontà di divorziare58. Una esplicita formalizzazione della volontà di sciogliere
il matrimonio sarebbe da ricondurre, pare, solo alla lex Iulia de adulteriis (17
a.C.): Augusto avrebbe disposto che la cessazione delle nuptiae fosse fatta
constare, da chi divorziava, mediante dichiarazione formale (dinanzi a testimoni). Non può escludersi, per vero, che le fonti in materia alludano piuttosto, con l’espressione divortiis modum imposuit, all’introduzione di deterrenti
al moltiplicarsi dei divorzi cui si era assistito nell’ultima età repubblicana,
piuttosto che alla previsione di rigide formalità per la realizzazione del di56 Astolfi, Sintesi, 282; Astolfi, Matrimonio, 150; si vd. altresì Treggiari, Concubinae, 62; Humbert, L’individu, 190-192; Corbino, Status familiae, 203-216.
57 Astolfi, Sintesi, 282: «(scil. Il divorzio) era nullo se bisognava impiegare per esso una
forma (certis quibusdam verbis), altrimenti era valido, perché implicito nel secondo matrimonio (novis nuptis). Se era nullo, il primo matrimonio rimaneva valido, il secondo diveniva nullo, la donna sposata in Roma era soltanto una concubina (concubinae loco) e suo figlio, essendo illegittimo, non succedeva ab intestato al padre. Quando prospetta la nullità del secondo
matrimonio, Cicerone applica il principio monogamico e mostra come in età repubblicana si
sanzionasse la bigamia con la nullità del secondo rapporto matrimoniale».
58 Corbett, The Roman Law, 224-225, «the question could obviously not have been seriously raised if there had been any law or established custom prescribing form»; Astolfi,
Matrimonio, 150, risolve in modo apodittico la questione: «poteva [scil. divorziare] persino
limitandosi a contrarre un secondo matrimonio. Lo testimonia Cicerone per gli ultimi secoli
della repubblica …, ma nel contempo testimonia anche i dubbi e le perplessità che questo
modo disinvolto di procedere suscitava». In senso contrario all’ipotesi di possibile validità del
comportamento concludente, invece, Cristaldi, Unioni, 162.
146
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
vorzio59. Inutile dire che anche in seno alla dottrina moderna il caso narrato
da Cicerone ha dato luogo a numerosissime discussioni (a summae de iure
dissensiones, per richiamare le parole dell’Arpinate). Un aspetto mi sembra
tuttavia difficile da mettere in discussione: a seconda della decisione che fosse
intervenuta, l’altera (Romae ducta) avrebbe goduto della qualificazione di
uxor se la nuova convivenza posta in essere dal paterfamilias fosse stata considerata ‘matrimonio’; se invece il tribunale avesse reputato tale convivenza
non idonea a sciogliere il primo matrimonio, la donna doveva considerarsi in
concubinae locum ducta. Si sarebbe trattato, ad ogni modo, nella concezione
che appare corrente al tempo, di una unione dotata dei caratteri della stabilità e della continuità, che non era possibile qualificare matrimonio solo in
quanto eventualmente preesistente altra unione matrimoniale (e che soprattutto incideva sulle – mancate – pretese ereditarie ab intestato dei figli della
concubina)60.
59 Suet. Aug. 34 (Cumque etiam inmaturitate sponsarum et matrimoniorum crebra mutatione vim legis eludi sentiret, tempus sponsas habendi coartavit, divortiis modum imposuit); D.
38.11.1.1: (… item Iulia de adulteriis, nisi certo modo divortium factum sit, pro infecto habet).
Analitica lettura delle fonti in Fayer, Familia 3, 112-125; secondo Astolfi, Matrimonio
classico, 374-386, la legislazione augustea avrebbe senz’altro previsto la necessità di realizzare
il divorzio (vuoi attraverso dichiarazione orale vuoi mediante libellus repudii) alla presenza
di sette testimoni (cui sarebbero state richieste, in caso di documentazione scritta, le relative
subscriptiones); possibilista invece Agnati, Profili, 69-76, che aderisce (dopo attenta disamina
del dibattito in tema) all’ipotesi secondo cui modus andrebbe inteso più genericamente come
‘limite’ (che Augusto avrebbe posto alla frequenza dei divorzi).
60 Per un dettaglio circa le conseguenze, in età tardorepubblicana e nel primo principato,
circa la (mancata) successione ab intestato dei vulgo concepti, per tutti, da ultimo, Corbino,
Status familiae, 203: «Com’è noto il pretore finì per accordare la bonorum possessio sine tabulis
(in senso non più adiutorio ma correttivo del ius civile) secondo precedenze diverse da quelle
dell’antica legislazione decemvirale. E tuttavia tenendo fermo un fatto: anche per lui la condizione di filius nato ex matrimonio restava la sola rilevante (oltre che precedente ogni altra).
Nell’assetto finale – quale ricostruibile sulla base dell’editto perpetuo – tra i liberi succedevano anche emancipati e dati in adozione (se sui iuris mortis tempore), i discendenti non pervenuti in potestate, i discendenti in locum dell’ascendente defunto o anche rinunciante, i figli e
nipoti postumi. E tra i cognati anche coloro che lo fossero per ‘discendenza’ naturale (dunque:
per via materna). Ma la sola discendenza considerata (dal punto di vista del suo rapporto con
il padre) restava la discendenza che era o era stata o anche sarebbe stata legitima (fondata cioè
su un ‘matrimonio’). Il figlio ‘naturale’ (nato cioè fuori dal matrimonio) non aveva titolo alla
bonorum possessio del patrimonio paterno, accedeva solo alla bonorum possessio nei confronti
della madre e dei parenti acquisiti attraverso di lei. E anche vir e uxor erano chiamati reciprocamente alla bonorum possessio solo in quanto tali in forza di un iustum matrimonium in
atto … L’apertura successoria operata insomma dal pretore a favore di coloro che non erano
(o non erano mai stati) appartenenti alla cerchia familiare (in senso civile) modificò – e profondamente – il quadro dei diritti successori che le Dodici Tavole avevano delineato in favore
147
Francesca Lamberti
Se dunque nella media e tarda repubblica ‘concubina’ è di regola una donna
con cui non si è sposati, pur essendo celibi, ovvero l’amante di un uomo già ammogliato, il termine si applica di solito a una mulier che sia in relazione stabile
e continuativa con il proprio partner61. Lo ‘spettro semantico’ del concubinato
contiene insomma, già alla fine della repubblica, un significato essenziale per
quella che sarebbe stata la riflessione del principato.
6.
Il fenomeno delle ‘unioni di fatto’ conobbe un incremento considerevole a
partire da età augustea. È comunemente accolto che l’impulso fondamentale al
diffondersi dell’istituto vada individuato nelle previsioni delle leggi matrimoniali augustee e della lex Iulia de adulteriis62 . Augusto, come noto, perseguiva
l’intento di potenziare dal punto di vista numerico e demografico i matrimoni,
con particolare riguardo alle classi abbienti, preservando la dignità sociale degli
appartenenti agli strati più alti della cittadinanza (e con la dignitas anche la
consistenza dei patrimoni familiari)63. L’importanza politico-sociale della classe cui appartenesse la (neocostituita) famiglia veniva assicurata anche colpendo
con sanzioni le unioni che non apparissero conformi alla autorevolezza dei ceti
senatorio, equestre o lato sensu elevato (si pensi anche alle famiglie di decurioni
nelle colonie e nei municipia). Le unioni in esame vennero inizialmente considei familiari … Ma lo fece muovendo da un dato fermo e insuperato: restava rilevante solo la
parentela ‘paterna’ (dalla quale quei diritti discendevano). In quanto essa fosse cioè fondata
su un matrimonium, unico fatto, dunque, che continua a dettare il criterio di ‘inclusione /
esclusione’ delle personae dal regime ‘familiare’. E ciò ancorché quest’ultimo venga ora determinato su nuovi presupposti di appartenenza, sia per una diversa valutazione dei fatti che un
tempo sarebbero stati inesorabilmente interruttivi di esso (come l’emancipazione e la dazione in adozione), ma anche per le dimensioni della cerchia da considerare (si pensi al nipote
emancipato, nato da un padre a sua volta emancipato, ai postumi e agli ammessi in locum per
rinuncia)». A Corbino si rifà anche Rizzelli, La figura paterna, su n. 31, nel rilevare come
«la rappresentazione paterna predominante nel mondo del diritto», sia nel principato quella
dal pater familias in quanto titolare di patria potestas.
61 Part. Cristaldi, Unioni, 163: «Il dato che emerge da queste fonti è che il termine concubina, alla fine dell’epoca repubblicana, risulta utilizzato per descrivere la compagna abituale
dell’uomo con riferimento a due tipi di rapporto: quello, alternativo al matrimonio, con un
uomo non sposato; l’altro, in costanza di matrimonio, con un uomo sposato, appunto (e in
questa ipotesi la donna, ancora in Cicerone, viene definita paelex».
62 Sulla legislazione augustea e i relativi divieti matrimoniali, per tutti, Raditsa, Augustus, 278-339; Treggiari, Roman Marriage, 60-80; Mette-Dittman, Ehegesetze, passim;
Astolfi, La lex Iulia et Papia, part. 93-148; Fayer, Familia 2, 563-607; Spagnuolo Vigorita, Casta domus, passim; Bonin, Intra legem, passim; Ruggiero, Iulius Paulus, passim.
63 Vd. part. Astolfi, La lex Iulia et Papia, 315-365.
148
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
derate irrilevanti ai sensi delle leggi augustee: un senatoconsulto approvato per
iniziativa di Marco Aurelio e Commodo ne avrebbe poi esteso la nullità ai sensi
dell’intero ordinamento64.
In particolare la lex Papia Poppaea del 9 d.C. contemplava disposizioni
destinate a favorire l’incremento demografico, assicurando la capacitas testamentaria a quei coniugati (o già coniugati) che avessero almeno un figlio nato
da matrimonio legittimo65. Come vedremo anche questa circostanza probabilmente ebbe un ruolo nell’incentivare il fenomeno del concubinato.
Dei divieti in esame permane notizia in età giustinianea. Nonostante alcune
delle restrizioni avessero suscitato notevoli resistenze, ancora all’epoca di compilazione dei Digesta (533 d.C.) esse vennero accolte (per essere poi progressivamente abrogate dallo stesso Giustiniano attraverso la legislazione novellare66). Grazie
a tale circostanza conosciamo le ipotesi essenziali in cui (essendo impossibile dare
luogo a un matrimonium legitimum) i privati che si trovassero nelle situazioni
sanzionate dalla legge costituivano (o si trovavano a vivere in) unioni di fatto.
Le ‘unioni non riconosciute’ ai sensi della legislazione augustea erano quelle
fra senatori (e loro discendenti in linea retta maschile entro il terzo grado) e persone di estrazione libertina, ovvero donne di bassa dignità sociale (come attrici
o ex-attrici)67, oppure ancora adultere conclamate o prostitute68. Le persone di
64 D. 23.1.16 (Ulp. 3 ad leg. Iul. et Pap.): Oratio imperatorum Antonini et Commodi … quasdam nuptias in personam senatorum inhibuit … Sul provvedimento diffusamente Astolfi,
La lex Iulia et Papia, 110-121; Fayer, La familia 2, 152-153.
65 Affinché un coniuge potesse ereditare dall’altro, era sufficiente un figlio in comune: Tit.
Ulp. 16: Libera inter eos testamenti factio est si … quattuordecim annorum filium vel filiam duodecim amiserint, vel si duos trimos vel tres post nominum diem amiserint; era sufficiente, pare,
anche un unico figlio per avere la piena capacitas riguardo ad eredità e legati disposti da terzi:
Iuv. Sat. 9, 82-90: tibi filiolus vel filia nascitura ex me? / … iam pater es … / Iura parentis habes;
propter me scriberis heres / legatum omne capis nec non et dulce caducum. / Commoda praeterea
iungentur multa caducis, / si numerum, si tres implevero. Sui testi in esame part. Astolfi, La
lex Iulia et Papia, 24-25.
66 Con Nov. 78.3 (a. 539) si abrogava il divieto di nuptiae fra senatori e libertini; con Nov.
117.6 (a. 542) fu rimosso il divieto di connubium fra senatori o alti dignitari e feminae humiles
et abiectae. Astolfi, La lex Iulia et Papia, 140-141; Fayer, Familia 2, 629-630 e nn.
67 D. 23.2.44pr. (Paul. 1 ad leg. Iul. et Pap.): Lege Iulia ita cavetur: qui senator est, quive
filius, neposve ex filio, proneposve ex <nepote>, filio nato cuius eorum est erit, ne quis eorum sponsam uxoremve sciens dolo malo habeto libertinam aut eam, que ipsa cuiusve pater materve artem
ludicram facit fecerit. Neve senatoris filia, neptisve ex filio, proneptisve ex nepote filio nato [nata]
libertino eive, qui ipse cuiusve pater materve artem ludicram facit fecerit, sponsa nuptave sciens
dolo malo esto neve quis eorum dolo malo sciens sponsam uxoremve eam habeto.
68 D. 23.2.43.10 (Ulp. 1 ad leg. Iul. et Pap.): Senatus censuit non conveniens esse ulli senatori
uxorem ducere aut retinere damnatam publico iudicio. È necessario ricordare altresì che la lex
149
Francesca Lamberti
nascita libera (ma di estrazione non senatoria), i c.d. ceteri ingenui, incorrevano
invece in divieti matrimoniali nei riguardi di prostitute ed ex-prostitute, di lenae,
di adultere conclamate (non invece nei riguardi di liberte, o di liberti, se si trattasse di donne non di rango senatorio)69. Il tema delle prostitute, delle adultere e
delle scaenicae era verosimilmente trattato anche nella lex Iulia de adulteriis: essa,
nell’introdurre e regolare la fattispecie di stuprum (cui erano connesse pesanti
sanzioni legislative), la definiva come l’unione carnale con una donna libera, ma
‘honestae vitae’; non rientrava invece nello stuprum l’unione con donne che avessero esercitato o esercitassero la prostituzione, avessero calcato o calcassero le scene,
fossero adultere conclamate o addirittura condannate in giudizio70.
Era intenzione del princeps forse, col penalizzare chi avesse dato vita a simili
unioni, essendo formalmente caelebs, mediante incapacitas riguardo a eredità e
legati, disincentivare il ricorso al concubinato, e spingere gli esponenti delle classi
elevate a contrarre matrimoni all’altezza del loro status sociale. Un intento, in ogni
caso, che appare disatteso a giudicare dall’intensità, nel principato, della riflessione giurisprudenziale relativa al fenomeno, che ne attesta una vasta diffusione.
È opinione condivisa, nella letteratura più recente, che la legislazione matrimoniale augustea non menzionasse, o altrimenti riconoscesse come istituto a sé stante,
il concubinato; la diffusione di esso sarebbe derivata (ma non esplicitamente regolata) delle leggi matrimoniali di Augusto, che avrebbero favorito indirettamente il
ricorso a tale istituto71. La riflessione in qualche modo trova ostacolo nell’affermazione di Marciano, secondo cui concubinatus per leges nomen assumpsit72.
Iulia et Papia conteneva una previsione (volta a rafforzare il potere dei patroni sui propri liberti) con cui si consentiva al patrono (non senatore) che avesse sposato la propria liberta di
impedirle di divorziare.
69 D. 23.2.43pr.-5; 6-9; 12-13 (Ulp. 1 ad leg. Iul. et Pap.). Sui frammenti in esame e quelli
menzionati nelle nn. precedenti part. Meyer, Der römische Konkubinat 23-42; Castello,
In tema, 88-105; Mette-Dittmann, Die Ehegesetze, 142-170; McGinn, Prostitution, 70215; Astolfi, La lex Iulia et Papia, part. 93-148; Fayer, La familia 2, 598-607; Bonin,
Intra legem, 25-34, 273-275.
70 Fra le molte testimonianze concernenti le donne in esame, in connessione con le previsioni della lex Iulia de adulteriis, vd. D. 48.5.11(10).1-2 (Papin. 2 de adult.): Mulieres … hoc
capite legis, quod domum praebuerunt vel pro comperto stupro aliquid acceperunt, tenentur. Mulier, quae evitandae poenae adulterii gratia lenocinium fecerit aut operas suas in scaenam locavit,
adulterii accusari damnarique ex senatus consulto potest. Astolfi, La lex Iulia et Papia, 49 ss.;
Botta, Stuprum, 87-108; Fayer, Meretrix, 572-594; Solidoro, La prostituzione, 24-26.
71 Castelli, Concubinato, 55-71; Bonfante, Corso 1, 322-325; Astolfi, La lex Iulia et
Papia, 57; Rizzelli, La lex Iulia, 238-239; Fayer, La familia 3, 27; Cristaldi, Unioni,
164-165; Lamberti, Convivenze, 12.
72 D. 25.7.3.1 (Marcian. 12 inst.): Nec adulterium per concubinatum ab ipso committitur.
150
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
Secondo i più Marciano intendeva solo affermare che i divieti matrimoniali
della lex Iulia et Papia (per i quali le nuptiae fra soggetti appartenenti alle categorie sopra enunciate andavano incontro a nullità almeno parziale) e le previsioni
della lex Iulia de adulteriis (che disponeva l’illiceità di determinate relazioni fra
liberi, in ciò individuando e contrario i casi in cui il rapporto non andava soggetto a sanzione) avrebbero fornito spazio per la diffusione (e quindi la rilevanza di
carattere giuridico, il nomen) di un rapporto che in età repubblicana non era particolarmente diffuso: in epoca preaugustea infatti la relativa facilità di contrarre
matrimonio, e di scioglierlo mediante un divorzio legato a pochissime formalità,
rendeva praticamente ipotesi residuale quella del ricorso al concubinato, limitandola ai (non frequenti) casi di assenza di connubium fra i soggetti coinvolti73.
Attualmente mi appare in realtà verosimile che una qualche menzione del fenomeno (o almeno della denominazione delle donne che potevano essere solo
partner di una unione di fatto con personaggi di condizione sociale superiore,
e dunque unicamente concubinae) nelle leggi matrimoniali augustee (o negli innam quia concubinatus per leges nomen assumpsit, extra legis poenam est, ut et Marcellus libro septimo digestorum scripsit. Nel frammento in esame ‘adulterium’ va inteso nel senso di
‘stuprum’: non integra stuprum dunque, secondo Marciano, la situazione di convivenza (con
donne che si trovino nella condizione sopra indicata). Castelli, Concubinato, 65-66; Plassard, Le concubinat, 71; McGinn, Concubinage, 359; Fayer, La familia 3, 26-27. Diversamente Rizzelli, La lex Iulia, 232-233 (convinto invece che Marciano si riferisca proprio
all’adulterium).
73 Sulle ipotesi di impedimenti matrimoniali part. Gai. 1.58-63: 58. Nec tamen omnes nobis
uxores ducere licet: Nam a quarundam nuptiis abstinere debemus. 59. Inter eas enim personas,
quae parentum liberorumve locum inter se optinent, nuptiae contrahi non possunt, nec inter eas
conubium est, velut inter patrem et filiam vel inter matrem et filium vel inter avum et neptem; et
si tales personae inter se coierint, nefarias et incestas nuptias coutraxisse dicuntur. Et haec adeo ita
sunt, ut quamvis per adoptionem parentum liberorumve loco sibi esse coeperint, non possint inter
se matrimonio coniungi, in tantum, ut etiam dissoluta adoptione idem iuris maneat; itaque eam,
quae mihi per adoptionem filiae seu neptis loco esse coeperit, non potero uxorem ducere, quamvis
eam emancipaverim. […] 61. Sane inter fratrem et sororem prohibitae sunt nuptiae, sive eodem
patre eademque matre nati fuerint sive alterutro eorum: sed si qua per adoptionem soror mihi esse
coeperit, quamdiu quidem constat adoptio, sane inter me et eam nuptiae non possunt consistere;
cum vero per emancipationem adoptio dissoluta sit, potero eam uxorem ducere; sed et si ego emancipatus fuero, nihil inpedimento erit nuptiis. 62. Fratris filiam uxorem ducere licet: idque primum in usum venit, cum divus Claudius Agrippinam, fratris sui filiam, uxorem duxisset: sororis
vero filiam uxorem ducere non licet. Et haec ita principalibus constitutionibus significantur. 63.
Item amitam et materteram uxorem ducere non licet. Item eam, quae mihi quondam socrus aut
nurus aut privigna aut noverca fuit. Ideo autem diximus ‘quondam’, qula, si adhuc constant eae
nuptiae, per quas talis adfinitas quaesita est, alia ratione mihi nupta esse non potest, quia neque
eadem duobus nupta esse potest neque idem duas uxores habere. Ad essi si aggiunga ovviamente il
caso di Cic. Or. 1, 40, 183, vale a dire l’eventualità di ‘unione parallela’ avviata con una nuova
donna da un uomo già sposato.
151
Francesca Lamberti
terventi correttivi o modificativi di epoca posteriore, sia giurisprudenziali che
senatori o derivanti da rescripta principum) dovesse esservi: lo documenta, a mio
modo di vedere, il fatto che, nel già esaminato D. 50.16.144, Sabino, trattando
della legislazione augustea, si fermasse sul significato del termine paelex e che
Paolo, nel suo commento alla lex Iulia et Papia (che prendeva in considerazione
anche la normativa correlata), tornasse sul problema, anche con riferimento alla
concubina, richiamandosi appunto a Sabino.
Le unioni non matrimoniali, all’interno e come conseguenza della legislazione augustea, non erano di regola frutto di una libera scelta dei conviventi:
derivavano invece dai limiti e divieti imposti ex lege. Il diritto non riconosceva
dati tipi di vincoli, e in conseguenza di ciò le unioni in esame producevano
effetti sul solo piano fattuale.
Impregiudicata mi sembra invece la possibilità di dar vita a un concubinato,
piuttosto che ad una unione matrimoniale, per scelta delle parti, almeno nei
casi non espressamente vietati dalla legge, quali ad esempio il legame fra una
liberta e un ingenuo di estrazione non senatoria74. Senza tener conto di alcune
‘zone d’ombra’ presenti a livello di prassi sociale, come a breve si dirà.
7.
Lo sviluppo e la riflessione giurisprudenziale in materia di concubinato
pongono svariati problemi. Di particolare interesse, a mio modo di vedere, il
tema della condizione sociale della ‘partner’ prescelta, materia questa (mette
appena conto di dirlo) oggetto di intenso dibattito fra i romanisti.
Prendiamo le mosse da un frammento di Ulpiano, di commento alla lex Iulia et Papia, ove si riporta, in senso adesivo, l’opinione di Atilicino: D. 25.7.1.1
(Ulp. 2 ad leg. Iul. et Pap.): Cum Atilicino sentio et puto solas eas in concubinatu
haberi posse sine metu criminis, in quas stuprum non committitur. Pare che il iuris
peritus del I sec. d.C. asserisse che il concubinato poteva instaurarsi solo con
donne in quas stuprum non committitur 75 . Essa era seguita ancora da Ulpiano76.
74 Cfr. ad esempio D. 25.7.4 (Paul. 19 resp.): Concubinam ex sola animi destinatione aestimari oportet; PS. 2.20.1: Concubina igitur ab uxore solo dilectu separatur.
75 Si vd. per un’interpretazione non propriamente in linea con le letture correnti Rizzelli, Lex Iulia, 196 n. 100; 235 n. 235.
76 Reputano che l’affermazione di D. 25.7.1.1 abbia tenore assolutamente generale, per
cui senza eccezione il concubinato con donna ingenua e honesta sarebbe stato considerato
stuprum, e in quanto tale colpito dalla legge de adulteriis, Bonfante, Corso 1, 322-324; Albertario, Honor matrimonii, 202; Parra Martin, Muyer, 244; Arévalo Caballero,
Notas, 81. Per l’opinione contraria si vd. part. Luchetti, La legittimazione, 190-191, la letteratura cit. in Cristaldi, Unioni, 169-170 e Astolfi, Il matrimonio classico, 135-137.
152
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
I giuristi intendevano riferirsi, con la locuzione in esame, a schiave77, o donne
prive di dignitas quali quelle elencate nella lex Iulia et Papia, come le prostitute,
a lenae, attrici e figlie di attrici78, donne publico iudicio damnatae79, adultere
(condannate o deprehensae)80.
In realtà le fonti prospettano anche altre tipologie di concubinato che, come
si è visto, scaturivano dai divieti di connubium regolati dalla lex Iulia et Papia e
non riguardanti donne in quas stuprum non committitur. Le fonti trattano con
una certa frequenza del concubinato fra patrono (non senatore) e liberta propria: in esso si preservava, nell’opinione dei giuristi, la dignitas di mater familias
alla concubina81. Consentito era del resto anche il concubinato fra un ingenuo
e una liberta altrui: costei (secondo una certa opinione giurisprudenziale) non
avrebbe avuto la stessa dignitas della liberta che vivesse col proprio patrono, ma
la relazione di convivenza non era configurata quale stuprum82 . Non può tacersi, d’altro canto, che il tipo di concubinato che appare attestato con assoluta
prevalenza nelle fonti epigrafiche è quello fra liberti (dove si presume che nella
maggior parte dei casi il partner liberto di sesso maschile avesse manomesso
una propria schiava e avviato poi con lei una relazione concubinaria)83.
L’apodittica opinione di Atilicino (e Ulpiano) sembrerebbe trovare risonanza nel più tardo Modestino: D. 23.2.24 (Mod. 1 reg.): In liberae mulieris
consuetudine non concubinatus, sed nuptiae intellegendae sunt, si non corpore
77 D. 48.5.6pr. (Pap. 1 de adult.); PS. 2.19.6, 2.26.16.
78 Vd. supra, nel § 6.
79 D. 25.7.1.2 (Ulp. 2 ad l. Iul. et Pap.); si vd. anche Tit. Ulp. 13.2.
80 D. 23.2.43.4 (Ulp. 1 ad l. Iul. et Pap.); D. 25.7.3pr. (Marcian. 12 inst.); D. 48.5.14(13).2
(Ulp. 2 de adult.).
81 Vd. part. D. 23.2.41pr.-1 (Marcell. 26 dig.): Probrum intellegitur etiam in his mulieribus
esse, quae turpiter viverent vulgoque quaestum facerent, etiamsi non palam. 1. Et si qua se in concubinatu alterius quam patroni tradidisset, matris familias honestatem non habuisse dico (considerando dunque, e converso, legittimo il concubinato tra la liberta e il suo patrono); e pure D.
34.9.16.1 (Pap. 8 resp.) … stuprum in ea contrahi non placuit, quae se non patroni concubinam
esse patitur …
82 Si vd. D. 34.9.16.1, in n. precedente. In argomento part. McGinn, Concubinage, 351-354.
83 Per tutti Rawson, Roman, 279-305; Treggiari, Concubinae, 59-81. Alle ricostruzioni
in esame ovviamente può opporsi che relazioni fra ingenui e liberti, o fra ingenui tout court,
che avessero in sostanza carattere di ‘unioni di fatto’, non venissero qualificate come tali nelle
epigrafi funerarie. Si può fondatamente supporre che, in diversi casi in cui una convivente è
qualificata come uxor o coniunx in una iscrizione o in un papiro, il rapporto sottostante fosse
di concubinatus e non di matrimonium, e che le convenzioni sociali correnti inducessero a non
‘esternare’ il dato in esame in un testo destinato a ‘pubblica’ lettura. Si rinvia per tutti sul
punto alla esaustiva ricerca di Friedl, Der Konkubinat, part. 102-128, 229-268.
153
Francesca Lamberti
quaestum fecerit. Nel frammento in esame si afferma che la consuetudo con
una donna libera – e si precisi che i più reputano che libera vada interpretato
come ingenua – debba considerarsi matrimonio, là dove la mulier non sia
solita prostituirsi (si non corpore quaestum fecerit). In questo caso è forse una
estrapolazione dall’originario contesto che appare conferire tenore generale
all’enunciato. Come evidenziato in dottrina, qui Modestino enuncerebbe
solo una presunzione: se la donna oltre alla libertà ha conservato la pudicitia,
l’onestà dei costumi, l’unione con lei ‘si presume’ (intellegitur) matrimonio e
non concubinato84.
Non vale poi a chiarire l’opinione di Modestino l’affermazione (D.
48.5.35(34)pr., sempre dal 1° libro delle regulae del giurista) per cui stuprum
committit, qui liberam mulierem consuetudinis causa, non matrimonii continet,
excepta videlicet concubina. Integra stuprum (e non matrimonium) la consuetudo
con una donna libera: l’aggiunta ‘excepta videlicet concubina’ non vale tuttavia a
chiarire quali siano le eccezioni quanto alla convivenza che non vada considerata stuprum, in quanto non si evince dal frammento quale donna (evidentemente liberae condicionis) sia da considerarsi concubina85. Probabilmente ulteriori
dettagli erano nel prosieguo dell’excursus, che l’estrapolazione subita non ci
consente di conoscere.
In dissenso con le affermazioni di Ulpiano e Modestino è l’opinione del
tardo severiano Marciano86:
D. 25.7.3pr. (Marcian. 12 inst.): In concubinatu potest esse et aliena liberta et ingenua et maxime ea quae obscuro loco nata est vel quaestum corpore fecit. Alioquin si
honestae vitae et ingenuam mulierem in concubinatu habere maluerit, sine testatione hoc manifestum faciente non conceditur, sed necesse est ei vel uxorem eam habere
vel hoc recusantem stuprum cum ea committere.
84 Vd. part. Astolfi, Matrimonio, 135-136. Diversamente, con altri, Puliatti, Condizione femminile, part. 23-29.
85 Considera invece il frammento indicativo del fatto che costituiscano stuprum tutti i rapporti in cui sia coinvolta una donna honestae vitae Fiori, La struttura, 222. Considerano
interpolato l’inciso fra altri Castelli, Concubinato, 56 e Bonfante, Corso 1, 320-321: sul
punto valga il rinvio a Fayer, La familia 3, 25. Esiste una vasta letteratura circa la estensione,
nelle fonti giuridiche, del termine adulterium: fra gli interventi recenti McGinn, Concubinage, 342; Rizzelli, La lex Iulia, 171-180; Fiori, Materfamilias, 483.
86 Stando alla cronologia diffusamente accolta Marciano sarebbe stato collaboratore di Ulpiano e funzionario con Caracalla fra il 212 e il 217; dedicatosi alla scrittura durante il regno
di Eliogabalo, avrebbe ripreso l’attività di funzionario con Alessandro Severo, con l’incarico
a libellis. Sul giurista si rinvia per tutti all’esaustiva, recente trattazione di Dursi, Aelius Marcianus, 3-11.
154
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
Marciano consente alla possibilità che vi sia concubinato tanto con una
liberta che con un’ingenua, particolarmente se obscuro loco nata (là dove verosimilmente vi fosse una grande disparità di ceto fra lei e il convivente). Quanto
alle ingenuae, se honestae vitae, secondo il giurista poteva instaurarsi una relazione di concubinato, a patto che le parti in causa ricorressero a una testatio
che documentava la loro situazione. Inutile dire che l’inciso sine testatione hoc
manifestum faciente non conceditur è stato ampiamente tacciato di interpolazione: svariati studiosi hanno giudicato compilatoria la menzione della testatio87.
Marciano avrebbe infatti sostenuto (secondo coloro che si schierano per l’interpolazione) che chi convivesse con una mulier ingenua e honestae vitae non aveva
alternativa tra il tenerla come uxor o l’essere passibile di accusa di stuprum. Nella redazione attuale, per vero, è forte la sensazione che il passaggio in esame sia
andato soggetto a una sintesi. Il temperamento dell’affermazione iniziale concernente la possibilità di concubinato con un’ingenua, mediante l’aggiunta et
maxime ea quae obscuro loco nata est, conduce a chiedersi se la precisazione non
fosse connessa con un qualche chiarimento ulteriore sulle tipologie di ingenuae
con le quali solitamente si instaurava concubinato. Come vedremo, una certa
genericità sul punto si rinviene anche nella legislazione giustinianea, e potrebbe
aver giustificato l’attuale redazione del testo marcianeo.
Negli ultimi decenni in ogni caso gli studiosi si sono schierati per la classicità dell’intero frammento di Marciano (ipotizzandone dunque una divergenza
con Ulpiano e col più antico Atilicino): Marciano (rifacendosi forse a un’opinione già espressa da Marcello88) avrebbe consentito il concubinato anche con
donne ingenue e honestae vitae, a condizione che la volontà dei conviventi (e
soprattutto del partner di sesso maschile) di convivere in una unione di fatto
e non in iustae nuptiae fosse riversata in una testatio89. D’altro canto più di una
fonte giurisprudenziale documenta l’uso di ricorrere a testationes, che dovevano
avere nel principato funzione probatoria della voluntas concernente il rapporto
87 Fra altri Castelli, Concubinato, 150-151; Solazzi, Il concubinato, 269-277; Longo,
Diritto romano, 68; Fayer, Familia 3, 22-23.
88 Supra, n. 81. Riproduco nuovamente il § 1 del frammento, tuttavia utilizzato sia da chi
sostiene una ‘maggiore apertura’ di Marcello, sia da chi afferma una interpretazione restrittiva
da parte del giurista: D. 23.2.41.1 (Marcell. 26 dig.): Et si qua se in concubinatu alterius quam
patroni tradidisset, matris familias honestatem non habuisse dico.
89 Si rinvia, per quel che attiene ai difensori della genuinità del riferimento alla testatio,
ai cit. in Cristaldi, Unioni, 169-170, n. 126; adde part. McGinn, Concubinage, 359-362;
Astolfi, Matrimonio classico 135-136. Per una diversa ipotesi, nel senso che la testatio dovesse essere volta a documentare la volontà della donna di rinunciare alla propria condizione
sociale, Bianchini, Note sul concubinato, 419 n. 29.
155
Francesca Lamberti
sottostante, relative alla volontà delle parti di dar vita a iustae nuptiae90. Non si
vede dunque per quale motivo non dovessero esistere anche testationes relative
all’intenzione di porre in essere un rapporto non matrimoniale, una relazione
concubinaria.
È possibile formulare qualche riflessione aggiuntiva. Anzitutto, viste le
oscillazioni giurisprudenziali, che dovevano riflettere quelle della prassi e verosimilmente anche dei rescritti imperiali in materia91, non è inverosimile che,
se non vi era un motivo evidente (come ad esempio la libertinitas o l’esercizio
di una professione disdicevole della donna) per escludere le nuptiae e porre in
essere un concubinato, il rapporto con una ingenua, sia pur di bassa estrazione
sociale, ma di buoni costumi, potesse andare incontro ad accusa di stuprum.
Nel principato unioni del genere non erano infrequenti, ed è verosimile che – là
dove non fossero portate (da delatores) all’attenzione dei tribunali – venissero
tollerate. Il rischio di una ‘denuncia’ tuttavia forse esisteva92 . Per cui si consigliava a chi convivesse (in assenza di matrimonio) con una donna che non
rientrava fra quelle in quas stuprum non committitur di cautelarsi attraverso una
testatio che comprovasse la volontà di preservare l’honestas della donna, ma nel
contempo di non voler dare vita a nuptiae93.
90 Gai. 1.29 e Tit. Ulp. 3.3 riguardano la testatio in un matrimonio fra un libertus Latinus
e una civis Romana (o Latina Iuniana o coloniaria) nel quadro di una anniculi causae probatio
(Gai. 1.29: Statim enim ex lege Aelia Sentia minores triginta annorum manumissi et Latini
facti si uxores duxerint vel cives Romanas vel Latinas coloniarias vel eiusdem condicionis, cuius
et ipsi essent, idque testati fuerint adhibitis non minus quam septem testibus civibus Romanis
puberibus et filium procreaverint, cum is filius anniculus esse coeperit, datur eis potestas per eam
legem adire praetorem vel in provinciis praesidem provinciae et adprobare se ex lege Aelia Sentia
uxorem duxisse et ex ea filium anniculum habere, rell.). D. 20.1.4 (= D. 22.4.4, Gai. l. s. ad form.
hyp.: In re hypothecae nomine obligata ad rem non pertinet, quibus fit verbis, sicuti est et in his
obligationibus, quae consensu contrahuntur: et ideo et sine scriptura si convenit, ut hypothecae sit,
et probari poterit, res obligata erit de qua conveniunt. Fiunt enim de his scripturae, ut quod actum
est per eas facilius probari possit: et sine his autem valet quod actum est, si habeat probationem, sicut et nuptiae sunt, licet testatio sine scriptis habita est): qui si afferma che l’ipoteca è valida (così
come per le obligationes consensu contractae) anche ‘sine scriptura’, purché sia possibile provarne
l’esistenza mediante testimoni (la scrittura ovviamente ha valore probatorio); analogamente
accade per il matrimonio, dove la testatio può avvenire anche per mezzo di testimoni, senza
necessariamente essere riversata in un documento scritto. Su tali profili part. Karabélias,
La forme, 509-603.
91 Se ne vedano citati alcuni esempi in Lamberti, Unioni, 16-26.
92 In particolare là dove si volessero far valere ipotesi di indegnità testamentaria: si trattava
di cause promosse dinanzi al procurator a rationibus. Se il fisco avesse incassato i suoi diritti
sull’ereptorium era verosimile un compenso per chi denunciasse: McGinn, Concubinage, 355.
Per una ipotesi di possibile indegnità vd. infra nel testo.
93 Per tutti Astolfi, Il matrimonio classico, 135-136.
156
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
Non può neppure escludersi che l’affermazione di Ulpiano (2 ad leg. Iul. et
Pap.), solas eas in concubinatu haberi posse … in quas stuprum non committitur, e
quella di Modestino (1 regul.) per cui in liberae mulieris consuetudine non concubinatus, sed nuptiae intellegendae sunt, si non corpore quaestum fecerit, potessero,
nell’ottica dei compilatori, leggersi ‘in combinato disposto’ con le affermazioni
di Marciano, preservate (come quelle di Ulpiano) nel titolo 25.7 del Digesto,
che estendevano la possibilità di concubinato anche a relazioni con donne di
nascita libera (ingenuae) e di condizione non degradata (a patto che si comprovasse la voluntas dei partner col ricorso ad opportuna documentazione). Non
sappiamo infatti, vista la ‘recensio’ giustinianea, se il discorso di Ulpiano e quello
di Modestino originariamente non si sviluppassero ammettendo eccezioni alle
affermazioni generalizzanti quali esse appaiono nella compilazione. Se è così,
le parole di Marciano non necessariamente rappresentavano una ‘dissenting
opinion’ rispetto a quella espressa dai primi due94. In alternativa potremmo
pensare all’affermarsi, nel corso del III sec. d.C., di una opinione più ‘liberale’,
aperta alla possibilità di avere per concubina una donna libera e di non infima
estrazione sociale.
Una testimonianza in favore della possibilità di concubinato con un’ingenua
(honestae vitae) è del resto quella che si rinviene in un responso di Papiniano:
D. 34.9.16.1 (Pap. 8 resp.): Quoniam stuprum in ea contrahi non placuit, quae se
non patroni concubinam esse patitur, eius, qui concubinam habuit, quod testamento
relictum est, actio non denegabitur. Idque in testamento Coccei Cassiani clarissimi
viri, qui Rufinam ingenuam honore pleno dilexerat, optimi maximique principes
nostri iudicaverunt: cuius filiam, quam alumnam testamento Cassianus nepti coheredem datam appellaverat, vulgo quaesitam apparuit.
In un passo dall’andamento non pienamente lineare95, il giurista apriva il
discorso affermando che anche nei riguardi di colei che non fosse concubina del
proprio patrono non ‘placuit’ rinvenire una ipotesi di stuprum. In sintesi, Papiniano affermava che non si ravvisasse stuprum non solo nei casi previsti dalla
94 Ulteriore sviluppo di tale concezione sarebbe presente nell’affermazione tratta dai libri
responsorum di Paolo e preservata sempre nel titolo 25.7, al frammento 4, per cui un rapporto
di concubinato può evincersi anche sulla base della mera animi destinatio: D. 25.7.4 (Paul. 19
resp.), concubinam ex sola animi destinatione aestimari oportet. Nel frammento paolino tuttavia non si precisa nei riguardi di quale tipo di donna possa aversi concubinato: esso apre
dunque la porta a molteplici dubbi di difficile risoluzione.
95 La prima esegesi convincente del frammento risale a Mitteis, Romanistische, 304-313;
inter multos, Plassard, Le concubinat, 73-84; Treggiari, Concubinae, 71-77; McGinn,
Concubinage, 354-358; Olsen, La femme, 166-169; Astolfi, La lex, 33-34; Evans Grubbs,
Illegitimacy, 30-32.
157
Francesca Lamberti
legge ma anche nel rapporto di convivenza fra un ingenuo e una liberta (sia propria che altrui)96; e poiché l’affermazione era di tenore assolutamente generale,
essa poteva applicarsi anche a casi di convivenza con ingenuae. Ne conseguiva
che fosse possibile reclamare in giudizio (actio non denegabitur) quanto fosse
stato lasciato ex testamento a discendenti nati da un rapporto di concubinato.
Il caso di specie era quello del testamento di un clarissimus vir, Cocceio Cassiano, che aveva convissuto con una donna, Rufina, ingenua per nascita e alla
quale aveva riservato “per le sue doti morali” un plenus honor (pur non avendola
sposata, forse per via della disparità sociale)97. Il testamento di Cocceio, qualificando alumna la figlia di lui e di Rufina, apertamente denotava che il de cuius
reputasse concubinato l’unione con quest’ultima (nonostante ella non fosse né
liberta né donna priva di honestas). I ‘principes nostri’ (verosimilmente Settimio
Severo e Caracalla) avrebbero acconsentito ad attribuire l’eredità a una nipote
di Cocceio e ad una figlia dell’unione di lui con Rufina, detta alumna nel testamento poiché nata da un’unione non matrimoniale e dunque ‘vulgo quaesita’,
nonché a reputare valido il legato (del quale dovevano essere onerate le coheredes) alla concubina98. Gli imperatori riconobbero pertanto valida la relazione
concubinaria fra il de cuius e Rufina. Ciò sulla base della constatazione che il
legame non era configurabile come stuprum: in conseguenza della legittimità
della relazione, la donna e la figlia non potevano considerarsi indegne di ricevere il lascito99. Con le dovute cautele, la testimonianza può trarsi a favore del
riconoscimento (almeno al tempo di Severo e Caracalla) del concubinato fra
un uomo di elevata dignitas e una donna – sia pur di condizione non elevata
– ingenua e honestae vitae. Non escluderei che svariate fossero le relazioni di
questo tipo all’epoca, considerate le ‘zone d’ombra’ cui anche una interpreta-
96 Si vd. il già citato (retro n. 81) D. 23.2.41 (Marcell. 26 dig.).
97 Non disponiamo in ogni caso di dati prosopografici (ad esempio derivanti da attestazioni epigrafiche) su Cocceio Cassiano, che dunque possiamo solo imperfettamente qualificare
come personaggio di condizione assai elevata.
98 «Rufina hätte vom Cassianus keine letztwillige Zuwendung erhalten können, wenn
das Concubinat stuprum war»: Mitteis, Romanistische, 307. Nello stesso senso da ultimo
Astolfi, La lex, 33.
99 Astolfi, La lex, 33: «Il richiamo alla denegatio actionis, contenuto nel testo, e il fatto
che sicuramente tanto il paragrafo precedente quanto il seguente a quello in esame trattano
dell’indegnità, assicurano che anche il frammento in esame trattava di indegnità. Cioè faceva
questione se i due fossero oppure no rei di stupro e perciò fossero oppure no indegni». Non
improbabile che a contestare la posizione di erede della alumna e di legataria di Rufina fosse
proprio la nipote di Cocceio Cassiano: Gardner, Family, 258-259; analogamente Evans
Grubbs, Illegitimacy, 31.
158
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
zione accorta del dettato della legislazione augustea poteva lasciare spazio100.
Non si dimentichi del resto che fra I e II secolo più di un princeps tenne presso
di sé una concubina: è da presumere pertanto che anche gli appartenenti alle
élite del principato considerassero di imitarne il comportamento, soprattutto
se avessero già adempiuto alle previsioni della legislazione augustea, e avessero
già avuto figli da un iustum matrimonium101, seguito poi da una vedovanza o
da un divorzio. E non può affatto escludersi che, in luogo di liberte, scegliessero
di convivere con donne ingenue, confidando nel fatto che proprio la loro posizione potesse tenerli indenni da vicende giudiziarie.
8.
Non stupisce in fin dei conti che i frammenti passati in rassegna appaiano
documentare una certa oscillazione sulla possibilità di intrattenere una relazione non matrimoniale con una donna di nascita ingenua e di buoni costumi (e
forse neppure di bassa estrazione sociale, sia pur non comparabile con quella
del partner), invece di realizzare (come del tutto ammissibile in punto di diritto) iustae nuptiae.
Uno dei motivi potrebbe risiedere nella legislazione tardoantica. Taluni
imperatori cristiani, a partire da Costantino, avevano espresso, nelle loro leges,
un diffuso sfavore nei riguardi del concubinato. Costantino, dopo un iniziale
100 Si rinvia sul punto alle acute riflessioni di McGinn, Concubinage, 352: «The law itself,
when it fixed liability for the mater familias and specified certain exempt types, was not so
constructed as to deny the jurists any room to maneuver (I do not mean to imply this must
have been deliberate on the part of the legislator) … no definition of mater familias was given;
moreover, given the fact that reality could not have conformed precisely to the black-and-white schematism of the law (because a woman was not a slave, adulteress, peregrine, procuress,
or prostitute, did that automatically qualify her as a mater familias?), it was perhaps inevitable that these classifications came to be manipulated by the jurists».
101 Vespasiano avrebbe avuto, dopo la morte della moglie Domitilla, una relazione stabile con una donna, anche se di condizione libertina, Caenis (Suet. Vesp. 3, 3: Post uxoris
excessum Caenidem, Antoniae libertam et a manu, dilectam quondam sibi revocavit in contubernium, habuitwue etiam imperator paene iustae uxoris loco); Antonino Pio avrebbe avuto
per concubina la liberta Lysistrata (CIL VI 8972 = ILS 1836); Marco Aurelio, dopo la morte di Faustina, avrebbe a sua volta convissuto con la figlia del suo procurator (SHA Marc.
Ant. 29, 10: Sed ille concubinam sibi adscivit procuratoris uxoris suae filiam, ne tot liberis
superduceret novercam). «Era conveniente che prendessero concubine, anziché nuove mogli,
i vedovi anziani o i divorziati che avevano figli, perché la moglie, che poteva generare altri
figli, avrebbe inciso sulle dimensioni della famiglia e sulla distribuzione del patrimonio»:
Fayer, La familia 3, 13. Alla luce delle riflessioni anzidette è possibile che nel principato il
concubinato finisse per profilarsi come una peculiare forma di organizzazione delle relazioni familiari facenti capo al pater.
159
Francesca Lamberti
provvedimento, nel 326, che proibiva al marito di tenere presso di sé oltre che
la moglie anche una concubina102 , diede un giro di vite ulteriore al fenomeno nel 336, con due costituzioni, CTh. 4.6.2 (mutila)103 e CTh. 4.6.3 (= C.
5.27.1)104. Nella prima l’imperatore invalidava qualsiasi liberalità (inter vivos o
mortis causa) a figli nati da unioni concubinali, attribuendo ai figli legittimi
(là dove esistenti) o ai parenti prossimi e in subordine al fisco quanto di conseguenza confiscato ai figli naturali; comminava altresì (oltre alla confisca) pene
corporali al figlio di un certo Liciniano, che era riuscito a giungere al sanctissimum dignitatis culmen ottenendo quella che doveva essere, verosimilmente,
102 La disposizione risulta sicuramente massimata in C. 5.26.1 (Const. ad pop.): Nemini
licentia concedatur constante matrimonio concubinam penes se habere: sul punto, fra altri, Niziołek, Legal effects, 19; Luchetti, Legittimazione, 185. L’interpretazione fornita nel testo
non è incontroversa: parte della dottrina ipotizza che Costantino abbia del tutto proibito
il concubinato in costanza di matrimonio; secondo la letteratura più recente la lex avrebbe
invece contenuto solo il divieto di tenere moglie e concubina sotto lo stesso tetto. Discussione
delle varie opinioni, da ultimo, in Cristaldi, Unioni, 181-182 e nn. 200 ss.
103 CTh. 4.6.2: …………ri fecit vel si ipsorum nomine comparavit, totum legi[tima] suboles
recipiat. Quod si non sint filii legitimi nec fra[ter] consanguineus aut soror aut pater, totum fisci
viribus [vind]icetur. Itaque Liciniani etiam filio, qui per rescriptum sanc[tissi]mum dignitatis
culmen ascendit, omnis substantia au[ferat]ur et secundum hanc legem fisco adiudicetur, ipso
ver[berato] conpedibus vinciendo, ad suae originis primordia redi[gendo]. Lect. III k. Mai. Carth(agine) Nepotiano et Facundo conss. (29 Apr. 336).
104 CTh. 4.6.3: (Idem Aug. ad Gregorium): Senatores seu perfectissimos, vel quos (in civ)itatibus
duum-viralitas vel quinquennalitas vel fla[monii] vel sacerdotii provinciae ornamenta condecorant, pla(cet m)aculam subire infamiae et peregrinos a Romanis legibus (fieri, s)i ex ancilla
vel ancillae (filia) vel liberta vel libertae filia, sive Romana facta seu Latina, vel scaenica (vel
scaenicae) filia, vel ex ta(bern)aria vel ex tabernari filia vel humili vel abiecta vel leno(nis ve)l
harenarii filia vel quae mercimoniis publicis praefuit, (suscep)tos filios in numero legitimorum
habere voluerint (aut pr)op(r)io iudicio aut nostri praerogativa rescripti, ita ut, (quidq)uid talibus
liberis pater donaverit, sive illos legitimos (seu natur)ales dixerit, totum retractum legitimae subo(li redda)tur aut fratri aut sorori aut patri aut matri. Sed et (uxori t)ali quodcumque datum
quolibet genere fuerit vel empti(one c)ollatum, etiam hoc retractum reddi praecipimus: ip(sas et)
iam, quarum venenis inficiuntur animi perditorum, (si qui)d quaeritur vel commendatum dicitur, quod his red(dend)um est, quibus iussimus, aut fisco nostro, tormentis (subici) iubemus. Sive
itaque per ipsum donatum est qui pater (dicitu)r vel per alium sive per suppositam personam sive
(ab eo e)mptum vel ab alio sive ipsorum nomine comparatum, (stati)m retractum reddatur quibus
iussimus, aut, si non exis(tunt, f)isci viribus vindicetur. Quod si existentes et in praesen(tia re)rum
constituti agere noluerint pacto vel iureiu(rand)o exclusi, totum sine mora fiscus invadat. Quibus
tacen(tibus et) dissimulantibus a defensione fiscali duum mensuum (temp)ora limitentur, intra
quae si non retraxerint vel (propter) retra(hendum) rectorem provinciae interpellaverint, quidquid ta(libus fil)iis vel uxoribus liberalitas impura contulerit, fiscus nos(ter inv)adat, donatas vel
commendatas res (sub po)ena quadrupli severa quaestione perquirens. Licinniani autem filius,
qui fugiens comprehensus est, conpe[dibus vinc]tus ad gynaecei Carthaginis ministerium deputetur. L[ecta XII] k. Aug. Carthag(ine) Nepotiano et Facundo conss. (21 Iul. 336).
160
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
una legitimatio per rescriptum105. Non è certa l’identità di questo personaggio,
né se avesse a che fare con il rivale di Costantino, Licinio, messo a morte da
Costantino poco prima, nel 325 d.C.106 (e del quale non è noto un figlio illegittimo). In ogni caso la sua vicenda dové fornire l’occasio per la prima delle leges
costantiniane in argomento107.
In CTh. 4.6.3 l’imperatore integrava le disposizioni già presenti in CTh.
4.6.2, generalizzandole: erano puniti con l’infamia e con la perdita della cittadinanza (peregrinos a Romanis legibus fieri) coloro che, di elevata estrazione sociale (senatores, perfectissimi, duumvirales, quinquennales, flamines municipales,
sacerdotes) avessero legittimato o intendessero legittimare (mediante adozione
o impetrando un rescritto imperiale) figli nati dall’unione con donne di bassa
o infima condizione sociale, fra esse includendo tuttavia sinanche le ‘libertae
filiae’ (ovvero donne ingenue, sia pur di umili natali)108. Revocava altresì le elargizioni di qualsiasi genere erogate alla concubina o ai figli nati dall’unione, in
favore o della legitima suboles o di fratelli o genitori di coloro che fossero colpiti
dalle previsioni della lex109. L’intervento normativo impediva che la presenza di
figli naturali, da un rapporto non matrimoniale, compromettesse le prerogative
dei figli legittimi, in tal modo perseguendo obiettivi di tutela e rafforzamento
della famiglia fondata su iustae nuptiae. Addirittura parrebbe aver reso la con105 Sulla vicenda, fra altri, Bianchini, Casus perplexus, 25-35; Bianchini, Note sul concubinato, 414; Fayer, Familia 3, 31-32.
106 Eutr. 10, 6, 1; Aur. Vic. Caes. 41, 7.
107 Evans Grubbs, Illegitimacy, 39: «Possibly the ‘son of Licinnianus’ in Constantine’s
laws was an imposter claiming connections with the former emperor, like the false Neros who
had arisen in past centuries. But it is more likely that he was a different person altogether, who
had managed to obtain an imperial rescript allowing him to inherit from his father despite
his slave birth. It may have been this particularly shocking case of usurpation of status that
inspired Constantine’s harsh measure in the first place». Si vd. anche (oltre ai cit. nelle nn.
precedenti) Astolfi, Studi, 295.
108 La costituzione (retro, n. 104), si è visto, ne elenca dettagliatamente la tipologia:
ancilla vel ancillae (filia) vel liberta vel libertae filia, sive Romana facta seu Latina, vel
scaenica (vel scaenicae) filia, vel ex ta(bern)aria vel ex tabernari filia vel humili vel abiecta
vel leno(nis ve)l harenarii filia vel quae mercimoniis publicis praefuit. Sulla disposizione, fra
gli autori più risalenti, part. Sargenti, Il diritto privato, 131-136; nella letteratura recente
vd. Puliatti, Quae ludibrio, 50-58; Neri, Tra schiavi e liberi, 89-93 (con ampia riflessione sulle varie categorie, e part. su colei quae mercimoniis publicis praefuit); Fayer, Meretrix, 608-609; Solidoro, La prostituzione, 27-31; Cristaldi, Unioni, 180-184; Evans
Grubbs, Illegitimacy, 38-39; Cusmà Piccione, La perduta, 165-168; Bianchini, Note
sul concubinato, 414-415.
109 Adde, ai citt. retro n. 108, Luchetti, Legittimazione, part. 15-23, 173-202; Astolfi,
Studi, 281-297.
161
Francesca Lamberti
dizione dei naturales peggiore rispetto a quella degli spurii o vulgo concepti, che
rimanevano adottabili e in condizione di ricevere liberalità110.
La legislazione postcostantiniana conosce abbondanti oscillazioni ove si
alternano attenuazioni e inasprimenti della disciplina111, in particolare quanto
alla capacità di acquisto mortis causa della concubina e dei liberi naturales. In
ordine al riconoscimento dei figli nati da una unione ‘di fatto’ con una ingenua,
attraverso successivo matrimonio, pare sia intervenuto già Costantino stesso112 .
Gli interessi di figli legittimi di persone di alto rango condussero in ogni caso
a forti contrasti verso l’applicazione della disposizione concernente la c.d. legitimatio per subsequens matrimonium113. Il contenuto della lex Constantiniana
fu ribadito nel 477 in una costituzione di Zenone accolta nel Codex repetitae
praelectionis, C. 5.27.5: l’imperatore vi prevedeva che chi, prima della emanazione della sua costituzione, fosse stato unito con una concubina ingenua e ne
avesse avuto figli, in assenza di precedente matrimonio e figli legittimi, poteva
contrarre legittimo matrimonio con la convivente e rendere legitimi e in potestate i suddetti liberi naturales114. Se la costituzione zenoniana aveva carattere
solo transitorio, la previsione che consentiva di regolarizzare la posizione dei
figli naturali nati da concubinato con una ingenua sarebbe stata resa generale
da Anastasio, nel 517115. Abrogata la lex Anastasiana da Giustino I nel 519 (C.
110 Cristaldi, Unioni, 183.
111 Di un «variare delle leggi tra il rigore fanatico e le ammissioni tolleranti» parla Voci,
Nuovi studi, 222. Più sfumata la posizione di Bianchini, Note sul concubinato, 415 n. 8: «resta difficile stabilire quanto tale impressione dipenda dalla diversa provenienza, cancelleria
occidentale o cancelleria orientale, delle singole leges».
112 Con una legge perduta (che i più presumono fosse riprodotta in CTh. 4.6.1), della quale tuttavia è menzione in una costituzione del 477 d.C. di Zenone, C. 5.27.5 (infra, n. 114).
Per tutti Luchetti, La legittimazione, 177-202 e, da ultimo, Cusmà Piccione, La perduta,
155-174.
113 Astolfi, Studi, 295-296.
114 Se ne trascrive qui l’incipit, con il relativo rimando alla lex costantiniana. C. 5.27.5
(Zeno Sebastiano pp.): Divi Constantini, qui veneranda Christianorum fide Romanum munivit imperium, super ingenuis concubinis ducendis uxoribus, filiis quin etiam ex isdem vel ante
matrimonium vel postea progenitis suis ac legitimis habendis sacratissimam constitutionem renovantes iubemus eos, qui ante hanc legem ingenuarum mulierum (nuptiis minime intercedentibus) electo contubernio cuiuslibet sexus filios procreaverunt, quibus nulla videlicet uxor est, nulla
ex iusto matrimonio legitima proles suscepta, si voluerint eas uxores ducere, quae antea fuerant
concubinae, … coniugium legitimum cum huiusmodi mulieribus ingenuis, ut dictum est, posse
contrahere … (a. 477). In argomento, per tutti, Cusmà Piccione, La perduta, 155-174; Pietrini, La legislazione, 82-95.
115 C. 5.27.6 (Anastas. Sergio pp.): Iubemus eos, quibus nullis legitimis existentibus liberis
in praesenti aliquae mulieres uxoris loco habentur, ex his sibi progenitos seu procreandos suos et
162
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
5.27.7pr.), Giustiniano ne avrebbe recuperato le previsioni con una costituzione
del 17 settembre 529 (C. 5.27.10)116 e con ulteriori due di tenore interpretativo
della prima, che doveva aver dato luogo a forti resistenze, legate a contrasti fra
prole legittima e illegittima all’interno dello stesso nucleo familiare (C. 5.27.11
e 12)117: nella prima delle tre leges (C. 5.27.10), il rapporto preso in considerazione era quello con una mulier libera et cuius matrimonium non est legibus
interdictum. Dalla terminologia appare evidente che, al di là della problematica
dei filii naturales, unioni con donne libere (e di regola ingenue) che non ricadessero nei divieti matrimoniali previsti dalle (ancora all’epoca vigenti) leges Iulia
et Papia e Iulia de adulteriis, e che fossero qualificabili come concubinato e non
come nuptiae (ossia come unioni cementate eadem adfectione del matrimonio
pur senza esserlo)118, erano abbondantemente diffuse nel tardoantico e in età
giustinianea.
Non è possibile, in questa sede, addentrarci nei meandri delle dispute relative
al riconoscimento della filiazione naturale e ai casi in cui ciò fosse ammissibile e
consentito, fra Costantino e Giustiniano119. Dal breve excursus concernente gli
interventi in materia nel tardoantico penso possa trarsi qualche timida congettura, legata anche alla progressiva ‘apertura’ di Giustiniano verso la conversione
di situazioni di concubinato in iustae nuptiae.
in potestate sua legitimosque habere propriasque substantias ad eos vel per ultimas voluntates vel
per donationes seu alios legi cognitos titulos si voluerint transferre, ab intestato quoque eorum ad
hereditatem vocandos, nec aliquam quaestionis seu altercationis exercendae sub qualibet astuta
subtilique legum vel constitutionum occasione super his vel agnatis seu cognatis genitoris eorum vel
quibusdam aliis superesse facultatem in posterum: nihilo minus, quisquis huiusmodi mulierem
uxoris loco dotalibus instrumentis confectis habuerit, pro eius subole similem eandemque formam
custodiri, ne adimatur ei licentia sibi quodammodo per liberos proprios suum patrimonium adquirendi (a. 517). Sulla lex in esame part. Luchetti, Legittimazione, 203-218; Bono, La legislazione, 119-128.
116 C. 5.27.10pr. (Iust. Demost. pp.): Cum quis a muliere libera et cuius matrimonium non
est legibus interdictum cuiusque consuetudine gaudebat aliquos liberos habuerit, minime dotalibus instrumentis compositis, postea autem ex eadem adfectione etiam ad nuptialia pervenerit instrumenta et alios iterum ex eodem matrimonio liberos procreaverit, ne posteriores liberi, qui post
dotem editi sunt, sibi omne paternum patrimonium vindicare audeant quasi iusti et in potestate
effecti, fratres suos, qui ante dotem fuerant nati, ab hereditate paterna repellentes, huiusmodi
iniquitatem non esse ferendam censemus (a. 529).
117 Per tutti Luchetti, Legittimazione, 227-246; Astolfi, Studi, 281-285.
118 La locuzione mi pare presenti un addentellato con quella presente in D. 34.9.16.2 (supra, nel § 6), dove Cocceio Cassiano, che conviveva con l’ingenua Rufina, honore pleno dilexerat la donna.
119 Ampia disamina dei temi in esame, in ogni caso, è nella letteratura citata supra, nn.
precedenti.
163
Francesca Lamberti
Considerate le oscillazioni normative subite nel tempo dalla disciplina del
riconoscimento per subsequens matrimonium dei figli nati da rapporti di concubinato, e la possibilità che la honestas di donne libere che vivevano in concubinato venisse messa in dubbio in caso di controversie (soprattutto di carattere
ereditario), non stupisce che i frammenti dei giuristi di età severiana che dibattevano (per il loro tempo) di natura e tipologie di concubinato andassero incontro a sintesi (e forse riformulazioni) dalla prospettiva (sia pur storicamente
orientata) dei tribonianei: infatti l’atteggiamento di apertura (che trapela dalle
costituzioni giustinianee del 529-531, C. 5.27.10-12) verso tipologie di concubinato che potessero trasformarsi in legitimae nuptiae doveva incontrare, proprio
negli anni della composizione dei Digesta, ostacoli (e dispute legali) sulla possibilità di convertire in matrimonio situazioni potenzialmente configurabili
come stuprum. Non improbabile dunque che riflessioni ‘liberali’, come quelle
formulate da Marciano (D. 25.7.3pr.) sulla opportunità di confezionare una
testatio che rendesse conto della volontà dei conviventi (che forse facevano da
pendant a decisioni imperiali sul punto), o quelle di Papiniano (D. 34.9.16.1)
relative a un sentimento paragonabile a quello coniugalis (e concernente una
concubina ingenua), ma non riversato in tabulae che testimoniassero una maritalis adfectio, potessero essere accolte nella compilazione, con gli opportuni
‘aggiustamenti’ là dove proprio in quegli anni si affermava che la confezione
di instrumenta (nuptialia) era l’elemento probatorio essenziale di una unione
matrimoniale120. Vale a dire che, in una temperie in cui si dibatteva su quale
tipo di concubinato potesse essere trasformato in matrimonio (soprattutto a
beneficio dei liberi naturales), e in cui alcuni tipi di concubinato con donna
ingenua potevano prestare il fianco ad attacchi, in via cautelativa si provvedeva a documentare la solidità dell’unione concubinale intrapresa mediante un
qualche tipo di instrumenta (verosimilmente in uso già nel tardo principato
nella forma di testationes): allo stesso modo in cui gli instrumenta nuptialia (o
dotalia) erano intesi a documentare l’esistenza di un iustum matrimonium.
120 C. 5.27.11pr. (Iust. Iuliano pp.): Nuper legem conscripsimus, per quam iussimus, si quis
mulierem in suo contubernio collocaverit non ab initio adfectione maritali, eam tamen, cum qua
poterat habere conubium, et ex ea liberos sustulerit, postea vero adfectione procedente etiam nuptialia instrumenta cum ea fecerit filiosque vel filias habuerit, non solum secundos liberos qui post
dotem editi sunt iustos et in potestate esse patribus, sed etiam anteriores, qui et his qui postea nati
sunt occasionem legitimi nominis praestiterunt (a. 530).
164
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
Bibliografia
Agnati U., Profili giuridici del ‘repudium’ nei secoli IV e V, Napoli 2017.
Albanese B., Questioni di diritto romano arcaico: Sex suffragia. Sulla legge di Numa
a riguardo della Paelex. Liv. 1,40,4 e la creazione della prima coppia consolare, Minima
Epigrapica et Papyrologica 9 (2006) 43-57.
Albertario E., Honor matrimonii e affectio maritalis, in Studi di diritto romano 1,
Milano 1933, 198-223.
Arces P., La ‘pelex’ tra poligamia e concubinato in Roma antica, in Più cuori e una
capanna. Il poliamore come istituzione, a cura di E. Grande e L. Pes, Torino 2018, 207224.
Arces P., Il regime giuridico-sacrale della ‘pelex’ tra ‘pallakia’ e concubinato, RDR 20
(2020) 1-22.
Arévalo Caballero W., Notas sobre la configuración de las uniones de hecho en
Roma, in Feminismo/s 8, dic. 2006, 77-86.
Astolfi R., Il matrimonio nel diritto della Roma preclassica, Padova 2018.
Astolfi R., Il matrimonio nel diritto romano preclassico, Padova 2014.
Astolfi R., Studi sul matrimonio nel diritto romano postclassico e giustinianeo, Napoli
2012.
Astolfi R., La lex Iulia et Papia, Padova 19964.
Astolfi R., Sintesi della storia della bigamia in Roma, SDHI 76 (2010) 281-290.
Battaglia F., An Aulus Gellius ‘commentary’ on Masurius Sabinus (Noct. Att. 11.18),
ZSS 84 (2016) 97-148.
Beaucamp J., Le statut de la femme à Byzance (4e-7e siècle) 1. Le droit imperial, Paris
1990.
Bertazzoli M., Giuste nozze e legittimità della prole da Dracone agli oratori, Mediterraneo Antico 8 (2005) 641-686.
Bianchini M.G., Caso concreto e ‘ lex generalis’. Per lo studio della tecnica e della politica normativa da Costantino a Teodosio II, Milano 1979.
Bianchini M.G., Note sul concubinato in età tardoantica, Iura 70 (2022) 413-424.
Blasi M. - Campione R. - Figone A. - Mecenate F. - Oberto G., La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze: la legge 20 maggio 2016 n.76, Torino
2016.
Bonfante P., Corso di diritto romano 1. Diritto di famiglia, Roma 1925 (rist. Milano
1963).
Bonin F., Intra ‘ legem Iuliam et Papiam’. Die Entwicklung des Augusteischen Eherechts
im Spiegel der Rechtsquellenlehren der klassischen Zeit, Bari 2020.
165
Francesca Lamberti
Bono F., La legislazione di Anastasio I. Il diritto privato, Napoli 2023.
Botta F., Stuprum per vim illatum, in Violenza sessuale e società antiche. Profili storico-giuridici, a cura di F. Lucrezi, F. Botta e G. Rizzelli, Lecce 20163, 87-130.
Brescia G., La ‘paelex’ e Giunone tra diritto e mito, in Numa. I culti, i confini, l’omicidio, a cura di L. Garofalo, Bologna 2022, 91-125.
Bretone M., Tecniche ed ideologie dei giuristi romani, Napoli 1982.
Capogrossi Colognesi L., La costruzione del diritto privato romano, Bologna 2016.
Castán Pérez Gomez S., El concubinato en la experiencia jurídica romana, in Hominum causa omne ius constitutum est. Escritos sobre el matrimonio en homenaje al Prof.
Dr. J.M. Díaz Moreno, Madrid 2000, 1459-1478.
Castelli G., Il concubinato e la legislazione augustea, BIDR 27 (1914) 55-71.
Castello C., In tema di matrimonio e concubinato nel mondo romano, Roma 1940.
Coppola G., La famiglia di fatto tra corsi e ricorsi storici, QLSD 9 (2019) 197-241.
Corbett P. E., The Roman Law of Marriage, Oxford 1930.
Corbino A., Status familiae, in Homo, caput, persona. La costruzione giuridica dell’identità nell’esperienza romana. Dall’epoca di Plauto a Ulpiano, a cura di A. Corbino,
M. Humbert e G. Negri, Pavia 2010, 175-216.
Costa E., Il concubinato in Roma, BIDR 11 (1900) 233-243.
Cristaldi S., Unioni non matrimoniali a Roma, in AA.VV., Le relazioni affettive
non matrimoniali, Milano 2014, 143-200.
Cusmà Piccione A., La perduta ‘ lex Costantiniana’ ricordata in C. 5.27.5: spunti per
una ‘rilettura’, AUPA 62 (2019) 155-174.
D’Ippolito F., I ‘Memorialia’ di Sabino, in Per la storia del pensiero giuridico romano.
Da Augusto agli Antonini, a cura di D. Mantovani, Torino 1996, 71-85.
De Bernardi M., In margine a D. 50, 16, 144, in Gaetano Scherillo. Atti del convegno,
Bologna 1994, 71-89.
Dursi D., Aelius Marcianus. Institutionum libri 1-5, Scriptores Iuris Romani (dir. A.
Schiavone) 4, Roma 2019.
Evans Grubbs J., Illegitimacy and Inheritance Disputes in the late Roman Empire, in
Inheritance, Law and Religions in the Ancient and Medieval World, ed. by B. Caseau
and S. Hübner, Paris 2014, 25-50.
Fayer C., La ‘ familia’ romana. Aspetti giuridici ed antiquari. 2. Sponsalia matrimonio dote, Roma 2005.
Fayer C., La ‘ familia’ romana. Aspetti giuridici ed antiquari. 3. Concubinato divorzio
adulterio, Roma 2005, 1-54.
Fayer C., Meretrix. La prostituzione femminile nell’antica Roma, Roma 2013.
166
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
Fernández de Buján A., Reflexiones a propósito de la realidad social, la tradición
jurídica y la moral cristiana en el matrimonio romano, RevJurFA7 6 (2009) 29-44.
Fiori R., Materfamilias, BIDR 96-97 (1993-1994) 455-498.
Fiori R., La struttura del matrimonio romano, BIDR 105 (2011) 197-233.
Friedl R., Der Konkubinat im kaiserzeitlichen Rom. Von Augustus bis Septimius Severus, Stuttgart 1996.
García Cantero G., Parejas de hecho: historia, régimen y perspectivas de futuro – De
facto couples: history, legal regime and future prospects, Actualidad Jurídica Iberoamericana 14 (2021) 322-379.
Gardner J, Family and familia in Roman Law and Life, Oxford 1998.
Ghirardi C., Regulación juridica de las conductas sexuales en el derecho romano,
RGDR 5 (2005) Iustel.com.
Giumetti F., Soluto matrimonio dotem reddi. Profili ricostruttivi dello scioglimento del
matrimonio e della disciplina giuridica della dote, Torino 2022.
Giunti P., Adulterio e leggi regie. Un reato tra storia e propaganda, Milano 1990.
Handbuch des römischen Privatrechts, 3 Bde, hrsg. von U. Babusiaux, Chr. Baldus, W.
Ernst, St. Meissel, J. Platschek und Th. Rüfner, Tübingen 2022.
Humbert M., L’individu, l’ état: quelle stratégie pour le mariage classique?, in Parenté
et stratégies familiales dans l’antiquité romaine. Actes de la table ronde des 2-4 octobre
1986, Paris, Roma 1990, 173-197.
Huschke P.E. - Seckel E. - Kübler B., Iurisprudentiae anteiustinianae reliquias in
usum maxime academicum compositas 1, Lipsiae 1908.
Karabélias E., La forme de la “testatio (ekmartyrion)” matrimoniale en droit romain
classique et post-classique, RIDA 62 (1984) 599-603.
‘Ius controversum’ e ‘auctoritas principis’. Giuristi, principi e diritto nel primo impero, a
cura di F. Milazzo, Napoli 2003.
Lamberti F., Convivenze e unioni di fatto nell’esperienza romana: l’esempio del concubinato, in Unioni di fatto dal diritto romano ai diritti attuali. Atti dell’incontro italo-tedesco. Imperia, 27-28 novembre 2015, a cura di G. Viarengo, Torino 2016, 1-26.
Laurendi R., Leges regiae e ‘ ius Papirianum’. Tradizione e storicità di un ‘corpus’ normativo, Roma 2013, 83-122.
Lentano M., Un corpus normativo ispirato, in Numa. I culti, i confini, l’omicidio, a
cura di L. Garofalo, Bologna 2022, 7-35.
Luchetti G., La legittimazione dei figli naturali nelle fonti tardo-imperiali e giustinianee, Milano 1990.
Maffi A., Matrimonio, concubinato e filiazione illegittima nell’Atene degli oratori, in
Symposion 1985. Vorträge zur griechischen und hellenistischen Rechtsgeschichte, hrsg.
von G. Thür, Köln-Wien 1989, 177-214.
167
Francesca Lamberti
Mantovani D., Quando i giuristi diventarono ‘veteres’. Augusto e Sabino, i tempi del
potere e i tempi della giurisprudenza, in Augusto. La costruzione del Principato, Roma
2017, 257-324.
McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome, New York-Oxford 1998.
Mette-Dittman A., Die Ehegesetze des Augustus. Eine Untersuchung im Rahmen
der Gesellschaftspolitik des ‘princeps’, Stuttgart 1991.
Meyer P., Der römische Konkubinat nach den Rechtsquellen und den Inschriften, Leipzig 1895.
Mitteis L., Romanistische Papyrusstudien, ZSS 23 (1902) 274-314.
Muñoz Catalán E., El origen de las uniones de hecho en Roma y su presencia actual.
Perspectiva evolutiva de las uniones de hecho o convivencia more uxorio, London 2013.
Neri V., Tra schiavi e liberi: aspetti della mobilità sociale tardoantica, Koinonía 36
(2012) 89-107.
Niziołek M., Legal effects of concubinage in reference to concubine’s offspring in the light of imperial legislation of the period of dominate, Warszawa 1980.
Olsen L.A., La femme et l’enfant dans les unions illégitimes à Rom, Bern, Berlin, Bruxelles, Frankfurt a. M., New York, Wien 1999.
Panero Oria P., El concubinato romano como antecedente de las actuales parejas de
hecho, Ridrom 5 (2010) 92-125.
Parra Martin M. D., Mujer y concubinato en la sociedad romana, Anales de derecho 23 (2005) 239-248.
Patti S., Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina
della convivenza, Bologna-Roma 2020.
Peppe L., Paelex e spurius, in Mélanges de droit romain et d’histoire ancienne: hommage à la mémoire de André Magdelain, Paris 1998, 343-359.
Pezzato E., L’‘amor’ delle fonti giuridiche romane, JusOnline 6 (2021) 172-202.
Pietrini S., La legislazione di Zenone (474-491), Palermo 2023.
Plassard J. B., Le concubinat romain sous le Haut Empire, Toulouse-Paris 1921.
Puliatti S., «Quae ludibrio corporis sui quaestum faciunt». Condizione femminile,
prostituzione e lenocinio nelle fonti giuridiche, dal periodo classico all’età giustinianea,
in Da Costantino a Teodosio il Grande. Cultura, società, diritto, a cura di U. Criscuolo,
Napoli 2003, 31-83.
Puliatti S., Condizione femminile, prostituzione e lenocinio nella Roma tardoimperiale, in Prostituzione e diritto penale. Problemi e prospettive, a cura di A. Cadoppi,
Roma 2014, 15-35.
Raditsa L., Augustus’ Legislation Concerning Marriage, Procreation, Love Affairs
and Adultery, ANRW II.13 (1980) 278-339.
168
Nuove riflessioni in materia di concubinato nell’esperienza romana
Rawson B., Roman Concubinage and Other de facto Marriages, TAPhA 104 (1974)
279-305.
Rizzelli G., Lex Iulia de adulteriis. Studi sulla disciplina di adulterium, lenocinium,
stuprum, Lecce 1997.
Rizzelli G., La figura paterna nel principato fra rappresentazioni e ius, in questo
volume.
Robleda O., Il divorzio in Roma prima di Costantino, ANRW II.14 (1982) 347-390.
Robles Velasco R.M., Ritos y simbolismos del matrimonio arcaico romano, uniones de
hecho, concubinato y contubernium de Roma a la actualidad, Ridrom 7 (2011) 281-318.
Ruggiero I., Iulius Paulus. Ad legem Iuliam et Papiam Libri X, Scriptores Iuris Romani 18, Roma 2023.
Sanna M.V., Dalla ‘paelex’ della lex numana alla concubina, BIDR 109 (2015) 173206.
Sargenti M., Il diritto privato nella legislazione di Costantino. Persone e famiglia,
Milano 1938.
Schiavone A., Ius. L’invenzione del diritto in occidente, Torino 2005.
Sirks B., ‘Paelex’, ‘conubium’ and the ‘ lex Canuleia’, in Scritti per il novantesimo compleanno di Matteo Marrone, a cura di G. D’Angelo, M. De Simone e M. Varvaro,
Torino 2019, 241-253.
Solazzi S., Il concubinato con l’‘obscuro loco nata’, SDHI 13-14 (1947-1948) 269-277.
Solidoro L., La prostituzione femminile nel diritto imperiale, in L. Solidoro, I percorsi del diritto. Esempi di evoluzione storica e mutamenti del fenomeno giuridico 2, Torino
2014, 1-79.
Spagnuolo Vigorita T., Casta domus. Un seminario sulla legislazione matrimoniale augustea, Napoli 20103.
Thomas J.C., Concubinatus in Roman Law, in Huldigingsbundel Paul van Warmelo,
Pretoria 1984, 230-236.
Tramunto M., Paelex aedem Iunonis ne tangito: Gell. N.A. 4.3.3, in Les exclus dans
l’Antiquité. Actes du colloque organisé a Lyon les 23-24 septembre 2004, ed. par C. Wolff,
Paris 2007, 179-186.
Treggiari S., Concubinae, PBSR 49 (1981) 59-81.
Treggiari S., Roman Marriage. Iusti Coniuges From the Time of Cicero to the Time
of Ulpian, Oxford 1991.
Unioni civili e convivenze di fatto. L. 20 maggio 2016, n. 76, a cura di M. Gorgoni, Santarcangelo di Romagna 2016.
Voci P., Polemiche legislative in tema di matrimonio e di figli naturali, in P. Voci, Nuovi studi sulla legislazione romana del tardo impero, Padova 1989, 218-249.
169
Francesca Lamberti
Wolff H.-J., Marriage Law and Family Organisation in Ancient Athens: A Study on
the Interrelation of Public and Private Law in the Greek City, Traditio 2 (1944) 43-95.
Zuccotti F., Paelex. Note sulle unioni coniugali in Roma arcaica, Milano 2023.
170