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Il Fucinus Lacus in Abruzzo e il suo lungo emissario

Una straordinaria opera d’idraulica antica

Il Fucinus Lacus in Abruzzo e il suo lungo emissario Una straordinaria opera d’idraulica antica di Ezio Burri* SUMMARY. The plain of Fucino, near Avezzano of Abruzzo, was once occupied by a lake that was the third largest among Italian lakes. In the mid-nineteenth century, Prince Alessandro Torlonia accomplished the total reclamation of the Fucino plain, thus causing the disappearance of the lake that, lacking a natural outlet, used to regularly flood the surrounding fields. Before him, however, already in 41 BC, the Romans had excavated an emissary that was about seven kilometers long, but which, after a long service, ceased its operation around the sixth century AD and caused the reappearance of the ancient lake, probably due to lack of maintenance after the fall of the Roman Empire. We do not have sufficient literary sources to gain a precise understanding of the ancient techniques and design procedures that were certainly very complex, given the size of the tunneling works. The current configuration of the entire hydraulic artifact has come to us in a very fragmented and discontinuous shape, because of the complete renovation that occurred when the Torlonia family realized the new collector. *docente di Geograia del Paesaggio, Università dell’Aquila Il lago nell’antichità Q uando si parla di antiche opere idrauliche l’immaginario personale, e per estensione quello collettivo, raffigura d’impulso gli antichi acquedotti. Certamente l’immagine è appropriata, soprattutto se si considerano le centinaia di chilometri di canalizzazioni cunicolari che da sorgenti o prese d’acqua lontane dallo spazio dell’insediamento che ne usufruiva, e prima fra queste Roma caput mundi, conducevano il bene essenziale non solo n. 10 | maggio | 2014 alla sopravvivenza quotidiana ma costituivano anche la testimonianza dell’abilità che l’uomo ha messo in opera a gloria sua e dei suoi posteri. Certamente la maestosità degli archi ha avuto il suo peso, e se la “vergine britanna” di carducciana memoria al loro cospetto vi sostava estatica qualche ragione oggettiva vi dovrà pur essere. Tuttavia, solo raramente si parla delle opere meno appariscenti che, come le altre, hanno risolto non pochi problemi strutturali dovuti alla difficile na- ARCHEOLOGIA SOTTERRANEA 23 Fig.1. L’inghiottitoio della Pedogna in una illustrazione del Fabretti. tura litologica o morfologica dei siti. Così, ad esempio, tranne dagli addetti ai lavori, poca attenzione viene dedicata alle opere cunicolari, estese anch’esse centinaia di chilometri, che per secoli hanno permesso, e per certi versi permettono ancora, il drenaggio delle acque nei terreni dell’Etruria ed in buona parte delle aree limitrofe. Così è anche per altre costruzioni idrauliche che, silenziose, hanno drenato, ed anche in questo caso in maggior parte, drenano ancora le acque di molti bacini lacustri dell’Italia Centrale che una natura distratta aveva mancato di dotare di un idoneo emissario naturale. In questa categoria troviamo i laghi di Nemi, di Albano, di Martignano, del Trasimeno e di molti altri che hanno solo la caratteristica di essere meno estesi e, dunque, vengono, a torto, definiti minori. Certamente, in questo ambito, il posto d’onore deve essere riservato all’emissario sotterraneo del lago Fucino che, oltre ad essere lungo circa sei chilometri, e dunque estremamente complesso nella progettazione, esecuzione e gestione, aveva anche il compito di drenare le acque in eccesso di un lago che per estensione era il terzo d’Italia ed inoltre, se questo non bastava, doveva sovrintendere alla gestione di un territorio molto vasto, insediato ed intensamente coltivato. Evenienze, queste, di non poco conto se si considera che le terre circumlacuali presentavano una pendenza molto modesta e dunque, ad ogni oscillazione in 24 ARCHEOLOGIA SOTTERRANEA aumento del livello del lago, scomparivano cospicue porzioni di terreno coltivato e produttivo. Non doveva essere sfuggito a quelle popolazioni che si erano stabilmente insediate sulle sue rive la leggendaria salubrità delle acque, la pescosità e tutto il complesso ecosistema che vi era connesso, come è testimoniato eloquentemente dalle tracce insediative più vecchie, che narrano come un ciclo si sia interrotto bruscamente per poi riprendere, molti decenni più tardi sui limi che nel frattempo il lago aveva depositato. Quelle stesse popolazioni erano del tutto consapevoli, avendole facilmente individuate, anche delle cause che erano all’origine dei loro problemi. Conoscevano così il sito de la Pedogna ove, rumoreggiando, le acque formavano gorghi a conferma che attraverso quel punto il capriccioso dio che abitava quelle acque smaltiva i propri umori in eccesso (Fig. 1) e che, deduzione ovvia derivata dalle lunghe osservazioni, forse bastava agevolare il flusso idrico ivi diretto per lenire il disagio dovuto ai ricorrenti allagamenti. L’intuizione, sebbene in forma arcaica, si era rivelata esatta e decise, ma allora non lo si sospettava, il destino stesso del lago. Dunque, in un periodo arcaico non ben definito, ma comunque successivo all’età del bronzo e precedente il periodo repubblicano romano, alcune canalizzazioni artificiali sotterranee tentarono di convogliare le acque nel citato inghiottitoio de la Pedogna, Fig.2. Schema dei pozzi e delle discenderie nel tratto prima del Monte Salviano. ma con esiti effimeri poiché si deve ricordare la notevole oscillazione lacustre in positivo avvenuta nel 137 a.C.. Come elemento nuovo, importante e fondamentale anche per altri motivi, si inserì nella nostra storia la presenza di Roma, dopo la sofferta pace sociale. Questo consentì di offrire per la soluzione dei secolari problemi un rimedio nuovo, ingegnoso e poderoso, ma comunque ovvio e realizzabile con la certezza dell’effetto, se non altro per l’evidenza che problemi simili erano stati affrontati, e brillantemente risolti, nel vicino Lazio ove da secoli le acque di alvei lacustri di minore estensione e senza emissario, erano state imbrigliate e condotte all’esterno dei rilievi che li cingevano, tramite canali sotterranei. Un emissario artificiale, e sotterraneo per giunta, era dunque in grado di rimediare a quella che sembrava una mera dimenticanza della natura. Le caratteristiche del Fucinus Lacus e il suo emissario La conformazione morfologica Il lago Fucino, con un’estensione di 155 km2, si presenta privo di emissario naturale ed affida lo smaltimento delle acque meteoriche provenienti dall’esteso bacino imbrifero, dalle numerose sorgenti poste sia nella fascia circumlacuale che nel lago stesso, dal fiume Giovenco e da altri adduttori superficiali (quali, ad esempio, il Fossato di Rosa), all’ evaporazione o al discontinuo funzionamento degli inghiottitoi di n. 10 | maggio | 2014 tipo carsico, il più importante dei quali, come prima ricordato, era conosciuto con il nome la Petogna. L’estensione dell’emissario Nel 41 d.C., data indicata per l’inizio dei lavori, in quel contesto storico e territoriale la galleria di regimazione più lunga realizzata era quella dell’emissario del lago di Nemi, per un percorso di circa 1.630 m. La galleria fucense risulterà lunga 5.647 m, ed a questi dovranno essere sommati i tratti verticali dei circa 40 pozzi, con una profondità compresa tra i 18 m ed i 122 m, una deviazione compresa tra i pozzi 19 e 20 ed, ancora, i tracciati delle 9 discenderie sino ad oggi conosciute. Ulteriori indagini hanno evidenziato, infine, che alcuni pozzi, ad esempio il 25 ed il 24, sono a loro volta dotati di discenderie e questo ci fa supporre che molti altri, attualmente non ispezionabili, ne siano stati dotati (Fig. 2). Dunque, se includiamo nella cifra globale queste ulteriori percorrenze in sotterraneo ed altre certamente esistenti ma che ancora non sono state rivisitate, non siamo lontani dall’affermare che il tracciato totale sotterraneo ha un valore vicino ai 7 km. Il contesto litologico Gli emissari laziali erano stati progettati, e realizzati, per lo più in una conformazione litologica, il cosiddetto “tufo vulcanico” che presenta caratteristiche geomeccaniche dotate di una sufficiente omogeneiARCHEOLOGIA SOTTERRANEA 25 Fig.4. Pozzo a sezione circolare realizzato durante i lavori di restauro. Fig.3. Raffigurazione di un argano, da un bassorilievo ritrovato durante i lavori di costruzione del nuovo emissario Torlonia. tà. Al contrario, la galleria fucense attraverserà terreni eterogenei (calcarei, conglomerati, argille) per litologia e consistenza. Ai sedimenti lacustri del primo tratto, infatti, sarebbe seguìto il rilievo calcareo del Monte Salviano ed a questo le argille e sabbie dei Campi Palentini; quindi i conglomerati e, nuovamente, altri calcari. In particolare lo scavo in quest’ultima conformazione litologica avrebbe comportato non pochi apporti idrici con i quali l’esecuzione dell’opera si sarebbe ulteriormente complicata. La progettazione Nulla è rimasto per comprendere tecniche e procedure di progettazione, ma certamente orientative, anche se generalizzate, sono le indicazioni che si possono desumere sia dagli antichi trattati in materia (Frontino, Plinio, Vitruvio), ma anche dalle analisi comparative con altre opere similari. È quindi logico dedurre che anche in questo caso fu impiegata la tecnica della cultellatio, che prevedeva la posa in opera, in successione misurata, di una serie di segnali (ad es. paline) che indicavano anche il punto di scavo dei pozzi che, è bene ricordarlo, hanno avuto una funzione basilare nell’esecuzione dell’opera. Quando era stata raggiunta la profondità determinata in sede di progetto (cioè quella coincidente con il piano quotato del fondo della galleria), dalla base del pozzo si dirigeva lo scavo verso le due opposte direzioni sino a saldare le varie sezioni. All’imboccatura di uno di questi pozzi, il rinvenimento di un’armatura di legno, d’incerta collocazione storica, mostra come, dividen1. 2. 26 Afan de Rivera 1836 Brisse & De Rotrou, 1883 ARCHEOLOGIA SOTTERRANEA do in quattro la sezione, si consentiva ad entrambe le squadre all’opera il movimento contemporaneo ed inverso di due coppie di secchi. Si utilizzava a questo scopo un argano verticale come quello che è ben riprodotto in un noto rilievo rinvenuto in quest’area (Fig. 3), ove predominano la raffigurazione del lago e le attività di scavo dell’emissario. Purtroppo nessuna indicazione ci è pervenuta sul nome dell’ingegnere che ha elaborato il progetto e su quanti ne hanno diretto l’esecuzione. “Ignorare l’autore” era la consuetudine o, meglio, l’imperativo del sistema. L’opera, soprattutto quando era grandiosa, era stata realizzata per celebrare la gloria dell’imperatore e questo doveva essere sufficiente. La struttura primaria dell’intera opera idraulica, collettore sotterraneo e canale esterno, iniziata nel 41 d.C., dopo l’assunzione del potere imperiale da parte di Claudio, potrà dirsi conclusa e pienamente funzionante dopo undici anni di lavoro, anche se sono documentati interventi di restauro, manutenzione e di completamento sino ad Adriano. La struttura dell’opera idraulica L’attuale configurazione dell’intera opera idraulica è giunta a noi in misura estremamente frammentaria e discontinua a causa del suo completo rifacimento, eseguito per realizzare il nuovo collettore a servizio della bonifica integrale compiuta dai Torlonia (Fig. 4). Le uniche parziali indicazioni, pertanto, sono contenute nelle relazioni di quanti hanno fatto eseguire i restauri storici (ad es. Afan de Rivera1), o nella relazione di Brisse e De Rotrou2 pubblicata con un atlante ricco di illustrazioni. In generale il tracciato si presenta non rettilineo, bensì con piccoli errori di direzione, ad esempio tra i pozzi n° 7 e n° 9 (errore a cui fu posto rimedio con la creazione di un poz- zo intermedio), ed alcune variazioni di pendenza. La sezione della galleria era quanto mai varia e questo sia per le originali differenziazioni operate in corrispondenza dei diversi contesti litologici, quanto per le modificazioni apportate durante gli innumerevoli tentativi di restauro. Quella che è stata definita3 come la sezione tipica, aveva una superficie di 5,05 m2 ed una portata di 9,09 m3/s, mentre la sezione minima aveva una superficie di 3,73 m2 ed una portata di circa 7 m3/s. A tratti è stato possibile rilevare una foderatura di mattoni associata a malta, come nel caso di alcuni pozzi ed in corrispondenza della zona interessata dalle argille che, in particolare, è apparsa Fig.5. Pozzo a sezione quadra realizzato durante lo scavo dell’emissario romano. completamente obliterata dai detriti, ivi comprese le travature in legno messe in opera durante i restauri. Frammenti di una decorazione, appartenenti probabilmente ai fregi che ornavano la parte monumentale dell’Incile (il punto ove le acque venivano condotte nella galleria sotterranea) ci illuminano abbondantemente sulla tecnica impiegata nello scavo: in coincidenza con i capisaldi determinati in precedenza sul terreno, vennero scavati circa quaranta pozzi a sezione quadrata (Fig. 5); questi pozzi raggiungevano la profondità determinata in fase di progetto, da un minimo di 18 m ad un massimo di 122 m. I segni dello scavo mostrano in particolare che il congiungimento era inizialmente ottenuto mediante l’avanzamento di esigui cunicoli esplorativi, non più larghi di 80 cm, che venivano infine allargati sino alle desiderate di3. mensioni del condotto finale. La funzione dei pozzi era anche quella di agevolare l’aerazione del sito ove veniva praticato lo scavo ed il trasporto del materiale; oltre a questi pozzi, vennero create molte altre gallerie inclinate, denominate “discenderie”, ad esempio nelle pendici ove era troppo elevato il dislivello tra la superficie esterna e il progettato percorso della galleria, oppure come supporto ad alcuni pozzi ed, ancora, in altri punti lungo il tracciato che attraversava i Piani Palentini. Collettore esterno e vasche romane Il canale collettore esterno aveva un’estensione di circa 4,5 km, con una pendenza dello 0,1 %, con sezione di circa 91,6 m2 ed era protetto, per i primi 300 m con armature di legno. Questo canale immetteva nell’incile, che era formato da un bacino trapezoidale seguito da un’altra struttura simile ma di forma vagamente esagonale, con una differenza di quota di m 5,48, ed una specie di angusto canale, a cielo aperto, in comunicazione con l’antibacino caratterizzato da due ali divergenti. Successivamente fu eliminato il bacino esagonale facendo passare la galleria sotto la sua platea. In epoca posteriore, forse in occasione dei consistenti lavori fatti eseguire da Adriano, le due ali, una delle quali era curvilinea, vennero unite da un muro che, congiungendone le due estremità, formava nell’insieme un solido antibacino, munito di una porta di sicurezza. Quest’opera doveva verosimilmente sostituire la funzione della prima vasca esagonale. Altre indicazioni di rilievo non ci sono pervenute ma non è difficile ipotizzare anche una rete di canali esterni, perpendicolari al maggiore e di minore ampiezza ed estensione, ai quali era affidato il compito di raccogliere le acque e convogliarle nel collettore principale. Tratto dall’incile romano al Monte Salviano La conformazione originale di questa porzione di galleria è stata quasi completamente obliterata dai lavori dell’800. Gli scritti precedenti a tali lavori concordano nell’indicare una serie di 11 pozzi, a intervalli di soli 30 m, sino all’ultimo di questi sul cui fondo è ubicata la vasca romana. Tutti menzionano una fitta serie di discenderie e cunicoli e, nei rilievi, ne evidenziano i maggiori (vedi Fig. 2). Fabretti3 ne riporta 11, di cui nove intercettati da una fitta serie di cunicoli, Afan de Rivera1 indica, viceversa, solo una discenderia intercettante il pozzo n° 28 mentre Brisse e De Rotrou2 non forniscono alcuna indicazione in proposito. La grande frequenza dei pozzi, in questo settore, e Fabretti, 1690 n. 10 | maggio | 2014 ARCHEOLOGIA SOTTERRANEA 27 Fig.6. La discenderia Imperiale. Fig.7. La discenderia del Ferraro. le evidenze delle discenderie individuate oggi e che sono pertinenti ad alcuni di essi (n° 24 e n° 25), sono una stringente conferma della complessa situazione idrogeologica e delle procedure adottate per abbassare la falda e consentire la prosecuzione dello scavo. Il sottopasso del Monte Salviano E’ questo il primo dei punti nodali che hanno richiesto maggiore cura ed attenzione ed è la zona dove sono state realizzate sette discenderie denominate genericamente “cunicoli” (vedi Fig. 2). Sul versante lacustre si sviluppa il Cunicolo Imperiale lungo appena 75 m, caratterizzato da un angolo di pendenza molto accentuato e da una scalinata, ingombra di detriti (Fig. 6). In successione vi è il Cunicolo del Ferraro (Fig. 7), esteso 230 m ed intercettato da un pozzo (il n° 23, profondo 62 m) che viene aggirato da un by-pass. Questa discenderia tramite una galleria trasversale, si congiunge con la successiva denominata Cunicolo Maggiore. Ma è il pozzo n° 23 che evidenzia una notevole peculiarità, e cioè quella di essere anche lo sbocco di due contrapposte gallerie che verosimilmente sono state scavate per consentire il drenaggio delle acque. L’ultimo, in successione, è il Cunicolo Maggiore con un imponente ingresso realizzato su tre archi in successione verticale (Fig. 8). Questa discenderia presenta uno sviluppo di 250 m, con un tracciato che dopo aver superato l’ingresso del raccordo che la collega al Cunicolo del Ferraro, proprio prima di immettersi nel collettore centrale, si biforca nuovamente in un’estesa e complessa galleria aerea, nella quale è caratterizzante l’enorme deposito di riempimento in gran parte concre- Fig.8. La discenderia del Cunicolo Maggiore (esterno). 28 ARCHEOLOGIA SOTTERRANEA zionato (Fig. 9). Superato, con un tracciato non perfettamente rettilineo, il dosso del monte Salviano si osservano in prima successione tre discenderie (la Salviano 1 lunga 250 m, la Salviano 2 con uno sviluppo di 218 m e la Salviano 3 estesa 224 m) che con i rispettivi by-pass intercettano il pozzo n° 22, profondo 122 m. Poco più oltre un’ulteriore discenderia, la Salviano 4, non considerata in nessuno dei rilievi storici, presenta un modesto sviluppo (appena 41 m) poiché il percorso è intercettato da una frana, attualmente consolidata da spessa concrezione calcarea. In posizione adiacente si immette il pozzo n° 21, profondo 105 m, ed a questo collegato tramite un breve diverticolo. Dal sottopasso dei Piani Palentini allo sbocco sul Fiume Liri Il tracciato che transita sotto i Piani Palentini costituisce l’ulteriore evidenza delle difficoltà incontrate durante l’esecuzione dei lavori. Infatti il contesto litologico, è caratterizzato da argille, sabbie, depositi limosi incoerenti, tutti connotati da sfavorevoli comportamenti geomeccanici. E’ il tratto ove, dai rilievi tramandatici da Brisse & De Rotrou, si accentuano le frane ed i tentativi che vengono posti in essere per arginare il fenomeno. In questo settore risultano scavate due discenderie: il Cunicolo della Lucerna ed il Cunicolo della Macchina. Solo quest’ultima è percorribile e mostra tutta una serie di interessanti indicazioni sulla tecnica di esecuzione oltre ad intercettare, ed aggirare con by-pass, il pozzo n° 14, profondo circa 80 m. Infine, allo sbocco del collettore, ove si sono ancora conservate tracce dell’originaria foderatura romana, una breve sezione cunicolare cieca, pone ancora interrogativi interessanti in merito alla sua funzione. Più avanti, e siamo all’esterno, una parete di roccia accuratamente tagliata e lisciata sino a farle assumere una forma quadrangolare di m 17x17, con lati rientranti di m 1, sembra testimoniare una funzionalità a solo scopo celebrativo. Le acque da questo punto si riversano liberamente nel fiume Liri dopo un percorso che, con una pendenza dello 0,15 %, si è abbassato di soli 8,44 m. Questa è, infatti la differenza di quota tra l’imbocco dell’incile e lo sbocco della galleria. Dopo alcuni secoli, il funzionamento della galleria progressivamente decrebbe e poco dopo si ripristinò l’antica superficie lacustre (attualmente è ipotizzabile una collocazione storica dell’evento intorno al VI sec. d.C.). Il deterioramento e la mancanza di funzionalità del collettore sotterraneo possono essere attribuiti all’assenza di manutenzione, susseguente alla caduta dell’Impero romano, anche se indagini più recenti sembrano confermare l’esistenza di un evento sismico n. 10 | maggio | 2014 Fig.9. La discenderia del Cunicolo Maggiore (interno). Fig.10. La galleria moderna con l’intersezione di una discenderia. che potrebbe aver comportato il definitivo cedimento di una struttura già da tempo compromessa. Per molti altri secoli le acque del lago Fucino continueranno a lambire insediamenti e ad inondare campi riproponendo i problemi di sempre sino a quando, ovvero nella metà dell’800, dopo non pochi tentativi di restauro la galleria romana verrà quasi totalmente ristrutturata ed inglobata nel nuovo collettore (Fig. 10) fatto realizzare da Alessandro Torlonia che, a differenza del progetto romano, determinò la bonifica integrale e la conseguente totale scomparsa del lago. ARCHEOLOGIA SOTTERRANEA 29 Bibliograia Afan De Rivera C, 1836. Progetto della restaurazione dello emissario di Claudio e dello scolo del Fucino, Stamperia Fibreno, Napoli. Jatosti D, 1821. Cenno sul Lago Fucino. In: Giornale Enciclopedico di Napoli, Napoli, pp. 131-137. Antinori AL, 1781. 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