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La Storia

Soltanto pochi mesi fa ho avuto l’occasione e il piacere di leggere un libro come La Storia, di Elsa Morante. uscito nel 1974, in un solo anno vennero stampate ottocentomila copie e vennero pubblicati numerosi e svariati articoli critici: “una scontata elegia della rassegnazione” “un romanzo popolare degno di nota” “vendere patate è meglio che vendere disperazione” chi gridava al miracolo letterario, chi esprimeva un rifiuto radicale. il dramma storico diventa un dramma naturale: non ci sono né vinti né vincitori, ma solo la Storia, un enorme male impersonificato che, non appartenente a nessuna ideologia, si scaglia contro gli umili. un’epica delle vittime. Ma ciò che mi ha colpito di più è la cura e la protezione che Elsa dimostra nei confronti dei suoi personaggi: la voce narrante tende a sollevare le emozioni fino ad un limite di tollerabilità tenendole sotto controllo e trattandole con distacco. E così non si rivolge ad un volgo senza nome, ma a persone con una precisa identità, sebbene sempre espressa da un diminutivo, creato per accentuare una gerarchia psicologico-emotiva. (Iduzza, Ninnarieddu, Useppe..) a spingere la Storia è il bisogno di sopravvivenza, eppure i sentimenti dei personaggi nei confronti di essa quasi si azzerano: indifferenti e estranei al male del mondo è nella loro incoscienza buona che risiedono i valori dell’umanità. e la voce narrante, femminile, diventa una figura così premurosa, sororale e sfuggente da accogliere in un abbraccio di maternità assoluta le sue fragili creature.