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2023
in La lirica italiana. Un lessico fondamentale (secoli XIII-XIV), a cura di L. Geri, M. Grimaldi, N. Maldina, Roma, Carocci Editore, 2021
Il codice Chigiano L.VIII.305 e la tradizione dei grandi canzonieri della poesia lirica italiana delle origini (Vat. Lat. 3793, Laurenziano Redi 9 e Palatino B.R. 217): quali aspetti codicologici e contenutistici caratterizzano la progettazione delle quattro sillogi che testimoniano la tradizione poetica Due-Trecentesca? In che misura il Chigiano si discosta dai codici duecenteschi? Nella relazione (i cui contenuti sono adattati dalla mia tesi di laurea "Autori ai margini del ms. Chigiano L.VIII.305. Edizione critica e commento di alcuni sonetti anonimi", relatore Prof. D. Pirovano, a.a. 2015/16) si analizzano gli aspetti di similarità e differenza all'interno della tradizione manoscritta; le riflessioni sul Chigiano comprendono un esempio di trascrizione, analisi e commento di un testo tramandato dal Chigiano (il sonetto anonimo Ch 367 "Conosco 'n vista, gentil donna mia") . La relazione è stata presentata nel corso di Filologia italiana Magistrale (Prof. D. Pirovano), erogato dal Corso di Laurea Magistrale in Letteratura, Filologia e Linguistica italiana dell'Università di Torino (a.a. 2016/17).
2022
Il contributo propone una lettura del Mare amoroso focalizzata sulla duplice funzione comunicativa del testo: da un lato, l’iperbolica rappresentazione della sofferenza amorosa del poeta, intesa a suscitare nella donna (‘voi’) un sentimento di compassione; dall’altro, l’ammonimento sulla natura crudele dell’amore rivolto a chi ancora non ne abbia sperimentato le sofferenze (‘tu’). Il doppio messaggio è reso concreto e memorabile grazie a due ‘epigrafi’ racchiuse nel testo, una strategia didattico-visuale che consente di mettere in relazione il Mare amoroso con altre rappresentazioni negative di amore di fine Duecento, come la corona di sonetti Del carnale amore di Guittone d’Arezzo. * This paper analyses the Mare amoroso, underlining its double communicative dimension. On the one hand, the text is addressed to the beloved dea, aiming to inspire her (‘voi’) with compassion; on the other hand, the poem conveys a warning about the inevitable pain caused by love, addressed to the reader (‘tu’). These ideas are expressed using a visual strategy: two inscriptions embedded in the text. Therefore it is possible to compare the poem with other negative representations of love, such as Guittone D’Arezzo’s Del carnale amore.
• Atti degli incontri sulle opere di Dante, I. Vita nova – Fiore – Epistola XIII, a cura di M. Gragnolati, L. C. Rossi, P. Allegretti, N. Tonelli, A. Casadei, Firenze, Edizioni del Galuzzo, 2018, pp. 25-65., 2018
Nel lavoro si analizzano le rime di corrispondenza dei trecentisti, con un focus particolare su Franceco Petrarca, Fazio degli Uberti e Francesco di Vannozzo. Dall'indagine sugli elementi fàtici e allocutivi contenuti nei testi sono emerse tendenze diametralmente opposte: mentre Petrarca esclude l'interlocutore ponendolo ai margini del testo, il Vannozzo dialoga con tutto ciò che lo circonda, esseri animati e inanimati (il liuto, l'arpa, la “veretta”). Infatti nel primo si contano ben 25 casi su 35 in cui il destinatario è marginale (relegato nell'incipit, nell'explicit o del tutto assente), nel secondo solo 19 su 72. Se in Petrarca l'io lirico sopraffà il tu allocutivo e in Francesco di Vannozzo la dialogicità pare elemento imprescindibile dei suoi componimenti, Fazio sembra collocarsi nel mezzo; ma l'esiguità dei testi a disposizione (3 sonetti di corrispondenza) non ci permette di avanzare un'analisi soddisfacente del ruolo della corrispondenza nella produzione dell'autore. Si è deciso poi di cambiare punto di vista e di analizzare quanto la metaforicità dei testi sia rilevante nella corrispondenza. Questa ulteriore indagine non ha fatto altro che confermare i risultati emersi dalla prima analisi: Petrarca propone nei sonetti di corrispondenza metafore appartenenti all'impianto narrativo del Canzoniere (lauro, laura, l'aurora...), usando la corrispondenza come escamotage per poter parlare di se stesso con se stesso; Francesco di Vannozzo basa il suo impianto metaforico proprio sulla dialogicità, ha bisogno di un interlocutore immaginario o fittizio per dar voce al suo io: le metafore più riuscite sono, infatti, quelle in cui il poeta dialoga con i suoi strumenti, con il giardino, con il sonetto. La confidenzialità acquisita con le formule della corrispondenza permette al Vannozzo di giocare con esse, attaccando il suo interlocutore (“retorica del disprezzo”) attraverso un processo di metaletterarietà con cui mette in discussione non solo le formule usate dal corrispondente, ma un'intera tradizione retorica (come avviene nei sonetti scambiati con Nicolò del Bene, Gidino da Sommacampagna, Bartolomeo di Castel della Pieve e Piero Montanaro). Ciò che conta non è più solo la variatio contenutistica e formale di un tema proposto dal corrispondente, ma la capacità di distaccarsi dalla tradizione abbandonando le formule della poesia 'oggettiva', in funzione di una poesia 'soggettiva': la lirica moderna.
INTRODUZIONE L’ottava rima costituisce, insieme alla terza rima, la forma “non lirica” più diffusa all’interno della tradizione letteraria italiana e tipica della poesia narrativa; è costituita da una strofa o stanza di otto endecasillabi, rimati secondo lo schema ABABABCC: tre distici di endecasillabi a rima alternata e un distico finale a rima baciata. Esiste anche una variante, anche se meno utilizzata, l’ottava siciliana che segue lo schema ABABABAB. Lo schema dell’ottava (iterabile indefinitamente) è per sua natura chiuso, e determina quindi il possibile ‘isolamento’ anche sintattico di ciascuna stanza, evidenziato dalla rima baciata del distico conclusivo. «L’ottava è una forma trecentesca ed ha un impiego narrativo, è lo schema metrico che da subito, all’inizio della sua storia, con Boccaccio, con i cantari, serve a raccontare».1 Già dal principio delle origini dell’ottava infatti, (probabilmente dalla trasformazione di una stanza in canzone), diventa la forma più adatta al racconto e alla narrativa. Bisogna ricordare però che la competenza sintattica dei canterini non è forte; data la loro incapacità di comporre periodi complessi, l’ottava è la forma perfetta, seppure un po’ monotona, per ritmare la progressione del racconto. Un’altra osservazione che ci spiega meglio perché è stata scelta l’ottava per questi tipi di racconti, riguarda il fatto che i cantari venivano sicuramente recitati o comunque letti ad alta voce davanti a un pubblico sicuramente composito, ma comunque in gran parte formato da illitterati. «L’ottava diventava allora un’unità elocutiva autonoma, perché la voce si interrompeva e poi ricominciava un attimo dopo».2 Ciò tendeva a far concepire la forma metrica anche come un’unità narrativa in larga parte autonoma, una sequenza, unità minima di racconto: così il racconto è scandito dal susseguirsi delle ottave. Questa organizzazione costituisce ciò che potremmo definire l’intonazione convenzionale del racconto in ottava rima. Con questa forma metrica, sono stati composti grandi poemi della tradizione cavalleresca come l’”Orlando innamorato” del Boiardo, l’”Orlando furioso” 1 C. Ciociola, Ottava rima, Enciclopedia dell’Italiano, 2011. 2 M. Praloran, “Il poema in ottave, storia linguistica italiana”, Carocci Editore, pp. 10-11. 2 dell’Ariosto e la “Gerusalemme liberata” del Tasso, ma le sue prime attestazioni sono controverse: i primi testi datati nei quali fu adottata sono il “Filostrato” di Giovanni Boccaccio (1336) e l’anonimo “Cantare di Fiorio e Biancifiore”(1343). Dalla dualità sui testi esordio dell’ottava, ne è conseguita una diatriba fra gli studiosi: alcuni sostengono la paternità boccacciana dell’ottava, in quanto ripresa anche nel suo “Teseida” e nel “Ninfale Fiesolano”, propagatasi in seguito agli autori dei cantari, quasi tutti anonimi e popolareggianti; altri sostengono invece che sia stato Boccaccio a rifarsi alla tradizione canterina; altri ancora, in seguito, hanno supportato l’idea che sia Boccaccio che i cantari avrebbero attinto ad un modello metrico antecedente. C’è anche chi ha sostenuto l’eventualità che l’origine dell’ottava possa ricondursi all’ambiente dei laudesi, sia per via dell’omogeneità di alcuni tratti della versificazione popolareggiante (comune a cantari e laude), sia dal punto di vista formale (come elaborazione di un tipo di lauda-ballata). I cantari sono poemetti in ottava rima, che nel XIV e XV secolo i cantambanco (o cantastorie, coloro che cantavano e suonavano nelle piazze dando spettacolo) intonavano durante il pomeriggio o la sera dei giorni festivi nelle piazze; erano accompagnati da strumenti musicali come pifferi, chitarre e viole. Dal punto di vista testuale, un cantare ha l’età del più antico codice che lo riporta e la sua tradizione si scompone quindi nella cronologia delle singole attestazioni, cioè i codici che queste redazioni conservano. I cantari in ottava rima ricorrono spesso all’interno della letteratura minore del Trecento, ma solo in pochi casi conosciamo il nome dell’autore; questi ultimi, talvolta erano essi stessi cantastorie, ma spesso erano anche canterini o giullari di professione. I testi brevi venivano recitati sulle piazze con un accompagnamento strumentale, mentre quelli più ampi (come la Spagna o l’Orlando) erano probabilmente riservati alla sola lettura. Il contenuto variava, accogliendo diversi campi: dalla cronaca contemporanea (la stessa che fornisce la materia ai sirventesi), alle storie religiose, dai romanzi brettoni alle leggende carolinge, dagli adattamenti romanzeschi alla storia classica, alla mitologia; dai “lais” ai fabliaux e alla novellistica e altro ancora. Nella maggior parte dei casi, la datazione è considerata incerta se non completamente sconosciuta. 3 Ad ogni modo, le varie ipotesi sull’origine ( popolaresca o culta) dell’ottava rima, convergono tutte nel riconoscere al Boccaccio, se non proprio l’invenzione, almeno la promozione dell’ottava a forma artistica e letteraria. «L’ottava fu precocemente adottata nei cantari, il più antico dei quali, quello di Fiorio e Biancifiore , nella sua redazione in ottave non è anteriore alla data probabile del Filostrato (1335 circa)».3 Qui, tratteremo in particolare la dualità fra la paternità boccacciana o canterina dell’ottava rima, sia analizzando oggettivamente sia i diversi punti di vista di critici e studiosi sull’argomento, che approfondendo la loro diatriba. Per poter comprendere meglio differenze e similitudini tra i probabili inventori dell’ottava rima, analizzeremo le opere del Boccaccio, di autori coevi (o successivi) che l’hanno utilizzata e dei canterini.
Nel Trecento la produttività del campionario tematico e stilistico dello Stilnovo si esaurisce unicamente entro i confini della lirica? Per tentare di avanzare una pur provvisoria risposta a un quesito come questo è sembrato opportuno allargare la prospettiva d’indagine, in modo da offrire, attraverso la discussione di alcuni esempi, uno specimen che illustri quanto i motivi e le forme di questa tradizione nutrano e ispirino anche opere riconducibili ad altri generi, seguendo a volte schemi insoliti o ricorrendo in contesti meno prevedibili. Pertanto, l’interesse di queste pagine non sarà rivolto esclusivamente a quella generazione di poeti che, per aver continuato moduli tematici, stilistici e lessicali dello Stilnovo, sono raccolti sotto l’etichetta generale (e arbitraria) di «tardostilnovisti», ma contemplerà anche autori di opere di altra natura, nel tentativo di sondare, pur senza alcuna ambizione di esaustività, la sopravvivenza e l’impiego nel Trecento di alcune delle figure caratteristiche della topica amorosa stilnovista, anche fuori dall’ambito segnatamente lirico o da contesti strettamente amorosi.
"Tenne d'Angel Sembianza." Un concetto in divenire., 2016
Etimologia e storia delle parole, Atti del XII convegno ASLI
Gli dei a corte. Letteratura e immagini nella Ferrara estense., 2009
in «Rivista di studi danteschi» 18, pp. 184-200, 2018
«Humanistica», 2010, 2, pp. 123-131
Deutsches Dante-Jahrbuch 89, 2014
Tesi di Laurea Triennale, 2020