Pensare Nietzsche grazie a Deleuze
Pensiero di vita vita dai pensieri: uno studio del risentimento.
1. Introduzione
Il testo qui presentato vuole essere una breve presentazione di alcuni aspetti della
lettura deleuziana di Nietzsche. Due opere ci hanno guidato nella nostra ricerca: la
prima, del 1962, Nietzsche et la philosophie1, è un libro abbastanza complesso, originale è
dotato di un interpretazione personale che conserva il prestigio delle idee di Nietzsche.
L’altra, del 1965, semplicemente chiamato Nietzsche2, più condensato, appare come una
bella introduzione al pensiero di quell’artista‐filosofo che era Nietzsche. Dopo alcuni
sviluppi legati al metodo di Nietzsche, ho tentato, rimando fedele sia alla sua maniera di
fare filosofia, che alla presentazione di Deleuze, di tracciare la “genealogia della morale”,
la storia del nichilismo e il percorso del ressentiment nella storia umana. Attraverso
queste pagine, l’attenzione si condensa principalmente verso la nozione di forza,
nozione primordiale per capire Nietzsche e la sua declinazione del concetto di volontà,
cioè “le rapport de la force avec la force”3 secondo Deleuze. La nostra critica è incentrata
sulla dialettica mentre, nelle ultime pagine si parlerà di un tentativo di superamento
della debolezza nichilista.
2. Il metodo filosofico di Nietzsche
•
Accanto alla dialettica, nel cuore dell’esperienza
Il pensiero di Nietzsche appare come rivalutazione del corpo, di fronte
all’autocoscienza dialettica che usa il potere del negativo per porre il positivo. L’insieme
delle forze reattive del negativo diviene lo strumento di mistificazione della dialettica.
Infatti, l’autocoscienza si mostra come un serpente che si morde la coda ‐ quando il
serpente si potrebbe avvolgere attorno al collo dell’aquila, simbolo dell’alleanza
1
L’edizione usata è Gilles Deleuze, Nietzsche et la philosophie, Presses universitaires de
France, Paris, 1983.
2 Gilles Deleuze, Nietzsche, Presses universitaires de France, Paris, 2010.
3 Gilles Deleuze, Idem, p. 23.
dell’eterno Ritorno. L’autocoscienza ‐ come specchio del negativo dove si guarda il
positivo ‐ apre l’abisso del dubbio, che impedisce l’azione libera cioè la spontaneità.
Invece il corpo è sempre nel mondo, in connessione con altri corpi sulla Terra, e non può
andare nei mondi trascendenti, creazioni di un tipo di religione debole che vuole negare
la vita. La vita eterna è una promessa fatta all’anima degli schiavi più pazienti. Impotenti
nella loro esistenza, aspettando una giustizia divina, i deboli sono affascinati dal
messaggio religioso. Da parte sua, il corpo è proprio ciò che chiama l’umanità sulla terra,
nella sperimentazione del divenire. E nella sua necessaria contingenza, il divenire è
appunto il luogo per pensare/vivere l’esperienza vera. Però non nel senso dialettico di
un “stare a vedere” passivo; la verità si cerca e si coglie con i sentimenti e si dà a quelli
che vanno sempre più avanti; la verità esiste dove non si aspetta, dove nessuno la
aspetta, non esiste come un’essenza immutabile, una realtà assoluta. La verità richiede
dunque la chiarezza degli occhi ma anche, e soprattutto, il coraggio nelle azioni. La verità
non va nel senso del desiderio finché il desiderio non le va incontro, in una parola, la
verità è volontà. Fuori da un movimento lineare, la verità si presenta nel modo
dell’eterno Ritorno. Il segreto di Nietzsche, quello che lo distingue delle antiche
tradizioni dell’eterno Ritorno, è che l’eterno Ritorno qui è selettivo. Selettivo nel senso
del pensiero, egli sopprime il mondo dei “demivouloirs”, tipo di desiderio codardo,
incerto, solo reattivo. Qualsiasi cosa che vogliamo, la “dobbiamo” volere come se
vogliamo il suo eterno Ritorno. Selettivo anche nel senso dell’Essere selettivo, che accetta
solo che l’affermazione ritorna. C’è spazio per la negazione però una volta solamente:
l’eterno Ritorno è come una ruota, ma una ruota con forza centrifuga, che espelle il
negativo fuori del divenire, spiega Deleuze. Socrate con la creazione del processo
dialettico, della metafisica e della distinzione sensibile‐intelligibile rappresenta dunque
per Nietzsche l’immagine della degenerazione della filosofia. Socrate pretende di avere
un demonio, una voce che lo mette sul camino del sapere quindi su quello dell’etica.
Questo demonio, infatti, quando si fa sentire separa il filosofo della sua forza attiva.
•
Un nuovo tipo di pensiero
Troviamo nel pensiero di Nietzsche una profonda e infallibile connessione tra
vivere e pensare. Vita e pensiero formano infatti una complessa unità: “Les modes de vie
inspirent des façons de pensée, les modes de penser créent des façons de vivre. La vie
active la pensée et, la pensée à son tour affirme la vie.”4 e Deleuze aggiunge “l’unité qui
fait d’une anecdote de la vie un aphorisme de la pensée, et d’une évaluation de la pensée,
une nouvelle perspective de la vie”5. Appaiono con Nietzsche due strumenti collegati al
fine di una ricerca ermeneutica: l’interpretazione e la valutazione. Da un lato
dell’esprimere filosofico c’è l’interpretazione di cui l’emblema è l’aforisma sia come atto
interpretativo che come cosa da interpretare, dall’altro lato c’è il valutare come atto
poetico e la poesia, soggetta a valutazione. L’interpretazione è la chiave della verità
perché la verità è molteplice, esistono tante manifestazione della verità quante sono le
maniere di leggerla. Con l’interpretazione scopriamo diversi sensi di verità, però ogni
senso è sempre parziale e frammentario. L’interpretazione apre ogni volta nuove
prospettive sulla realtà. A seguire la valutazione si fa giudice della potenza dei sensi
interpretativi e dei loro valori. Tutti sensi non sono uguali ma tutti sono importanti e se
la valutazione somma la totalità dei sensi interpretativi, lo fa senza perdere la loro
irriducibile pluralità. Così la ricerca di verità è divenuta con Nietzsche ricerca delle
interpretazioni.
3. Nichilismo, un problema di religioni
•
Delle sue origini
o Il risentimento e il dio ebraico
“La vita è abbastanza giusta per giustificare tutto”: queste parole
potrebbero essere messe nella bocca di qualsiasi persona liberata dalle passioni tristi e
soprattutto dal risentimento e dal suo desiderio di vendetta, nella bocca di una persona
che non prende il suo dolore con serietà. Chiunque invece vede nel danno un’offesa
contro di lui/lei, apre la porta al risentimento. E se c‘è una vittima, pensa lui/lei, c’è
ovviamente un boia, un colpevole. Chiunque non può capire che il mondo è
semplicemente “cosi”, cosi che appare, e trovare nella sofferenza un’occasione di
superamento di se stesso, si fa nemico del divenire del mondo. Il risentimento quindi
conduce a un desiderio di vendetta, non per odio dell’altro (o almeno, non in primo
luogo) ma piuttosto per volontà di giustizia e di uguaglianza. Infatti, il risentimento
4
5
Gilles Deleuze, Nietzsche, p. 18.
Gilles Deleuze, idem.
nasce di fronte a un danno quando si manifesta un’impotenza, un’incapacità a
rispondere. Rispondere è sempre una reazione, l’opposto insomma di “prendere la
parola”, però l’umano è comunque un essere di forze reattive. Negarlo porta a rifiutare
di agire queste forze reattive. E quando le forze reattive non sono più agite, ma sono
sentite, e quando queste dominano sulle forze attive, allora nasce il risentimento.
Deleuze distingue due tipi di memoria: una memoria per il futuro,
memoria delle parole che permette all’essere umano di fare promesse e un’altra, che ci
interessa più specificamente nel nostro tema, la memoria delle tracce. Questa è la
memoria dell’incoscienza, piena di ricordi di situazioni in cui la coscienza non ha potuto
rispondere a un’eccitazione presente. Questo schema mostra come i deboli presentano
una prodigiosa memoria mentre i forti agiscono le loro reazioni e attivano così la facoltà
dell’oblio. I nobili possono dimenticare un danno subito proprio perché rimangono
nell’azione, nell’attivazione delle forze negative; la loro coscienza grazie al potere
dell’oblio rimane “fresca e flessibile”.
Questo non‐agire le forze reattive, questa impotenza sono l’aspetto
topologico del risentimento, il suo primo momento. Insomma questo aspetto è una
domanda di psicologia animale. Diciamo topologico perché il dispositivo manifesta le
mosse delle forze reattive, e anche perché lo spazio dalla coscienza è invaso dalla
memoria delle tracce. Scopriamo un secondo passo nel meccanismo del risentimento,
fondato da parte sua su una mera finzione. I deboli trasformano la loro impotenza, il
“non‐potere” in un “non‐volere”, come se la loro passività – passività come “l’agire le
reazioni” e opposta all’attività come agire le forze attive ‐ fosse il risultato di una scelta,
in questo caso dunque risultato di un rifiuto; come se quella scelta fosse una scelta
morale superiore, un rifiuto di fare violenza attraverso l’azione. A questo punto il
risentimento crea nuovi valori, valori decadenti però. Questo processo trova infatti le
sue origine nella credenza che il soggetto può esser diviso dalla sua azione e a fortiori
nella credenza che la forza può esser separata delle sue conseguenze. “Non esiste alcun
“essere” al di sotto del fare, dell’agire, del divenire; “colui che fa” non è che fittiziamente
aggiunto al fare – il fare è tutto.”6 scrive Nietzsche e non a caso, poiché non esiste un
soggetto sostanziale fuori delle determinazione del azione, non esiste neanche una forza
6
Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, I, 13, p. 34, Adelphi, Milano 2010.
neutra in natura. Un tipo di persona abbastanza intelligente e furbo aveva considerato le
cose in un’altra maniera: Il secondo momento del processo, creato dal prete ebraico,
consente dunque il trionfo del risentimento e dello spirito di vendetta per inversione dei
valori. Con la finzione di un mondo sovrasensibile diviene possibile definire la “realtà
sfortunata” di questo mondo come un passaggio da accettare. La speranza di un futuro
migliore si accompagna quindi della rinuncia di affermarsi e di agire le forze reattive qui
e ora; si accompagna anche a un sentimento di odio per quelli che vivono pienamente.
Nel risentimento le forze reattive sono proiettate verso i felici aggressivi accusandoli e
cercando di farli vergognare. Il secondo aspetto del risentimento è tipologico. Ed è
importante notare che le forze reattive non divengono più forti delle forze attive,
piuttosto la loro particolarità è di separare le forze attive da ciò che possono, da ciò che
possono fare. Per concludere ritorniamo al testo di Nietzsche: “Nella morale la rivolta
degli schiavi ha inizio da quando il ressentiment diventa esso stesso creatore e genera
valori; il ressentiment di quei tali esseri a cui la vera reazione, quella dell’azione, è negata
e che si consolano soltanto attraverso una vendetta immaginaria. Mentre ogni morale
aristocratica germoglia da un trionfante sì pronunciato a se stessi, la morale degli schiavi
dice fin dal principio no a un “di fuori”, a un “altro”, a un “non io”: e questo non è la sua
azione creatrice. Questo rovesciamento del giudizio che stabilisce valori – questo
necessario dirigersi all’esterno, anziché a ritroso verso se stessi – si conviene appunto al
ressentiment: la morale degli schiavi ha bisogno, per la sua nascita, sempre e in primo
luogo di un mondo opposto ed esteriore, ha bisogno, per esprimerci in termini
psicologici, di stimoli esterni per potere in generale agire –la sua azione è
fondamentalmente una reazione.”7
o La cattiva coscienza e il dio cristiano
La cattiva coscienza trova la sua origine in un’inversione di direzione
delle forze attive. Mentre le forze reattive sono proiettate fuori nel “accusare l’altro”
attraverso il processo di risentimento (c’è sempre un altro colpevole), le forze attive
s’interiorizzano,
ritornano contro l’individuo che le attiva, rendendolo il nuovo
colpevole del dolore sentito. Questa introiezione crea dolore, insomma approfondisce il
dolore già presento, cercando un responsabile della sofferenza e non potendolo più
7
Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, I, 10, pp. 25‐26, Adelphi edizioni, Milano,
2010.
trovare altrove, al di là di se stesso. Quell’interiorizzazione è l’opera del prete cristiano:
il cristianesimo riprende la creazione dell’ebraismo per condurla alla sua conclusione. Il
prete, infatti, presenta il dolore come una dannazione, in conseguenza di un peccato.
“Ogni sofferente, infatti, cerca istintivamente una causa del proprio dolore; più
esattamente ancora, un autore, o per essere ancor più precisi, un autore responsabile,
sensibile alla sofferenza – insomma un qualsivoglia essere vivente su cui, con un qualche
pretesto, possa scaricare di fatto o in effigie le sue passioni; poiché lo sgravarsi delle
passioni è il massimo tentativo di sollievo, cioè di stordimento da parte del sofferente, il
suo narcotico involontariamente desiderato contro ogni sorta di tormento. Unicamente
qui, secondo la mia supposizione, è da rinvenire la reale radice fisiologica del
ressentiment, della vendetta e simili, in un desiderio dunque di ottundimento del dolore
per via passionale […] I sofferenti sono tutti spaventosamente solleciti e ingegnosi nel
trovar pretesti per dolorose passioni; assaporano già il loro sospetto, il lambiccarsi su
scelleratezze e apparenti nocumenti, grufolano nei visceri del loro passato e del loro
presente alla ricerca di cupe problematiche storie, dove sono liberi di crogiolarsi in una
tormentosa diffidenza e di inebriarsi del loro stesso veleno di malvagità –strappano le
bende alle più antiche piaghe; da cicatrici risanate da lungo tempo spremono il sangue
fino a morirne; dell’amico, della moglie, del figlio fanno dei malfattori e di chiunque altro
sia tra i più intimi loro. “Io soffro: qualcuno deve averne la colpa” – così pensa ogni
pecora malaticcia. Ma il suo pastore, il prete asceta, dice a essa: “Bene così, la mia
pecora! qualcuno deve averne la colpa: ma sei tu stessa questo qualcuno, sei unicamente
tu ad averne la colpa – sei tu ad averne la colpa di te stessa!”… Questo è abbastanza
temerario, abbastanza falso: ma se non altro una cosa in tal modo è raggiunta, in tal
modo come si è detto la direzione del ressentiment… è mutata.”8
Nel dispositivo della cattiva coscienza, troviamo come nel processo del
risentimento due aspetti. Il primo mostra l’interiorizzazione della forza attiva, come
aspetto topologico mentre il secondo è interiorizzazione e approfondimento del dolore
cioè l’aspetto tipologico. Similarmente al gioco del prete ebraico, il prete cristiano
interviene dopo il primo momento: il suo ruolo consente in passaggio dal primo al
secondo aspetto; e il dolore divenuto in fine interno e intimo, lo può usare per
organizzare il suo controllo sul gregge. Il prete cristiano non realizza soltanto la
8
Friedrich Nietzche, Genealogia della morale, II, 15, pp. 121‐122, Adelphi, Milano, 2010.
conclusione del processo ebraico, ma aggiunge una nuova nota: non basta di accusare gli
sfortunati, loro si devono sentire veramente colpevoli per essere schiavi. Così dalla sua
più grande carità, il prete può allora “sanare” i poveri, i deboli cioè infettare la loro ferita.
o L’ideale ascetico e l’ascetismo storico
L’ideale ascetico è la sublimazione dei valori morali negativi, un
complesso di risentimento e di cattiva coscienza elevato a morale dei deboli. In più
l’ascetismo apporta la soluzione per vivere la malattia del risentimento e il dolore della
cattiva coscienza, le sistematizza e ne permette la propagazione. Le forze negative
separano le forze positive dalla loro potenza al fine di veder trionfare il nichilismo e la
mortificazione della vita. Non è la volontà che si trova negata; i valori superiori alla vita ‐
la divinità, il bene, il vero – con la loro finzione contribuiscono a dare un valore negativo
alla volontà. Queste forze reattive lavorano, infatti, per una volontà di potenza intesa
però come volontà di Nulla. Dietro l’ascetismo degli schiavi, c’è ancora il riconoscimento
della superiorità dei signori, riconoscimento quindi della gerarchia. In fondo si trova,
infatti, una rivolta verso l’alto con invidia. La trasvalutazione dei valori è temporale, gli
schiavi tramite la loro maniera di differire immaginano una vendetta. “Ciò che fa oggi e
che mi fa schifo, domani c’è lo farò e non mi farà schifo” pensa il debole.
Il dispositivo della mortificazione della vita è sintomo di una
snaturalizzazione della cultura attraverso la storia universale. Dalle origini preistoriche,
l’umanità mostra un’attività generica di dressaggio e di selezione che definisce la cultura
e dalla quale emerge il principio della legge. E la legge si propaga nella storia non tanto
come rispetto della legislazione e della giustizia, ma come accettazione dell’elemento
arbitrario storico a cui si obbedisce. Nella storia è caduta l’umanità e il senso originale di
cultura si è trasformato con la conseguente autodistruzione della giustizia. Mentre le
forze reattive devono servire le forze attive, storicamente le forze si sono messe al
servizio di altre forze negative, cioè la società, lo Stato o la Chiesa. Questa decadenza è
proprio l’arma di Nietzsche contro la filosofia della storia.
•
Due volte è stata uccisa la trascendenza
Dopo aver spiegato il processo di decadenza dell’umanità, il regno dei valori
superiori alla vita sulla terra, il trionfo [temporale] del nichilismo e delle forze reattive
sulle forze attive, vediamo come arriva la trasmutazione dei valori verso qualcosa più
nobile; prima però dobbiamo capire che l’odio e il desiderio di vendetta dell’uomo
debole si può ancor approfondire e così fare dell’idolo di ieri il nuovo nemico, vittima del
risentimento nella sua forma più vile.
o La morte di Dio
Ci siamo fermati a un punto molto critico della storia in cui la volontà
era divenuta volontà di Nulla. Il nichilismo però va ancora più in profondo nell’abisso, la
volontà diviene allora reattiva, insomma diviene un’assenza di volontà, la negazione di
tutta volontà. Mentre in un primo senso il nichilismo è negativo, in un secondo senso il
nichilismo è reattivo. La vita reattiva non vuole più volontà, stanca di vivere secondo
questo modo, non vuole più valori neanche ultrasensibili, invidiosa della loro immagine;
ma solo un trono al centro di una parvenza di vita, parvenza vuota di senso. Il
risentimento diviene quindi ateo, e con la morte di Dio tutti i valori superiori
scompaiono, non rimane nient’altro che il loro luogo, ormai vuoto. Nel testo di Nietzsche,
ci sono due spiegazione della morte di Dio: secondo le parole del vecchio papa, dio è
morto smorzato di compassione9 ma secondo Zarathustra, l’assassino potrebbe anche
essere l’uomo più brutto che dice “Via, con un dio di questo genere! Meglio nessun dio,
meglio crearsi il destino con le proprie mani, meglio esser pazzo, meglio esser noi stessi
dio ! »10.
o La morte dell’uomo
Dio morto, l’uomo occupa il suo posto. Gli antichi valori sono distrutti
ma i nuovi ‐ la morale, il progresso, la storia, l’utilità ‐ si mostrano nello stesso modo: il
principio di valutazione non è cambiato, sta nel conformismo. L’uomo non vive più nella
forma negativa del nichilismo, però vive ancora nella sua forma reattiva. Non è più
l’uomo del nichilismo negativo, l’uomo che credeva nei valori superiori alla vita, ma
l’uomo che rifiuta tutta la trascendenza. Tutta? Non ancora! A questo uomo infatti piace
ancora l’idea della trascendenza, non il suo vecchio contenuto, la sua sostanza, ma la sua
9
cf. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, IV, “Fuori servicio”.
Nietzsche, idem.
10
forma in cui si vorrebbe trovare per porre il suo contenuto. Con il desiderio di guardare
la vita da fuori, come dicevamo, sintomo della volontà di Nulla, l’uomo reattivo, l’uomo
che si è fatto Dio per odio della vita e per odio dell’antico Dio, troppo stanco per vivere e
ancora troppo stanco per morire, ha quasi fatto l’ultimo passo del nichilismo. L’ultimo
uomo pensa: “Tutto è vano, piuttosto non volontà per niente che una volontà di Nulla”11.
La volontà di Nulla torna allora contro le forze reattive e diviene la volontà di negare la
vita reattiva: così l’ultimo uomo diviene l’uomo che vuole morire. E la trascendenza
incarnata della volontà di Nulla è uccisa.
4. Al di là del nichilismo, un nuovo tipo di uomini annunciato
“L’uomo è una corda, annodata tra l’animale e il superuomo – una corda tesa sopra un
abisso.”12
Al di là della sua negazione, una negazione tuttavia affermativa, aggressiva,
opposta alla negazione manifesta dal risentimento, Zarathustra afferma attraverso un
“Si” sacro, la trasmutazione dei valori. La sua affermazione costituisce, infatti, il trionfo
dell’affermare nella volontà di potenza e la venuta di un nuovo tipo di uomini, discepoli
di Dioniso. La figura di Dioniso simboleggia l’affermazione del divenire, dell’innocente
divenire che può giustificare tutto. L’affermazione si rafforzerà nell’affermazione
dell’affermazione, affermazione dell’Essere del divenire, con l’Alleanza di Dioniso e di
Arianna. Il superuomo nasce appunto dalla loro Alleanza, segnando L’Essere del
divenire. Figlio di Dioniso, al superuomo piace giocare, a lui piace il caso. Lui vuole
dunque l’eterno ritorno nel divenire, eterno ritorno dello stesso; lo stesso però come la
modalità del ritornare, quello che ritorna eternamente è appunto il ritorno.
Il “buono” del nichilismo si definisce proprio nel nichilismo, in maniera negativa, cioè in
reazione a una prima affermazione del maestro. Il maestro dice spontaneamente “sono
buono dunque sei cattivo”. Invece lo schiavo risponde “sei malvagio dunque sono
buono”… “”Al di là del bene e male”… Se non altro questo non significa “al di là di buono
e cattivo””13: Uscire del giudizio di “bene e male” sarebbe uscire dal giudizio morale che
11
Traduzione personale di un estratto da Gilles Deleuze, Nietzsche, op. cit., p. 31.
Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, I, 4.
13 Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit., I, 17 p. 43.
12
ha invertito la determinazione etica del buono e cattivo. Teniamo il comportamento
dell’uomo nobile che si afferma come buono e ricordiamo che la sua affermazione non è
mai fatta in comparazione a qualcun altro, ma sempre come conclusione ottenuta dalla
sua osservazione autonoma, della sua volontà, della sua potenza critica.
5. Conclusione
Aristotele insisteva nella Politica sul fatto che l’uomo è un animale socio‐politico e
anche un animale dotato di linguaggio; il linguaggio permette di influenzare il futuro, di
fare promesse. Ma l’uomo può anche rivolgere lo sguardo sul passato, l’uomo è storico,
vive quindi con i resti del passato poiché l’umanità è stata costruita dalla percezione del
tempo. Per servire quale memoria però, la memoria delle tracce o per far vivere la
memoria della volontà? Da un altro lato, l’uomo ha la capacità dell’oblio, di dimenticare
un danno, che così non diviene mai un “torto”. Il dimenticare è una facoltà attiva, non è
un semplice “lasciar fare”, si delinea appunto come intervento, come “agire una
reazione”, un “trasferire fuori” ciò che non piace e che si manifesta come tensione
interna. I signori non prendono troppo a lungo sul serio le loro sofferenze, da una parte
perché hanno la facoltà di dimenticare e da un’altra parte perché loro sanno che il danno
sentito procura gioia agli altri. Così scrive Nietzsche, per onorare i sentimenti felici e la
vita in quanto tale, che si deve “da sempre difendere i forti dai deboli”14.
La filosofia di Nietzsche si afferma aggressivamente contro un tipo di religioni
storiche, il tipo che crea uno scarto tra vita e pensiero, che pone un altro mondo opposto
al nostro, che privilegia la credenza sull’esperienza, l’Essere sul divenire, l’Uno sulla
molteplicità. Il vero problema religioso che si trova, infatti, nella maniera di rapportarsi
alle forze reattive e attive, è un problema legato alla volontà; la religione non è
condannata a priori ma dopo un’analisi profonda del suo percorso, delle sue
manifestazioni. Nel pensiero di Nietzsche, c’è spazio per la religiosità, per una religione
forte e attiva, per un culto pagano, per una religione insomma di assoluta immanenza.
Invece sarà sempre rifiutata la dialettica: la disciplina di Socrate e di Hegel,
metodo di annichilimento, serve solo il conformismo, la mortificazione e il Nulla. E si
14
Questa citazione si trova nei Frammenti postumi di 1888.
trova essere ideologia ‐ storicamente sviluppata ‐ del risentimento quando la filosofia é
eternamente inattuale.
6. Indice
1. Introduzione …………………………………………………………………………………………………..3
2. Il metodo filosofico di Nietzsche ……………………………………………………………………..3
•
Accanto alla dialettica, nel cuore dell’esperienza …………………………………3
•
Un nuovo tipo di pensiero …………………………………………………………………….4
3. Nichilismo, un problema di religioni ………………………………………………………………5
•
Delle sue origini ……………………………………………………………………………………5
o Il risentimento e il dio ebraico …………………………………………………..5
o La cattiva coscienza e il dio cristiano …………………………………………7
o L’ideale ascetico e l’ascetismo storico ………………………………………..9
•
Due volte è stata uccisa la trascendenza ……………………………………………….9
o La morte di Dio ………………………………………………………………………...10
o La morte dell’uomo ………………………………………………………………….10
4. Al di là del nichilismo, un nuovo tipo di uomini annunciato …………………………11
5. Conclusione …………………………………………………………………………………………………..12
6. Indice ……………………………………………………………………………………………………………13