Maria Mencaroni Zoppetti
DAL VAGO TEATRO AL CAMPO D’ASTE
La storia parallela della città e della casa di ricovero
È opinione diffusa che la presenza dell’aeroporto costituisca per Bergamo un fattore notevole non solo
per la crescita dell’economia, in particolare quella legata al turismo, ma anche per lo sviluppo generale
della città e del territorio provinciale.
Non a tutti, però, viene in mente che possa anche divenire un laboratorio per la conoscenza e il
controllo dell’evoluzione urbana e urbanistica.
Guardare la città dall’alto consente di apprezzarne la posizione geografica, le differenze altimetriche, la
ricchezza naturale coniugata con le strutture edificate; inoltre consente di sfruttare al massimo la più
ricca fonte di informazione delle sue vicende: la città stessa. È certo interesse di ciascuno di noi
conoscere il luogo in cui si vive, cercare di comprendere le dinamiche che l’hanno generato, scoprire
quali siano stati i cambiamenti che l’hanno trasformato fino a farlo divenire ciò che conosciamo nel
nostro presente. Compiamo idealmente insieme un viaggio aereo (servendoci come palliativo di una
mappa satellitare), ma non fermiamoci a contemplare la città murata, i colli circostanti. Puntiamo invece
i nostri sguardi e la nostra attenzione su quelle parti della città che ci sembrano disarmoniche, prodotte
da scelte casuali; soprattutto sulle porzioni urbane più lontane dal centro che non rivelano un disegno,
un progetto di armonioso sviluppo. (fig. 1)
Non può non colpire, per la casualità dell’insieme dei fabbricati e dei servizi che vi hanno preso luogo,
la zona che è attraversata dalla strada statale del Tonale, in quel tratto che si diparte da via Borgo
Palazzo e raggiunge Seriate. Abbiamo detto casualità, ma certo il termine non riesce a contenere gli
interrogativi che emergono quando identifichiamo, all’interno di uno spazio che dall’alto non sembra
sconfinato, il centro sportivo del CONI, l’ATB, (azienda di trasporti pubblici con relativo deposito
degli automezzi), la sede del CAI, il teatro Palacreberg, il Centro Sportivo Italiano, la Casa circondariale
di reclusione e, accanto a questa, la Casa di Ricovero, quella che per uno strano destino è comunemente
denominata “il Gleno”, come accade anche per il carcere, poiché entrambe le strutture sono ubicate
lungo la “via Monte Gleno”, separate solo dalla “Via Daste e Spalenga”, ultima testimonianza
toponomastica di una storia antica di quella parte della città1.
In quella “periferia” sembrano concentrarsi le contraddizioni di Bergamo che negli ultimi quarant’anni
si è espansa in maniera apparentemente caotica (non discostandosi in questo da processi che hanno
investito tutti i centri urbani), senza riuscire a giustificare le scelte urbanistiche che procedevano con
una costante occupazione dei suoli, senza un progetto per il dialogo sociale, per la convivenza e il
progresso comune, ma con l’apparente scopo di relegare lontano dal centro tutto ciò che poteva creare
disagio.
1
Per secoli il carcere fu nel cuore della Città Alta e solo nel 1977 i detenuti lasciarono l’ex monastero di
S. Agata, affacciato su via del Vagine, per essere rinchiusi nella nuova Casa Circondariale costruita a
ridosso del quartiere della Celadina. Di fronte al nuovo reclusorio, al di là della via Daste e Spalenga,
c’era già dal 1968 la “Casa Albergo” che di lì a pochi anni vedrà crescere intorno a sé il moderno
complesso d’accoglienza per gli ospiti di una nuova Casa di ricovero, entrata in funzione negli anni ’80
del secolo scorso.
Seguire le vicende urbane di quest’ultima istituzione significa raccontare anche una parte della storia
della nostra città.
Quando in epoca moderna si cominciò a organizzare l’assistenza ai più bisognosi, creando i presupposti
per il ricovero e la cura, la zona di Bergamo interessata dagli interventi per creare le strutture ricettive
era uno spaziosissimo prato dal fondo sodo e asciutto, “quasi un vago teatro”, protetto dalla città sul colle
che lo riparava anche dai freddi venti settentrionali; il luogo più comodo e più bello che si potesse
desiderare, dove si fondevano tutti i rumori della vita insieme coi silenzi della morte 2. Era lì che si
apriva l’annuale Fiera di S. Alessandro, era lì che era stata costruita la Casa Grande dell’Ospedale di S.
Marco3.
A ridosso di quello spazio urbano, “a piè del Prato fuori del confine e della Fiera e dell’antiche mura”4, scorreva
un canale ricco d’acqua, sulle cui sponde crescevano alberi frondosi, fresco riparo per i passeggi
settecenteschi degli abitanti della piana città (fig. 2). Un piccolo varco era aperto nella cinta muraria, il
Portello delle Grazie che prendeva il nome dal convento francescano costruito extra moenia, in aperta
campagna.(fig. 3)
Una Bergamo che non esiste più affiora dalle parole antiche dello storiografo secentesco e dalla
narrazione in versi dell’abate del XVIII secolo, restituendoci un’immagine che non riusciamo neppure a
concepire nel quotidiano della città modificata, stravolta, riempita, nello scorrere dei secoli, dalle
necessità sociali, dagli interessi economici e dalle scelte politiche.
Al posto del Prato, eliminati i simboli della Fiera, antico cuore commerciale della società bergamasca,
oggi troviamo quello che fu progettato come il centro moderno di Bergamo bassa5. Di là dal tracciato
delle mura, impossibili da percepire nella realtà urbanistica, il canale è stato interrato, il passeggio è stato
sostituito da un’arteria viaria, nessun bosco cela la sagoma di ciò che un tempo fu convento e chiesa
francescana e oggi è sede di una banca6.
Dalla descrizione in versi di Bergamo che Giovanni Battista Angelini scrisse all’inizio del Settecento
sono passati trecento anni: è logico che le cose siano cambiate, va sottolineato altresì che nel
cambiamento hanno giocato un ruolo importante i luoghi fisici, ma soprattutto le funzioni che su di essi
venivano esercitate.
2
Se fu casuale la nascita nella zona piana a margine della città, fuori dalle trecentesche Muraine, del
convento francescano delle Grazie, risalente alla prima metà del Quattrocento, non furono ininfluenti la
presenza dei frati e i loro rapporti con la Casa Grande dell’Ospedale di S. Marco, presso cui prestavano
assistenza ai malati e ai moribondi.7
La struttura della città, chiusa e limitata dalla cerchia muraria, consentiva l’accesso a uomini e merci solo
attraverso le vie che percorrevano i borghi di S. Leonardo e di S. Antonio, in prosecuzione delle strade
esterne che, attraversando il territorio, univano Bergamo alla città di Milano e alla città di Venezia. A
sud per secoli non ci fu nulla, se non campagna scarsamente edificata, solcata da rogge e canali (figg. 45).
Fu la presenza del convento a imporre, comunque dopo secoli, la necessità di aprire la cinta muraria,
consentendo il passaggio a piedi per raggiungere dal “Portello delle Grazie” la zona della Fiera e
l’Ospedale Grande8 (fig. 6, Il portello delle Grazie). Con quel varco iniziava a prefigurarsi un diverso
ruolo urbano dei luoghi e s’imponeva una prelazione urbanistica. Questa trovò puntualmente
realizzazione in seguito alla caduta del regime veneziano, quando, dopo la soppressione di conventi e
monasteri, l’epoca napoleonica operò per modificare le funzioni di parti importanti della città, in vista
della razionalizzazione dei poteri e del loro uso, in nome della modernizzazione dello stato9.
La fine dell’antico regime aveva trascinato con sé un sistema consolidato di convivenza civile, fondato
su un fragile equilibrio tra territorio e città. Lo stesso aveva tentato di resistere a lungo ai segnali di
modernizzazione che difficilmente avrebbero potuto sostenere le differenze di censo e territoriali. Fu
l’apparire di Bonaparte a imporre una nuova organizzazione: la “società di uguali” che si andava
affermando vedeva la nascita di un ordine politico basato su un diverso rapporto tra cittadino e Stato.
Lo Stato si assumeva infatti il compito di riformare e guidare non solo la società civile, ma anche quella
religiosa. Tra tutti i sistemi messi in discussione (amministrativo, militare, culturale, religioso), fu
fortemente trasformato il complesso sistema di carità, che affondava le sue radici nel Medioevo e che
vedeva come protagonisti gli appartenenti ai censi nobiliari e alto borghesi, mal disposti a rinunciare al
loro ruolo e al controllo sugli enti assistenziali. All’inizio la spinta rivoluzionaria aveva cercato di
scardinare l’equilibrio preesistente e di appropriarsi dei beni dei “luoghi di pubblica carità”, non essendo
però in grado di assumerne la gestione. Fu giocoforza riconoscere “l’importanza della amministrazione
sostenuta con esattezza e zelo generoso in ogni momento da’ cittadini benemeriti ed interessati per il patrio bene”10 e di
conseguenza accettarla e mantenerla.
Tanti erano i luoghi in cui i poveri (soprattutto i bambini, i vecchi, le donne senza famiglia che
correvano il pericolo di finire sulla strada, ed anche i piccoli nobili decaduti) erano assistiti:
l’Orfanotrofio del Soccorso, il Ritiro delle Convertite, l’Orfanotrofio dei Mendicanti di S. Carlo; ma
anche il Conventino, che accoglieva persino bisognosi provenienti da tutti i paesi della provincia. A
questi si aggiungevano l’Ospedale Maggiore, l’Ospedale Azzanelli, il Pio Luogo del Sovegno, e l’Opera
3
Pia della Pietà Bartolomeo Colleoni che contribuiva fortemente al sostegno delle giovani donne. Tutto
il sistema assistenziale, sino alla fine dell’epoca veneziana, si basava comunque su una formula di
“patronato” gestito dagli appartenenti a famiglie notabili della città e della provincia. Il rinnovamento
che fu introdotto all’inizio dell’Ottocento, mirava ad affrontare i tanti antichi problemi che perduravano
nella società del XIX secolo e che creavano motivi di disequilibrio e disagio11. Di fronte alla necessità
del controllo sociale dei poveri, dei diseredati, dei portatori di handicap, tuttavia, non poté che
mantenere la essere mantenuta la precedente logica gestionale.
Poiché, per affrontare le diverse criticità, non bastavano gli Ospizi, i Luoghi Pii, le Misericordie,
difficilmente coordinabili e controllabili, nel 1808 fu istituita all’uopo la Congregazione di Carità12 con
l’incarico di svolgere opera di assistenza in un quadro di rigoroso controllo sociale, oltre che di
predisporre un piano di intervento sulla povertà che aveva come priorità un “Progetto di attuazione
delle due case di ricovero e di industria nella comune di Bergamo”13.
Da quella data la storia delle istituzioni assistenziali e caritatevoli a Bergamo s’intreccia con la storia e
con le vicende della città che cresce e si trasforma per affrontare il futuro.
Dopo la soppressione del Convento Francescano di S. Maria delle Grazie, avvenuta nel 1810, i membri
della Congregazione di Carità fecero una ricognizione accurata, di cui è rimasta testimonianza in un
dettagliato inventario, dei luoghi e dei beni dell’istituzione religiosa. Nei locali del complesso
conventuale furono ravvisate le strutture adatte per costituirvi un “Albergo per i poveri” in grado di
accogliere tutti i diseredati bisognosi, tra questi i fatui e i dementi dell’Ospedale della Maddalena, chiuso
in concomitanza con l’apertura del nuovo ricovero14.
I documenti e le perizie redatte all’epoca della soppressione ci raccontano che l’ex convento dei
Francescani di Santa Maria delle Grazie, distribuito su un terreno molto ampio, aveva un impianto
articolato con quattro chiostri, due maggiori e due minori. I più piccoli erano addossati alla chiesa e i
due grandi costituivano il corpo centrale del convento. Intorno al grande chiostro meridionale e nei
bracci della struttura interna si trovavano l’infermeria, la farmacia, il refettorio, la scuola. I servizi, quali
la cucina, la dispensa, i magazzini, erano distribuiti nei rustici posti a nord est, a ridosso della chiesa di
Santo Jesus, affacciata sull’attuale via Camozzi, e paralleli a via Taramelli. (fig. 7)
Ai piani superiori erano posti le celle, i dormitori, la biblioteca. Di pertinenza del convento erano anche
terreni e ortaglie che arrivavano al di là dell’attuale via A. Mai, fino al Campo di Marte, zona poi
occupata dalla stazione ferroviaria.
La Casa d’accoglienza per i poveri fu inaugurata nel 1811 con 240 ospiti. A dire il vero, la
Congregazione di Carità creò, negli spazi dell’ex convento, oltre al ricovero dei poveri anche la Casa
d’Industria o del lavoro, destinata a quelli che erano in grado di apprendere un mestiere e quindi di
emanciparsi dalla indigenza.
4
Aperta lo stesso giorno della Casa di ricovero, la Casa d’Industria accolse 115 poveri ai quali si doveva
procurare lavoro. Così, al proposito, testimonia Carlo Marenzi nel 1824
“La maggior parte degli istituti di pubblica beneficenza ha contribuito con ragguardevoli corrisponzioni per formare un
reddito fisso a questa casa, e renderla capace di mantenere vitto, vestiti, medici, chirurgi, medicine ed assistenti a 200
individui circa, li quali sono impiegati in lavorieri utili e proporzionati alla loro abilità. Il più interessante motivo per la
fondazione di questo pio istituto fu di proibire i questuanti nella città e borghi, il che fa difatti ebbe per qualche tempo il
desiderato effetto.”15
La Casa d’Industria all’inizio fu sostenuta con i fondi della Misericordia Maggiore e del Conventino, poi
dal Commissariato al Bando della mendicità; ma, se lo scopo primario era quello di reintegrare forze
lavoro, in realtà, vista la situazione di intere famiglie “semiquestuanti” o ridotte in miseria, anche la Casa
d’Industria, cercando di dare lavoro a domicilio, soprattutto alle donne, si comportava come un ente
elemosiniero16.
Come sia stato adattato e trasformato, tra il 1810 e il 1811, l’ex complesso conventuale per ottemperare
alla nuova funzione non è, allo stato attuale della ricerca, possibile dire. I documenti e le testimonianze
coeve, ad esempio quella del Marenzi, dimostrano come i locali delle Grazie non fossero adatti e
nemmeno sufficienti per poter ovviare ai bisogni degli indigenti d’ambo i sessi, che raggiunsero presto e
oltrepassarono il numero di 350, anche quando la Casa d’Industria venne spostata là dove un tempo si
trovava il Convento di S. Spirito. La necessità di una radicale trasformazione degli edifici trovò
interpretazione nel piano presentato nel 1825 da Giuseppe Cusi, il quale predispose una ristrutturazione
e un ampliamento notevoli, come dimostrano i disegni conservati presso l’Archivio di Stato di
Bergamo17. (fig. 8)
La data era importante anche per l’amministrazione pubblica, poiché corrispondeva a quella della
venuta a Bergamo di S.M.R. Francesco I e il nuovo edificio con la decorosa facciata prevista, sarebbe
stato una quinta adatta al trionfale ingresso di Sua Maestà.
Il progetto però non si realizzò, non solo “per viste economiche”, ma anche perché i locali servivano
obbligatoriamente ad alloggiare e assistere gli ospiti bisognosi “a motivo dei vari legati ed eredità
conseguite da parecchi benefici testatori” 18. Mentre si discuteva della necessità di ampliamento della
Casa di Ricovero, Giuseppe Cusi presentò disegni e progetti per la creazione di una nuova porta
urbana, che sostituisse l’antico accesso del Portello delle Grazie. Nella sua relazione l’ingegnere
sottolineò come fosse opportuna e vantaggiosa la scelta di aprire lì, davanti alle Grazie, il nuovo
ingresso in città che da una parte avrebbe consentito un migliore utilizzo degli spazi interni alle mura, e
nello stesso tempo avrebbe favorito lo sviluppo verso il territorio. La piazza delle Grazie sarebbe stata
più grande e decorosa, nello stesso tempo sarebbe servita da cerniera urbana, attraversata da una strada
5
che sviluppandosi dentro la città avrebbe raggiunto la parte antica arroccata sul colle; dirigendosi a sud
avrebbe poi raggiunto la zona del Conventino, da sempre legata, anche come proprietà, al Convento
delle Grazie19.
Solo nel 1837, ad opera di Giacomo Bianconi fu ripreso il progetto della Casa di ricovero. Il complesso
in parte fu risistemato, modificandolo nel “lusso” soprattutto per ciò che riguardava la facciata. L’anno
successivo, realizzata in granito rosso del lago Maggiore, si inaugurò la “Nuova Porta”.
La città esplodeva, nel nuovo e nel bello, come testimoniava pochi anni dopo l’arch. Giuseppe
Berlendis dando alle stampe una incisione raffigurante l’“Albergo pei poveri”, accompagnata da un
commento nel quale non risparmiava parole di ammirazione per i cambiamenti che stavano
realizzandosi in una zona divenuta ormai di primaria importanza.
“La nuova Piazza delle Grazie che va sempre più acquistando eleganza ed ingrandimento mercè l’erezione di
nuovi regolari pubblici, e privati fabbricati, offre in oggi un sorprendente colpo d’occhio anche allo sguardo dei più
schivi alle energiche impressioni del bello”.20
L’Archivio di Stato bergamasco possiede anche un altro interessante progetto di ampliamento della casa
di ricovero collocata nell’antico convento delle Grazie21. Il progetto, mai realizzato, evidenzia il
complesso architettonico e la necessità di modificarne le dimensioni. Fa emergere altresì l’importanza
del ruolo urbanistico che il luogo, un tempo identificato solo con la presenza di una religiosità
istituzionalizzata, aveva ormai assunto nel processo di trasformazione del volto moderno della città di
Bergamo.
(figg. 9-10)
Il problema fondamentale dell’assistenza ai bisognosi era legato certamente alle spese di gestione e
sostegno della Casa di Ricovero e della Casa d’Industria, spese per lo più sostenute con i redditi e con i
contributi in particolare dell’Ospedale e della Misericordia Maggiore, come scrive anche Marenzi
“La maggior parte degli istituti di pubblica beneficenza ha contribuito con ragguardevoli corrisponzioni per formare un
reddito fisso a questa casa, e renderla capace di mantenere vitto, vestiti, medici, chirurgi, medicine ed assistenti a 200
individui circa, li quali sono impiegati in lavorieri utili e proporzionati alla loro abilità”,
Altra grave necessità era quella di creare condizioni sostenibili, poiché non si potevano far vivere e
lavorare in un unico spazio uomini e donne. Per questo si erano proposti molti progetti, di
sistemazione, ampliamento, ricostruzione, progetti però così dispendiosi, da far sperare solo
6
“che dalla providenza publica o con sovvenzioni private si riparerà anche questa mancanza acciò sempre più si aumenti e
prosperi un tanto utile e benefico istituto”22.
Le risorse, è evidente, sono sempre state insufficienti e soprattutto in tempi di gravi crisi dovevano
essere integrate con questue straordinarie per soccorrere i “poveri vergognosi, e decaduti da un civile, e commodo
stato, degli ammalati temporariamente, dei padri, e delle madri aventi figli inabili per età al lavoro” e le questue erano
rivolte a possidenti, negozianti, mercanti, “artisti” e alla loro “distintissima filantropia”23.
La beneficenza privata, garantiva quindi continuità d’intervento anche nei momenti più critici,
permettendo alle varie istituzioni assistenziali di svolgere un compito imprescindibile nella
redistribuzione dell’equilibrio sociale. Tutto questo era reso possibile dalla partecipazione e
dall’impegno di cittadini che in sostanza avevano mantenuto una continuità di ruolo e di presenza delle
famiglie più importanti nella gestione della cura dei meno abbienti.
Se il sistema filantropico è perdurato sino all’Unità d’Italia e oltre, il successivo mutamento della società,
degli equilibri politici, dello sviluppo economico ha creato nuovi problemi, ma ha aperto anche nuove
prospettive nel rinnovamento dell’attenzione verso i bisognosi e i disagiati.
Durante il XIX secolo saranno stati certamente gli intenti migliori a guidare coloro che si offrivano o
erano scelti per guidare enti come la Casa di Ricovero. Gli studi condotti sino ad oggi hanno però
accennato al fatto che la filantropia, così necessaria e così positiva, soprattutto in assenza di risorse
pubbliche, ebbe talvolta anche un risvolto di interessi legati alla redistribuzione delle cariche e
all’occupazione di ruoli di potere.
Non si è invece mai invece sufficientemente chiarito che influenza avesse, nei rapporti socio economici,
l’enorme patrimonio che amministrava la Congregazione di Carità, istituzione preposta alla gestione e
allo sviluppo del sistema caritatevole. Eppure il patrimonio, costituito da innumerevoli beni fondiari,
consentì alla Congregazione di essere a lungo attore territoriale di primo piano, in grado di influenzare
le più importanti scelte che furono fatte per lo sviluppo della città e della provincia.
La sistemazione delle carte dell’Archivio della Fondazione S. Maria Ausiliatrice, condotta dalla
professoressa Juanita Schiavini24, dà finalmente conto della complessità dei problemi, degli intrecci di
interessi, così come del ruolo di primo piano della Congregazione di Carità e di tutti gli Enti che in
epoche successive la sostituirono fino ai giorni nostri. Nel presente contributo ci limitiamo a tracciare i
processi in maniera sintetica, come consente l’inventariazione dei documenti gentilmente messa a
nostra disposizione25.
Già da una prima analisi si aprono strade sinora inesplorate e si possono tratteggiare percorsi inediti di
una storia della città e della provincia probabilmente dimenticata.
7
Sappiamo che sin dalla sua formazione la Congregazione di carità, sostituta degli enti d’assistenza
d’antico regime, ne aveva incamerati i beni, divenendo proprietaria di edifici e terreni, con le relative
competenze e averi, così com’era avvenuto nel 1810 per il grande complesso dell’ex convento delle
Grazie, con il Prato e le ortaglie che si sviluppavano sino alla zona ora occupata dalla stazione
ferroviaria, superandola e giungendo sino al Conventino. (fig.11)
La documentazione conservata e finalmente riordinata fornisce una ricchissima messe di informazioni
sulla provenienza dei beni: dai terreni agricoli, alle colture; dallo sfruttamento dei corsi d’acqua, alla rete
dei canali, delle rogge, dei fontanili la cui presenza garantiva un valore aggiunto ai terreni attraversati. E
ancora sulla manutenzione dei boschi, sulla cessione di zone boschive per la costruzione di strade o per
l’ampliamento di insediamenti industriali, come quello delle calci idrauliche nei pressi di Strozza. Oltre
che sul possesso di beni immobili.
Soprattutto i documenti che fanno luce sulla gestione del patrimonio immobiliare risultano di
grandissimo interesse: da questi emerge evidente una accorta politica di vendite, permute e cessioni che
favorì/influenzò, in tutta la provincia, la realizzazione di infrastrutture e la trasformazione delle aree
urbane.
Delle infinite relazioni territoriali vale la pena segnalare pochi, ma eloquenti esempi: la cessione dei
terreni di proprietà in Orio al Serio, sui quali nel 1940 fu costruito il campo di aviazione militare26; o
ancora quella dei terreni di proprietà in Villa D’Almè, per consentire l’allargamento della strada e la
costruzione della ferrovia della Val Brembana27 dal 1902 al 1906; o sempre in zona, la vendita, nel 1906,
dei terreni a nord della stazione ferroviaria di Villa d’Almè alla Società bergamasca dei cementi e calci
idrauliche, che diventerà in seguito l’Italcementi..
Dopo il 1908 in località Sabbio-Dalmine furono alienati in favore della Società Tubi Mannesmann
diversi appezzamenti di terreno, allo scopo di consentire la creazione di un raccordo ferroviario tra la
stazione di Dalmine e Verdello, ma anche per l’ampliamento della strada e per permettere la
costruzione di un casello di sosta della tramvia Monza-Trezzo-Bergamo nei pressi dello stabilimento in
espansione.28 (fig. 12)
Sugli innumerevoli possedimenti della Congregazione e della Pia Casa di Ricovero in città, emergono
dall’archivio informazioni così importanti grazie alle quali riusciamo a comprendere molti avvenimenti e
finalmente a chiarire i motivi che hanno dato origine a diverse scelte urbane e urbanistiche.
Ad esempio, dalla documentazione della Fondazione S. Maria Ausiliatrice, veniamo a sapere che nel
1816, a soli cinque anni dalla creazione della Casa di ricovero, questa cede la chiesa di S. Carlo con le
ortaglie e le case annesse (un tempo ricovero dei mendicanti) a don Carlo Botta 29, ad uso di
“stabilimento per i fanciulli discoli” e che, nel 1863, vende il tutto a quello che era divenuto il Pio
Istituto Botta. (fig. 13)
8
Nel 1856 sono ancor più importanti le trattative intercorse con la Diocesi di Bergamo per vendere l’area
su cui sorgeva la quattrocentesca chiesa delle Grazie, affinché potesse finalmente essere eretta in
parrocchia. La vendita darà il via libera all’abbattimento dell’edificio sacro che sarà costruito ex novo,
arretrato rispetto allo “stradone” che la municipalità costruirà, attraversando terreni appartenenti alla
Casa di Ricovero, per unire la città alla ferrovia. (fig. 14)
Sappiamo tutti quanto furono estenuanti le diatribe sulla necessità o meno di far arrivare la ferrovia a
Bergamo, sulle vere o presunte potenzialità per lo sviluppo della città e dei suoi commerci, ma non è
noto che fu la cessione dei terreni di proprietà della Casa di ricovero a permettere, nel 1857, di
costruire, dove ancora oggi si trovano, sia la stazione ferroviaria, sia la linea della strada ferrata che
univa Bergamo a Coccaglio30. (figg. 15-16)
Anche l’ampliamento delle linee ferroviarie, insieme all’ammodernamento delle linee tranviarie, che
abbandonano i cavalli in favore dell’elettricità, deve per forza passare, negli anni che vanno dal 1895 al
1908, su immobili e terreni dell’istituzione assistenziale.
Intanto, tra il 1856 e il 1860, il prato e le ortaglie esistenti all’interno del complesso assistenziale
venivano affittate per la coltivazione del gelso; in contemporanea i terreni di proprietà lungo il viale
della stazione venivano sfruttati come cave.
Mentre l’articolata distribuzione degli spazi abitativi della Casa di ricovero dialoga con la chiesa anche
dopo la ricostruzione di quest’ultima, proprio la creazione del nuovo edificio sacro e l’allineamento
della proprietà della Casa di Ricovero sul viale fa progettare(tra il 1868 e il 1910), lungo la direttrice per
la stazione, diversi edifici per usi differenziati: appartamenti civili, botteghe, magazzini. Tra i beneficiari
dell’edilizia residenziale ricavata ci fu anche Antonio Preda, progettista della nuova chiesa di S. Maria
Immacolata delle Grazie e del Palazzo della provincia di Bergamo31 .
Anche il risanamento di Città Alta, attuato alla fine del XIX secolo, vede più volte coinvolto l’ente della
Casa di Ricovero, quando, ad esempio, deve cedere alcune case di sua proprietà in vicolo S. Andrea per
la sistemazione e l’allargamento di Via Porta Dipinta, nel tratto compreso tra la chiesa di S. Andrea e
Via Osmano.
I locali di proprietà in Via del Vagine, adiacenti alle Carceri di S. Agata, servirono invece fino agli anni
’60 del secolo scorso per accogliere beneficiati della Casa d’Industria.
Oltre alle innumerevoli proprietà all’interno della città, l’ente assistenziale deteneva nelle immediate
vicinanze, lungo via Borgo Palazzo, una vastissima area di pertinenza del podere Daste, che possiamo
grosso modo far coincidere con il territorio che va dal Cimitero (costruito su terreni venduti al Comune
tra il 1896 e il 1898)32 al quartiere della Celadina, comprendendo tutta la zona di via Gleno e, al di là
della strada per Seriate, tutta l’area di pertinenza del podere Clementina.(fig. 17)
Sono proprio questi ultimi possedimenti a segnare il destino urbano del Pio Istituto di Ricovero,
all’inizio e a metà del secolo scorso.
9
Abbiamo già detto dei progetti che sin dalla metà del XIX secolo furono ipotizzati per ampliare gli
spazi, per modificare le situazioni di vita degli ospiti della Casa di ricovero. Un fatto del tutto
inaspettato, l’acquisizione per via di legato testamentario dell’eredità del veneziano Francesco
Gallicciolli33, accelera decisioni e cambiamenti che determinano il futuro della pia istituzione. (fig. 18)
Benché di origine bergamasca, il Gallicciolli non aveva nulla a che fare con Bergamo e sono del tutto
sconosciuti i motivi per cui, con testamento olografo, nel 1906 lasciò i suoi beni alle maggiori istituzioni
cittadine della nostra città: libri alla Biblioteca Civica, quadri all’Accademia Carrara, denaro, immobili,
terreni e rendite per un valore equivalente a circa12.000.000 di euro attuali alla Casa di ricovero.34
Da tempo si pensava di creare una nuova struttura d’accoglienza fuori dal centro cittadino, anche in
conseguenza dei piani regolatori che si erano via via prodotti dalla fine del secolo precedente e in vista
di una nuova sistemazione del centro cittadino secondo gli intenti del progetto piacentiniano vincitore
del concorso nel 1907. Gli edifici di Fiera, ormai obsoleti, l’antico ospedale quattrocentesco, l’Albergo
per i poveri, male avrebbero dialogato con una modernità che tendeva ad allontanare dal cuore della
città tutto ciò che avrebbe potuto recare fastidi35.
Il ricchissimo lascito permise di pensare concretamente al rinnovamento e nello stesso tempo allo
sfruttamento e alla valorizzazione dei terreni legati al podere denominato la Clementina, posti lungo la
strada del Tonale, verso Seriate. Un tempo in dotazione dell’Ospedale della Maddalena, erano stati
incamerati dalla Casa di ricovero intorno al 1822, come risulta da alcuni documenti conservati
nell’Archivio della Fondazione S. Maria Ausiliatrice.
Sin dal 1906, in vista della nuova impresa edilizia, si procedeva alla rescissione dei contratti d’affitto coi
diversi gestori del podere della Clementina.
Intanto alle Grazie si provvedeva alla copertura della roggia Colleonesca, che attraversava il prato e le
ortaglie di proprietà
della Casa di ricovero: un primo fondamentale passo per una vantaggiosa
sistemazione urbanistica e viabilistica (fig. 19). L’intervento era necessario per procedere alla
lottizzazione dei terreni situati nella zona tra via Camozzi, via Macello (l’attuale via Taramelli), via Mai,
viale Roma. La realizzazione, intorno al 1909, di Via Francesco Galliciolli (intitolata al benefattore
veneziano) (fig. 20) e soprattutto quella di Via S. Francesco (avvenuta in seguito), modificò
definitivamente l’assetto primitivo del complesso architettonico delle Grazie, e favorì il successivo
sviluppo di imponenti edifici residenziali lungo il viale della stazione.
Subito dopo la casa parrocchiale costruita in aderenza alla nuova chiesa, era stato realizzato alla fine
dell’Ottocento un “Fabbricato piccolo” con lo scopo di mettere a reddito appartamenti, negozi e
magazzini destinati ad usi privati; era anche stato progettato un “Fabbricato grande” di cui sono
conservati in archivio planimetrie e progetti, mai giunto a compimento.
La casa di ricovero, tra i tanti beni, possedeva anche terreni legati al “podere La Breda” che da Borgo
Palazzo raggiungevano le ortaglie delle Grazie; cedendo una porzione di questi, rese possibile anche la
10
creazione della Nuova sede della Scuola d’Arte applicata all’Industria: la scuola Andrea Fantoni. (fig.
21)
A seguito
del copioso lascito Gallicciolli le vicende legate alla Casa di ricovero delle Grazie
s’intrecciano sempre più con quelle per la creazione del nuovo centro assistenziale sui terreni del podere
Clementina e su quelli adiacenti acquisiti per l’occasione.
Mentre da una parte si procede agli atti preliminari per la costruzione della nuova casa di ricovero in
periferia, dall’altra si ipotizzano soluzioni per edificare tutta la zona delle “ortaglie” dell’ex convento
dopo la copertura della roggia colleonesca nel tratto che attraversava il Prato alle Grazie36. Si affittano
da tempo alcune parti della Casa di ricovero delle Grazie come appartamenti civili e botteghe, e dal
1910 al 1912 una porzione viene data in affitto alla “Società di mutuo soccorso tra cuochi, camerieri,
caffettieri e affini di Bergamo”, mentre ancora nel 1915 si tratta per affittare locali alla Azienda
Municipalizzata degli acquedotti civici. (fig. 22)
Se lo scoppio del primo conflitto mondiale nel 1914 non interrompe i lavori di costruzione della nuova
periferica casa per accogliere i poveri, ancor prima dell’entrata in guerra dell’Italia, con la dichiarazione
del 24 maggio 1915, tutta la struttura della vecchia casa di ricovero delle Grazie è concessa alla Croce
Rossa italiana affinché possa aprirvi il primo ospedale territoriale37.
A causa di ciò, già dal marzo dello stesso anno, a mezzo di autovetture private e della prima ambulanza
della CRI (costruita nello stabilimento automobilistico Esperia di Bergamo38), si era provveduto a
trasportare i ricoverati e i malati nella nuova “Casa di ricovero per i poveri” (fig. 23) eretta, nel giro di
pochi anni, sul terreno poderale della Clementina. (fig.24)
Nel 1909 erano stati ufficializzati gli atti preliminari per la costruzione sulla strada per Seriate della
nuova casa di ricovero progettata dall’ing. Elia Fornoni, con la consulenza tecnica dell’ing. Carlo
Formenti39. L’anno successivo, dopo aver provveduto a tagliare tutte le piante che occupavano l’area da
edificare, si era già realizzata la strada d’accesso al nuovo stabilimento e si era iniziato ad innalzare il
muro di recinzione. A partire dal 1911, si costruirono nel primo lotto gli edifici che saranno completati
e sopraelevati nel 1916, anche per accogliere gli ospiti del Ricovero di Mendicità. Nel 1913 era stata
demolita la cascina Clementina, di cui si conservava solo l’ortaglia che sarebbe servita agli ospiti del
ricovero. Si era intanto iniziata la piantumazione del giardino; si era realizzata una lavanderia a vapore e
si era provveduto alla costruzione della chiesa interna40.
La solenne inaugurazione avvenne il 6 maggio del 1915, come riporta nella cronaca di quel giorno
“L’Eco di Bergamo”, ma il Ministero della Guerra, che aveva già occupato alcuni locali per isolare quei
soldati che manifestavano casi di meningite, requisisce anche la nuova sede come ospedale militare.
Tutti gli ospiti della casa di ricovero vengono perciò “sfrattati” e sistemati in alcuni locali del seminario
11
vescovile in Città Alta. Potranno far ritorno alla Clementina solo dopo il 1919, quando furono risarciti i
danni alle strutture ed eseguite tutte le necessarie opere di ripristino41.
La guerra era finita, ma aveva lasciato aperte molte ferite tra queste l’aumento degli orfani per la cui
assistenza la Deputazione Provinciale decise di affittare, all’interno della Clementina, ben tre padiglioni
da adibire a brefotrofio.
Dal 1930 si comincia a discutere sulla reale necessità di usare tutti gli spazi della Clementina come
ricovero e in accordo col Comune si progetta la realizzazione, sui terreni dietro i padiglioni della casa di
ricovero, di un complesso di edilizia residenziale per operai, con otto corpi di fabbrica, serviti da celle
frigorifere e da due lavatoi all’aperto42. (fig. 25)
Appena insediati nelle case, i residenti fanno anche una petizione perché sia realizzato un passaggio
pedonale che attraversi la ferrovia retrostante via Rovelli, che nel frattempo viene dotata di
illuminazione pubblica.
Col tempo è sempre più evidente che come casa di ricovero la Clementina è troppo grande, tanto è
vero che allo scoppio della seconda guerra mondiale metà del complesso è requisito ancora una volta
per essere usato come ospedale militare43.
Alla fine del conflitto, alcuni locali sono
adibiti a magazzini per il vestiario da distribuire alla
popolazione civile da parte del Comitato provinciale UNRRA44.
Dopo la tragica alluvione del Polesine del 1951 gli sfollati furono accolti in alcuni locali della casa di
ricovero, dove furono sistemati anche i profughi giuliano-dalmati e quelli della zona B di Trieste.45
La trasformazione del territorio provinciale, la crescita della città dopo la guerra imposero un
ripensamento sul senso e sull’uso di quella che dal 1956 non fu più “Pia Casa di Ricovero” ma “Casa di
riposo”46.
Intanto diventava difficile far permanere, in quella parte della città che stava subendo una forte
urbanizzazione, un complesso di edifici che era stato “calato in modo sostanzialmente casuale nella
periferia cittadina”47, complicando, con la sua, l’altrettanto complessa presenza dell’Ospedale
Psichiatrico, situato sul lato opposto della strada per Seriate.
In più stava cambiando radicalmente il concetto di assistenza socio sanitaria, per cui un
ammodernamento delle vecchie strutture della Clementina e l’adattamento delle stesse alle esigenze di
ospiti che avrebbero potuto scegliere liberamente di ritirarsi in un luogo adeguato, si erano rivelati
difficili da realizzare e assolutamente antieconomici. L’idea del recupero, affidata in ipotesi all’arch.
Carlo Poli nel 1968, venne a cadere con l’approvazione, a livello regionale, del Piano Regolatore
Generale del Comune di Bergamo curato dai professori Astengo e Dodi che non consentiva più la
permanenza della struttura della Clementina in quella che da “area ospedaliera” era stata trasformata in
“area residenziale”.
12
Il “Consiglio di Amministrazione della Casa di Riposo e delle Opere Pie annesse”, prima ancora di
stabilire il destino della Clementina, aveva optato per l’utilizzo, in località Daste, di un terreno di sua
proprietà, adiacente al quartiere della Celadina, attraversato dalla Roggia Morlana, sulla quale si trovava
il mulino Gorle. A poca distanza era la fabbrica Tosi-Albini che alla fine dell’Ottocento aveva
acquistato dalla Congregazione di Carità il terreno per erigere il suo opificio.
All’epoca la zona era scarsamente edificata, immersa in un tranquillo paesaggio verde e lì fu costruito
quello che per i tempi fu un esempio di ricettività moderna: la Casa di riposo, progettata con tutte le
caratteristiche e le infrastrutture di un albergo dagli architetti Gian Cesare Battaini e Carlo Fumagalli di
Milano con l’assistenza e la partecipazione dell’arch. Carlo Panigada di Bergamo, fu inaugurata nel 1968.
(fig. 26)
Nel 1973 si pensò di accostare a quest’ultima un Centro residenziale per anziani, studiato dall’arch.
Carlo Poli; la prima pietra fu posta nel 1975 e già nel 1980 furono aperti i primi reparti. Padiglioni a due
piani, con collegamenti che attraversavano il giardino, spazi ludici, un anfiteatro. (fig. 27)
Al di là della via Daste e Spalenga dal 1977 era operativa la Casa circondariale nella quale erano stati
trasferiti i detenuti sino ad allora reclusi nell’antico carcere di S. Agata in Città Alta.
La nuova Casa di Riposo, pur avendo evitato formalmente le caratteristiche di residenza ospedaliera,
non era riuscita a superare l’isolamento, anche se alle sue spalle si stava modificando l’assetto territoriale
del Comune di Gorle con la costruzione di quartieri residenziali di pregio.
La storia parallela dell’istituzione assistenziale e della città all’inizio del XXI secolo si è arricchita di un
nuovo capitolo. La periferia casuale, il coesistere di strutture con funzioni e finalità diverse e lontane le
une dalle altre, hanno imposto di tentare un cambiamento radicale, di rovesciare l’assunto: non si deve
più allontanare dalla città tutto ciò che alla città può creare disagio, ma bisogna portare la città (vita,
relazioni, consumi, transiti) in mezzo a quelli che per troppo tempo sono stati luoghi/non luoghi.
Forse, come sostengono i professionisti incaricati del rinnovamento48, da questi intenti sono nati i
progetti di cambiamento legati “all’esigenza di una revisione complessiva dell’intero compendio socioassistenziale, nella convinzione che una razionalizzazione dei servizi e degli edifici esistenti potesse non
solo migliorare l’offerta sanitaria ma, allo stesso tempo, riqualificare la zona e magari generare le risorse
necessarie per l’intervento.
Il complesso progetto di ristrutturazione urbanistica, in via di realizzazione, propone che gli edifici
assistenziali siano costruiti in un’area più compatta, mentre la porzione rimanente dell’area vedrebbe la
creazione di un nuovo quartiere urbano, residenziale e terziario per circa mille nuovi abitanti, disposto
attorno a un nuovo grande parco pubblico – con un’estensione di circa tre ettari, ovvero circa due volte
il Parco Suardi - in luogo dei precedenti edifici assistenziali. Un parco che, a differenza di altre
esperienze passate, stabilisce la posizione degli edifici anziché derivare da essi, dotato di una forma
13
propria, non residuale, e di un ruolo centrale e fondativo per il nuovo quartiere, grazie alla prevista
presenza di funzioni attrattive per l’intera cittadinanza.
Questi concetti sono alla base del progetto del nuovo Parco del Gleno, oggetto di un accordo di
programma tra Comune, Provincia e Fondazione Santa Maria Ausiliatrice ONLUS.
La sopravvenuta crisi del settore edilizio non ha rallentato la realizzazione della prima fase di questo
ambizioso processo di riqualificazione, quella che prevede la realizzazione della nuova RSA - tre nuovi
edifici disposti attorno ad una grande area verde centrale – ultimata la quale si procederà alla
demolizione delle strutture precedenti e obsolete, e quindi alla realizzazione del nuovo grande parco.”
Stiamo oggi assistendo alla nascita di questo progetto, una scommessa per costruire un nuovo modello
di convivenza.
.
1
Le località di Spalenga e Daste, essendo distanti almeno due miglia dalla città, erano nel novero dei Corpi Santi, ma
facevano parte delle Vicinie cittadine. Cfr. GIOVANNI DA LEZZE, Descrizione di Bergamo e suo territorio 1596, a cura
di VINCENZO MARCHETTI e LELIO PAGANI, Bergamo 1988, p. 143: “Spaenga foghi 3, anime 28” (cioè tre famiglie con
28 componenti); “Daste fuoghi 6, anime 140, utili 32”, (Daste 6 famiglie con 140 componenti, 32 attivi); p. 499: “
Scorre dunche detta Seriola Morlana per detto comune di Nembro […]poi per la terra di Alzano[…]vien poi verso
Gorle et da Gorle a Spaenga et poi a Daste et ivi serve a due macinatore[…]”
2
CELESTINO COLLEONI, Historia quadripartita di Bergamo e suo territorio, Ventura, I, Bergamo 1617, pp. 481-482.
3
Per le vicende storiche dell’Ospedale di S. Marco si veda MARIA MENCARONI ZOPPETTI (a cura di), L’Ospedale nella
città
4
VINCENZO MARCHETTI (a cura di), G.B.Angelini, Per darti le notizie del paese. Descrizione di Bergamo in terza rima,
1720, Ateneo di Scienze Lettere Arti di Bergamo- Fonti1, Bergamo 2001
5
Per una rapida ricognizione dei cambiamenti si veda: MARIA MENCARONI ZOPPETTI, La Bergamo moderna di
Piacentini Mazzoni Bergonzo, Ateneo di Scienze Lettere Arti-Itinerari 5, Sestante edizioni, Bergamo 2012.
6
LELIO PAGANI, Acque e canali nel volto storico di Bergamo, in Atti dell’Ateneo di Scienze Lettere Arti di Bergamo,
vol. XLVI, a. a. 1985-86, Bergamo 1987, pp. 297-317. Cfr. anche MARIA MENCARONI ZOPPETTI, Bergamo e il suo
Boulevard. Dalla Nuova Porta alla Ferrata, Ateneo di Scienze Lettere Arti di Bergamo-Itinerari-6, Sestante Edizioni,
Bergamo 2013
7
FRANCESCA BUONINCONTRI, Conventi e monasteri francescani a Bergamo, in Il Francescanesimo in Lombardia.
Storia ed arte, Milano 1983, pp. 280-281; ANGELO GIUSEPPE RONCALLI (a cura di),Gli Atti della visita apostolica di S.
Carlo Borromeo a Bergamo, 1575, I, II Firenze 1936, pp. 315-16; GIOVANNI MAIRONI DA PONTE, Dizionario
Odeporico, I, Bergamo 1819, pp. 96-97; VANNI ZANELLA, Bergamo città, Bergamo 1971, p. 142, 147, 211. Si veda
anche MARIA MENCARONI ZOPPETTI (a cura di), “Evoluzione di un luogo urbano. Dal Convento delle Grazie al Credito
Bergamasco”, Bergamo 2001, in particolare la bibliografia segnalata.
8
Ivi, p. 56; MENCARONI ZOPPETTI, Bergamo e il suo boulevard, cit.
9
LELIO PAGANI , Il volto della città di Bergamo nel Catasto Napoleonico, in Atti dell’Ateneo di Scienze Lettere Arti di
Bergamo, vol. XLII, a.a. 1980-81 e 1981-82, Bergamo 1983, pp. 792-93
10
GIOVANNI MAIRONI DA PONTE, Osservazioni sul Dipartimento del Serio, Bergamo 1803, p. 175
14
11
EDOARDO BRESSAN, , Le istituzioni del sociale, in Storia Economica e sociale di Bergamo, Dalla fine del Settecento
all’avvio dello Stato unitario, Bergamo 1994, p. 115-16, 123; si veda anche nel presente volume il contributo di
NAZZARINA INVERNIZZI ACERBIS, “È proibito a chiunque il mendicare”
12
ANGELO GIUSEPPE RONCALLI, La Misericordia Maggiore di Bergamo e le altre istituzioni di beneficenza
amministrate dalla Congregazione di Carità, Bergamo 1912, pp. 90-100
13
MARIA MENCARONI ZOPPETTI, ANTONIA ABBATTISTA FINOCCHIARO, I volti della generosità. Ritratti della
Fondazione Casa di ricovero S. Maria Ausiliatrice onlus di Bergamo, Ateneo di Scienze Lettere Arti di BergamoQuaderni, Bergamo 2010.
14
EDOARDO BRESSAN, Vita sociale e azione caritativa fra Rivoluzione e Restaurazione, in Bergamo e il suo territorio,
Milano 1997, p. 72
15
GIROLAMO MARENZI, Guida di Bergamo 1824, Bergamo 1985, p.144
16
BRESSAN, Vita sociale[…], cit., p.73
17
MENCARONI ZOPPETTI, Evoluzione […], cit., pp.61-67
18
Archivio di Stato di Bergamo, Imperial Regia Delegazione, Beneficenza 1827-40, Tit. III, n. 746
19
MENCARONI ZOPPETTI, Evoluzione[…], cit., pp. 69-77
20
Principali monumenti della città e della provincia di Bergamo disegnati dal vero, incisi e descritti dall’architetto
Giuseppe Berlendis socio onorario del patrio Ateneo, Bergamo dalla Stamperia Crescini, 1843
21
Archivio di Stato di Bergamo, Imperial Regia Delegazione Provinciale, busta n. 1370
22
MARENZI, cit., p. 144
23
EDOARDO BRESSAN, Vita sociale[…], cit., p. 73
24
Nel 2006 l’Ateneo fu incaricato dalla Fondazione S. Maria Ausiliatrice di dare inizio alla ricognizione dell’Archivio
al fine di giungere ad una pubblicazione che ricordasse le origini della antica Istituzione. Su indicazione della prof.
Juanita Schiavini, Socia accademica dell’Ateneo, fu dato alla dott. Maria Corna il compito di stendere un primo
inventario della consistenza dei documenti. Il lavoro è poi proseguito negli anni con il diretto intervento della
professoressa che ha portato a termine l’indagine e dato alle stampe il volume Archivi per la storia dell’assistenza a
Bergamo Casa di Ricovero - Casa d’Industria - Ricovero di Mendicità Inventario 1811-1959
25
Ringrazio la Prof. Schiavini che, ancor prima della uscita del suo libro ci ha consentito di consultarlo per verificare le
ricerche a suo tempo da noi condotte.
26
Archivio Storico della Fondazione Casa di ricovero S. Maria Ausiliatrice Onlus, (d’ora in poi ASF), Pia Casa di
Ricovero (d’ora in poi CdR): Affittanze. Volume I, fascicolo 23, b. 57, fasc. 163.
27
ASF, CdR, Beni e Case. Acquisti-vendite-permute, volume IV, fascicolo 2, b. 163, fasc. 761. Cfr. BORTOLO
BELOTTI, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, vol. VIII, pp. 69-70; PIETRO CAFARO, Vie e mezzi di comunicazione, in
Storia economica e sociale di Bergamo, Fra Ottocento e Novecento, Lo sviluppo dei servizi, Bergamo 1997, pp. 272275
28
ASF, CdR, Classificazione: Beni e Case. Acquisti-vendite-permute, volume IV, fascicolo 2, lettera S, b. 156, fasc.
709. Per notizie sullo sviluppo dei mezzi di trasporto si veda: CARLO TRAINI, I trams a Bergamo, Bergamo 1965, p. 7
29
Per notizie su don Carlo Botta e il suo interesse per i giovani si veda BELOTTI, Storia di Bergamo …, cit., vol. V, p.
83; vol. VII pp. 33/79/94
30
CAFARO, Vie e mezzi[…], cit. pp. 255-264
31
Antonio Preda (1828-1914) nacque a Ponte S. Pietro da famiglia modesta; grazie al conte Ottavio Lochis riuscì a
frequentare la scuola di architettura dell’Accademia Carrara. Per i suoi meriti divenne socio alunno dell’Ateneo di
Scienze Lettere Arti. Nel 1856 il Vescovo Speranza lo incaricò del progetto della nuova chiesa di S. Maria delle Grazie.
Si veda anche MENCARONI ZOPPETTI, L’architetto della nuova chiesa alle Grazie, in Bergamo e il suo boulevard[…],
cit.
32
ASF, CdR, Beni e case. Acquisti-vendite-permute, volume IV, fasc. 2, b. 145, fasc. 631. Si veda BELOTTI, Storia di
Bergamo…, cit., vol. VIII, p. 77: il Cimitero monumentale opera di Pirovano, fu terminato nel 1905
33
Si veda in questo volume il contributo di Antonia Abbattista Finocchiaro in relazione al ritratto del generoso
benefattore ordinato a Venezia al pittore Alessandro Milesi dal Pio Luogo di ricovero.
34
Francesco Gallicciolli redige uno scarno testamento nel 1898. Lascia denaro e oggetti a parenti e amici. Stabilisce che
i libri vadano alla Biblioteca Civica di Bergamo, i quadri all’Accademia Carrara, e tutte le rimanenti sostanze in beni
immobili e mobili alla Casa di Ricovero attraverso la gestione della Congregazione di Carità. Muore a S. Donà di Piave
nel 1905. La Congregazione manda i suoi emissari a Venezia per inventariare i beni e metterli in sicurezza.
L’operazione dura quasi un anno.
35
Per le vicende delle trasformazioni subite dal centro cittadino si veda anche MENCARONI ZOPPETTI, L’Ospedale nella
città […], cit. e la bibliografia di riferimento
36
ASF, CdR, Beni e case. Acquisti-vendite-permute, volume IV, fasc. 2, b. 141, fasc.600
37
ASF, CdR, Affittanze, volume. I, b.81, fasc. 314
38
LUIGI PELANDI, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa , V, Borgo Palazzo, Bergamo 1966, pp. 164-65
39
ASF, CdR, Affittanze, volume I, b. 100, fasc. 432
40
Progetto e arredi sono di Elia Fornoni, Luigi Angelini, Cesare De Vecchi Fossati
15
41
Pelandi, cit. , pp. 156-57
Il progetto del 1932 è di Michele Invernizzi e Giuseppe Pizzigoni
43
ASF, CdR, Affittanze, volume I, b.114, fasc. 471
44
ASF, CdR, Affittanze, volume I, b.114, fasc.472
45
ASF, CdR, Affittanze, volume I, b.114, fasc. 477
46
ASF, CdR, Pio Stabilimento, volume XI, b. 202, fasc. 950.
47
ROBERTO FERRANTE, LOREDANA POLI, Il centro residenziale e diurno per anziani di via Gleno in Bergamo, Grafica e
Arte Bergamo, 1983, p.38
48
Ringrazio al proposito l’arch. Attilio Gobbi per avermi consentito di utilizzare queste sue riflessioni.
42
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