G IUSEPPE A LBERTONI
LE TERRE DEL VESCOVO
P OTERE E SOCIETÀ NEL T IROLO MEDIEVALE
(SECOLI IX-XI)
GLI ALAMBICCHI
XII
SCRIPTORIUM
Sommario
PREMESSA ........................................................................... pag.
I.
© 1996 G.B. Paravia & C. S.p.A.
Scriptorium - Settore università Paravia
Corso Trapani, 16 - 10139 Torino
ISBN 88-455-6119-4
In copertina: Signore franco. Malles, chiesa di San Benedetto, sec. IX ca.,
parete orientale (Archivio fotografico della Sovrintendenza ai Beni
Culturali della Provincia di Bolzano).
È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno o didattico,
con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata.
Fotolito: La Reprografica - Torino
Stampa: Tipografia Gravinese - Torino
Torino 1996
7
IL TIROLO MEDIEVALE ALLO SPECCHIO ............................
1. Il 1918. Un anno di non ritorno ........................
2. Le prime ricerche sul medioevo in Tirolo ........
3. Un innesto dal grande albero della storiografia tedesca. La nascita della scuola storico-giuridica dell’Università di Innsbruck ....................
4. P r i m a d e l l a t e m p e s t a . L ’ e v o l u z i o n e d e l l a
medievistica tirolese negli ultimi decenni dell’Impero asburgico .............................................
5. La patria dimezzata. Il Tirolo dopo il 1918 e il
nuovo ruolo della medievistica .........................
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11
11
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40
LE FONTI.....................................................................
1. Dal territorio alle fonti .......................................
2. Dalle fonti al territorio .......................................
3. I Libri traditionum di Sabiona-Bressanone ......
4. Il territorio dei Libri traditionum ......................
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60
62
79
III. NUOVI POPOLI, NUOVI POTERI ......................................
1. Le origini.............................................................
2. L’età carolingia: vescovi e potere......................
3. Un concetto ambiguo: la signoria .....................
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99
115
IV. IL SECOLO X: CONTI, VESCOVI E CONTADINI ...................
1. Il contesto storico...............................................
2. Il lessico del potere............................................
3. Conti e vescovi nel secolo X. Una strategia di
potere..................................................................
4. Un nuovo ordine nel territorio. Forme di proprietà fra i secoli X e XI.....................................
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129
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137
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144
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175
II.
V.
IL
SECOLO
XI:
VERSO UN NUOVO ASSETTO DELLA
SOCIETÀ ......................................................................
1. La disfatta di Altwin. I vescovi di Bressanone
nella lotta tra Papato e Impero .........................
2. Vescovi, comites, advocati, milites: verso un
nuovo assetto di potere .....................................
3. Servi e contadini: l’organizzazione delle campagne nel secolo XI ...........................................
pag. 215
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215
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225
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253
CONCLUSIONE .....................................................................
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269
APPENDICE..........................................................................
Alberi genealogici....................................................
Tabelle......................................................................
Carte .........................................................................
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273
275
280
293
OPERE
CITATE .....................................................................
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307
INDICE
DEI NOMI .................................................................
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333
INDICE
DEI LUOGHI ..............................................................
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345
Premessa
In un territorio dal passato e dal presente particolari come la
provincia di Bolzano si incontrano quotidianamente le tracce, i
solchi, le fratture della storia, usata spesso strumentalmente nella
lotta politica o piegata alle esigenze e ai progetti di uno o dell’altro dei gruppi linguistici. Questo particolare retroterra ha fatto
sì che la ricerca storica si orientasse per lo più verso alcuni
periodi o personaggi (l’età romana; il medioevo dei secoli XII e
XIII e il conte Mainardo II; le rivolte contadine del 1525 e
Michael Gaismair; il periodo napoleonico e la sollevazione guidata da Andreas Hofer; la prima guerra mondiale; il fascismo e
le “opzioni” del 1939) lasciando invece scoperti, o quasi, altri
periodi, altri personaggi non facilmente attualizzabili. Tra i periodi meno frequentati ci sono sicuramente gli anni attorno al Mille:
diversi sono i motivi di questa scarsa frequentazione e su di essi
mi soffermerò nella mia ricerca, in particolare nel primo capitolo
dove, attraverso una ricostruzione del dibattito storiografico
presso l’Università di Innsbruck e nel mondo culturale tirolese,
ho cercato di fornire anche al lettore che nulla sapesse del
“Tirolo” medievale un quadro delle sue diverse rappresentazioni,
nella convinzione che oggi più che mai siano attuali le considerazioni di Jacques Le Goff secondo cui è necessario trattare le
storie nazionali «non solo come una realtà obiettiva, ma come
una rappresentazione, poiché anche questa rappresentazione fa
parte della storia»1. Sono convinto che queste osservazioni siano
valide anche per la ricostruzione di storie regionali, in particolare per quelle regioni in cui è centrale il tema dell’identità.
Lo spazio geografico della mia ricerca non è quello del Tirolo
“classico”, che comprendeva l’odierno Land Tirol in Austria e la
regione Trentino-Alto Adige, uno spazio che si sviluppò con
questa configurazione solo in età moderna. Esso corrisponde
alla regione, alle terre, sulle quali i vescovi di Sabiona-Bressano1
J. LE GOFF, L’Italia fuori d’Italia. L’Italia nello specchio del Medioevo, in
Storia d’Italia Einaudi, II, 1, Torino 1974, p. 1935.
7
P REMESSA
ne cercarono di costruire una loro area di dominio, con un’originale commistione tra beni fondiari familiari e beni vescovili.
Questa regione è assai diversa dal futuro Tirolo: essa ha soprattutto una vocazione orientale e cerca di collegare tra di loro territori che dalla Val d’Isarco giungono sino all’odierna Slovenia.
Tra le sue particolarità il Tirolo possiede anche quella di essere una delle poche regioni che ricevettero il loro nome dalla
famiglia che riuscì a trasformarlo in stato territoriale. Prima del
XIII secolo non possediamo che denominazioni generiche, geografiche, o le antiche, e presto scomparse, denominazioni delle
province romane. Sicuramente ciò non fu casuale e già apre una
prima finestra sulla fluidità dei poteri che contrassegnò l’alto
medioevo. Ciò tuttavia pone delle difficoltà qualora vogliamo
indicare la regione tra Inn e Adige senza ricorrere a perifrasi. Nel
titolo e in alcuni passi del mio lavoro per semplicità ho utilizzato
il termine “Tirolo”, a cui viene dato pertanto un semplice connotato geografico.
In questo libro ho rielaborato i risultati a cui sono giunto
nella tesi di dottorato di ricerca, discussa presso la Scuola superiore di studi storici dell’Università di San Marino, dove ho avuto
modo di trascorrere un periodo importante nella mia vita, dal
punto di vista scientifico e da quello personale. Un primo sentito
ringraziamento va ai membri del comitato scientifico d’allora
della scuola, in particolare ai professori Roberto Finzi, Aldo
Schiavone, Corrado Vivanti, Renato Zangheri, che più da vicino
mi hanno seguito e stimolato nel corso della ricerca; un grazie
speciale per la disponibilità e la collaborazione va alla professoressa Laura Barletta e a tutti gli impiegati della Scuola, a partire
da Laura Dolcini. Un grazie altrettanto grande, poi, ai miei compagni di studio, in particolare al “gruppo di Montegiardino”, che
con la loro amicizia e allegria hanno permesso di superare anche i momenti difficili, e agli amici dell’Archivio provinciale di
Bolzano, Hans Heiss, Hannes Obermair, Gustav Pfeifer, per i
loro preziosissimi consigli. Un ringraziamento sentito va anche al
professor Paolo Cammarosano, per la disponibilità dimostrata e
per le nuove vie d’indagine che mi ha indicato.
Vorrei riservare uno spazio speciale in questi ringraziamenti a
Massimo Montanari, che per primo mi ha avviato alla ricerca, e a
Giuseppe Sergi, senza la cui guida continua e indispensabile
queste pagine non sarebbero mai esistite. A loro e a tutti coloro
che mi hanno incoraggiato in questi anni dedico questo libro
con affetto.
8
Elenco delle abbreviazioni
«AAA»
«AARA»
«AÖG»
CISAM
«FMGTV»
«HJB»
MGH
«MIÖG»
QU
SS
«StT»
TBHB
«TH»
THF
TUB
UBHA
«VdF»
«ZBLG»
«ZdF»
«ZfG»
Archivio per l’Alto Adige
Atti dell’Accademia Roveretana degli
Agiati
Archiv für Österreichische Geschichte
Centro italiano di studi sull’alto
medioevo
Forschungen und Mitteilungen zur
Geschichte Tirols und Vorarlberg
Historisches Jahrbuch
Monumenta Germaniae Historica
Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung
Quartinus-Urkunde
Schlern-Schriften
Studi Trentini di Scienze Storiche
Traditionsbücher des Hochstifts Brixen
Tiroler Heimat
Traditionen des Hochstifts Freising
Tiroler Urkundenbuch
Urkunden der Brixner
Hochstiftsarchive
Veröffentlichungen des Museum
Ferdinandeum
Zeitschrift für bayerische
Landesgeschichte
Zeitschrift des Ferdinandeums für Tirol
und Vorarlberg
Zeitschrift für Geschichtswissenschaft
9
I
Il Tirolo medievale allo specchio
1. Il 1918. Un anno di non ritorno
La storia del Tirolo è una storia particolare, fatta di brusche
cesure e di lunghi periodi di apparente immobilità. Tra queste
cesure l’ultima, e forse la più dolorosa, fu quella avvenuta dopo
la prima guerra mondiale, quando in seguito al trattato di pace
di Saint Germain il Tirolo venne diviso tra Austria e Italia. Questa separazione fu vissuta da gran parte dei Tirolesi come un’ingiusta punizione, come un terribile errore al quale la diplomazia
internazionale avrebbe dovuto porre al più presto riparo.
Molti intellettuali scesero in campo per combattere la nuova
difficile battaglia. Tra essi, in prima fila si schierarono diversi storici, soprattutto medievisti, che cercarono di provare con le loro
ricerche le radici tedesche della cultura e della società tirolese.
Le loro opere, molto valide sotto diversi aspetti, sono ancor oggi
un punto di riferimento obbligato per chiunque voglia compiere
delle ricerche sulla storia del Tirolo in età medievale. Esse subirono tuttavia fortemente lo “spirito del tempo”, sovrapponendo
l’analisi storica alla battaglia politica e ideologica. Tutto ciò si
accentuò maggiormente quando, con l’ascesa al potere del fascismo, il governo italiano attuò una violenta politica di snazionalizzazione nei confronti di quella che ormai era divenuta la
minoranza etnica tedesca dell’Alto Adige; in questi anni infatti
accanto ai provvedimenti di tipo politico e amministrativo, furono favoriti studi e ricerche che avrebbero dovuto attestare l’italianità delle terre sottratte all’Austria.
Gli avvenimenti drammatici del primo dopoguerra diedero
dunque una nuova centralità alla storia, vista ora, sia da parte
italiana, sia da parte tirolese come un mezzo attraverso il quale
condurre una dura lotta politica. Anche la scelta dei diversi
ambiti di ricerca fu fortemente influenzata dalla nuova situazio11
I . I L T IROLO
LE
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
ne; la maggior parte delle ricerche storiche condotte da studiosi
italiani infatti fu dedicata alla storia romana, mentre tra gli studiosi tirolesi venne privilegiata l’età medievale. I risultati di tali
ricerche furono di livello assai diverso, a seconda dei singoli storici. Esse però in modo più o meno evidente erano tutte contrassegnate dall’intento di riscrivere, di “reinventare” il passato in
modo etnocentrico1.
Dal primo dopoguerra in poi, dunque, la ricostruzione, lo
studio e l’insegnamento della storia subirono un radicale mutamento, che, in parte, condiziona tuttora l’analisi del passato. In
tal modo venne tracciata una profonda linea di demarcazione
con gli studi d’epoca precedente, le cui caratteristiche erano di
tutt’altro genere.
PRIME RICERCHE SUL MEDIOEVO IN
T IROLO
contenuti politici e religiosi, testimoniano il permanere di una
memoria storica collettiva dell’alterità del Tirolo, della sua orgogliosa indipendenza, anche a livello popolare. Accanto a questa
autocoscienza collettiva faticò a svilupparsi una ricerca storica di
tipo “scientifico”. Infatti, solamente attorno agli inizi del secolo
XVII fu elaborata una prima raccolta scritta di documenti tirolesi
ad opera di Matthias Burglechner (1573-1642) e Marx Sittich von
Wolkenstein (1563-1620)4, ampliata e approfondita pochi anni
dopo da Jakob Andrä von Brandis (1569-1629) nella Geschichte
der Landeshauptleute von Tirol5. Tutte queste opere ebbero per
lungo tempo una scarsa diffusione, dal momento che non vennero pubblicate. La prima edizione a stampa di una storia generale del Tirolo la si ebbe nel 1678, quando apparve il Des Tirolischen Adlers immergrünendes Ehren-Kräntzel di Franz Adam
von Brandis (1639-1695), un testo che intrecciava una ricostruzione storica sufficientemente documentata a una rielaborazione
2. Le prime ricerche sul medioevo in Tirolo
Il Tirolo, come stato territoriale, incominciò ad assumere una
fisionomia precisa a partire dal secolo XIII, ma mantenne una
propria indipendenza soltanto sino al 1363, quando venne
annesso ai domini degli Asburgo. Da questo momento in poi la
sua storia fu caratterizzata da una dialettica tra la fedeltà all’autorità e la rivendicazione di una propria diversità e autonomia2.
Momenti focali di questo sviluppo furono la rivolta contadina
del 1525, guidata da Michael Gaismair, durante la quale le rivendicazioni “indipendentistiche” e antiasburgiche furono legate a
un progetto politico ispirato agli ideali della Riforma più radicale, e la sollevazione del 1809 contro l’occupazione francese, guidata da Andreas Hofer3 . Queste due rivolte, diversissime per
1
Sulla “reinvenzione” del passato e la ricostruzione della tradizione si veda E.
J. HOBSBAWM, Come si inventa una tradizione, in L’invenzione della tradizione, a
cura di E.J. Hobsbawm e T. Ranger, Torino 1994, pp. 3-17 (ed. or. The invention
of Tradition, Cambridge 1983).
2
Per una ricostruzione aggiornata della storia del Tirolo si veda Geschichte des
Landes Tirol, a cura di J. Fontana, 4 voll., Bolzano-Innsbruck-Vienna 1985-88. Il
primo volume è stato riedito con alcune modifiche nel 1990.
3
Su Michael Gaismair si vedano J. M ACEK , Der Tiroler Bauernkrieg und
Michael Gaismair, Berlino 1965 (ed. or. Tyrolskà selskà vàlka a Michael Gaismair, Praga 1960) e il più recente G. POLITI, Gli statuti impossibili. La rivoluzione
tirolese del 1525 e il «programma» di Michael Gaismair, Torino 1995, ricerca che
12
mette in discussione gran parte delle acquisizioni precedenti. Il principale testo
di riferimento su Andreas Hofer resta ancora J. HIRN, Tirols Erhebung im Jahre
1809, Innsbruck 1909, a cui vanno affiancati i più recenti M. PIZZININI, Andreas
Hofer. Seine Zeit, sein Leben, sein Mythos, Vienna 1984, e S. NICOLINI, Andreas
Hofer im Tiroler Geschichtsbewußtsein des 20. Jahrhunderts, in «Zeitgeschichte»,
n 22 (1995), pp. 405-414.
4
Le opere di Marx Sittich e Burglechner per lungo tempo non vennero pubb l i c a t e . P e r u n ’ e d i z i o n e d e l l ’ o p e r a d e l p r i m o s i v e d a : MARX S ITTICH VON
W OLKENSTEIN, Landesbeschreibung von Südtirol (aus der Zeit um 1600). Festgabe
zum 60. Lebensjahr Hermann Wopfners. Von einer Arbeitsgemeinschaft von
Innsbrucker Historikern, Innsbruck 1936 (SS, n 34). Bisogna tener presente che
quest’edizione è parziale; essa va integrata con N. RASMO, Il XIII volume delle cronache di Marx Sittich von Wolkenstein, in «Cultura atesina - Kultur des Etschlandes», n 5 (1951), pp. 64-139. Per Burglechner si veda invece Tyrolische Chronica so mit Fleiß zusambgetragen worden durch dem... Matthias Burchlechner,
1620, manoscritto conservato presso la Biblioteca provinciale “F. Tessmann” di
Bolzano. Gran parte delle informazioni riportate in questo paragrafo le ho tratte
dalla prefazione di Otto Stolz a Tiroler Urkundenbuch, a cura di F. Huter, 3 voll.,
Innsbruck 1937-55, vol. 1, p. V sg. (da ora citato come TUB); assai utile è anche
la recente messa a fuoco della storiografia tirolese fatta da J. R IEDMANN ,
Geschichtsschreibung und Geschichtsbewußtsein in Tirol vornehmlich in der
ersten Hälfte des 20. Jahrhunderts. Ein Versuch, in «TH», n 57 (1993), pp. 291304. Sui primi passi della ricerca storica in Tirolo sono da segnalare anche J.
EGGER, Die ältesten Geschichtsschreiber, Geographen und Alterthumsforscher
Tirols, Innsbruck 1867, e A. CORETH, Österreichische Geschichtsschreibung in der
Barockzeit, Vienna 1950.
5
J.A. VON BRANDIS, Geschichte der Landeshauptleute von Tirol, Innsbruck 1850.
13
I . I L T IROLO
LA
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
piuttosto fantasiosa6. Assai più rigorosi furono invece gli Annales ecclesiae Sabionensis, nunc Brixinensis di Josef Resch (17161782)7, che a buon titolo può esser definito il primo storico tirolese in senso moderno; in quest’ampia opera, pubblicata tra il
1760 e il 1767, Resch ricostruì la storia del vescovato di Bressanone dalle origini al secolo XI e raccolse in un allegato Codex
diplomaticus i più importanti documenti della sede episcopale
brissinese. Più o meno nello stesso periodo nel territorio del
Tirolo italiano, l’odierno Trentino, un erudito, Benedetto Bonelli
(1704-1773), fece un analogo lavoro per la sede vescovile di
Trento, pubblicando numerosi documenti nelle sue Notizie istorico-critiche della Chiesa di Trento8.
Fino a questi anni la ricerca storica nel Tirolo tedesco e italiano era costituita quasi esclusivamente da raccolte di diplomi e
da opere di stampo erudito. Ultimi epigoni di tale approccio storico-antiquario furono nei primi anni dell’Ottocento Josef von
Hormayr (1782-1848)9 e Franz Anton Sinnacher (1772-1836), autore della prima storia generale della Chiesa di Bressanone,
un’opera di ampio respiro che divenne un imprescindibile punto
di riferimento anche per gli storici di epoca successiva10.
A partire dai primi decenni del secolo XIX avvenne una vera e
propria svolta nella storiografia tirolese in seguito al diffondersi,
come conseguenza anche degli sconvolgimenti politici dell’età
napoleonica, di concetti derivati dalla cultura romantica, come per
esempio quello di Volk, che portarono a una nuova centralità della conoscenza storica, utilizzata sempre più come mezzo per crea-
6
F.A. VON BRANDIS, Deß Tirolischen Adlers immergrünendes Ehren-Kräntzel,
Bolzano 1678.
7
J. RESCH, Annales ecclesiae Sabionensis, nunc Brixinensis atque conterminorum, 2 voll., Augusta 1760-67.
8
B. BONELLI, Notizie istorico-critiche della Chiesa di Trento, 4 voll., Trento
1760-64.
9
J. VON HORMAYR, Kritisch-diplomatische Beyträge zur Geschichte Tirols im
Mittelalter, 2 voll., Vienna 1802. Le sue opere sono state raccolte in ID., Sämmtliche Werke, 3 voll., Stoccarda-Tubinga 1820-22. Hormayr è autore anche di una
delle prime monografie sul Tirolo altomedievale: ID., Tirol im Mittelalter, in den
betreffenden Herzogthümern, Gauen und Grafschaften; deren Lage, Gränzmarken und Besitzer. Vom Unsturz des abendländischen Römerreichs biz zur
Ausgang des Kaisergeschlechtes der salischen Franken, Stoccarda 1820.
NASCITA DELLA S C U O L A S T O R I C O - GIURIDICA
re un’identità di tipo “nazionale”11; è a partire da questo periodo
che incominciò a determinarsi una crescente cesura tra storiografia “popolare”, tesa a formare un’identità nazional-patriottica, e
storiografia “colta”, accademica, dedicata ad aspetti estremamente
specialistici. Infatti, anche per fronteggiare il diffondersi di un
patriottismo tirolese che avrebbe potuto divenire pericoloso qualora avesse assunto toni antiasburgici, verso la metà del secolo
presso l’Università di Innsbruck venne completamente riorganizzato l’insegnamento della storia, diretto soprattutto ai futuri insegnanti che avrebbero dovuto trasmetterlo alle nuove generazioni12. Tale riorganizzazione faceva parte di un vasto disegno di rinnovamento delle università austriache che fece seguito alle insurrezioni del 1848 e che cercava di porre riparo all’emarginazione a
cui era stato sottoposto sin allora l’insegnamento della storia nelle
università austriache. A fronte dell’insorgere dei vari patriottismi
tra le popolazioni dell’Impero, diveniva urgente porre le basi per
un’unica coscienza storica. Fu il ministro dell’istruzione, il conte
Leo di Thun-Hohenstein, a spingere verso un profondo rinnovamento delle facoltà di filosofia; egli assunse come modello le università tedesche; per determinare un cambiamento in profondità
di metodi e, forse, anche di ideologie politiche, favorì la chiamata
di docenti operanti negli stati della Germania. All’interno di questo contesto va posta anche la rifondazione della cattedra di storia
all’Università di Innsbruck.
3. Un innesto dal grande albero della storiografia tedesca. La
nascita della scuola storico-giuridica dell’Università di Innsbruck
Nel novembre del 1851 Karl Ernst von Moy de Sons, docente
di diritto ecclesiastico presso l’Università di Innsbruck, inviò una
11 Sull’ideologia del Volk di derivazione neoromantica e sui suoi rapporti con i
movimenti nazional-patriottici cfr. G.L. MOSSE, Le origini culturali del Terzo Reich,
Milano 1994, pp. 25-49 (ed. or. The Crisis of German Ideology, 1964).
12
F.A. SINNACHER, Beiträge zur Geschichte der bischöflichen Kirche Säben und
Brixen in Tirol, 9 voll., Bressanone 1991 (ristampa anastatica di Bressanone
1821-35).
L’unico testo che affronti in modo sistematico l’insegnamento della storia
presso l’Università di Innsbruck è G. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer an
der Philosophischen Fakultät der Universität Innsbruck. 1850-1945, Innsbruck
1969, nei confronti della quale sono debitore di molti dati riportati in questo
capitolo. In generale, sulla storia dell’Università di Innsbruck si veda G. OBERKOFLER, P. GOLLER, Geschichte der Universität Innsbruck (1669-1945), Francoforte
1996.
14
15
10
I . I L T IROLO
LA
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
lettera al ministro Thun-Hohenstein in cui lamentava la mancanza di storici di valore presso l’università tirolese, una mancanza
che, oltre a riversarsi sulla preparazione degli studenti, poteva
portare più in generale a una dequalificazione dell’ateneo; in
questa lettera, poi, significativamente Moy de Sons sottolineava
con un certo allarme l’ambiente particolarmente conservatore
che dominava a Innsbruck, facendo intendere, sia pur non in
modo esplicito, come attraverso la cattedra di storia si sarebbe
potuto agire sulla formazione ideologica dei giovani13. La situazione dell’istruzione storica nell’università tirolese era veramente
ridotta a un livello inaccettabile, almeno dal punto di vista organizzativo. Si pensi che prima del 1849 le cattedre di Storia generale mondiale, Storia degli stati austriaci e Scienze ausiliarie
della storia erano ricoperte da un unico docente; il fatto poi che
questo docente fosse un rappresentante degli ambienti cattolici
conservatori come Albert Jäger (1801-1891), un monaco benedettino proveniente dal monastero di Monte Maria a Burgusio, in
Val Venosta, poteva accentuare le preoccupazioni delle autorità
di Vienna14. Jäger però nel 1849 lasciò la cattedra universitaria,
per trasferirsi prima a Merano, dove divenne direttore del locale
Ginnasio, e poi a Vienna, dove riprese la carriera universitaria e
13 Egli infatti scriveva: «I Tirolesi hanno importanti, profondi motivi, nell’interesse della stessa monarchia, per desiderare di mantenere in regione i propri studenti. L’atmosfera tirolese è fortemente conservatrice. Abbiamo buone forze per
gli studi filosofici in Flir, Schennach e Böhm. Se solamente potessimo avere
anche uno storico rispettabile, ci si potrebbe aspettare dagli allievi dell’Università
di Innsbruck una preparazione più completa e organica»; mia traduzione del
testo riportato in OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., p. 12. Questa la
versione originale: «Die Tiroler haben wichtige, im Interesse der Monarchie selbst
gegründete Ursachen, die Erhaltung ihrer Studien und Studenten im Land zu
wünschen. Die Tirolische Athmosphäre ist eine mächtig conservierende. Wir
haben hier in Flir und Schennach und Böhm für die philosophischen Studien
tüchtige Kräfte. Bekämen wir noch einen respektablen Historiker, so ließe sich
von den Zöglingen der Innsbrucker Schule ordentliches erwarten».
14
NASCITA DELLA S C U O L A S T O R I C O - GIURIDICA
ricoprì ruoli di grande prestigio15. Pur rimanendo nella capitale
egli ebbe sempre un importante ruolo nella società tirolese, come avremo modo di vedere in alcuni episodi che richiameremo
tra breve. La partenza di Jäger da Innsbruck, determinò l’inizio
di una nuova fase per l’Università tirolese. Al suo posto venne
nominato un personaggio che lascerà un profondo segno sugli
storici della generazione successiva, Julius von Ficker (18261902)16. Ma vediamo ora come si giunse a questa nomina.
Dopo il ritiro di Jäger iniziò in tutta l’area tedesca la ricerca
di nuovi docenti per l’insegnamento delle discipline storiche.
Inoltre venne deciso di creare due nuove cattedre per permettere una maggiore articolazione e specializzazione: si separò pertanto la Storia mondiale universale dalla Storia austriaca, che
rimase abbinata alle Scienze storiche ausiliarie. La cattedra principale, più prestigiosa, era senz’altro la prima e quindi su di essa
si incentrarono particolarmente le ricerche e le discussioni. Il
ministro Thun-Hohenstein pose delle pregiudiziali “ideologiche”
prima che scientifiche per la scelta del nuovo docente, a conferma dell’importanza politica data all’insegnamento della storia;
egli avrebbe dovuto essere di fede cattolica e di idee «granditedesche». Naturalmente doveva avere anche una profonda
conoscenza della propria disciplina. È molto importante tener
presente i criteri di scelta di Thun, perché la “scuola storiografica” tirolese ne verrà profondamente influenzata.
Thun chiese aiuto nella ricerca del nuovo docente a Johann
Friedrich Böhmer, uno dei più prestigiosi storici tedeschi oltre
che animatore dei Monumenta Germaniae Historica. La scelta
cadde sull’allora giovane Julius von Ficker, Privatdozent presso
l’Università di Bonn, dove, da studente, era stato allievo di
Joseph Aschbach, cattolico e “grande-tedesco”. La sua formazione culturale e politica quindi corrispondeva agli auspici del
15 A Vienna venne nominato ordinario di Storia Austriaca. Inoltre fu tra i fondatori dell’Institut für österreichische Geschichte che diresse dal 1856 sino al
1869, collaborando con von Sickel. Per la storia di questo prestigioso istituto si
veda A. LHOTSKY, Geschichte des Instituts für österreichische Geschichtsforschung.
1854-1954, Graz-Colonia 1954.
Politicamente conservatore, egli era soprattutto un erudito dalla concezione
elitaria della cultura e non riuscì a dar vita a una vera “scuola storiografica”, benché tra i suoi allievi possano essere annoverati storici di una certa importanza,
come Rudolf Kink (1822-1864). Su Albert Jäger cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., p. 13 sg., e la bibliografia ivi riportata; per un primo inquadramento biografico si veda la relativa voce in Österreichisches Biographisches
Lexikon 1815-1950, Graz-Colonia 1965, vol. 3, pp. 53-54. Per un maggiore
approfondimento si veda inoltre N. GRASS, Albert Jäger, in «TH», n 56 (1992), pp.
161-164. Su Kink, sulla cui opera ora non è possibile soffermarsi, rimando a
OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 14-15.
La bibliografia su Ficker è molto vasta. Per un primo inquadramento rimando a: OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., p. 17 sg.; Neue Deutsche
Biographie, Berlino 19712, vol. 5, p. 133; Biographisches Wörterbuch zur deutschen Geschichte, a cura di K. Bosl, G. Franz e H.H. Hofmann, s.v. Una nuova
analisi del ruolo di Ficker in Tirolo verrà condotta in un saggio di Thomas
Brechenmacher di prossima pubblicazione sulla rivista «Storia e Regione /
Geschichte und Region».
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I . I L T IROLO
LA
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
ministro Thun-Hohenstein. Il giovane Ficker tra il 1848 ed il
1849, in anni particolarmente tempestosi, si trasferì a Francoforte
per specializzarsi proprio presso Böhmer. Nonostante i moti rivoluzionari, nel dicembre del 1849 si laureò a Bonn discutendo
una tesi sul tentativo attuato da Enrico VI di trasformare la Germania in un dominio ereditario17. Nel momento in cui venne indicato come possibile professore per Innsbruck, si accese una
discussione sul valore dei suoi lavori, che da alcuni, come per
esempio lo storico Moy de Sons, erano giudicati in modo negativo in quanto apparivano puramente compilativi. In ogni caso
Thun riuscì nel suo intento e il 27 aprile 1852 Ficker venne nominato ordinario di Storia Generale. Egli rimase a Innsbruck per
tutta la vita e qui fondò quella che successivamente verrà definita come Historische und Rechtshistorische Schule.
La nomina alla principale cattedra di storia di un medievista
“grande-tedesco”, cattolico, di formazione storico-giuridica, particolarmente attento alle edizioni delle fonti fu determinante per
tutta l’evoluzione successiva della storiografia tirolese. Possiamo
dire che il 1852 segnò un punto di non ritorno, determinò la
presenza di un paradigma storiografico che fungerà da premessa
a quasi tutta la medievistica tirolese. Sicuramente il ministro
Thun potè dichiararsi soddisfatto.
Negli anni che vanno dal 1850 al 1870 circa Ficker divenne
una delle figure centrali della storiografia tedesca; in quest’epoca
egli venne elaborando una propria teoria storiografica riconducibile allo storicismo di ispirazione rankiana e sintetizzabile nel
motto Streben nach Wahrheit; la sua fede in una conoscenza
storica di tipo oggettivo, indifferente ai richiami del presente, lo
portò a interessarsi soprattutto alla storia del diritto18. La “verità”,
un “metodo esatto” diverranno anche per i suoi discepoli i fini
principali della ricerca. Nulla poteva esser più lontano dalla storiografia nazional-patriottica che godeva nello stesso periodo di
grande fortuna a livello popolare.
Ficker si cimentò raramente con la storia del Tirolo medievale e preferì dedicarsi ad argomenti di più ampio respiro, relativi
soprattutto all’età degli Staufen, intervenendo nel vivo del dibattito della medievistica tedesca. Ad esempio rimase famosa la
controversia nata tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 con
17
J. VON FICKER, Heinrichs VI. Versuch, Deutschland in ein Erbreich zu verwandeln, Colonia 1849.
18
Per un inquadramento di Ficker all’interno dello storicismo tedesco cfr. F.
JAEGER, J. RÜSEN, Geschichte des Historismus, Monaco 1992, pp. 89-92.
18
NASCITA DELLA S C U O L A S T O R I C O - GIURIDICA
Heinrich von Sybel sull’interpretazione della Italienpolitik degli
imperatori medievali, un aspro contrasto da ricondurre al dibattito tra storici “grande-tedeschi” e “piccolo-tedeschi” allora assai
acceso in Germania19. Ficker negava l’interpretazione attualizzante che Sybel dava alla politica imperiale medievale, vista
come causa originaria della mancata unificazione della Germania. Egli concordava invece con Georg Waitz, il quale riteneva
che «la scienza storica dovesse rimanere imperturbabile di fronte
agli umori e ai desideri del presente»20.
La controversia venne aperta “ufficialmente” nel 1861, quando Ficker attaccò duramente la posizione di Sybel durante una
conferenza tenuta a Innsbruck, presso il Ferdinandeum, dedicata all’impero tedesco nelle sue relazioni universali e nazionali21.
Sybel non fece attendere una sua replica, e pubblicò nel 1862
Die deutsche Nation und das Kaiserreich22. Ficker a sua volta
reagì duramente a questo testo con il suo Deutsches Königstum
und Kaisertum dove sosteneva nuovamente che il più alto compito dello storico era quello di evitare una contaminazione delle
ricerche con le idee politiche23. Una storia “oggettiva”, lontana
dagli eventi dell’attualità, rinchiusa all’interno di una propria
specifica scientificità: questa era la Storia per Ficker, questa sarà
la Storia per molti dei suoi discepoli.
Un simile credo storiografico tuttavia non significò una rinuncia all’attività politica, tant’è vero che Ficker rimase sempre fedele ai suoi principi “grande-tedeschi” e, addirittura, nel 1866 si
arruolò nell’esercito austriaco nella guerra contro l’Italia. La storia a suo avviso poteva servire alla politica, ma non ne doveva
essere asservita.
L’attività di Ficker a Innsbruck fu molto intensa anche a livello organizzativo. Numerosi erano gli studenti dei diversi Länder
19
I tratti salienti di questa disputa sono portati in JAEGER, RÜSEN, Geschichte des
Historismus cit., p. 91. Per un maggior approfondimento si veda Universalstaat
oder Nationalstaat. Macht und Ende des Ersten deutschen Reiches. Die Streitschriften von Heinrich von Sybel und Julius Ficker zur deutschen Kaiserpolitik
des Mittelalters, a cura di F. Schneider, Innsbruck 1941.
20
Riportato da JAEGER, RÜSEN, Geschichte cit., p. 91. Questo il testo originale:
«… daß unsere historische Wissenschaft von den Stimmungen und Wünschen
der Gegenwart unbeirrt bleiben muß».
21 J. V. FICKER, Das deutsche Kaiserreich in seinem universalen und nationalen
Beziehungen, Innsbruck 1862.
22
H. V. SYBEL, Die deutsche Nation und das Kaiserreich, Düsseldorf 1862.
23
J. V. FICKER, Deutsches Königstum und Kaisertum, Innsbruck 1862.
19
I . I L T IROLO
tedeschi che si recavano nella città tirolese solo per seguire i
suoi corsi, anche quando tra il 1863 e il 1877 passò alla facoltà
di giurisprudenza. Inoltre, quando nel 1879 si ritirò dall’insegnamento per dedicarsi agli studi, diede vita a un “cenacolo” che si
riuniva una volta alla settimana in un Gasthof di Innsbruck.
Nella stretta cerchia dei suoi discepoli – che ebbero un ruolo
importante nella medievistica tirolese, e non solo, – vi erano giovani di grande talento, come Alfons Huber, Emil von Ottenthal e
Oswald Redlich. Scarso invece fu il suo coinvolgimento con la
società locale, dalla quale fu visto sempre con molto rispetto ma
anche con una certa diffidenza. I suoi ideali “grande-tedeschi”
apparivano in netto contrasto con il forte orgoglio localistico che
caratterizzava il Tirolo.
Tra gli allievi di Ficker quello che si mantenne più fedelmente agli insegnamenti del maestro fu il tirolese Alfons Huber
(1834-1898)24. Questa sua fedeltà venne premiata da Ficker che
si battè a lungo con gli altri docenti della facoltà per fargli assegnare una cattedra. Anche in questo caso sotto le schermaglie
accademiche si nascondevano ragioni di ordine politico e ideologico, determinate dai contrasti tra gruppi legati all’establishment politico locale, fortemente conservatore, e alcuni docenti
d’ispirazione liberale. Lo scontro si concluse con il passaggio di
Ficker alla facoltà di giurisprudenza e la concessione a Huber
della cattedra di Storia generale.
Huber fu uno dei primi rappresentanti di una nuova generazione di storici tirolesi – era nato e aveva frequentato il ginnasio
a Innsbruck – formati sui nuovi metodi introdotti da Ficker. I
suoi studi sulle origini degli Asburgo e su Guglielmo Tell e le
comunità svizzere ebbero una grande importanza, tanto che egli,
dopo le iniziali perplessità, apparve allo stesso senato accademico della facoltà di filosofia come l’«erede naturale di Ficker»25. Le
opere della sua maturità, soprattutto le edizioni di fonti e la monumentale storia d’Austria, gli procurarono grande fama e di
conseguenza la chiamata, nel 1887, all’Università di Vienna. Prima di trasferirsi nella capitale Huber fu al centro di un aspro
contrasto con le autorità tirolesi. Per cercare di diffondere le
ricerche che erano condotte presso l’università si era fatto promotore di una nuova rivista, l’«Archiv für Geschichte und Alterthumskunde Tirols», pubblicata a Innsbruck a partire dal 1864.
24
Cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 30-36 e la bibliografia ivi
riportata anche per i riferimenti che verranno fatti successivamente.
25
LA
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., p. 39.
20
NASCITA DELLA S C U O L A S T O R I C O - GIURIDICA
L’approccio storiografico che stava alla base di questa pubblicazione però apparve troppo innovativo, poco in linea con quella
che per comodità abbiamo definito come storiografia popolare,
tanto che la Dieta del Tirolo dopo cinque annate ne fece sospendere indirettamente le pubblicazioni non fornendo più un
adeguato finanziamento. Gerhard Oberkofler, autore di una minuziosa ricostruzione delle vicende dell’insegnamento della storia a Innsbruck, afferma che l’artefice di questa disposizione fu
Albert Jäger, il quale, pur residendo a Vienna, si considerava, a
torto o a ragione, lo storico ufficiale del Tirolo e mal sopportava
lo sviluppo della corrente fickeriana, cattolica ma liberale26. Sicuramente quest’episodio è una significativa testimonianza delle
difficoltà di penetrazione delle nuove correnti storiografiche tedesche nella particolare tradizione della storia del Tirolo, ritenuta da alcuni ambienti come patrimonio solamente dei Tirolesi.
Non dobbiamo dimenticare che la difesa dell’oggettività da parte
di Ficker, pur con tutti i limiti che una tale posizione comportava, serviva anche come autodifesa da ingerenze esterne spesso
molto forti, provenienti soprattutto dal clero e dalla Dieta. Per
capire la realtà politico-culturale all’interno della quale era posta
l’Università di Innsbruck può esser utile ricordare come attorno
al 1880 alcuni deputati conservatori proposero che tutti i componenti del corpo accademico partecipassero alla processione del
Corpus Domini, che in Tirolo ha un’importanza particolare, per
dimostrare il loro patriottismo. La risposta del rettore, Friedrich
Thaner, fu negativa; la frattura tra Università e società tirolese
diveniva sempre più marcata27.
Nonostante le continue pressioni esterne, proprio in questo
stesso periodo per alleggerire il lavoro di Ficker venne assegnata
una cattedra, senza stipendio, a un altro storico dalla medesima
impostazione, Karl Friedrich Stumpf-Brentano (1829-1882)28. Questi si era formato all’università di Vienna presso Aschbach e Jäger e
aveva completato la propria preparazione a Berlino con Ranke e a
Francoforte con Böhmer. Grazie al suo patrimonio personale potè
rifiutare incarichi troppo onerosi e accettare nel 1861 la cattedra di
Storia generale e scienze storiche ausiliarie a Innsbruck. Qui portò
la sua esperienza di grande paleografo ed editore di documenti,
26
OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., p. 45.
27
OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., p. 54.
28
OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 40-42, anche per le indicazioni bibliografiche.
21
I . I L T IROLO
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
anche se i suoi numerosi impegni – dal 1875 al 1882 fece parte
a s s i e m e a S i c k e l d e l l a D i r e z i o n e c e n t r a l e d e i Monumenta
Germaniae Historica – e l’improvvisa morte in età ancora giovane
non gli permisero di incidere all’interno della medievistica tirolese
tanto quanto Ficker. In ogni caso la sua presenza servì a ribadire
ancora una volta una precisa scelta storiografica.
Le due vie maestre che caratterizzeranno quasi tutta la produzione sul medioevo presso l’Università di Innsbruck erano oramai tracciate: da un lato il filone storico-giuridico, supportato da
un’ideologia grande-tedesca, dall’altro il filone paleografico-diplomatico, che si rifaceva alla grande tradizione dei Monumenta
Germaniae Historica. In ambedue i casi si trattava di un “innesto” dal grande albero della tradizione storiografica tedesca,
avviato da docenti d’ispirazione storicista con scarso interesse
diretto per la storia del Tirolo. Ma la formazione delle nuove generazioni di storici al cospetto di personaggi come Ficker e
Stumpf-Brentano non poteva non avere i suoi effetti, buoni o
cattivi a seconda dei punti di vista.
Prima di passare brevemente in rassegna i principali esponenti della medievistica tirolese nella seconda metà del XIX
secolo, vorrei dedicare un breve accenno ad alcuni importanti
studiosi che operarono a Innsbruck, ma non occuparono cattedre di storia nella facoltà di filosofia. Essi tuttavia, in modo più o
meno diretto, ebbero una notevole influenza sugli storici dei
primi decenni del Novecento, dal momento che le loro ricerche
erano più aperte alle esigenze della società tirolese rispetto a
quelle dei “fickeriani”.
Innanzitutto bisogna ricordare Karl-Theodor Inama von Sternegg (1843-1908), l’autore della famosa Deutsche Wirtschaftsgeschichte29, che, dopo essersi formato all’Università di Monaco,
ricoprì dal 1871 al 1880 la cattedra di Scienze politiche e Economia politica a Innsbruck. Qui non fondò una scuola, ma con i
suoi studi di storia economica mostrò l’esistenza e la rilevanza di
altri campi di ricerca oltre alla storia giuridica e la paleografia e
diplomatica con le quali Ficker e i suoi discepoli facevano coincidere la ricerca storica nel suo insieme. Oltre a ciò, proprio nel
periodo della sua permanenza a Innsbruck scrisse delle opere
29
K.T. INAMA VON STERNEGG, Deutsche Wirtschaftsgeschichte, 3 voll., Lipsia 18791901. Significativamente la figura di Inama non viene analizzata da Oberkofler,
che si limita a considerare gli storici operanti solo all’interno della facoltà di filosofia. Per un primo inquadramento cfr. Neue Deutsche Biographie, Berlino 1974,
vol. X, pp. 166-168.
22
LA
NASCITA DELLA S C U O L A S T O R I C O - GIURIDICA
dedicate ad aspetti storico-economici dell’area alpina destinate a
rimanere un punto di riferimento costante: basti pensare ad
esempio alle sue ricerche sul sistema curtense nel medioevo30.
In questa maniera egli pose le basi per un nuovo tipo di ricerche storiche che, soprattutto a partire dai primi del Novecento,
caratterizzeranno alcuni storici tirolesi, anche se essi non si rifaranno mai direttamente a lui come a un loro maestro. In ogni
caso con Inama von Sternegg la storia economica fece il suo ingresso nel particolare mondo della storiografia tirolese.
Un altro personaggio di rilievo che operò in questo periodo
a Innsbruck – al di fuori dell’Università – e che influenzò studi
di carattere folklorico fu il germanista Ignaz Vinzenz Zingerle
(1825-1892)31. Egli fu sicuramente una delle più interessanti personalità della cultura tirolese dell’epoca. Di origine venostana,
già mentre frequentava il Ginnasio a Merano venne in contatto
con importanti studiosi locali come il più volte ricordato Albert
Jäger. Negli anni successivi approfondì i suoi studi a Trento e a
Innsbruck dove fondò un importante e vivace circolo letterario e
acquisì fama soprattutto come scrittore. In seguito per breve
tempo si ritirò in monastero, a Monte Maria a Burgusio, per poi
riprendere a viaggiare e seguire le lezioni presso le università di
Monaco e Tubinga, dove venne influenzato dai movimenti culturali neoromantici e dalla centralità che essi davano al recupero
della cultura popolare. Attorno al 1850, tornato a Innsbruck,
divenne insegnante al Ginnasio, si fece promotore di una rivista
letteraria assai innovativa, il «Phoenix», e, soprattutto, avviò la
sua raccolta di saghe e tradizioni popolari, ispirata al metodo dei
fratelli Grimm, che riportò in alcune opere ancora oggi di grandissima utilità, tra le quali si possono ricordare le Sagen aus Tirol e Sitten, Bräuche und Meinungen des Tiroler Volkes, vera
pietra miliare per gli studi del folklore tirolese32.
Con Inama e Zingerle entrarono nel mondo storico e accademico tirolese suggestioni che mai avrebbero trovato posto all’interno delle ricerche dei fickeriani e che influenzarono successi-
30 Cfr. K.T. INAMA VON STERNEGG, Untersuchungen über das Hofsystem im Mittelalter mit besonderer Beziehung auf deutsches Alpenland, Aalen 1968 (ristampa
anastatica dell’edizione del 1872).
31 Su Ignaz Zingerle cfr. H. ROGENHOFER-SUITNER, Ignaz Vinzenz Zingerle 18251892, ein Lebensbild. Gedenkschrift zum 100. Todesjahr, Merano 1992.
32 I. ZINGERLE, Bräuche und Meinungen des Tiroler Volkes, Innsbruck 1871 e ID.,
Sagen aus Tirol, Innsbruck 1891.
23
I . I L T IROLO
LA
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
vamente alcuni giovani storici formatisi nella nuova temperie
culturale di fine Ottocento.
Bisogna ricordare infine che Inama e Zingerle, assieme a Josef Egger, diedero anche un importante apporto alla raccolta
delle fonti. Ma anche in questo essi si distinsero dai fickeriani,
poiché non si dedicarono a fonti diplomatiche, ma alla raccolta
di quei particolari documenti definiti dalla tradizione tedesca com e Weistümer33; si trattava di consuetudini, carte di regola e
“sentenze” che stavano alla base di un diffuso diritto consuetudinario. Siamo di fronte pertanto a una fonte bassa che, con una
certa ingenuità di derivazione romantica, avrebbe dovuto riprodurre lo “spirito del popolo”, il suo vero essere, la sua profonda
tradizione. Con Inama e Zingerle dunque veniva legittimata una
storiografia assai diversa da quella dei fickeriani, più vicina allo
Zeitgeist di fine Ottocento.
Quindi, mentre i fickeriani stavano combattendo la loro battaglia per l’affermazione anche in Tirolo di una storia identificata
quasi esclusivamente con problematiche giuridiche o diplomatico-paleografiche, Inama e Zingerle si fecero portavoce di un altro
ambito culturale, sempre di derivazione tedesca, che, seguendo
suggestioni derivate dal Romanticismo, cercava di rivalutare la
cultura popolare. Ma queste due tradizioni non necessariamente
dovevano rimanere separate e contrapposte. Anzi, per diversi
giovani che frequentavano l’Università di Innsbruck in questi anni vi era la possibilità di attingere a entrambe le “scuole”. Questo
fu il caso ad esempio di Josef Egger (1839-1903), un sudtirolese
che durante la sua formazione universitaria a Innsbruck potè
seguire i corsi di Julius Ficker, Alfons Huber e Ignaz Zingerle e
che, pur non inserendosi nella vita accademica, diede un importante apporto alla rinascita degli studi storici tirolesi in particolar
modo con la sua monumentale storia del Tirolo, un’opera di gran
pregio che trovò una scarsa eco nella cultura tirolese dell’epoca a
causa dell’impostazione liberale, in contrasto con il duro conservatorismo allora dominante in quello che, non a caso, veniva
definito come Heiliges Land Tirol34.
Non solo Egger in questi anni ebbe dei contrasti con il
mondo ufficiale della cultura e della politica tirolesi. Chi sollevò
33 Die tirolischen Weisthümer, a cura di I. Zingerle e K.T. Inama von Sternegg,
4 voll., Vienna 1875-91.
NASCITA DELLA S C U O L A S T O R I C O - GIURIDICA
una vera e propria bufera fu Arnold Busson (1844-1892), uno
dei migliori allievi di Ficker35, il quale attorno al 1875 fu al centro di una vicenda, passata agli annali con il nome di “AffaireBusson”, utile da ricordare perché ci fornisce un’altra lucida
immagine del clima culturale e delle difficoltà in cui si svolgeva
l’insegnamento all’Università di Innsbruck.
Vediamo dunque gli antefatti della vicenda. Nel dicembre del
1875 alcuni membri dell’associazione Athesia – una delle diverse
corporazioni studentesche di ispirazione nazionalista che si
erano venute formando nella seconda metà del XIX secolo – con
il loro comportamento avevano determinato le proteste del Senato accademico, che decise unanimamente il suo scioglimento36. Busson, che era un Alter Herr dell’associazione, si ribellò apertamente alla decisione dei suoi colleghi, i quali a loro volta
videro in quest’atteggiamento un affronto. Venne convocata pertanto la commissione disciplinare dell’Università, presieduta da
Inama von Sternegg, che però anziché prendere i provvedimenti
richiesti si dimise. Dietro a questa contrapposizione si nascondevano motivazioni che andavano al di là dei fatti contingenti. In
35 Cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 49-54 anche per quanto
segue. Busson assieme a Paul Theodor Gustav Scheffer-Boichorst (1843-1902) fu
uno dei più fedeli allievi di Ficker. Tra gli altri storici formatisi in questi anni alla
scuola fickeriana possiamo ricordare anche Engelbert Mühlbacher (1843-1903) e
Julius Jung (1851-1910) i quali assunsero ruoli di prestigio in importanti università mitteleuropee. Per un loro primo inquadramento cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 54-56 e pp. 64-67. Jung studiò a Innsbruck con Ficker,
a Gottinga con Waitz, a Berlino con Theodor Mommsen, spostando in tal modo i
suoi interessi dalla storia medievale alla storia antica, ma mantenendo intatta la
sua ammirazione per Ficker, di cui scrisse un’importante biografia: J. JUNG, Julius
Ficker (1826-1902). Ein Beitrag zur deutschen Gelehrtengeschichte, Innsbruck
1907. Sempre in questi anni, la “scuola” di Ficker poté dar prova del proprio
valore quando questi ereditò da Böhmer la direzione dei Regesta Imperii e affidò
l’edizione delle fonti ad alcuni dei suoi migliori allievi e colleghi. Non dobbiamo
dimenticare infine che a Innsbruck in quest’epoca operarono anche medievisti di
altra formazione, come Heinrich Zeissberg, un “pupillo” di Jäger, Ferdinand
Kaltenbrunner, un allievo del grande paleografo Wilhelm Wattenbach, e Anton
Val de Lièvre, i quali però non portarono rilevanti mutamenti al paradigma storiografico dominante nell’Università tirolese. Per un maggior approfondimento
sulla loro opera cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 47-49, 68-71
e 83.
36
J. EGGER, Geschichte Tirols von den ältesten Zeiten bis in die Neuzeit, 3 voll.,
Innsbruck 1872-1880. Sul conservatorismo tirolese di fine Ottocento si vedano le
considerazioni di RIEDMANN, Geschichtsschreibung cit., p. 292.
Sulle associazioni studentesche a Innsbruck tra Ottocento e Novecento si
veda: M. GEHLER, Studenten und Nationalismus an der Universität Innsbruck
1918-1938, in «Skolast», anno 34, n 1/2 (febbraio-marzo 1990), pp. 14-20. Sui
movimenti giovanili in area germanica alla fine del secolo scorso si veda MOSSE,
Le origini culturali cit., pp. 282-302.
24
25
34
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MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
realtà l’attacco contro Busson era una orchestrazione dei gruppi
conservatori clericali, dominanti in tutti i settori chiave della
società tirolese del tempo, i quali avevano preso per pretesto l’azione degli studenti dell’Athesia per cercare di portare sotto il
loro controllo l’Università, giudicata in odore d’eresia perché
troppo laica e liberale. Questo progetto fallì completamente in
quanto, a dimostrazione della loro indipendenza, i docenti di
Innsbruck per il successivo anno accademico in gesto di sfida
nominarono Busson decano della facoltà di filosofia e Huber,
che si era schierato apertamente con il collega, rettore37.
Ho giudicato utile soffermarmi su quest’episodio perché ci
permette di mettere in evidenza come in Tirolo i rapporti tra
università e società fossero piuttosto difficili, soprattutto là dove
i docenti, pur non essendo di certo dei rivoluzionari dal punto
di vista ideologico, apparivano come estranei alla tradizione culturale tirolese, la quale dal secolo XVII in poi era stata improntata a un rigido cattolicesimo che nel corso dell’Ottocento aveva
assunto tinte nazional-patriottiche. Forse proprio questa estraneità e la volontà di non scontrarsi con l’establishment politico
determinò uno scarso interesse per la storia del Tirolo da parte
degli storici che operavano ad Innsbruck. Inoltre non dobbiamo
dimenticare il contesto generale in cui si svilupparono queste
tensioni e i diversi contrasti. Siamo infatti negli anni della lenta
agonia dell’Impero Austro-ungarico, della cosiddetta Austria
felix, quando, mentre Vienna diveniva sempre più cosmopolita,
la provincia sembrava racchiudersi su se stessa, covando violenti
risentimenti di tipo nazionalistico.
Diplomatica, paleografia, edizioni di fonti, culto dell’oggettività, rifiuto di ogni attualizzazione della storia: così possiamo
sintetizzare le caratteristiche dominanti dell’insegnamento della
storia e della medievistica all’Università di Innsbruck verso la
fine dell’Ottocento. Tutt’attorno a questo “marmoreo” mondo vi
era però un ambiente da cui si levavano a voce sempre più alta
istanze legate ai repentini cambiamenti di una realtà ormai in
crisi. Era impossibile che questi due mondi prima o poi non si
incontrassero.
37
L’ EVOLUZIONE
DELLA MEDIEVISTICA TIROLESE
4. Prima della tempesta. L’evoluzione della medievistica tirolese
negli ultimi decenni dell’Impero asburgico
«“In questa monarchia” replicò il conte Choinicki – era il più
vecchio fra noi – “niente è straordinario. A parte i nostri governanti cretini” (gli piacevano le espressioni forti) “è certo che,
neanche all’apparenza, niente vi sarebbe di straordinario. Con
questo voglio dire che il cosiddetto straordinario, per l’AustriaUngheria, è l’ovvio. Con questo voglio dire che solo in questa
pazza Europa degli Stati nazionali e dei nazionalisti ciò che è ovvio sembra anche bizzarro. Sicuro, sono gli sloveni, i galiziani
polacchi e ruteni, gli ebrei con il caffetano di Boryslaw, i mercanti di cavalli della Bacska, i musulmani di Sarajevo, i caldarrostai di Mostar che cantano il Dio conservi. Ma gli studenti tedeschi di Brno e di Eger, i dentisti, farmacisti, aiutanti parrucchieri,
fotografi d’arte di Linz, Graz, Knittelfeld, i valligiani gozzuti delle
Alpi, loro cantano tutti La guardia al Reno. Questa fedeltà nibelungica manderà in rovina l’Austria, signori miei! L’anima dell’Austria non è il centro, ma la periferia. L’Austria non bisogna
cercarla nelle Alpi, dove hanno camosci e stelle alpine e genziane, ma neppure un’idea di che cosa sia l’aquila bicipite. La sostanza dell’Austria viene nutrita e incessantemente rigenerata dai
territori della Corona”»38.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento il paradigma storiografico di Ficker faticava sempre più a mantenersi “puro” all’interno di un mondo in cui stavano nascendo e crescendo
nuove e sempre più drammatiche irrequietezze. La crisi irreversibile dell’Impero Austro-ungarico e la parallela ascesa del Reich
posero in modo sempre più rilevante l’interrogativo sul destino
politico del popolo tedesco. Ma per rispondere a un’inquietante
domanda rivolta al futuro, come si sa, molto spesso si ricorre al
passato e quindi la storia riacquista una sua centralità politica.
Questa parabola venne seguita anche all’interno della medievistica tirolese, la quale nel nuovo secolo gradualmente iniziò ad
aprirsi a nuove tematiche e, dopo la prima guerra mondiale, in
alcuni casi divenne vera storia militante.
Prima di riprendere il nostro percorso, però, è opportuno
richiamare alcune indicazioni di carattere generale.
Per i dettagli di questa vicenda cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer
cit., p. 54; sui contrasti tra Università e potere politico cfr. RIEDMANN , Geschichtsschreibung cit., p. 292; per una ricostruzione della società tirolese a fine
Ottocento si veda il discusso J. FONTANA, Vom Neubau bis zum Untergang der
Habsburgermonarchie (1848-1918), in Geschichte des Landes Tirol cit., vol. 3,
Bolzano-Innsbruck-Vienna 1987.
38 J. ROTH, La Cripta dei Cappuccini, Milano 1989, p. 23 (ed. or. Die Kapuzinergruft, 1938).
26
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L’ EVOLUZIONE
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
Il personaggio di Joseph Roth nel brano sopra citato tratto da
La Cripta dei Cappuccini fa un’affermazione apparentemente
paradossale: egli ritiene che le radici dell’Austria non siano tanto
nell’Austria tedesca, quanto nei territori periferici, abitati da altre
etnie; gli Austriaci tedeschi invece a suo avviso non avrebbero
mai dimenticato la loro appartenenza a un’unica stirpe tedesca,
identificata con la Germania, alla quale avrebbero voluto congiungersi. Addirittura, stando sempre all’opinione del medesimo
personaggio, i «gozzuti valligiani alpini» non avrebbero neppure
mai avuto idea di cosa fosse l’Impero. Al di là della radicalità, e
forse anche di un eccessivo disprezzo presente in quest’affermazione, credo che essa ponga degli importanti elementi di riflessione per comprendere l’ambiente culturale nel quale si sviluppò la medievistica tirolese dei primi decenni del Novecento.
Infatti soprattutto in Italia negli ultimi vent’anni vi è stato un
grande interesse verso la cultura austriaca e la cosiddetta Mitteleuropa, ma è stato dimenticato troppo spesso il fatto che la cultura di cui si parlava non era tanto “austriaca” in senso lato,
quanto “viennese”39. Su ciò ha posto l’accento Roberto Cazzola
in un breve saggio di qualche anno fa dove dice: «quando si parla... di una sintesi di tutte le differenze etniche e culturali come
elemento che contraddistingue gli austriaci dai tedeschi, che ne
fa gli eredi di un retaggio sovrannazionale e cosmopolita, un popolo che è più e altro rispetto a un preteso comune elemento
germanico, non si deve assolutamente stilizzare Vienna a mitica
pars pro toto, anche se il suo ruolo è certo rilevante per la percezione e l’immagine dell’intero paese all’estero»40. La realtà della
provincia austriaca era ben altra da quella della capitale, sia dal
punto di vista sociale sia da quello culturale, come abbiamo
potuto vedere brevemente attraverso le vicende della medievistica a Innsbruck. E soprattutto, come diceva Roth, in questa provincia di etnia tedesca il richiamo del mito asburgico non era
preponderante. Al contrario, in molti ambienti culturali o preva-
39
Quest’idealizzazione della società austriaca di fine Ottocento e dei primi del
Novecento è avvenuta, al di là delle volontà dell’autore, soprattutto in seguito al
grande successo di alcuni saggi di Claudio Magris e grazie alla felice scelta editoriale di alcune case editrici, come p. es. l’Adelphi. Uno scrittore che invece ha
messo a nudo senza alcuna reticenza alcuni aspetti della chiusura e del conservatorismo della cultura della “provincia” austriaca, e non solo, è sicuramente
Thomas Bernhard.
40
R. CAZZOLA, “Dell’Austriaco qual è mai la patria?”, in Il caso Austria. Dall’Anschluss all’era Waldheim, Torino 1988, p. XLII.
28
DELLA MEDIEVISTICA TIROLESE
levano i sentimenti localistici, o trovava larga eco l’ideale “grande-tedesco”; se questo ideale nell’età di Ficker poteva apparire
elitario, dopo la prima guerra mondiale divenne un sentimento
di massa, fondendosi paradossalmente con le istanze localistiche; si pensi ad esempio ai plebisciti organizzati nell’aprile e nel
maggio del Ventuno nel Tirolo e a Salisburgo, dove rispettivamente il 90% ed il 78% della popolazione votò a favore di un’annessione alla Germania41. È questa l’Austria all’interno della quale dobbiamo collocare le vicende, forse marginali solo in apparenza, della medievistica tirolese a cavallo tra i due secoli. Senza
considerare questo contesto generale sarebbe difficile capire
l’improvviso scarto che avvenne tra il 1914 ed il 1918, quando si
passò da una storia asettica, anche se ugualmente mai politicamente completamente pura, a una schierata in prima linea nella
lotta politica.
Non solo la storiografia di Innsbruck, ma quella austriaca più
in generale aveva fatto nel corso della seconda metà dell’Ottocento dello Streben nach Wahrheit il suo motto fondamentale.
Anche l’Institut für österreichische Geschichtsforschung sotto la
direzione di Sickel si era gradualmente specializzato nelle scienze ausiliarie, paleografia e diplomatica, dimenticando la ragione
principale per la quale era stato fondato dal ministro Thun: far
nascere una nuova storiografia dello stato austriaco (österreichische Staatsgeschichtsschreibung) 42. Ciò non deve meravigliare;
infatti come ricorda Herbert Dachs in uno studio sulla storiografia austriaca, in Austria prima del 1918 era praticata molto di più
la Geschichtsforschung, la ricerca e lo studio delle fonti, della
Geschichtsdarstellung, la rielaborazione e la rappresentazione
storiografica43. All’interno di questa contrapposizione troviamo
un’importante chiave di comprensione anche per la storiografia
tirolese. Il praticare la “pura” ricerca storica, mettendo in secondo piano la rappresentazione; privilegiare l’edizione delle fonti
rispetto a una loro interpretazione veniva presentato come l’unico modo di procedere veramente corretto, perché sfuggiva all’insidia dell’attualizzazione e quindi dell’ideologizzazione. D’altro
canto, in tal modo il ruolo della rappresentazione veniva lasciato
a una storiografia dilettantistica, popolare, didascalica, che si
41 G. BOTZ, Ideale e tentativi di Anschluß prima del 1938, in Il caso Austria cit.,
p. 14.
42
H. DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft und Anschluss. 1918-1930,
Vienna-Salisburgo 1974, p. 1.
43
DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., p. 2.
29
I . I L T IROLO
L’ EVOLUZIONE
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
prefiggeva lo scopo di ricostruire il passato proprio in funzione
della lotta politica del presente44. Così, mentre gli storici accademici avviavano ricerche di gran valore ma di difficile accesso per
un pubblico più vasto, gli storici “dilettanti” riuscivano a riplasmare il passato e a “inventare” una tradizione in cui chiunque
poteva ricercare le proprie radici45.
La netta scissione tra mondo degli storici e storia reale non
poteva più resistere alle nuove istanze che provenivano da una
società sempre più in fermento. Anche all’Università di Innsbruck tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento si venne
affacciando ormai una nuova generazione di storici i quali, stimolati anche dal nuovo dibattito storiografico che si andava
accendendo soprattutto in Germania, non potevano rimanere insensibili alla forte richiesta di sapere storico che proveniva da
vari gruppi della società tirolese. Essi erano però per lo più
modernisti e contemporaneisti come Josef Hirn (1848-1917), autore di un’importante monografia sulla sollevazione antinapoleonica del 1809 guidata da Andreas Hofer46, e Michael Mayr (18641922)47, il quale accompagnò alla sua attività di storico un costante impegno politico prima con i liberali e poi con i cristianosociali, ricoprendo addirittura la carica di cancelliere.
L’ambiente dei medievisti, invece, sembrava più refrattario a
dialogare con le istanze provenienti dalla società civile, spesso
guidate ad arte da ambienti politici conservatori. Alcuni medievisti della nuova generazione iniziarono tuttavia ad applicare l’insegnamento fickeriano anche allo studio della storia del Tirolo,
DELLA MEDIEVISTICA TIROLESE
mantenendosi lontani da qualsiasi attualizzazione. Questo fu il
caso di Emil Ottenthaler von Ottenthal48 (1855-1931) e di Oswald Redlich (1858-1944)49, i quali composero assieme gli Archivberichte aus Tirol, una sorta di mappatura dei fondi archivistici tirolesi che doveva servire come base per chiunque avesse
voluto dedicarsi alla storia del Tirolo50. Ottenthal, pur nelle sue
oscillazioni tra Ficker e Sickel, seguì in gran parte della sua produzione storiografica giovanile strade già tracciate. Assai più
innovative furono invece le ricerche di Redlich antecedenti la
prima guerra mondiale, che evidenziano un maggior eclettismo
culturale, frutto del suo particolare iter universitario. Egli infatti
frequentò l’Università di Innsbruck, dove ebbe modo di seguire i
corsi dei più importanti storici, sia della vecchia sia della nuova
generazione: Ficker, Huber, Busson, Jung, Mühlbacher. Inoltre
partecipò ai corsi di geografia di Franz Wieser e a quelli di germanistica e di filologia latina tenuti da Ignaz e Anton Zingerle,
non limitando i suoi interessi alla sola storia intesa in senso
diplomatico-paleografico, anche se rimase sempre profondamente legato a Ficker, che per tutta la vita considerò suo maestro
non solo dal punto di vista scientifico ma anche da quello politico. Infatti grazie alle ottime capacità che mise subito in mostra,
venne ammesso alla ristretta ed esclusiva cerchia dell’Akademischer Historikerklub, guidato proprio da Ficker. Dopo essersi
laureato nel 1881 con una tesi sull’annalistica altomedievale, se-
48
44
Sul concetto di “storia popolare” e sull’importanza che essa ebbe nella formazione di una coscienza nazionale si veda W. OBERKROME, Volksgeschichte.
Methodische Innovation und völkische Ideologisierung in der deutschen
Geschichtswissenschaft. 1918-1945, Göttingen 1993.
45
Si vedano per esempio le considerazioni sul ruolo dei grandi festeggiamenti
del 1909 (anniversario della lotta antinapoleonica di Andreas Hofer) in RIEDMANN,
Geschichtsschreibung cit., pp. 292-93. Più in generale, sull’“invenzione della tradizione” attuato in molte realtà europee verso la fine del secolo scorso si vedano
E.J. HOBSBAWM, Tradizioni e genesi dell’identità di massa in Europa, in L’invenzione della tradizione cit., pp. 253-295 e ID., Nazioni e nazionalismo dal 1780.
Programma, mito, realtà, Torino 1991, pp. 84-86 (ed. or. Nations and Nationalism since 1780, 1990), dove vi sono alcune importanti riflessioni sul Tirolo.
46
Cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 97-100. Si vedano anche
le considerazioni su Hirn riportate in RIEDMANN, Geschichtsschreibung cit., p. 293.
L’opera sulla sollevazione antinapoleonica a cui si fa riferimento è HIRN, Tirols
Erhebung cit.
47
Cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 101-104.
30
OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 71-78. Ottenthal, di origine
pusterese, si formò seguendo i corsi di Ficker, Huber, Busson e Stumpf-Brentano. Egli rivolse i suoi interessi soprattutto all’ambito delle edizioni di fonti, a
cui dedicò anche la sua tesi che fu il punto di partenza di una fortunata carriera.
Infatti in questa prima ampia ricerca egli cercò di approfondire e analizzare dal
punto di vista paleografico alcuni diplomi di Ottone I, ottenendo un buon apprezzamento da parte di Ficker e Sickel, ma non da Stumpf-Brentano, che gli
rimproverava un uso eccessivamente disinvolto del metodo congetturale. Grazie
all’intercessione di Ficker potè recarsi a Berlino dove seguì i corsi di Waitz e
Wattenbach. Dal 1889 gli venne assegnata una cattedra all’Università di
Innsbruck. In seguito ottenne la direzione dell’Institut für österreichische Geschichtsforschung di Vienna, divenendo una delle principali figure della storiografia austriaca.
49 Cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 78-80; L. SANTIFALLER,
Oswald Redlich. Ein Nachruf, zugleich ein Beitrag zur Geschichte der Geschichtsschreibung, in «MIÖG», n 56 (1948), pp. 1-238, e DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., pp. 94-106.
50 E. OTTENTHAL, O. REDLICH, Archiv-Berichte aus Tirol, 4 voll., Vienna-Lipsia
1888-1912.
31
I . I L T IROLO
L’ EVOLUZIONE
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
guita da Alphons Huber, frequentò, come era ormai prassi per i
giovani storici più brillanti, l’Institut für österreichische Geschichtsforschung a Vienna. Qui, come ricorda Oberkofler, su
consiglio di Huber e Mühlbacher intraprese l’edizione dei Libri
traditionum della sede vescovile di Bressanone, una importantissima raccolta di atti di permuta e compravendita51. In tal
modo si avvicinò per la prima volta ai documenti privati di cui
diverrà successivamente uno dei massimi conoscitori52. In questi
stessi anni pubblicò uno studio, che a buon diritto può esser
definito come pionieristico, in cui cercò di ricostruire la storia
dei vescovi di Bressanone tra i secoli X e XII all’interno del contesto della società dell’epoca53. Grazie all’alta qualità dei suoi
lavori Redlich fece una rapida carriera, che in pochi anni lo
portò a ricoprire una cattedra universitaria e vari altri incarichi a
Vienna54. La sua presenza, pur breve, a Innsbruck fu di grande
importanza poiché tracciò una possibile via di ricerca purtroppo
poco seguita negli anni successivi; egli infatti riuscì a coniugare
il rigore fickeriano con una capacità interpretativa forse non presente nemmeno nelle opere del suo maestro. Inoltre, l’aver dato
dignità di pubblicazione a fonti considerate minori, dedicate a
scambi privati di natura economica, significò lanciare un preciso
segnale che anche in questo caso andava ben al di là del tradizionale ambito di ricerca di Ficker e dei suoi allievi.
Tra coloro che si formarono a Innsbruck negli ultimi decenni
del XIX secolo, Redlich fu sicuramente lo storico che meglio raccolse e vivificò la tradizione paleografico-documentaria; l’altro
grande ambito del “patrimonio” dei medievisti di Innsbruck,
quello storico-giuridico, fu rinnovato negli stessi anni da un altro
giovane tirolese, Hans von Voltelini (1862-1938), il quale, nato a
Innsbruck, passò la giovinezza a Bolzano, a cui rimase sempre
51
Cfr. Die Traditionsbücher des Hochstifts Brixen vom 10. bis in das 14.
Jahrhundert, a cura di O. Redlich, Innsbruck 1886 (= Acta Tirolensia, vol. I). Per
un’analisi più dettagliata dei Libri traditionum, sui quali si basa gran parte della
ricerca qui presentata, si veda il secondo capitolo.
52 Tra i suoi testi su quest’argomento si veda soprattutto O. REDLICH , Die
Privaturkunde des Mittelalters, Vienna 1911.
53 O. REDLICH, Zur Geschichte der Bischöfe von Brixen vom 10. bis in das 12.
Jahrhundert (907-1125), in «ZdF», III/28 (1884), pp. 3-52.
54
DELLA MEDIEVISTICA TIROLESE
profondamente legato55. Questo dato biografico è molto importante, perché Voltelini per tutta la vita manterrà con il Sudtirolo
e il Trentino un particolare rapporto affettivo che ne influenzò
sia le ricerche storiche sia le scelte politiche. Anch’egli come
Redlich si formò a Innsbruck e a Vienna, dove potè seguire le
lezioni di Sickel, Mühlbacher e Zeissberg, e frequentò l’Institut
für österreichische Geschichtsforschung, per il quale svolse come
Hausarbeit una ricerca sui documenti trentini dei secoli XII e
XIII, ribadendo il suo interesse per la componente italiana del
cosiddetto Tirolo storico, alla quale riconosceva rilevanti meriti
nella formazione del Land56.
Laureatosi in storia e in giurisprudenza, negli anni successivi
egli diede un determinante contributo allo studio della storia del
diritto e dell’economia del Tirolo, valorizzando fonti sino ad
allora trascurate57. Nel 1899 pubblicò quella che forse rimane la
sua opera migliore, Die Südtiroler Notariatsimbreviaturen des
13. Jahrhunderts, una raccolta di documenti notarili inediti,
apparsa come secondo volume degli Acta Tirolensia, che si presentò dunque come una collana di grandissimo interesse58. Come Redlich, anche Voltelini cercava di dare la giusta importanza
a fonti trascurate in precedenza; ma più che per i documenti riprodotti, in ogni caso di grandissimo interesse, quest’opera è
particolarmente importante per l’ampia introduzione che colloca
55 I dati qui riportati sono tratti in gran parte da OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 105-107; si vedano inoltre anche DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., pp. 156-158, e H. KRAMER, Memoria di Hans von Voltelini (1862-1938), in «StT», n 56 (1977), pp. 93-101.
56 Si vedano a tal proposito le osservazioni di RIEDMANN, Geschichtsschreibung
cit., pp. 293-94. Non bisogna trascurare poi che egli tra il 1885 e il 1886 completò la propria preparazione lavorando presso l’Istituto Austriaco di studii storici in Roma.
57
Anche Voltelini fece una rapida carriera universitaria. Nel marzo del 1900 fu
nominato professore straordinario di Storia austriaca presso l’Università di
Innsbruck, dove rimase fino al 1908 quando fu nominato ordinario per Diritto
Germanico e Storia Austriaca presso l’Università di Vienna, nella facoltà di
Giurisprudenza. In questi anni si dedicò soprattutto all’elaborazione della Landgerichtskarte der österreichischen Alpenländer, un’opera molto importante per l’identificazione dei distretti giudiziari in epoca medievale, che pubblicherà però in
anni successivi. Cfr. a tal proposito Das welsche Südtirol, in Erläuterungen zum
Historischen Atlas der österreichischen Alpenländer, I/3/2, Vienna 1918.
Prima di ottenere la cattedra universitaria Redlich lavorò presso lo
Statthalterei Archiv di Innsbruck, dimostrando una grande competenza nell’analisi delle fonti. Contemporaneamente preparò la sua tesi d’abilitazione, dedicata ai
Traditionsbücher d’area bavarese.
58 Cfr. Die Südtiroler Notariatsimbreviaturen des 13. Jahrhunderts, vol. I, a cura
di H. von Voltelini, Innsbruck 1899 (= Acta Tirolensia, vol. II/1). Il secondo
volume apparve postumo nel 1951 a cura anche di Franz Huter.
32
33
I . I L T IROLO
L’ EVOLUZIONE
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
le fonti notarili sudtirolesi all’interno del dialogo tra la tradizione
giuridica tedesca e quella italiana.
Verso la fine del secolo Redlich e Voltelini indicarono una
nuova strada alla medievistica tirolese e alla storiografia nel suo
insieme, una via che conduceva a una ricerca storica in cui il
rigore filologico diveniva un mezzo della ricerca storica, non un
fine. Inoltre essi, rivolgendo il loro interesse a fonti ritenute minori, dimostrarono di aver recepito accanto alla lezione di Ficker
anche quella di Inama e Zingerle. Purtroppo la via da loro tracciata rimase poco frequentata.
Un altro valido impulso ad allargare gli orizzonti di ricerca
della medievistica tirolese venne dato all’incirca negli stessi anni
da uno storico estraneo al mondo accademico tirolese. Nel 1895
infatti l’editore Wagner di Innsbruck pubblicò un volumetto che
rappresentava una vera novità nell’ambito della ricerca storica
sul Tirolo medievale; si trattava di Die bäurliche Wirtschaftsverfassung des Vintschgaues, vornehmlich in der zweiten Hälfte des
Mittelalters di Armin Tille, uno storico tedesco che aveva composto quest’opera in seguito a un incarico assegnatoli da Karl
Lamprecht, suo maestro, per la rielaborazione del III e IV volume dei Tirolische Weistümer di Inama von Sternegg e Zingerle59.
Con la ricerca di Tille veniva abbattuta un’altra barriera: per la
prima volta nella produzione storiografica dedicata al Tirolo il
mondo contadino diveniva protagonista, oggetto principale d’analisi. È significativo che ispiratori di questo rinnovamento siano
stati da un lato Inama e Zingerle, dall’altro Lamprecht, la cui
Kulturgeschichte divenne in seguito un importante punto di riferimento per alcuni storici tirolesi della nuova generazione.
Karl Lamprecht in questi anni era al centro di aspri contrasti
– definiti non a caso come Lamprecht-Streit – causati proprio
dalla sua definizione di Kulturgeschichte, che aveva determinato
una violentissima reazione di alcuni dei maggiori storici tedeschi
del tempo, tra cui possiamo citare Georg von Below, Otto
Hintze e Friedrich Meinecke60. Molti erano i motivi di questa
59 A. TILLE, Die bäurliche Wirtschaftsverfassung des Vintschgaues, vornehmlich
in der zweiten Hälfte des Mittelalters, Innsbruck 1895.
60
La bibliografia di e su Lamprecht è vastissima e non è ricostruibile in questa
sede nemmeno in minima parte. Tra le opere in cui Lamprecht elaborò e cercò
di mettere in atto il suo concetto di Kulturgeschichte possiamo ricordare a titolo
esemplificativo K. LAMPRECHT, Deutsches Wirtschaftsleben im Mittelalter, 3 voll.,
Lipsia 1885-86; e ID., Was ist Kulturgeschichte?, in «Deutsche Zeitschrift für
Geschichtswissenschaft», nuova serie, n 1 (1896/97), p. 75 sg. Tra gli studi più
34
DELLA MEDIEVISTICA TIROLESE
dura contrapposizione; «Dal punto di vista contenutistico – affermano Friedrich Jaeger e Jörn Rüsen – la svolta kulturgeschichtlich di Lamprecht significava una ristrutturazione dell’ambito dell’oggetto della ricerca storica che passava dall’analisi di fenomeni
politici e della storia delle idee a una forte sottolineatura delle
“forze collettive sociali e materiali” del processo di sviluppo
della storia»61. Seguire la via di Lamprecht comportava la necessità di sporcarsi le mani con la realtà dando dignità di oggetto di
ricerca anche al mondo materiale. Una vera eresia rispetto al
paradigma dominante allora nel mondo storico tedesco. Inoltre
ciò significava anche ammettere il predominio del collettivo, con
tutto quello che tale concetto implicava, sull’individuale. Certo, il
metodo di Lamprecht a sua volta era contraddittorio in alcuni
punti e le sue opere principali, come la Deutsche Geschichte62, il
cui primo volume scatenò la polemica, potevano essere attaccate
soprattutto per l’uso non sempre corretto delle fonti, cosa che
irritava oltremodo chi aveva fatto della fedeltà ad esse il proprio
credo fondamentale. Ma il suo grande merito, prescindendo dagli esiti darwinistici e psicologistici dell’ultima produzione, fu
proprio quello di aprire nuovi ambiti all’indagine storica anticipando temi della New History americana e delle Annales francesi63. L’influenza di Lamprecht sulla storiografia tirolese non si
limitò al solo Tille. Sempre in questi anni un giovane storico
tirolese allora alle prime armi, Hermann Wopfner (1876-1963), si
era recato a Lipsia per seguire i suoi seminari64. Come Redlich e
recenti su Lamprecht possono esser ricordati due testi che, da punti di vista differenti, tentano di fare una messa a punto sul dibattito relativo a Lamprecht e la
Kulturgeschichte: L. SCHORN-SCHÜTTE, Karl Lamprecht. Kulturgeschichtsschreibung
zwischen Wissenschaft und Politik, Göttingen 1984 e K. CZOK, Karl Lamprechts
Wirken an der Universität Leipzig, Berlino 1989.
61 JAEGER, RÜSEN, Geschichte cit., p. 141. Questo il testo originale del brano da
me liberamente tradotto: «Inhaltlich bedeutete die kulturgeschichtliche Wendung
L a m p r e c h t s e i n e U m s t r u k t u r i e r u n g d e s O b j e k t b e r e i c h s d e r h i s t o r i s c h en
Forschung von politischen und ideengeschichtlichen Phänomenen hin zu einer
stärkeren Berücksichtigung der “sozialen und materiellen Kollektivkräfte” des
geschichtlichen Entwicklungsprozesses».
62
K. LAMPRECHT, Deutsche Geschichte, 16 voll., Freiburg i. Br. 1891-1909.
63
Cfr. P. BURKE, Una rivoluzione storiografica. La scuola delle “Annales”, 19291989, Roma-Bari 1992, p. 116, (ed. or. The French Historical Revolution. The
“Annales” School, 1929-89, 1990).
64
Anche per Wopfner, figura fondamentale nella storiografia tirolese, è utile
rifarsi alle più volte citate opere di Oberkofler e Dachs per raccogliere i dati biografici fondamentali. Importantissimo poi è l’“autoritratto” che egli scrisse nel-
35
I . I L T IROLO
L’ EVOLUZIONE
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
DELLA MEDIEVISTICA TIROLESE
Voltelini anch’egli era nato a Innsbruck e per tutta la vita rimase
profondamente legato al Tirolo e al suo mondo rurale. Questa
sua passione per la società contadina influenzò notevolmente
non solo la sua formazione culturale e la sua successiva produzione storiografica, ma anche l’insieme di tutta la sua vita. Egli
infatti, conseguita la cattedra universitaria a Innsbruck, acquistò
nei pressi del capoluogo tirolese un maso isolato dal quale si
allontanava assai di rado. Prima di potersi ritirare nel suo “eremo”, dopo aver completato gli studi a Innsbruck, frequentò alcune importanti università per approfondire le sue ricerche. Tra il
1897 e il 1898 si recò a Vienna dove potè coltivare gli interessi
di storia economica seguendo le lezioni di Alphons Dopsch e
dove entrò in contatto anche con Redlich. Successivamente si
trasferì a Lipsia dove partecipò, come s’è accennato, ai seminari
di Lamprecht proprio negli anni in cui il Methoden-Streit da lui
innescato era al suo apice. La formazione di Wopfner quindi fu
molto diversa da quella degli altri storici tirolesi che abbiamo
conosciuto sino ad ora. Ciò fu evidente già quando nel 1900
venne pubblicata la sua dissertazione dedicata alla guerra contadina in Germania65, un’opera nella quale, come ha messo in evidenza Dachs66, Wopfner affrontò quello che diverrà il tema centrale di tutta la sua attività scientifica: la ricerca dei presupposti
storici e spirituali e delle condizioni di vita del mondo contadino
tirolese, che, grazie alle sue lotte politiche, sarebbe riuscito a
ottenere un posto rilevante nella società europea. Con questa
scelta di campo Wopfner si allontanò notevolmente da quelli
che erano stati gli indirizzi di ricerca della scuola storiografica di
Innsbruck, in modo assai diverso, tuttavia, rispetto a Redlich e
Voltelini. La scelta del mondo contadino come ambito principale
di ricerca da parte di Wopfner è segnale di una precisa opzione
ideologica che sarà più chiara negli anni dopo la Grande Guerra
e che si basava sul rifiuto della modernità e sulla riproposizione
di una società contadina strutturata in base ai valori cristiani. Si
trattava di una visione del mondo di ispirazione cristiano-sociale
che tendeva a mitizzare il mondo rurale come un mondo di
libertà, una visione che si ricollegava direttamente con una tradizione di studi e opere letterarie ottocentesche nelle quali il con-
tadino era divenuto l’immagine dell’eroe tedesco nazional-patriottico67. Per la prima volta dunque con Wopfner la storiografia
accademica iniziò a dialogare, in modo più o meno consapevole, con la storiografia “popolare” legata ai movimenti nazionalistici. Ciò si può riscontrare anche nei suoi lavori successivi, composti da quando a partire dal 1900 iniziò a lavorare per lo
Statthaltereiarchiv di Innsbruck, dove venne in contatto con
Voltelini68. Un’ulteriore radicalizzazione delle sue posizioni si
ebbe nel 1904 quando entrò a far parte dell’Akademischer
Alpiner Verein di Innsbruck, una scelta che comportò un avvicinamento alla Heimatkunde, una particolare disciplina che ebbe,
e ha ancor oggi, un grande seguito nell’area culturale tedesca.
Mentre in Francia e in Italia l’interesse storiografico nei confronti
del mondo rurale e la cultura popolare nacque soprattutto in
seguito a istanze progressiste e alla diffusione del marxismo69, in
area tedesca l’attenzione per il Volk ha radici premarxiste, che
rimandano alla cultura romantica. Il Volk richiama immediatamente il Boden, il Land. Ecco che allora il centro di interesse
non è tanto puntato sui rapporti sociali o gli scontri di classe
quanto invece sul popolo visto come un insieme organico in cui
i diversi gruppi sociali svolgono compiti complementari. L’agire
del Volk nella storia crea la Heimat, la patria che è un tutt’uno
che comprende sia una regione fisica che il “profondo sentire”
che si prova nei suoi confronti. Questa società organica si presenta come giusta e morale in quanto intrisa di cristianesimo.
Nel corso dell’Ottocento vi furono vari contributi allo sviluppo di
una simile concezione. Tra questi fondamentale fu Land und
Leute di Heinrich Riehl il quale, come ci ricorda George L.
Mosse «invocò una storia naturale del Volk che avrebbe dovuto
abbracciare tutto ciò che riguarda un popolo, come esso vive,
cioè da dove trae la sua esistenza»70. Il libro di Riehl, sempre
l’ambito della Österreichische Geschichtswissenschaft der Gegenwart in Selbstdarstellungen, a cura di N. Grass, Innsbruck 1950. Si vedano anche le brevi ma
importanti osservazioni di RIEDMANN, Geschichtsschreibung cit., pp. 295-298.
69
67
Si vedano a tal proposito le considerazioni di MOSSE, Le origini culturali cit.,
p. 40 sg.
68
Voltelini indirizzò le ricerche di Wopfner verso la storia del diritto. Principale
frutto delle ricerche di questi anni furono i Beiträge zur Geschichte der freien
bäuerlichen Erbleihe Deutschtirols im Mittelalter, Breslau 1903. Quest’opera gli
permise di conseguire l’abilitazione all’insegnamento universitario.
65
H. WOPFNER, Der Bauernkrieg in Deutschland, Innsbruck 1900.
Si veda a tal proposito l’analisi sul rapporto tra agricoltura, capitalismo e
relativa storiografia in R. Z ANGHERI , Agricoltura e sviluppo del capitalismo.
Problemi storiografici, in ID., Agricoltura e contadini nella storia d’Italia, Torino
1977, pp. 41-74.
66
DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., p. 223.
70
36
G.L. MOSSE, Il razzismo in Europa dalle origini all’olocausto, Milano 1992, p.
37
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L’ EVOLUZIONE
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
secondo Mosse «va dalla formazione dei villaggi e delle città, alla
geografia e demografia del popolo tedesco e si conclude con un
esame della politica e della Chiesa. Ciò che tiene insieme tutti
questi aspetti sono gli antichi costumi del popolo, la cui vera
validità si manifestò durante lo splendido medioevo»71. Riehl dunque fu il fondatore della Heimatkunde, «termine che non significa semplicemente educazione civica, ma studio approfondito del
proprio paese natale che ha come oggetto un’unità rappresentata dalla persistenza di tradizioni remotissime»72. È questa la tradizione a cui faceva riferimento Wopfner e che condizionò
profondamente il suo concetto di storia. Anche dopo aver ottenuto la cattedra universitaria infatti continuò a mantenere stretti
rapporti con il mondo rurale, partecipando attivamente alle iniziative delle associazioni dei contadini73. Nulla poteva esser più
lontano dall’elitarismo fickeriano.
Wopfner era quindi un personaggio nuovo nel panorama storiografico tirolese. In lui convivevano spunti provenienti dalla
Kulturgeschichte di Lamprecht, assieme alle più tradizionali
istanze storico-giuridiche e a un’accettazione della Heimatkunde.
Con Wopfner per la prima volta “storia accademica” e “storia
popolare” si trovarono faccia a faccia. I frutti di questo incontro
divennero evidenti nel primo dopoguerra.
Nuovi fermenti storiografici negli anni appena precedenti alla
Grande Guerra non vennero solo dagli storici più giovani operanti a Innsbruck. Nel 1912 Alois Deutschmann, un sacerdote
tirolese, discusse all’Università di Berlino una tesi sull’origine del
ceto contadino nel Tirolo medievale74. Egli per la prima volta,
utilizzando le fonti pubblicate negli anni precedenti da Oswald
Redlich, cercò di ricostruire i diversi aspetti della società tirolese
DELLA MEDIEVISTICA TIROLESE
tra i secoli VIII e XIII facendo riferimento soprattutto agli studi di
Meitzen75. Deutschmann infatti interpretò i dati di cui disponeva
attraverso la lente della Siedlungsgeschichte, mettendo in rilievo
le peculiarità germaniche dell’insediamento avvenuto nell’alto
medioevo nelle valli del futuro Tirolo. I risultati di questa ricostruzione sono per diversi aspetti alquanto discutibili, ma se non
altro hanno il merito di aver impostato il tema della storia agraria
tirolese all’interno del contesto europeo. L’opera di Deutschmann
però rimase isolata e venne pressoché ignorata dagli storici dei
decenni successivi76. La sua impostazione di tipo kulturgeschichtlich, pur con tutti i suoi limiti, probabilmente a partire dal 1919 si
coniugava malamente con il nuovo paradigma dominante, basato
sull’assai più ristretta Heimatgeschichte; egli, enfatizzando le caratteristiche germaniche del mondo rurale tirolese, non considerava quelle peculiarità locali che invece vennero esaltate nel
primo dopoguerra a causa della nuova situazione politica.
Redlich, Voltelini e Wopfner: con questi tre storici il rinnovamento della medievistica attuato ad Innsbruck da Ficker, Huber,
Stumpf-Brentano, Inama Sternegg durante la seconda metà del
secolo XIX trovò finalmente un’applicazione anche alla storia del
Tirolo medievale, con l’edizione critica di importanti fonti e studi
monografici di grande rilevanza, che si inserirono degnamente
all’interno del dibattito storiografico tedesco di inizio secolo. Ma
mentre Redlich e Voltelini rimasero maggiormente legati alla
concezione della storia di tipo fickeriano, sia pure con nuove
aperture, Wopfner si avventurò anche all’interno di nuove suggestioni storiografiche non accademiche. Ambedue queste posi-
53 (ed. or. Toward the Final Solution. A History of European Racism, 1978).
Mosse si riferisce a W.H. RIEHL, Land und Leute, Stoccarda 1867, un’opera che
ebbe una grande influenza sui movimenti nazional-patriottici tedeschi. Per un
approfondimento di questi aspetti si veda anche MOSSE, Le origini culturali cit.,
p. 32.
75 Per un’introduzione ai concetti fondamentali della Siedlungsgeschichte d i
Meitzen cfr. P. CAMMAROSANO, Ambienti e popolazioni: problematica storica e
insegnamento scolastico, in «Quaderni Storici», n 74, anno XXV, fascicolo 2 (agosto 1990), pp. 511-521; G. SERGI, Un impero sperimentale nel medioevo dei localismi, in «Europa e regione», n 32, anno XVI (1° sem. 1991), pp. 31-45; W. RÖSENER,
Agrarwirtschaft, Agrarverfassung und ländliche Gesellschaft im Mittelalter,
Monaco 1992, p. 53.
71
MOSSE, Il razzismo cit., p. 53.
76
72
Ibidem.
A. D EUTSCHMANN , Zur Entstehung des Deutschtiroler Bauernstandes im
Mittelalter, Berlino 1912.
Una delle poche reazioni a mia conoscenza all’opera di Deutschmann fu
quella di Otto Stolz, storico di cui parleremo tra breve. Egli infatti nel suo Zur
Geschichte der Landwirtschaft in Tirol, in «TH», III vol., quad. 1/2 (1930), p. 94
ne diede un giudizio piuttosto negativo poiché ritenne che l’opera di
Deutschmann non rispettasse sempre le fonti – cosa del tutto corrispondente al
vero – e non aggiungesse nulla a quanto già osservato da Wopfner. Lo stesso
Stolz però ammise come Deutschmann, rispetto a Wopfner, avesse valorizzato
molto di più i Libri traditionum di Bressanone, aspetto questo non di secondaria
importanza.
38
39
73
Cfr. RIEDMANN, Geschichtsschreibung cit., pp. 296-297. In questi anni egli continuò anche le sue ricerche d’archivio, scrivendo opere di un certo interesse
come H. WOPFNER, Beiträge zur Geschichte der älteren Markgenossenschaft,
Innsbruck 1912.
74
I . I L T IROLO
zioni furono presto messe in discussione dagli sconvolgimenti
della prima guerra mondiale e contribuirono alla nascita di un
nuovo paradigma storiografico.
5. La patria dimezzata. Il Tirolo dopo il 1918 e il nuovo ruolo
della medievistica
Quando nell’agosto del 1914 venne avviato il conflitto che si
sarebbe trasformato nella prima guerra mondiale, nelle principali
città europee accanto a manifestazioni di protesta vi furono anche diversi gruppi, composti soprattutto da giovani, che salutarono il nuovo, tragico evento con grande euforia77. Per molti
stava per iniziare un’avventura nuova che avrebbe dovuto significare la rifondazione della propria storia, della propria esistenza.
«Ciò che impressionava all’inizio della guerra era il senso di liberazione ad essa connesso»78, ricorda uno dei testimoni citati da
Eric Leed in un suo libro dedicato all’esperienza bellica e all’identità personale nella prima guerra mondiale, nel quale l’autore
sostiene che «è impossibile sottovalutare l’intensità e la concretezza della percezione secondo cui l’intera società borghese
appartenesse ora al ciarpame lasciato dietro alle spalle, a quel
mondo di dilemmi e problemi di identità da cui la guerra aveva
liberato gli individui»79.
Gli sconvolgimenti legati alla guerra, visti in modo positivo o
negativo, impedivano ormai a chiunque di rimanere un semplice
spettatore. Ciò valeva soprattutto per gli storici, anche per i più
riottosi a confrontarsi con la società, chiamati spesso a giustificare
con le loro ricostruzioni i progetti espansionistici dei diversi paesi.
Il 1914 veramente cambiò tutto. La torre d’avorio dell’imperturbabile Geschichtsforschung venne abbandonata e molti storici si «arruolarono sul fronte pubblicistico» prendendo apertamente posizione80.
Oswald Redlich, che ormai era uno degli storici austriaci più
autorevoli, si schierò, ad esempio, con coloro che speravano in
77
Cfr. E.J. LEED, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella
prima guerra mondiale, Bologna 1985 (ed. or. No Man’s Land. Combat & Identity in World War I, Cambridge 1979).
78
I L T IROLO
MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
LEED, Terra di nessuno cit., p. 82.
79
LEED, Terra di nessuno cit., p. 83.
80
DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., p. 3.
40
D O P O IL
1918
una rigenerazione della monarchia asburgica, perché con la
guerra sarebbe stato possibile finalmente riportare a un’integrazione tutte le forze centrifughe del grande Impero81. Altri storici
più giovani, tra cui anche Hermann Wopfner, alle parole preferirono i fatti e si arruolarono nell’esercito.
L’esito della guerra, come si sa, non fu tuttavia la tanto desiderata rifondazione della monarchia asburgica, ma la sua soppressione e «la soppressione della monarchia danubiana fu percepita dagli storici come un evento devastante. Con essa si rompeva per la maggior parte di essi ogni sentimento di sicurezza
dal punto di vista spirituale, sociale, politico ed economico»82.
Oltrettutto il nuovo stato veniva percepito come qualcosa di artificiale, transitorio, privo di una propria identità. C’è una pagina
di Robert Musil che descrive perfettamente questa situazione: «Il
buon austriaco tentenna, indeciso tra due mucchi di fieno di Buridano. A destra la Federazione danubiana, a sinistra la Grande
Germania. Da vecchio loico, che i trattati di logica non si stancano di lodare, egli non si accontenta di soppesare il valore calori81 DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., p. 3. Dopo la guerra
Redlich ricoprì alcune delle cariche più prestigiose che potessero essere ottenute
da uno storico austriaco: nel 1918 venne nominato Obmann della commissione
storica dell’Accademia delle Scienze, che presiedette fino al 1942; ottenne anche
la carica di Archivbevollmächtiger della Repubblica Austriaca, che ricoprì sino al
1924 e, successivamente, di Leiter dello Haus-, Hof- und Staatsarchiv. Dal 1919
al 1938 fu presidente dell’Accademia delle Scienze. Tra il 1926 ed il 1930 assunse
la direzione dell’Institut für österreichische Geschichtsforschung, che ricoprì sino
al 1930. Quest’inserimento nell’establishment dell’Austria repubblicana potrebbe
indurre a ipotizzare un suo apprezzamento delle nuove istituzioni. Ma non fu
così. Il nuovo stato austriaco, a cui si giurava la lealtà, era più una creazione artificiale che una realtà nazionale con una propria autocoscienza. Non c’era un
nazionalismo austriaco, c’era un nazionalismo tedesco. Oswald Redlich appare
come un tipico rappresentante di questo sentire. Allo scoppio della guerra era
stato un begeisterer Patriot che sperava in una rinascita della monarchia, all’interno della quale il popolo tedesco avrebbe dovuto mantenere una posizione sempre prioritaria. La sua formazione culturale però lo spinse a separare maggiormente rispetto a Wopfner il campo della ricerca storica, in cui proseguì con la
sua impostazione anteguerra, dalla lotta politica, in cui si schierò apertamente
con il movimento liberale e con i sostenitori dell’Anschluss alla Germania. Anche
per quanto riguarda il Tirolo, egli non fu tra quelli che scelsero la storia come
strumento privilegiato di battaglia politica.
82
DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., p. 5. Questo il testo originale: «Die Auflösung der Donaumonarchie wurde daher von den Historikern als
verheerendes, grundstürzendes Ereignis empfunden. Mit ihr zerbrach für die
meisten jedes Sekuritätsgefühl in geistiger, sozialer, politischer und wirtschaftlicher Hinsicht».
41
I . I L T IROLO
co delle due qualità di fieno; non gli basta la semplice constatazione che quello del Reich è più energetico, anche se i primi
bocconi potrebbero essere indigesti per uno stomaco non troppo robusto. Il buon austriaco esamina il dilemma annusando l’aroma spirituale. Così il nostro austriaco scopre la cultura austriaca»83. Questo testo di Musil sembra ribadire quanto abbiamo
già visto anche nell’affermazione, richiamata precedentemente,
del personaggio di Joseph Roth; essa corrispondeva a un sentimento comune nell’Austria del tempo, un sentimento di non appartenenza nei confronti del nuovo stato e una continua tentazione nei confronti dell’Anschluss con la Germania84.
Il Tirolo in questo contesto viveva una situazione particolare:
era l’unica regione di etnia tedesca dell’ex-Impero austro-ungarico a essere stata inserita solo in parte nel nuovo stato. Questa lacerazione di un territorio le cui tradizioni di autonomia risalivano al secolo XIII fu sentita in modo estremamente drammatico
da tutta la sua popolazione. Non bisogna dimenticare che i territori perduti avevano al loro interno i nuclei storici attorno ai
quali si era formata l’antica contea: la sede vescovile di Bressanone e Castel Tirolo, presso Merano.
Durante e dopo il trattato di Saint Germain diversi storici tirolesi presero posizione contro la divisione della loro regione. Tra
i primi a esprimersi pubblicamente vi fu Hermann Wopfner per
il quale la sconfitta austriaca e la divisione del Tirolo fu un trauma anche a livello personale. Egli aprì una vera e propria guerra
pubblicistica contro le autorità che avevano intrapreso l’infausta
decisione perché riteneva che i Tirolesi non avessero avuto alcuna colpa dell’occupazione del loro territorio da parte di quello
che egli definì come Erbfeind, nemico ereditario85. A suo avviso
era «… dovere patriottico e nazionale contrastare l’aggressione e
l’annessione del Sudtirolo tedesco con le armi della scienza»86.
Egli scrisse anche un opuscolo che avrebbe dovuto far compren83 R. MUSIL, L’austriaco di Buridano, in Sulla stupidità e altri scritti, Milano
1986, p. 77.
84 Si veda a tal proposito G. BOTZ, Ideale e tentativi di Anschluss prima del
1938, in Il “Caso Austria” cit., pp. 3-23.
85
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MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., pp. 224-25.
86
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1918
dere a coloro che partecipavano ai trattati di pace di Parigi la
particolarità della storia della sua regione, richiamandosi al principio dell’autodeterminazione dei popoli87. Dopo questa iniziale
fiducia nei confronti di un ravvedimento internazionale, Wopfner si rese conto dell’irreversibilità delle scelte adottate a Saint
Germain e a partire dal 1919 iniziò a usare un linguaggio molto
nervoso e a manifestare tutte le sue preoccupazioni. Il Sudtirolo
gli apparve come una vittima sacrificale all’imperialismo. L’inserimento di parte del Tirolo nello stato italiano gli sembrava poi
particolarmente problematico poiché era convinto che il popolo
italiano non sarebbe stato assolutamente in grado di comprendere la cultura tirolese88.
Bersaglio centrale degli strali di Wopfner divenne da questo
momento in poi il presidente americano Wilson, der große
Schwätzer, il grande ciarlatano, vero traditore del principio di autodeterminazione89. Sarebbe molto interessante poter seguire nei
dettagli l’opera pubblicistica di Wopfner in questo periodo, ma ci
porterebbe troppo lontano. Ma dobbiamo ricordare che per mantener viva nella memoria il tragico destino del Tirolo, egli ritenne
necessario intensificare «das Wissen um das Unrecht an Südtirol»
(la conoscenza dell’ingiustizia patita dal Sudtirolo) da un lato attraverso interventi su riviste e giornali, dall’altro lato con la ripresa di studi storici che avrebbero dovuto dimostrare la germanicità
del popolo tirolese e della sua cultura sin dall’epoca altomedievale, in contrapposizione alle teorie, spesso volutamente provocatorie, sostenute negli stessi anni da ambienti italiani nazionalisti90. La ricerca storica si trasformava pertanto in uno strumento
per la lotta politica. È in questo quadro che Wopfner fondò la
87
W OPFNER, Die Einheit cit.
88
Cfr. DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., p. 225, in cui viene
richiamato un passo tratto da H. WOPFNER, Die Besiedlung des Landes, in SüdTirol. Land und Leute vom Brenner bis zur Salurner Klause, Berlino 1919, p. 57,
in cui lo storico tirolese afferma: «... perché l’Italiano, per la sua stessa natura più
profonda, non può avere alcuna comprensione del carattere nazionale tirolese»
(«... weil der Italiener seinem innersten Wesen nach dem tirolischen Volkstum
ohne jedes Verständnis gegenüber steht»).
89 Cfr. H. WOPFNER, Tirols Eroberung durch deutsche Arbeit, in «TH», n 1 (1921),
pp. 5-20.
H. WOPFNER, Die Einheit Tirols, in Die Einheit Tirols. Denkschrift des akademischen Senats der Universität Innsbruck, Innsbruck 19182, p. 4; questo il testo
originale: «... vaterländische und nationale Pflicht, der Vergewaltigung und
Annexion Deutsch-Südtirols durch Italien mit den Waffen der Wissenschaft entgegenzutreten…».
Si pensi p. es. a Ettore Tolomei e alla rivista «Archivio per l’Alto Adige», da
lui fondata nel 1906. Su Tolomei sono sempre di attualità le riflessioni di C.
GATTERER, In lotta contro Roma. Cittadini, minoranze e autonomie in Italia, Bolzano 1994 (ed. or. Im Kampf gegen Rom, Vienna 1968), pp. 243-248.
42
43
90
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rivista «Tiroler Heimat», il cui primo numero uscì nel 1921 a Innsbruck e il cui intento era soprattutto quello di far conoscere ai
«fratelli tedeschi» la tragedia del popolo tirolese.
La pubblicazione di questa rivista, a cui si affiancò ben presto
la bolzanina «Der Schlern», segnò una svolta decisiva nel modo
di intendere la storia, soprattutto la medievistica, rispetto all’epoca precedente. In apertura del primo numero, con il suo lungo
saggio dal titolo Tirols Eroberung durch deutsche Arbeit Wopfner
riesaminò tutta la storia del Tirolo medievale in base alla “lente”
del Deutschtum per dimostrare l’assoluta infondatezza delle pretese italiane sul Sudtirolo91. Per quanto la reazione di Wopfner
possa esser storicamente giustificata, essa portò a una pericolosa
sovrapposizione tra analisi storica e azione politica, in cui da un
lato veniva mantenuto l’asserto fickeriano dell’oggettività della
storia, dall’altro venivano utilizzati un metodo e un approccio
tutt’altro che fickeriani.
Qui vediamo come i vari piani della tradizione storiografica
precedente si intersecano anche in modo contraddittorio. Ritroviamo infatti sia il mantenimento della convinzione che la ricerca storica porti al “vero”, dimenticando completamente i problemi di tipo ermeneutico connessi al rapporto storico/documento,
sia una rottura totale con quella che era stata la posizione dominante fin dai tempi di Ficker, dal momento che si teorizza un
uso politico della storia.
Con questo suo articolo perciò Wopfner avviò un nuovo tipo
di ricerche, assolutamente assente prima della guerra, in cui l’indagine storica, soprattutto per il periodo medievale, venne trasformata spesso in un esercizio di dimostrazione di tesi precostituite. La medievistica tirolese in un colpo solo passò dalla torre
d’avorio alle barricate.
Per capire completamente l’ambito ideologico-culturale in cui
ora Wopfner si muoveva bisogna tenere presente anche un altro
suo articolo di epoca precedente, Tirol am Scheideweg, che pubblicò a metà novembre del 1918 nella «Neue Tiroler Stimme».
Qui, in base ad un’analisi storica, culturale e geografica, concludeva che tutto il Tirolo avrebbe dovuto chiedere l’annessione alla
Baviera ricordando che «… i nostri interessi economici e culturali
rimandano alla Baviera, da un punto di vista nazionale siamo più
vicini ai Bavaresi che a tutti gli altri popoli tedeschi»92. Egli ribadì
D O P O IL
1918
queste idee in un intervento apparso sul «Bayrischer Kurier» in
cui in polemica con le dichiarazioni di Kurt von Schuschnigg, di
cui oltre tutto era zio93, relative all’impossibilità di annessioni
separate alla Germania, dichiarò che l’unione del Tirolo all’Austria era da considerarsi come oggettivamente provvisoria e non
valida dal punto di vista costituzionale94.
Per quanto riguarda la metodologia, scopo principale di
Wopfner e del «Tiroler Heimat» era quello di fondare una
Heimatkunde tirolese, all’interno della quale avrebbero dovuto
essere assorbite anche le ricerche storiche95. Veniva così costituendosi un nuovo paradigma storiografico, in cui la storia diveniva un’ancilla di un progetto più ampio, che mirava a costituire
un profondo legame tra il passato e la lotta politica96. Che le posizioni di Wopfner non fossero isolate è testimoniato dagli articoli apparsi sul «Tiroler Heimat» a partire dal primo numero. Gli
autori che collaborarono più assiduamente alla rivista erano soprattutto medievisti: Heuberger, Voltelini, Stolz, Santifaller, Huter. Nei loro articoli appare evidente, sia pure in misura diversa,
l’accettazione del nuovo paradigma storiografico proposto da
Wopfner, anche se mai esso è espresso attraverso formulazioni
teoriche. Siccome alcuni degli studi apparsi su questa rivista tra
le due guerre rimangono ancor oggi fondamentali per chiunque
voglia avvicinarsi alla storia medievale del Tirolo, ritengo che sia
assolutamente necessario essere consapevoli dell’ambiente culturale nel quale furono elaborati.
La società in cui i medievisti tirolesi agivano era in continua
ebollizione. Come si sa all’interno della repubblica austriaca si
incontrarono e si scontrarono in questi anni movimenti politici
Bayern hin, national gesehen stehen wir den Bayern unter allen deutschen
Stämmen am nächsten».
93
Cfr. RIEDMANN, Geschichtsschreibung cit., p. 297.
94
RIEDMANN, Geschichtsschreibung cit., p. 231.
95
L’opera principale in cui Wopfner raccolse i frutti delle sue ricerche di quest’epoca fu H. WOPFNER, Bergbauernbuch. Von Arbeit und Leben des Tiroler
Bergbauern in Vergangenheit und Gegenwart, 3 voll., Innsbruck-Vienna-Monaco
1951-1960 (ora in fase di ristampa nalla collana Schlern-Schriften), un testo in cui
convivono intuizioni storiografiche che anticipano per alcuni versi le analisi della
«civiltà materiale» di Fernand Braudel con concetti legati alla Heimatkunde ottocentesca.
96
92 Cfr. DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., p. 230. Questo il testo
originale:«... unsere wirtschaftlichen und kulturellen Interessen weisen auf
Qui e in altri passi ho utilizzato il termine “paradigma” nella accezione chiarita da T.S. KUHN, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino 1969 e ricondotta all’analisi storica da C. GINZBURG, Spie. Radici di un paradigma indiziario,
in Miti emblemi spie. Morfologia e storia, Torino 1986, pp. 158-209.
44
45
91
W OPFNER, Tirols Eroberung cit.
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MEDIEVALE ALLO S P E C C H I O
di tipo diverso, portatori in alcuni casi di posizioni che si basavano sull’ideologia nazionalista e antisemita. Anche nella vita
universitaria numerosi e maggioritari furono i gruppi di studenti
che si schierarono apertamente sulle posizioni della destra più
estrema, trovando spesso un benevolo atteggiamento da parte
delle autorità universitarie. Di nuovo assistiamo a un totale cambiamento d’atteggiamento rispetto alla tradizione precedente.
Nel corso dell’Ottocento l’Università tirolese era spesso stata attaccata per le sue posizioni laiche e liberali. Ora invece in alcuni
casi si trovò schierata con i gruppi più conservatori, tollerando al
proprio interno l’attività della destra radicale e antisemita97.
Un episodio particolarmente significativo a tal proposito è
legato a una delle figure culturali più importanti dell’Austria, ma
probabilmente anche d’Europa, di questi anni: Karl Kraus. Questi era stato invitato a tenere una pubblica lettura della sua opera
Gli ultimi giorni dell’umanità dal Brenner-Kreis, un gruppo culturale di intellettuali e scrittori che si distingueva per la sua apertura di vedute. Ma la conferenza venne interrotta violentemente
da giovani delle due maggiori associazioni studentesche dell’epoca, quella tedesco-liberale e quella tedesco-cattolica, i quali
però non si limitarono a questo. Scrissero anche una sdegnata
lettera di protesta contro il professor Kastil, che si era apertamente schierato con Kraus. Ma ciò che è più grave, il senato accademico sottoscrisse questo documento, in cui assieme alle associazioni studentesche si rivolgeva con la massima indignazione contro l’intento «dell’ebreo Karl Kraus» di tenere una conferenza a Innsbruck, «al centro della regione tedesca del Tirolo»98.
Il professor Kastil rispose con una accorata difesa della propria
libertà e autonomia; ma la sua rimase una voce isolata.
È difficile non confrontare queste posizioni di grande chiarezza e coraggio con le connivenze aperte nei confronti dei movimenti nazionalisti e antisemiti professate ad esempio anche da
Wopfner, che si definì sempre un buon cattolico. Nel suo già
citato articolo Tirol am Scheideweg, imperniato sulla dimostrazione del rapporto privilegiato tra Tirolo e Baviera rispetto a quello
con Vienna, ad un certo punto affermò: «Vienna non è un centro
culturale per il Tirolo. La cultura di Vienna, poco chiara da un
punto di vista nazionale, fortemente dominata da elementi culturali slavi ed ebraici non corrisponde assolutamente allo spirito ti97 Cfr. H. WALSER, Die Geschichte der Innsbrucker Universität im politischen
Spannungsfeld der Ersten Republik, in «Skolast» cit., p. 10.
98
Ibidem.
46
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1918
rolese»99; la capitale austriaca veniva contrapposta a Monaco di
Baviera, dal rein deutscher Charakter. La “temperie culturale del
tempo” non può assolutamente giustificare affermazioni di questo tipo, posizioni che ebbero una loro ricaduta anche sull’analisi storiografica, a cui erano strettamente intrecciate. Ciò si verificò soprattutto negli anni Trenta e in particolare dopo l’ascesa al
potere di Hitler in Germania e l’Anschluß dell’Austria, quando
molti docenti dell’Università di Innsbruck non nascosero le loro
simpatie per il “nuovo ordine”. In quest’epoca, tra il 1938 e il
1942, divenne rettore un medievista, Harold Steinacker (18751965), il quale, benché non abbia scritto opere di estrema rilevanza per la storia del Tirolo medievale, ebbe tuttavia una notevole importanza sulla formazione culturale di alcuni nuovi giovani storici100. Con Steinacker giungiamo a uno dei nodi fondamentali, e più tragici, della medievistica tirolese, un nodo in
parte ancora non risolto. Infatti il tema del rapporto tra alcuni
storici operanti a Innsbruck e il nazismo per lungo tempo è rimasto una specie di tabù. Ad esempio Gerhard Oberkofler ricostruendo l’operato di Steinacker si limita a sottolineare come egli
99 DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., p. 233. Questo il testo originale: «... Wien ist kein Kulturzentrum für Tirol. Die national verschwommene,
von jüdischen und slawischen Kulturelementen stark beherrschte Kultur Wiens
entsprach niemals tirolischem Wesen».
100 Su Steinacker cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 122-132, il
quale significativamente non mette esplicitamente in evidenza i rapporti tra
Steinacker e il nazismo. Assai più critica invece è la ricostruzione fatta da
OBERKROME, Volksgeschichte cit., p. 74 sg. Steinacker era figlio di uno dei più
importanti esponenti del nazionalismo tedesco in Ungheria e mantenne sempre
una particolare attenzione al tema delle nazionalità, sia da un punto di vista culturale che da quello politico. Dopo gli studi ginnasiali a Jena, roccaforte della
cultura tedesca, e Budapest, frequentò l’Università interessandosi soprattutto alla
storia antica. Fu successivamente, nel periodo in cui frequentò l’Institut für österreichische Geschichtsforschung (1897-1899) che si avvicinò alla storia medievale,
in particolare all’analisi dei documenti papali. In questi anni seguì le lezioni di
Mühlbacher, Dopsch e Redlich, con il quale trovò una maggiore affinità. Successivamente a Roma, presso l’Istituto austriaco di studii storici, ebbe modo di
conoscere l’ormai anziano Theodor von Sickel. Poté quindi confrontarsi con il
meglio della medievistica austriaca di quegli anni. Anche Steinacker può essere
inserito dunque in quell’ambito che privilegiava la Geschichtsforschung rispetto
alla Geschichtsdarstellung, dal momento che si dedicò in gran parte a ricerche di
diplomatica e paleografia. Sui rapporti tra Steinacker e il nazismo si veda
Politisch zuverlässig. Rein arisch. Deutscher Wissenschaft verpflichtet. Die geisteswissenschaftliche Fakultät in Innsbruck 1938-45, numero monografico di
«Skolast», annata XXXIV (1990), n 1/2, p. 94 sg.
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abbia svolto le sue funzioni con «grande oggettività e senza
coercizioni personali» dando lustro all’Università101, dimenticando i molti docenti allontanati dall’Università stessa durante il suo
rettorato perché ritenuti non fidati politicamente o non rein arisch102. Di lui viene evidenziata la concezione rankiana della
storia, come se questa ricerca della “verità” potesse essere una
garanzia rispetto alle sue scelte politiche. Anche Franz Huter,
storico tuttora vivente e che negli anni Trenta fu assai vicino alle
posizioni di Steinacker, diede di lui un giudizio lusinghiero,
privo di ombre: «Steinacker fu un maestro toccato dalla grazia
divina, le sue formulazioni chiare e accurate linguisticamente
venivano proposte con slancio e insistenza. Dal punto di vista
dell’oggetto della ricerca prediligeva le nuove interpretazioni e la
loro costruzione attraverso ricchi richiami e riferimenti. Egli pretendeva e cercava di sviluppare nei suoi allievi senso critico,
comprensione dell’essenziale e ampiezza di orizzonti»103. Di
nuovo dunque, il passato di Steinacker è coperto dal più totale
silenzio. Ciò non fu assolutamente casuale. La formazione storica
volksgeschichtlich, con tutte le sue ambiguità nell’uso del concetto di popolo, trovò molti punti in comune con l’ideologia nazista; lo stesso uso della storia come mezzo per costruire un’identità di massa faceva parte del patrimonio culturale nazionalsocialista. Dunque non desta particolare meraviglia che alcuni
101 OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., p. 130. L’autore afferma infatti
che: «Steinacker führte sein Rektorat (bis Ende 1942) mit großer Sachlichkeit und
ohne persöhnlichen Zwang».
102 Sulla cosiddetta Säuberung attuata all’Università di Innsbruck durante il
periodo nazista cfr. M. HEIDER, M. RALSER, G. RATH, T. SORAPERRA, M. VERDORFER,
“Den Vollender der deutschen Einheit grüßt in tiefster Dankbarkeit die Deutsche
Alpenuniversität”, in «Skolast» cit., pp. 25-35.
103 Citato in OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., p. 132; questo il testo
originale: «Steinacker ist ein gottbegnadeter Lehrer gewesen, seine sprachlich
ausgefeilten und klaren Formulierungen wurden mit Schwung und Eindringlichkeit vorgetragen. Sachlich liebte er neue Auffassungen und den Einbau in größere Zusammenhänge. Kritischen Sinn, Erfassung des Wesentlichen und Weite des
Gesichtskreises verlangte und förderte er auch bei seinen Schülern». Gli stessi
rapporti di Huter con il nazismo non sono privi di ombre, nonostante egli neghi
qualsiasi adesione all’ideologia nazista. Si veda a tal proposito M. GEHLER, Zur
Kulturkommission des SS-“Ahnenerbes” in Südtirol 1940-43 und Geschichte des
“Tolomei-Archivs” 1943-45: Entgegnungen zu Franz Huters “Feststellungen”, in
«Geschichte und Gegenwart», XI anno, n 3 (settembre 1992), pp. 208-238, in cui
è riportata anche la difesa di Huter alle accuse di Gehler, secondo il quale avrebbe agito in piena sintonia con le autorità naziste nell’ambito della commissione
delle SS per la Ahnenerbe.
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dei principali storici che operarono a Innsbruck e si erano formati in questo humus culturale non ebbero particolari remore
nell’avvicinarsi al progetto politico hitleriano o a non combatterlo e ostacolarlo apertamente. Ma ciò che è più grave – oltre
naturalmente alla mancanza di un reale ripensamento a livello
personale104 – le opere storiche scritte spesso a partire da questi
presupposti, vennero ammantate dalla “oggettività” di tradizione
fickeriana o rankiana.
Si pensi ad esempio ai presupposti culturali di molte opere di
due delle figure di punta della storiografia tirolese di quest’epoca, Otto Stolz (1881-1957)105 e Franz Huter (1899)106, esponenti
di una nuova generazione di storici che, sulle orme di Wopfner,
dedicarono gran parte delle loro ricerche alla Heimatgeschichte.
Stolz studiò a Innsbruck e Vienna, venendo in contatto con
Ottenthal, Voltelini e Redlich; già l’argomento della sua dissertazione, dedicata ai dazi e alle dogane nel Tirolo medievale, metteva in evidenza i suoi principali interessi: la storia del Tirolo
medievale analizzata soprattutto dal punto di vista giuridico ed
economico107. Difatti Stolz fu colui che maggiormente, assieme a
Wopfner, ha cercato di introdurre nuovi temi e ambiti d’indagine
nelle ricerche dedicate a quella che oggi si potrebbe definire la
società materiale tirolese dall’epoca medievale in poi, prefigurando per certi aspetti un approccio di tipo braudeliano, che pri-
104 Ciò vale almeno per quel che riguarda le prese di posizioni pubbliche. Il
problema della rimozione del passato nazista come si sa coinvolse tutta la società tedesca del secondo dopoguerra. Si vedano a tal proposito i saggi raccolti in Il
“caso Austria” cit., e in Germania: un passato che non passa. I crimini nazisti e
l’identità tedesca, a cura di G.E. Rusconi, Torino 1987, oltre altre considerazioni
di K.F. WERNER, Das NS-Geschichtsbild und die deutsche Geschichtswissenschaft;
Stoccarda-Berlino-Colonia-Magonza 1967. Sulla compromissione di alcuni intellettuali tirolesi con il nazismo si veda M. GEHLER, Der Hitler-Mythos in den “nationalen” Eliten Tirols, dargestellt an Hand ausgewählter Biographien am Beispiel
der Südtirolfrage und Umsiedlung, in «Geschichte und Gegenwart», 9 (1990), p.
287 sg.
105 Per i dati biografici cfr. OBERKOFLER, Geschichtliche Fächer cit., pp. 142-47; si
veda inoltre anche DACHS, Österreichische Geschichtswissenschaft cit., pp. 236239 e l’autoritratto apparso in Österreichische Geschichtswissenschaft der Gegenwart cit., pp. 89-118.
106 Sull’apporto di Huter alla storiografia tirolese cfr. il bilancio riportato in N.
GRASS, Franz Huter und die Geschichte Tirols. Zum 75. Geburtstag des Historikers, in «Der Schlern», n 10 (1974), pp. 491-498.
107 O. STOLZ, Das mittelalterliche Zollwesen Tirols bis zur Erwerbung des Landes
durch die Herzöge von Österreich (1363), in «AÖG», n 97 (1909), pp. 539-806.
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vilegia la longue durée. Ma anche lui, forse ancora con maggior
radicalità di Wopfner, intese la ricerca storica anche come mezzo
per attestare la tradizione etnica della popolazione tirolese, in
risposta a quanto veniva fatto negli stessi anni da parte di autorità e studiosi fascisti108. In tal modo nelle sue ricerche convivono aspetti di grande interesse, storicamente all’avanguardia, e
concetti astorici, ideologicamente orientati, come si può vedere
già dal titolo di una delle sue opere maggiori, Die Ausbreitung
des Deutschtums in Südtirol im Lichte der Urkunden109, chiaro
esempio di un’opera a tesi precostituita, volta a contrastare le
ipotesi, del resto prive di fondamento, di una “latinità” del territorio a sud del Brennero110. Ora non è possibile seguire la
vastissima produzione di Stolz, la quale il più delle volte ebbe
un’impostazione diacronica, tesa a dimostrare le continuità a scapito delle rotture o delle diversità111. D’altra parte bisogna ricordare che egli influenzò profondamente sia con la sua produzione scientifica sia con quella pubblicistica la cultura tirolese, al di
là della cerchia degli storici specialisti. Un discorso analogo può
esser fatto anche per Franz Huter, con il quale nuovamente ci
troviamo di fronte a ricerche in cui convivono innovazione sto108 Non bisogna mai dimenticare il contesto storico in cui avvenne la produzio-
ne storiografica degli anni Venti e Trenta, quando nel Sudtirolo, ribatezzato Alto
Adige, il fascismo avviò un’opera di snazionalizzazione di estrema violenza e
brutalità.
109 O. STOLZ, Die Ausbreitung des Deutschtums in Südtirol im Lichte der Ur-
kunden, 4 (5) voll., Monaco-Berlino 1927-34. Tra le altre opere di Stolz va ricordata ID., Geschichte des Landes Tirol, 1 vol., Innsbruck-Vienna-Monaco 1955,
primo e unico volume di una storia generale del Tirolo che, pur non essendo
mai stata completata, ha avuto una grande importanza sulla formazione della
cultura storica di generazioni di Tirolesi.
110 Tali tesi vennero sostenute soprattutto dagli storici e dai glottologi e filologi
che ruotavano attorno alla rivista «Archivio per l’Alto Adige» del roveretano Ettore
Tolomei. Sulla cosiddetta “questione altoatesina” e sul dibattito di questi anni si
veda ora U. CORSINI, La “questione altoatesina” nella pubblicistica e nella storiografia, in Bibliografia della questione altoatesina. Bibliografia delle bibliografie.
Bibliografia della toponomastica, a cura di G. Delle Donne, vol. 1, Milano 1994,
pp. 21-63.
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riografica e “ideologizzazione”; ciò è particolarmente evidente in
una delle sue opere principali, il Tiroler Urkundenbuch, una raccolta dei documenti d’età medievale relativi al Tirolo, di cui è
assai interessante seguire la genesi, perché permette di cogliere
pienamente lo scarto tra il paradigma storiografico imperante
prima e dopo la grande guerra112.
Nei primi anni del nostro secolo su proposta di Redlich, Ottenthal e Voltelini venne costituita all’interno del Landesmuseum
Ferdinandeum di Innsbruck una commissione storica che progettò la pubblicazione di documenti singoli del Tirolo fino al
1253 – anno della morte di Alberto III di Tirolo – emessi o registrati dalle cancellerie dei vescovi di Bressanone e Trento.
Avrebbe dovuto essere quindi una raccolta completa della documentazione del Tirolo medievale, allora non ancora pubblicata
nella sua interezza in edizioni critiche di alto livello. Il progetto
però non venne mai attuato a causa degli sconvolgimenti causati
dalla prima guerra mondiale. Nel 1926, quando riprese l’attività
della commissione storica, il vecchio progetto venne rispolverato, ma le mutate condizioni politiche influenzarono in modo
determinante la fisionomia della raccolta. Infatti al posto dell’ordinamento dei documenti per cancellerie si preferì seguire un
criterio di tipo territoriale. L’area della Contea del Tirolo per il
periodo precedente al 1253 venne suddivisa in alcuni distretti
ritenuti omogenei per i quali si cercò di raccogliere tutta la
documentazione ad essi relativa, senza differenziare in base
all’ente emissore o ricevente. In questo modo nacque il Tiroler
Urkundenbuch che venne affidato alla cura dell’allora giovane
Franz Huter. Il primo volume venne dedicato al deutsches
Etschland, ovvero all’area che dalla chiusa di Salorno si estende
a nord verso Bolzano, Merano e la Val Venosta fino alle sorgenti
dell’Adige. La scelta di questa parte di territorio fu dovuta al
fatto che essa, come ci ricorda Stolz nell’introduzione al primo
volume, pubblicato nel 1937, era stata il nucleo della Contea del
Tirolo e anche – e qui è importante riportare l’espressione tedesca, pressoché intraducibile in italiano – «Hauptstück des ge-
Geschichte der Landwirtschaft in Tirol, in «TH», n 3 (1930), pp. 93-139; ID., Politisch-historische Landesbeschreibung von Südtirol, 2 voll., Innsbruck 1937-39 (=
SS, n 40); ID., Rechtsgeschichte des Bauernstandes und der Landwirtschaft in
Tirol und Vorarlberg, Bolzano 1949; ID., Geschichte des Zollwesens, Verkehrs und
Handels in Tirol und Vorarlberg von den Anfängen bis ins XX. Jahrhundert,
Innsbruck 1953 (= SS, n 108).
112 TUB cit.; tra i vari studi di Huter dedicati all’epoca medievale possiamo ricordare: F. HUTER, Mit Papsturkunden gegen Vogt und Bischof. Aus der älteren
Klostergeschichte von Marienberg-Schuls, in «Zeitschrift für Schweizerische Geschichte», n 40 (1950), pp. 497-529; ID., Siedlungsleistung und Grundherrschaft
von Innichen, in «Der Schlern», n 45 (1971), pp. 475-485; ID., Deutsche Sachwörter in Südtiroler Urkunden vor der Mitte des 13. Jahrhunderts, in Festschrift
Moriz Enzinger, Innsbruck 1953, pp. 63-70 (= SS, n 104); ID., Das Urkundenwesen Deutschtirols vor dem Jahre 1200, in «TH», n 7/8 (1934-35), pp. 183-213.
50
51
111 Si vedano come esempio, oltre alle opere citate in nota 109, O. STOLZ, Zur
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schlossenen Südrandes des deutschen Volks- und Kulturbodens»113. Questa raccolta quindi avrebbe dovuto fornire i documenti più antichi sulla penetrazione e il pieno dominio dell’insediamento germanico in questa particolare regione114. Il secondo
volume avrebbe dovuto esser dedicato alle valli d’Isarco, Pusteria e Inn assieme alla diocesi di Bressanone, area in cui i documenti corrispondono alla tipologia del Siegelurkund di tradizione germanica, e il terzo volume avrebbe dovuto riguardare tutta
la Contea del Tirolo dopo il 1253.
Senza nulla togliere al valore del lavoro di Huter e alla sua
encomiabile opera di ricerca, possiamo vedere come sia nell’impianto di base di quest’opera sia negli intenti programmatici ci sia
una matrice ben diversa rispetto a quella che aveva animato precedenti edizioni di fonti come gli Acta Tirolensia. La scelta territoriale di Huter e Stolz partiva da un presupposto non dimostrato di
continuità culturale all’interno di precise aree. Venivano proiettati
nel passato i confini della futura Contea del Tirolo senza tener
conto di aggregazioni territoriali precedenti e dando per scontata
l’omogeneità e l’unità di questo territorio fin dall’alto medioevo115.
In tal modo veniva offerto al ricercatore uno strumento che, pur
essendo rigoroso dal punto di vista filologico, portava a una
deformazione prospettica, isolando completamente il Tirolo dal
contesto circostante, quasi fosse un a priori immutabile. Tale scelta storiografica era fortemente condizionata dalle battaglie politiche e ideologiche in cui Stolz e Huter in questi anni erano coinvolti. Non bisogna dimenticare, per esempio, che Huter ebbe un
ruolo non secondario tra il 1943 e il 1945 nell’ambito della commissione culturale della SS Ahnenerbe, un’organizzazione formata
nel 1939 per esplorare la «sfera, lo spirito, i fatti e il patrimonio
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della razza indoeuropea nordica»116. Huter, che era responsabile
per il Tirolo con Friedrich Tessmann della sottocommissione agli
archivi, ha replicato anche di recente in modo assai duro alle
accuse di adesione politica al nazionalsocialismo, affermando che
i suoi rapporti con la Ahnenerbe e il suo Leiter, l’SS-Standartenführer Wolfram Sievers, il quale dopo la guerra venne condannato per i suoi crimini da un tribunale americano e giustiziato nel
1948, furono di tipo professionale, a causa del suo incarico di
Archivreferenten, e vanno collocati nel drammatico contesto delle
opzioni avviate nel 1939. «Vom Ahnenerbe und seinen Aufgaben
wußte ich damals so gut wie nichts» («della Ahnenerbe e dei suoi
compiti allora non ne sapevo niente»), così egli dichiarò alcuni
anni or sono117. Anche ammettendo che ciò potesse esser possibile, l’atteggiamento di Huter ricorda quello stigmatizzato dallo storico della persecuzione ebraica Raul Hilberg a proposito di coloro
che egli definisce come spettatori dell’olocausto: «La grande maggioranza di coloro che vissero all’epoca della catastrofe ebraica
non furono né carnefici né vittime, anche se molti vedevano o
sapevano in parte che cosa stava succedendo. Quelli di loro che
vivevano nell’Europa hitleriana si sarebbero definiti, con poche
eccezioni, spettatori. Non erano “coinvolti”, non intendendo né
far del male alle vittime né esser presi di mira dai carnefici. Ma
non sempre la realtà era tanto semplice (...). Molto dipendeva
anche dalla personalità del singolo individuo, in particolare se si
trattava di una personalità eccezionale o fuori dal comune. Ci
furono spettatori che divennero a loro volta dei carnefici, o che
spesso approfittarono delle disgrazie degli ebrei per ricavarne un
vantaggio; ma ci fu anche chi aiutò i perseguitati»118.
Un altro medievista che operò a Innsbruck sempre negli stessi anni e che si compromise con il nazismo fu Richard Heuberger (1884-1968)119. Egli è un’altra figura emblematica della sua
116 Citazione dall’organigramma dell’Istituto, firmato da Himmler, tratta da R.
113 TUB cit., p. X.
114 Ibidem.
115 La scelta “territoriale” come criterio di raccolta di fonti fu dettata anche da
HILBERG, La distruzione degli Ebrei d’Europa, Torino 1995, II vol., p. 1014 (ed. or.
The Destruction of the European Jews, New York-Londra 1985). Per un primo
inquadramento dell’attività in Tirolo della Kulturkommission des SS-Ahnenerbes
cfr. C. HARTUNG VON HARTUNGEN, Le ricerche di storia locale in Alto Adige/SüdtirolTirolo. Dalle origini ai nostri giorni, in Ricerca e didattica della storia locale in
Alto Adige, a cura di G. Delle Donne, Trento 1996, pp. 73-74.
principi di praticità, sul modello di quando era stato fatto per altre regioni
austriache e sicuramente è assai comodo poter rinvenire in un unico testo tutti i
documenti che riguardano un territorio. Tuttavia ritengo che sia un criterio adottabile in particolare per regioni con una forte coerenza interna storica e istituzionale, mentre sia particolarmente fuorviante per realtà territoriali che hanno
assunto una loro omogeneità in epoca tarda, come il Tirolo. Sui criteri che stanno muovendo gli autori di una nuova edizione del TUB cfr. H. OBERMAIR, Edition
und vormoderne Gesellschaft. Arbeitsbericht zum “Tiroler Urkundenbuch”, in
«Storia e regione / Geschichte und Region», a. I, n 1 (1992), pp. 109-118.
117 F. HUTER, Neue Feststellungen, in «Geschichte und Gegenwart», XI anno, n 3
(sett. 1992), p. 236.
52
53
118 R. HILBERG, Carnefici, vittime, spettatori. La persecuzione degli ebrei 19331945, Milano 199, p. 5 (ed. or. Perpetrators, Victims, Bystanders, 1992).
119 Cfr. OBERKOFLER, Die geschichtlichen Fächer cit., pp. 138-142.
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generazione. Nato a Vienna, si formò culturalmente nelle università della capitale austriaca e di Innsbruck, dove venne seguito
nella sua dissertazione da Voltelini120. Tornato a Innsbruck dopo
un periodo di specializzazione presso l’Institut für österreichische Geschichtsforschung, iniziò a collaborare con la commissione storica del Museum Ferdinandeum, che gli commissionò l’elaborazione di quel Tiroler Urkundenbuch che, come abbiamo
visto, dopo la guerra venne assegnato a Franz Huter con una
nuova impostazione di base. Egli interruppe però bruscamente
la sua attività di ricerca arruolandosi volontario in guerra nel
1915 e proprio un episodio bellico segnerà duramente la sua
carriera successiva: infatti subì un incidente che gli fece perdere
gradualmente la vista. Ciò non gli impedì di proseguire nella
carriera accademica e nelle sue ricerche, condotte all’insegna del
motto rankiano del wie es eigentlich gewesen ist, un motto che rispettò forse più di altri suoi colleghi, riuscendo a separare maggiormente la ricerca dall’impegno politico e fornendo alcuni importanti contributi alla conoscenza del Tirolo medievale121. Egli
aderì al NSDAP e tale adesione gli costò un anno di sospensione
dall’insegnamento dopo la fine della guerra: poco da un punto
di vista politico e morale, molto rispetto all’assoluta impunità di
altri suoi compagni di strada.
Nel corso degli anni Venti e Trenta cambiò completamente il
paradigma dominante all’interno della storiografia tirolese e in
particolar modo della medievistica. Ad opera di storici come
Wopfner, Stolz e Huter furono prodotte ricerche di alto valore,
assai innovative metodologicamente, in cui però veniva fatto
largo uso di concetti o presupposti di tipo nazionalista, legati
alla cosiddetta Volksgeschichte, presentati come dati storici indiscutibili. Queste opere, dedicate per lo più alla storia rurale e
materiale del Tirolo, grazie ai loro contenuti ebbero una larga
diffusione anche al di fuori del mondo accademico sino a tempi
assai recenti. A ciò ha contribuito anche la particolare situazione
storica del Tirolo tra le due guerre e la mancanza di una seria
riflessione sull’adesione al nazismo di alcuni importanti storici,
o, comunque, su una loro fiacca resistenza al regime e all’ideo-
120 R. H EUBERGER , Die Verhandlung zwischen König Ruprecht und Herzog
Leopold IV. in der Romzugfrage. Von der Thronbesteigun König Ruprechts bis zur
Feldzug gegen Mailand, dissertazione rimasta inedita.
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logia hitleriana. Dopo il 1945 questo nuovo paradigma storiografico non venne messo in discussione né dagli storici accademici,
né da quelli “dilettanti”, tutti assai refrattari ad accogliere nuovi
temi o stimoli della ricerca provenienti dalla storiografia tedesca,
austriaca o di altri paesi europei122. In tal modo la produzione
storiografica del dopoguerra sul Tirolo sino circa agli anni Sessanta è diventata sempre più monotona e ripetitiva, ripiegata su
se stessa, se si escludono, naturalmente, alcuni casi isolati123. Il
primo ad uscire da questo torpore alimentato ormai da luoghi
comuni non fu uno storico ma un giornalista, Claus Gatterer che
con una sua ampia indagine sul rapporto tra minoranze e governo centrale in Italia dall’unità in poi per la prima volta ricontestualizzò le vicende del Tirolo all’interno di un orizzonte nuovo,
più vasto, che nulla aveva più a che vedere con i presupposti
ideologici della Volksgeschichte. Gatterer in tal modo indicò una
nuova strada, una via da percorrere non solo per gli storici contemporaneisti. Anche la storia medievale a partire dagli anni
Settanta incominciò ad aprirsi, sia pur molto prudentemente, a
nuove istanze, confrontandosi con un contesto storiografico più
vasto, ad opera in particolare di Josef Riedmann e della nuova
generazione di storici legati alla sua “scuola”124. Manca tuttavia,
122 Un esempio della scarsa permeabilità della storiografia tirolese a partire dagli
inizi degli anni Trenta è ben rappresentato dalla mancata recezione delle ricerche di Lucie Varga dedicate alla cultura popolare delle valli ladine e pubblicate
prima della seconda guerra mondiale nelle «Annales». Nessuno storico tirolese
degli ultimi cinquant’anni ha mai preso atto di questi lavori che affrontavano
temi contigui a quelli trattati da Wopfner o Stolz con un approccio estremamente
stimolante. Cfr. L. V ARGA , Dans une vallée du Vorarlberg: D’avant-hier à
aujourd’hui, in «Annales d’Histoire Économique et Sociale», n 37, anno VIII (gennaio 1936), pp. 1-20 e ID., Sorcellerie d’hier. Enquête dans une vallée ladine, in
«Annales d’histoire sociale», n 1 (1939), pp. 121-132. Ambedue i saggi sono stati
pubblicati in traduzione tedesca in ID., Zeitenwende. Mentalitätshistorische
Studien 1936-1939, a cura di P. Schöttler, Francoforte sul Meno 1990.
123 Tra gli studi pubblicati nel dopoguerra sul Tirolo medievale vanno ricordati
quelli di Hermann Wiesflecker, in particolare H. WIESFLECKER, Meinhard der
Zweite. Tirol, Kärnten und ihre Nachbarländer am Ende des 13. Jahrhunderts,
Innsbruck 1955 (= SS, n 124), riedito nel 1995 in occasione della mostra dedicata
a Mainardo II e il suo tempo.
124 Fra le molte opere e saggi di Riedmann ricordiamo in particolare J.
Urkundenlehre für Deutschland und Italien, Berlino 1921 e ID., Rätien in
Altertum und Frühmittelalter, Innsbruck 1932 (= SS, n 32).
RIEDMANN, Die Beziehungen der Grafen und Landesfürsten von Tirol zu Italien
bis zum Jahre 1335, Vienna 1977 e ID., Mittelalter, in Geschichte des Landes
Tirol, vol. 1, Bolzano-Innsbruck-Vienna 19902 , pp. 291-698. All’interno della
nuova generazione di medievisti che si sono dedicati alla storia del Tirolo possiamo richiamare in particolare Klaus Brandstätter, Erika Kustatscher, Hannes
54
55
121 Tra le sue opere si possono ricordare in particolare R. HEUBERGER, Allgemeine
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al momento, una profonda riflessione storiografica su quella che
è stata nel passato la ricostruzione della storia del medioevo tirolese, una riflessione essenziale per affinare gli strumenti d’indagine e per liberarsi da pericolosi specchi deformanti. Attraverso
la trattazione svolta in questo capitolo e i richiami al dibattito
storiografico sui singoli temi affrontati presenti nei capitoli successivi mi sono proposto di dare un contributo a tal fine.
L’antichista Christian Meier in un suo breve testo dedicato al
“mondo della storia” richiama un aneddoto assai interessante125:
«nella seconda guerra mondiale circolava una storiella circa un
uomo che entrò in una cartoleria e chiese un mappamondo.
Dopo averlo lungamente girato con perplessità, il commesso gli
chiese cosa cercava. Egli rispose: “La Germania!”. E quando gli
venne indicata la macchia blu nel mezzo dell’Europa, espresse
prima la sua meraviglia sulla sua piccolezza, per chiedere poi se
il Führer lo sapeva». Concludendo questa breve narrazione Meier
auspicava che nessuno potesse rivolgere la stessa domanda agli
storici sulla Germania Federale, sottintendendo con questo come
ogni analisi storica locale o nazionale non debba mai essere
localistica e nazionalistica. Un medesimo auspicio lo si può
rivolgere anche per quel che riguarda il Tirolo.
Obermair, Gustav Pfeifer. Bisogna ricordare, infine, il revival medievale che ha
investito tutto il Tirolo nel 1995, con le celebrazioni del settecentesimo anniversario della morte di Mainardo II, un’occasione che ha permesso di divulgare
anche al grande pubblico, sia pure con qualche contraddizione, il frutto delle
ricerche più recenti. Si veda a tal proposito il catalogo della mostra storica allestita a Castel Tirolo, Il sogno di un principe. Mainardo II – La nascita del Tirolo,
Innsbruck 1995.
125 C. MEIER, Il mondo della storia, Bologna 1991, pp. 41-42 (ed. or. Die Welt der
Geschichte und die Provinz des Historikers. Drei Überlegungen, Berlino 1989)
56
II
Le fonti
1. Dal territorio alle fonti
Carlrichard Brühl in una sua opera dedicata alle origini di
Francia e Germania fece notare come sia problematico usare i
concetti di “tedesco” e “francese” per età in cui, come nel Medioevo, «non si può nemmeno parlare dell’esistenza di uno stato
tedesco o francese»1.
Quest’osservazione risulta particolarmente valida per l’area al
centro della mia ricerca, in cui fino al secolo XI sono presenti
realtà istituzionali ed etniche con caratteristiche particolari, sicuramente non omologabili a quelle di epoca successiva. Gran
parte della storiografia dedicata a questi territori in età medievale
invece, come si è potuto vedere, tende a proiettare nel passato
un’astratta idea di Land Tirol, quasi fosse un a priori non sviluppatosi storicamente2. Queste ricerche per lo più partono da un
quadro storico-geografico precostituito, all’interno del quale
ordinano e inseriscono le fonti storiche a esso pertinenti, conformemente alla tradizione della Landesgeschichte. Come esempio
di un simile modo di procedere mi sembra utile richiamare le
riflessioni di Otto Stolz, data la loro importanza all’interno della
1
C. BRÜHL, Deutschland-Frankreich. Die Geburt zweier Völker, Colonia-Vienna
1990, p. 16; questo il testo originale: «von der Existenz eines deutschen oder
französischen Staats nicht einmal im Ansatz die Rede sein kann». Sull’evoluzione
storica del concetto di nazione vi è una bibliografia assai vasta, non sempre però
attenta all’epoca medievale. Costituisce un’eccezione in questo contesto H.
SCHULZE, Aquile e leoni. Stato e nazione in Europa, Roma-Bari 1995, le cui considerazioni integrano assai bene quelle di Brühl.
2
Non a caso anche la più recente e già citata sintesi di storia del Tirolo, a cura
di Josef Fontana e altri, è intitolata Geschichte des Landes Tirol, e proietta sino
alla preistoria i confini del cosiddetto “Tirolo storico”.
57
II. LE
FONTI
cultura storica tirolese. Egli nella sua Geschichte des Landes Tirol
presenta una Begriffsgeschichte dei concetti fondamentali che
stanno alla base della sua ricostruzione storica. In modo chiaro
definisce che cosa intenda con termini e locuzioni quali Volk,
Land, Gebiet, Land und Leute, tirolische Nation, Vaterland, Heimat, Siedlung3. Per esempio, Land per Stolz indica «un ambito
territoriale che appartiene per lungo tempo esclusivamente a un
popolo dal punto di vista economico e politico»4. Si pone in tal
modo una stretta connessione tra terra, popolo e dominio politico, che viene espressa con la locuzione Land und Herrschaft,
binomio indissolubile. Infatti Stolz ritiene che «es gibt kein Land
ohne Herrschaft und keine Herrschaft ohne Land»5. Appare evidente come una simile definizione di Land si discosti polemicamente da quella di Otto Brunner, che non a caso nel suo Terra
e potere critica duramente lo storico tirolese6. Per Brunner, come
è noto, con Land si intende un territorio dal diritto unitario,
mentre con Herrschaft si sottolinea il possesso del potere da
parte di un signore su un territorio, al di là dell’esistenza di uno
ius terrae unico. Ma secondo Stolz il rapporto terra/potere non
deve nascondere quello, fondante per la stessa nozione di potere, tra terra e popolo7. Land è la terra di un popolo. Otto Stolz
D AL
TERRITORIO ALLE FONTI
infatti era convinto, al contrario di Brühl e in accordo con gran
parte della medievistica tedesca del tempo, che si potesse parlare di “un” popolo tedesco già a partire dall’epoca tardo romana.
Ecco che dunque a suo avviso a partire dal secolo VIII circa il
7
Per quanto riguarda il significato storico di Volk, dopo una breve digressione
relativa ai concetti di demos e politeia nel mondo antico, Stolz afferma che nelle
lingue germaniche esso viene usato «für eine dauernd zusammengehörige
Menschengruppe sowohl in stammlicher und natürlicher wie in politischer
Hinsicht» («per un gruppo di uomini omogeneo nel tempo sia dal punto di vista
delle origini sia dal punto di vista naturale e politico»). Sottolinea poi come nella
legge dei Bavari, valida a suo avviso tra i secoli VIII e X in gran parte del territorio tra il Brennero e la Val d’Adige, vi sia una distinzione tra gens e populus e
ritiene che, anche se non espressamente affermato, con populus, ovvero con
Volk, venga designata «die Gesamtheit der freien Stammesgenossen» («l’insieme
dei liberi appartenenti a un unico ceppo»). Quindi, pur nella consapevolezza del
significato a più sfaccettature del termine Volk, Stolz sceglie l’opzione etnica.
Anche Carlrichard Brühl in tempi recenti nel già citato Deutschland-Frankreich,
p. 243 sg., è tornato a interrogarsi sul significato storico dei termini gens, natio,
populus in epoca medievale e sulla loro traduzione da parte degli storici tedeschi
con Stamm o Volk. Egli ritiene che, per quanto riguarda le fonti tra i secoli IX e
X, sia pressoché impossibile dare un significato univoco a gens, natio e populus,
anche se, generalmente, populus il più delle volte viene usato in locuzioni come
cunctus populus, conventus populus, e molto raramente in connessione a nomi
di popolo, mentre sarebbe soprattutto gens a indicare un Volk; natio invece verrebbe usato nel significato di origine, non di popolo (p. es. «Emiliensis natione,
patria Bononiensi»). In ogni caso rimane il problema di indicare che cosa si
intendesse in epoca altomedievale per popolo. Giustamente, a mio avviso, Brühl
libera il campo da sovrapposizioni di significati di epoche differenti. Soprattutto
mostra in modo chiaro l’errata prospettiva di molti storici tedeschi che rappresentavano i Germani altomedievali come un unico Volk diviso in Stämme; egli
non condivide questa suddivisione, in quanto è convinto che allora non fosse
esistito un comune sentire tedesco, come non ve n’era uno francese o italiano.
Vi era invece un senso di appartenenza alla propria gens. Per rendere in tedesco
gens, Brühl sceglie il termine Volk, inteso come identità di gruppo, percepita più
in senso negativo, come diversità da, che in senso positivo; egli rifiuta invece il
termine Stamm, che implica un collegamento a una identità collettiva più vasta.
È chiara la differenza prospettica con Stolz, che usa Volk sia per designare in
generale i Germani, sia come sinonimo per Stämme. Risulta evidente come questa scelta terminologica implichi un approccio totalmente diverso al tema delle
“nazionalità” medievali. In lingua italiana è difficile riprodurre la distinzione tra
Volk e Stamm. Essa potrebbe esser resa approssimativamente con “popolo” e
“tribù”. Affermare che Longobardi, Bavari, Franchi non siano stati tribù di un
unico popolo, ma popoli con elementi culturali comuni può apparire per la
nostra cultura storica quasi banale; non lo è invece per quelle culture che nell’epoca altomedievale ricercano le radici delle proprie attuali nazioni. Essere consapevoli, come Brühl, che le etnie sono frutto di un continuo processo storico; che
è lo stato moderno ad aver creato le nazioni contemporanee e non sono state le
nazioni a creare regioni e stati è un’indicazione che permette di fare piazza pulita di tutta una serie di ambiguità. Nella mia ricostruzione storica ho cercato di
attenermi a queste riflessioni, particolarmente utili per una zona come il Tirolo.
Sul tema delle “nazioni” in età premoderna possono essere assai utili i testi raccolti nella serie «Nationes», ad alcuni dei quali faremo riferimento nell’analisi successiva. Sulla formazione degli stati/nazioni sono importanti, anche da un punto
di vista metodologico, le indicazioni presenti nei vari saggi raccolti in C. TILLY,
La formazione degli stati nazionali nell’Europa occidentale, Bologna 1984 (ed.
or., Princeton 1975), nel più recente SCHULZE, Aquile e leoni cit., e, per l’area
tedesca, J. EHLERS, Die Entstehung des deutschen Reiches, Monaco 1994.
58
59
3
Cfr. O. STOLZ, Geschichte des Landes Tirol, Innsbruck-Vienna-Monaco 1955,
vol. I, pp. 215-222 e 315-319.
4
STOLZ, Geschichte des Landes Tirol cit., p. 215. Questo il testo originale di
Stolz, da me riportato in traduzione: «Das in allen germanischen Sprachen
vorkommende Wort Land bedeutet ein Gebiet, das einem Volksstamme wirtschaftlich und politisch dauernd und geschlossen zugehört».
5
Ibidem («non c’è terra senza potere così come non c’è potere senza terra»).
6
O. BRUNNER, Terra e potere. Strutture pre-statuali e pre-moderne nella storia
costituzionale dell’Austria medievale, Milano 1983, p. 252 (ed. or. Land und
Herrschaft. Grundfragen der territorialen Verfassungsgeschichte Österreichs im
Mittelalter, Vienna 1965, 5a ed.). Sui temi qui trattati si veda in particolare il capitolo III, p. 231 sg.
II. LE
D ALLE
FONTI
futuro Tirolo, all’interno del quale si trovavano Franchi, Longobardi e Bavari, poteva già considerarsi omogeneo etnicamente.
Da questo momento sarebbero state poste le basi di un Land,
che giungerà a compimento quando, attorno alla metà del secolo XIII, i conti del Tirolo stabiliranno la loro Herrschaft su tutto il
territorio tra Adige e Val Pusteria. Il periodo precedente appare
come una fase preparatoria, che pone le radici della “nazione
tirolese”. Il territorio in cui avvenne questo processo pur non
essendo compiutamente il Land Tirol, lo prefigurerebbe. Esso in
ogni caso viene assunto come palcoscenico dai confini ben delimitati anche per le ricerche storiche altomedievali. In tal modo
ciò che viene ricostruito appare attraverso una lente deformante,
che sovrappone realtà e istituzioni di epoche differenti.
2. Dalle fonti al territorio
2.1 Fonti e quadri regionali
«Non esistono dei quadri regionali già dati di cui lo storico
possa accontentarsi. A seconda dei quesiti che si pone dovrà
costruire lui stesso la sua regione»8. Queste indicazioni di Marc
Bloch contenute in una sua monografia giovanile dedicata all’Ile
de France pongono in modo chiaro degli elementi fondamentali
per chiunque voglia dedicarsi alla storia regionale. Le aree geografico-politiche odierne infatti per lo storico francese possono
servire come punto di orientamento, ma non devono mai divenire delle gabbie all’interno delle quali restringere l’ambito delle
proprie ricerche. Sono i problemi che lo storico si pone a determinare pertanto la “regione” dell’indagine. E questa regione non
si prefigura come un Land, ma come un’area che, rispetto al
quesito posto, ha una sua fisionomia autonoma. Siccome poi lo
storico può porsi dei quesiti solo attraverso il dialogo con le
fonti, esse vengono a giocare un ruolo fondamentale per la definizione del territorio della ricerca. In tal modo dunque non è
più il territorio a determinare le fonti, ma le fonti a determinare
8
M. BLOCH, L’Ile de France, 1913 (ora pubblicato in ID., Mélanges historiques,
Parigi 1963), passo citato in G. GEMELLI, Storia e scienze sociali: le “Annales”
nella cultura francese degli anni Trenta, in Il mondo contemporaneo, Firenze
1983, vol. X, Tomo 2, p. 714.
60
FONTI AL TERRITORIO
il territorio9. Questo metodo, pur non garantendo da possibili
travisamenti, permette di sgomberare il campo da concetti e
sovrastrutture estranei al mondo che si cerca di indagare. Esso
deve essere accompagnato da una consapevolezza dei diversi
tempi della storia, nel senso indicato da Braudel10, e dalla necessità di attuare una costante analisi terminologica, nel tentativo di
ricostruire gli ambiti semantici che un determinato termine ricopre in epoche diverse. Nella mia ricerca ho cercato di attenermi
a questi principi.
2.2 Quali fonti per la storia del “Tirolo” altomedievale?
Le istituzioni e la società di parte del territorio della futura
Contea del Tirolo possono essere ricostruite per il periodo precedente il secolo XII quasi esclusivamente attraverso fonti prodotte da enti pubblici o da enti ecclesiastici11. Si tratta soprattutto
di documenti imperiali, regi o papali, i più antichi dei quali risalgono ai secoli VIII e IX, oppure di donazioni, compravendite e
permute. In gran parte questo corpo documentario, quasi tutto
pubblicato, si riferisce alla sede vescovile di Sabiona-Bressanone, anche se non bisogna trascurare i documenti prodotti da enti
ecclesiastici bavaresi con interessi e proprietà a sud del Brennero12. Non possediamo invece per l’età altomedievale inventari di
9
In generale sul tema della storia regionale o locale cfr. La storia locale. Temi,
fonti e metodi della ricerca, a cura di C. Violante, Bologna 1982. Per una più approfondita analisi degli stimoli che si possono trarre dall’indicazione di Bloch mi
permetto di rimandare al mio La mobilità dei confini nel tempo, in «Geschichte
und Region / Storia e Regione», anno I, n 1 (1992), pp. 13-21.
10
I tempi della storia sono stati teorizzati in modo organico da Fernand
Braudel nel famoso saggio Storia e scienze sociali. La «lunga durata», apparso in
«Annales E. S. C.», n 4 (1958), pp. 725-53 (titolo originale: Histoire et sciences sociales. La longue durée), ora in F. BRAUDEL, Scritti sulla storia, Milano 1973, pp.
57-92.
11
Per una panoramica generale sulle fonti per la storia del Tirolo medievale si
veda L. SANTIFALLER, Über die schriftlich überlieferten Geschichtsquellen Tirols.
Von den Anfängen bis zur Mitte des 14. Jahrhunderts, in «TH», n 13/14 (1950),
pp. 119-142; ricco di considerazioni interessanti ma in alcuni casi inficiate da una
terminologia di ispirazione “nazionalista” è invece F. HUTER, Das Urkundenwesen
Deuschsüdtirols vor dem Jahre 1200, in «TH», n 7/8 (1934-35), pp. 183-213.
12 Il corpus documentario della sede vescovile di Sabiona-Bressanone è pubblicato in Die Urkunden der Brixner Hochstifts-Archive 845-1295, a cura di Leo
Santifaller, Innsbruck 1929 (= SS, n 15), da ora citato come UBHA, e Die
61
II. LE
FONTI
beni o polittici, mentre di una certa utilità per i primi secoli successivi alla caduta dell’impero romano possono risultare delle
fonti agiografiche o storico-narrative, come la vita del vescovo di
Trento, San Vigilio, e dei Santi Corbiniano e Severino, la passio
dei martiri Sisinnio, Martirio e Alessandro, e, infine, la Historia
Langobardorum di Paolo Diacono13.
Svolgendo la mia ricerca ho cercato di integrare fra di loro le
varie fonti, in modo tale da raccogliere il maggior numero possibile di informazioni e riscontri. Di fondamentale importanza si
sono rivelati in particolare i Libri traditionum della sede vescovile di Sabiona-Bressanone, che comprendono documenti essenziali per la ricostruzione della vita economica e sociale altomedievale nelle Alpi orientali, documenti che, pur editi da Oswald
Redlich già nel 1886, sono stati poco studiati da una medievistica incentrata, come abbiamo potuto vedere, soprattutto su aspetti politico-istituzionali o su avvenimenti successivi al secolo XII.
Data la centralità dei Libri traditionum per la mia indagine,
ritengo utile presentarli in modo più dettagliato.
3. I Libri traditionum di Sabiona-Bressanone
3.1 Libri traditionum e chartularia
Spesso in ambito storiografico possono nascere grossi equivoci dovuti a una definizione non chiara dei termini utilizzati; equivoci ancora maggiori si creano quando tradizioni particolari
danno vita a realtà difficilmente raffrontabili con quelle di altre
LIBRI
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S A B I O N A - B RESSANONE
aree linguistiche o culturali. Ciò può accadere anche per quanto
riguarda specifiche tipologie documentarie, come quella dei libri
traditionum di area germanica, avvicinabili ai chartularia con
cui spesso si confrontano storici italiani o francesi. Il chartularium, come si sa, è un codice al cui interno chiese ed enti ecclesiastici facevano trascrivere, di solito secondo un ordine topografico, il testo di pergamene che attestavano i loro diritti patrimoniali14. I libri traditionum si avvicinano parzialmente a questa
tipologia; il loro nome deriva dal latino tradere, dare, donare, un
nome che delimita e specifica il loro contenuto: in essi erano
riportati, anche in questo caso in copia, i documenti, le notitiae,
relativi all’attività economica di un ente ecclesiastico. Come disse
in modo chiaro Philippe Dollinger nell’introduzione della sua
importante monografia dedicata alla storia agraria della Baviera
medievale, essi erano concepiti come una «raccolta di documenti
e annotazioni relativi a un acquisto – notificato immediatamente
per iscritto oppure inserito successivamente in copia – di terra o
persone da parte di un ente ecclesiastico»15. L’ordine di questa
raccolta in genere era topografico, ma non sono rari i casi in cui
prevale invece un criterio cronologico, oppure, come nel caso
brissinese, s’è creata una sovrapposizione tra ordine topografico,
ordine cronologico e ordinamento per persone. I libri traditionum si diffusero soprattutto in Germania meridionale, dove sono
stati conservati sino ad oggi le sedi vecovili di Ratisbona, Eichstätt, Frisinga, Passau, Salisburgo e per numerosi monasteri.
14 Sui chartularia cfr. P. CAMMAROSANO, Italia medievale. Struttura e geografia
delle fonti scritte, Roma 1991, p. 23 e p. 65.
Cfr. Passio Vigili, in AA.SS., Iuni, VII, Parigi 1867; Passio Sisinii, Martyrii,
Alexandri, in AA.SS., Maii, VII, Parigi 1867; EUGIPPIUS, Das Leben des heiligen
Severin, a cura di R. Noll, Berlino 1963; Arbeonis episcopi Frisingensis vita Corbiniani episcopi, a cura di B. Krusch, in MG, SSrG in usum scholarum, Hannover
1920; PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum, in MG, SSrG in usum scholarum,
n 48, Hannover 1987 (=1878). Per l’area trentina il corpus documentario altomedievale è in parte raccolto in F. DELL’ORO, I. ROGGER, Monumenta Liturgica
Ecclesiae Tridentinae, vol. I, Trento 1983.
15 P. DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand vom 9. bis 13. Jahrhundert, Monaco 1982 (ed. or. L’évolution des classes rurales en Bavière depuis la fin de l’époque carolingienne jusq’au milieu du XIIIe siècle, Parigi 1949), p. 21. Questa la
definizione di Dollinger, nella traduzione tedesca: «Traditionsbücher (libri traditionum) nennt man die Sammlungen, in denen Urkunden und Aufzeichnungen
(Notizen) über Land- und Personenerwerb einer kirchlichen Grundherrschaft
unmittelbar niedergeschrieben oder in Abschrift nachträglich inseriert wurden».
Per un’analisi generale della tipologia documentaria a cui possono essere ricondotte traditiones e notitiae cfr. P. JOHANEK, Zur rechtlichen Funktion von Traditionsnotiz, Traditionsbuch und früher Siegelkunde, in Recht und Schrift im Mittelalter, a cura di P. Classen, Sigmaringen 1977, pp. 131-162 e H. DIENST, Regionalgeschichte und Gesellschaft im Hochmittelalter am Beispiel Österreichs, ViennaColonia 1990, pp. 105-128. Si vedano, inoltre, H. WANDERWITZ, Traditionsbücher
bayerischer Klöster und Stifter, in «Archiv für Diplomatik», n 24 (1978), pp. 359380 e M. BORGOLTE, Stiftergedenken in Kloster Dießen. Ein Beitrag zur Kritik
bayerischer Traditionsbücher, in «Frühmittelalterliche Studien», n 24 (1990), pp.
235-289.
62
63
Traditionsbücher des Hochstifts Brixen cit., da ora citato come TBHB. Per quanto
riguarda la documentazione bavarese sono particolarmente preziosi per la nostra
zona Die Traditionen des Hochstifts Freising, 2 voll., a cura di Theodor Bitterauf,
Monaco 1905-1909 (= Quellen und Erörterungen zur bayerischen und deutschen
Geschichte, nuova serie, voll. 4 e 5), citato da ora in poi come THF.
13
II. LE
FONTI
I documenti riportati nei libri traditionum non riguardano
però l’insieme del patrimonio di un ente ecclesiastico. Essi riproducono solo atti privati. Le donazioni ottenute tramite documenti
pubblici probabilmente non avevano bisogno di esser ricopiate
in quanto venivano conservati scrupolosamente i diplomi originali. Benché fossero copie di atti, possedevano ugualmente una
connotazione giuridica, emersa in modo chiaro soprattutto a partire dal secolo XII, che li connotava come veri “instrumenta publica”16. I libri traditionum sono pertanto una fonte assai problematica: essi sono il frutto di una scelta, una cernita svolta preventivamente dai rappresentanti dei diversi enti ecclesiastici, una
scelta avvenuta con criteri a noi spesso ignoti; inoltre è assai
complesso verificare l’autenticità di quanto riportato. Sono una
fonte, quindi, che richiede una particolare attenzione e per il cui
utilizzo possono essere utili alcune riflessioni metodologiche
proposte da Jacques Le Goff e Pierre Toubert.
Pierre Toubert in un suo recente saggio dedicato al rapporto
fra medievisti e fonti, riferendosi alla complessa stratificazione
dei “cartulari-cronache” ricordava come documenti di tal genere
«non sono accozzaglie, ma il raffinato prodotto di una cultura
dominante»17. Essi riflettono nella loro globalità un preciso progetto, comprensibile solo se lo storico cerca di analizzarli nel
loro insieme. In tal modo egli riprendeva delle osservazioni fatte
alcuni anni prima in un saggio programmatico scritto a quattro
mani con Jacques Le Goff, in cui i due storici francesi proponevano di sostituire le vecchie metafore di “giacimento documentario” o “miniera di informazioni” con la formula documento/monumento, nella convinzione che: «Il documento non è innocente.
È il risultato di un montaggio della storia e del momento, eseguito innanzi tutto dalla società che lo ha prodotto, ma anche dai
periodi successivi durante i quali ha continuato a vivere, foss’anche dimenticato, durante i quali ha continuato a essere manipolato, foss’anche dal silenzio... Compito dello storico è (...) in
primo luogo smontare, demolire il montaggio, destrutturare la
costruzione, analizzare le condizioni di produzione del documento/monumento»18. Queste considerazioni sono importanti
LIBRI
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per comprendere anche i Libri traditionum brissinesi, che ci
sono stati tramandati in due codici apparentemente caotici e i
cui documenti sono stati editi da Oswald Redlich in sequenza
cronologica, con intenti e presupposti diametralmente opposti
rispetto a quelli di Le Goff e Toubert.
3.2 L’edizione di Redlich: dal caos all’ordine?
Quando attorno agli anni Ottanta del secolo scorso Redlich,
su segnalazione di Alphons Huber ed Engelbert Mühlbacher, si
accinse all’edizione dei Libri traditionum dell’episcopio di Bressanone si trovò a dover percorrere una strada in gran parte inesplorata. Fino ad allora infatti in ambito tedesco era stata data
scarsa importanza nell’edizione delle fonti ai cosiddetti Privaturkunden, visti come una fonte di secondaria importanza rispetto
ai documenti pubblici, ben rappresentati dalla triade leges-diplomata-scriptores su cui si basava la struttura stessa dei Monumenta Germaniae Historica. Nonostante il fatto che Redlich all’epoca
fosse sicuramente uno dei maggiori conoscitori delle tipologie
documentarie private19, egli non ritenne necessario elaborare per
la pubblicazione dei Libri traditionum dei criteri specifici. Al
contrario, pensò di poter utilizzare anche in questo ambito, tranne che per alcuni aspetti marginali, i criteri guida dei Monumenta, come mette in evidenza il motto da lui richiamato nell’introduzione dell’edizione: «Im wesentlichen Einheit, im unwesentlichen Freiheit!»20. Redlich pertanto non considerò i Libri traditionum brissinesi come un documento di per sé, ma come un
insieme di singoli atti documentari. Ciò determinò il fatto che
nel pubblicarli non mantenne la sequenza originaria; al contrario, attraverso una minuziosa analisi, cercò di datare e riordinare
philologie et d’histoire, I, Parigi 1977, pp. 38-39, citato in TOUBERT, Dalla terra
cit., p. 6.
17 P. TOUBERT, Il medievista e il problema delle fonti, in ID., Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale, Torino 1995, p. 8.
19 A partire dalla sue prime ricerche Redlich prestò grande attenzione ai documenti privati. Nel corso del semestre invernale 1886/87 ottenne presso l’Università di Innsbruck l’abilitazione per l’insegnamento delle Scienze ausiliarie della
storia con una dissertazione dedicata proprio ai libri traditionum intitolata Über
bairische Traditionsbücher und Traditionen, pubblicata in «MIÖG», n 5, pp. 1-82.
Non a caso, poi, una delle maggiori opere di Redlich è Die Privaturkunde des
Mittelalter, Vienna 1911, in cui raccolse i frutti di una ricerca ormai trentennale.
18 J. LE GOFF, P. TOUBERT, Une histoire totale du Moyen Âge est-elle possible?, in
Actes du Cème Congrès national des Sociétés savantes, Paris 1975, Section de
20 TBHB, p. LVI; il motto può esser tradotto liberamente in questo modo:
«Accordo nelle cose importanti, libertà in quelle irrilevanti!».
64
65
16
Su quest’aspetto, assai discusso, risultano particolarmente convincenti le analisi riportate in W ANDERWITZ, Traditionsbücher cit., pp. 377-380.
II. LE
i documenti in una nuova sequenza cronologica. Questo lavoro
se da un lato permette una più agevole lettura delle traditiones
brissinesi, dall’altro ne altera il disegno originale. In tal modo,
chi si avvicina ad esse esclusivamente tramite l’edizione di
Redlich si trova di fronte a un “documento ricostruito”, che
rispecchia solo in parte l’originale.
Al di là di queste opzioni metodologiche, bisogna riconoscere
tuttavia che Redlich condusse un’edizione di alto livello, che
divenne una sorta di paradigma per le successive edizioni di libri
traditionum d’area bavarese. La trascrizione dei documenti, ognuno dei quali è stato corredato da un breve regesto e da note esplicative, è sostanzialmente fedele agli originali. L’unico errore di
una certa rilevanza, che può causare diversi equivoci, l’ho riscontrato per il documento 28 dell’edizione, che corrisponde al documento 28 del foglio 11 e al 111 del foglio 37 del codice A. Redlich
riporta «Econtra recredidit se iamdictus Aripo inquisitionem quam
ad castellum Stein et illas hobas ad hoc attinentes habuit...» anziché «Econtra reddidit se...», forma che si ritrova chiaramente in
ambedue le copie del documento. Vale la pena segnalare quest’errore, perché esso sta alla base di uno dei significati attribuiti
dal Niermeyer al verbo recredere nel suo Lexikon21.
3.3 I codici dei Libri traditionum: da un archivio all’altro22
Nel 1886 fu pubblicata l’edizione dei Libri traditionum d i
Bressanone: si ruppe così un lungo periodo di oblio durante il
quale in pochi si erano rivolti con interesse verso i due antichi
codici in cui erano raccolti i documenti che testimoniavano la
costruzione del patrimonio fondiario, e non solo, della piccola
sede episcopale alpina. Quando Oswald Redlich pubblicò la sua
edizione, i due codici dei Libri traditionum si trovavano presso
il K. K. Haus-, Hof- und Staatsarchiv di Vienna mentre ora, dopo
le vicissitudini della prima guerra mondiale, sono depositati
presso l’Archivio di Stato di Bolzano. Queste sono solo le ultime
due tappe delle vicende archivistiche piuttosto movimentate che
coinvolsero i nostri due codici, depositati originariamente presso
21
LIBRI
FONTI
Cfr. Mediae latinitatis lexicon minus, a cura di J.F. Niermeyer, Leida 1976, s.
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l’Archivio diocesano di Bressanone, vicende strettamente determinate da quelle, assai più tempestose, che hanno attraversato la
storia del Tirolo degli ultimi due secoli23. L’Archivio diocesano di
Bressanone visse infatti un momento estremamente drammatico
quando, in seguito agli accordi di Lunéville, nel 1803 vennero
secolarizzati i principati vescovili di Trento e Bressanone. Fra le
conseguenze di quest’atto vi fu anche il trasferimento di gran
parte dei documenti conservati a Bressanone, che vennero portati dapprima a Innsbruck e poi a Vienna. Quando però nel 1805
con la pace di Presburgo il Tirolo venne annesso alla Baviera,
parte della documentazione brissinese fu trasferita nella nuova
capitale, Monaco. Ma anche questo trasferimento fu assai breve.
Nel 1814 il Tirolo venne riunificato all’Austria e quindi, sia pur
molto lentamente e non integralmente, i documenti brissinesi
tornarono a Vienna; ma il loro lungo pellegrinaggio da un archivio all’altro non era ancora finito! Nel corso della seconda metà
del secolo, lo Staatsarchiv di Vienna cedette parte dei suoi fondi
brissinesi all’archivio di Innsbruck. I due codici dei Libri traditionum data la loro importanza rimasero però a Vienna, dove,
come abbiamo visto, li analizzò Redlich. Tuttavia, la loro permanenza nella capitale austriaca non fu lunga: in seguito al trattato
di Saint Germain del 1919 essi dovettero esser consegnati al
governo italiano e da allora sono conservati presso l’Archivio di
Stato di Bolzano. Durante questi continui spostamenti i codici
non hanno subito danni, ma purtroppo non è più possibile ricostruire con certezza le fasi di composizione e i criteri originali di
conservazione, aspetti, questi, spesso decisivi per una loro giusta
collocazione e interpretazione.
3.4 Due codici, molte mani
I due codici attraverso i quali ci sono stati tramandati i Libri
traditionun all’epoca dell’edizione di Redlich erano stati catalogati nel K. K. Haus-, Hof- und Staatsarchiv di Vienna con i numeri 460 e 515. Oswald Redlich indicò il primo con la lettera A e
il secondo con la B. Per semplicità e per non creare equivoci
mantengo il medesimo criterio, utilizzato anche nella catalogazione attuale. Ciascuno dei due codici si presenta come una raccolta di pergamene di dimensioni e di epoche diverse; la loro
v.
22
Gran parte delle informazioni riportate qui e nei paragrafi successivi le ho
riprese dall’ampia introduzione di Oswald Redlich all’edizione dei Libri traditionum: cfr. TBHB, pp. XI-LXIII.
66
23
Le vicende dell’Archivio diocesano di Bressanone sono state ripercorse di
recente in modo dettagliato in POLITI, Gli statuti impossibili cit., p. 113 sg.
67
II. LE
FONTI
LIBRI
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rilegatura – una copertina di pelle bianca di vitello con un’anima
in legno – venne fatta sicuramente in anni successivi alla stesura:
essa dovrebbe risalire, secondo Redlich, al XVII secolo. E qui ci
imbattiamo in un primo interrogativo: perché proprio nel corso
del Seicento si sentì la necessità di dare una nuova rilegatura ai
Libri traditionum? In altri termini, si trattò di una semplice operazione di maquillage, o si procedette a un voluto riordinamento
degli antichi codici? Sarebbe assai importante riuscire a dare una
risposta a questa domanda, per poter scoprire se il loro ordine
attuale, o forse sarebbe meglio dire il loro disordine, fu causato
da un archivista o un rilegatore disattento o se invece segua una
logica per noi difficilmente comprensibile. Infatti, così come si
presentano, i due codici hanno una struttura assai disordinata
sulla quale si può portare un minimo di chiarezza solamente
attraverso un’osservazione analitica.
Prima di compiere quest’operazione può esser utile svolgere
un breve richiamo alla tipologia delle traditiones riportate. Gli
atti riprodotti nei codici per i secoli X e XI sono in gran parte
documenti di carattere probatorio, delle semplici notitiae, la cui
struttura si fa gradualmente più complessa a partire dall’età del
vescovo Altwin (1049-1097). Essi, pur essendo corredati quasi
sempre dall’elenco dei testes, raramente riportano anche il luogo
e soprattutto la data in cui le diverse transazioni o i contratti
vennero stipulati. Unico punto di riferimento è il vescovo che
appare come “attore”. Nel caso di episcopati durati alcune decenni, come quello di Albuin, vescovo dal 977 al 1006, o di
Altwin, vescovo dal 1049 al 1097, rischiamo un margine di errore nella datazione di trenta o quarant’anni. Inoltre, mentre è relativamente semplice ricostruire dall’elenco dei testes documenti
coevi, raramente abbiamo segnali certi che ci permettano di collocare con sicurezza un documento in una precisa data.
Nemmeno il criterio d’ordine adottato nei codici per raccogliere
le diverse traditiones, e cioè l’ordinamento in base ai vescovi, ci
viene molto in aiuto, in primo luogo perché esso non sempre
viene rispettato, e in secondo perché la successione con cui vengono riportati i documenti talvolta sembra più legata a nuclei di
donazioni o transazioni da parte di persone o gruppi familiari
che a criteri strettamente cronologici.
Le traditiones sono dunque delle fonti particolari, utili per le
informazioni che tramandano ma, al tempo stesso, pericolose
per la loro ambiguità di fondo. Copie di documenti in gran parte
scomparsi, esse sono il frutto di una precisa scelta da parte di
chi le ha volute registrare. Ma non è tutto. Queste copie, riportate inizialmente in quaderni o fascicoli, furono riordinate da mani
e da menti di persone che vivevano in epoche diverse da quelle
dei copisti che le trascrissero. A noi non restano che due codici,
specchio di uno specchio di una realtà lontana.
Il codice A, afferma Redlich, è sicuramente il più antico, in
quanto contiene tutte le traditiones precedenti il Mille. Dicendo
ciò, lo storico austriaco dà per scontato qualcosa che scontato
non è, ovvero che i codici siano sempre stati tali. E questa sua
constatazione sembra contrastare con le analitiche e convicenti
osservazioni che egli stesso propone nella sua analisi dei due
codici, analisi che è opportuno ripercorrere. Vediamo innanzitutto
il codice A. Esso è di medie dimensioni (30,5 cm x 24 cm) ed è
costituito da 68 fogli di pergamena per lo più rilegati in quaderni;
la forma e la qualità dei fogli è assai varia e l’impressione che si
crea in chi lo sfogli è quella di trovarsi di fronte a un assemblaggio mal riuscito, impressione confermata da diversi particolari,
come per esempio la numerazione regolare delle pagine fatta da
una mano piuttosto recente. Un’attenta analisi dei quaderni ha
permesso a Redlich di suddividere il codice in sei parti diverse in
cui le copie dei documenti spesso, ma non sempre, sono riportate
tenendo come punto di riferimento il vescovo dell’epoca in cui
sono state redatte. Questo lo schema proposto da Redlich:
68
69
parte I: fogli 1-14
parte II: fogli 15-27
parte III: fogli 28-50 + 51-54 inseriti successivamente
parte IV: fogli 55-59
parte V: foglio 60
parte VI: fogli 61-65 e 68
aggiunte successive: fogli 66-67
La prima parte (fogli 1-14) costituisce una delle sezioni più
antiche del codice e molto probabilmente per Redlich era stata
concepita come un corpus documentario a sé stante, come oltre
tutto testimonia anche l’intitolazione del verso del primo foglio:
«In nomine domini nostri Iehsu Christi. Incipiunt traditiones concambia commutationes complacitationes quae factae sunt sub
temporibus Albuvini Sabiensis aecclesiae venerabilis episcopi».
Questa sezione, costituita da un unico quaderno composto da
due fogli in quarto e da due metà di foglio incollate l’una sull’altra, riporta le traditiones avvenute durante il vescovato di Albuin
(977-1006); successivamente sul recto della prima pagina è stata
aggiunta una traditio del vescovo Anto (1097-1100); su quello
del foglio 14, inizialmente lasciato intonso, è stata riportata invece una traditio di Altwin (1049-1097), mentre sul verso del mede-
II. LE
FONTI
LIBRI
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simo foglio sono state inserite due traditiones del secolo XIII.
Ogni traditio inizia con una lettera in capitale, senza particolari
decorazioni. A margine di ogni pagina ci sono numerose annotazioni d’epoca successiva, relative soprattutto a persone e luoghi.
Ogni foglio segue una medesima rigatura: su ognuno di essi
sono state tracciate due righe per il margine e ventuno righe per
il testo con l’ausilio di piccoli fori fatti sulla pergamena come
punti di riferimento.
A questa parte dei libri traditiones per Redlich hanno lavorato
2 copisti, che possiamo indicare con le lettere β e γ; il primo dei
due ha redatto 27 dei 33 atti qui riportati. Essi si alternano anche
sul medesimo foglio a testimonianza del fatto che la stesura della
copia dei documenti avvenne attorno alla prima metà del secolo
XI in modo continuativo, probabilmente in un arco assai ristretto
di tempo. A tale datazione Redlich giunge in seguito a un’analisi
paleografica attenta e dopo aver fissato come termine a quo il
1006, data di morte del vescovo Albuin, spesso ricordato nelle
traditiones con le locuzioni che ne attesterebbero l’avvenuto trapasso, come «beatae memoriae» o «in temporibus Albuini».
La seconda parte (fogli 15-27) è composto da due fascicoli di
due fogli, tra i quali sono stati inseriti altri due fogli in quarto, e
da tre successivi fascicoli, ognuno dei quali è composto da due
fogli più un foglio in quarto. Essa si apre sul recto del foglio 15
con l’intitolazione «Incipiunt traditiones qui tempore venerabilis
HARTWICI EPISCOPI facta sunt»; le traditiones del vescovo
Hartwig (1022-1039) tuttavia si esauriscono nei primi tre fogli; in
quelli seguenti, alcuni dei quali sono assai rovinati a causa delle
esarazioni, sono state riportate successivamente traditiones avvenute sotto i vescovi Altwin (1049-1097), Anto (1097-1100 ca.) e
Ugo (1100-1125). A questa sezione del codice per Redlich dovettero lavorare copisti diversi: δ, la cui scrittura è databile alla
seconda metà del secolo XI, è l’autore dell’introduzione, delle tre
traditiones di Hartwig e dell’ultima parte del “quaderno”; ε, dal
ductus simile a quello del copista precedente, è colui che ha
completato le donazioni di Hartwig e iniziato a riportare quelle
successive; λ invece è l’estensore della traditio 75, scritta su una
pagina raschiata, e degli atti numero 78, 79 e 80; mani diverse,
infine, hanno ricopiato le traditiones 76 e 77, anche in questo
caso su pagine esarate. L’intitolazione che indica con precisione il
vescovo durante il cui episcopato avvennero le traditiones è dunque in contrasto con il contenuto del fascicolo, che appare fortemente rimaneggiato. È molto probabile che gli atti di Hartwig
vennero cancellati per riportare quelli di vescovi successivi: in
questo caso sarebbe assai utile poter ricostruire con moderne tec-
niche d’indagine la lezione abolita sia per ristabilire l’integrità del
documento, sia per recuperare importanti informazioni sul vescovo Hartwig che, come vedremo, fu uno dei principali artefici del
consolidamento del potere dell’episcopio brissinese.
La terza sezione (fogli 28-50 più i fogli 51-54 aggiunti successivamente) può esser considerata in parte un apògrafo della
prima: infatti, oltre ad alcuni atti dei vescovi Anto, Altwin e Ugo
aggiunti in spazi vuoti, essa comprende l’intero corpus delle traditiones avvenute al tempo di Albuin, già registrate tranne alcune
eccezioni (n 14 e n 34) nella I parte, più altri 27 atti che riguardano per lo più il Capitolo. E proprio al Capitolo del vescovato era
destinato questo fascicolo, com’è attestato anche da un’iscrizione
di epoca successiva riportata all’inizio della sezione, sul margine
sinistro del recto del primo foglio e che recita in modo inequivocabile: «Registrum Capituli». Sempre sul medesimo foglio compare
l’intitolazione in inchiostro scuro e in caratteri maiuscoli: «In
nomine domini nostri Iehsu Christi incipiunt traditiones concambia commutationes complacitationes quae factae sunt sub temporibus Albuvini Sabiensis ecclesiae venerabilis episcopi», identica a
quella della prima sezione. Anche gli estensori delle due sezioni
sono gli stessi: i copisti che abbiamo designato con le lettere β e
γ, con la prevalenza del primo sul secondo. Redlich ritiene che
le traditiones della terza parte furono copiate da quelle riportate
nella prima, perché in esse si notano una minore accuratezza,
più errori, cancellature e cambi di inchiostro. In ogni caso tra le
due copie non vi sono varianti significative. Per orientarsi tra i
documenti riportati nella I (a) e nella III (a’) parte del codice A,
può essere utile il seguente schema di concordanze:
La quarta parte (fogli 55-59) si distingue dalle precedenti per
pergamena, formato e contenuto; scritta su fogli più piccoli dei
precedenti (altezza 29 cm, lunghezza 18, 5 cm) contiene copia
di documenti della fine del secolo XII e dell’inizio del XIII, mentre la quinta sezione consiste in un’unica traditio datata 1274 e
riportata su un foglio in ottavo dalle misure assai ridotte (19 cm
x 15 cm). La sesta ed ultima parte (fogli 61-65 e 68) è la più anti-
70
71
a 2/19 = a’ 85/101
a 20/24 + 28 = a’ 106/111
a 25/27 = a’ 121-123
a 31/33 = a’ 139/141
a mancante / a’ 102/120
a mancante / a’ 124/126
a mancante / a’ 127/131
II. LE
LIBRI
FONTI
ca; essa è composta da cinque fogli di piccolo formato (20 cm x
14 cm) tra cui sono stati inseriti successivamente altri due fogli
in ottavo. Come per le altre sezioni che costituivano dei fascicoli
a sé stanti, anche in questo caso il recto del primo foglio era
stato lasciato libero: a partire dal foglio 61’ sono state ricopiate
da una mano del X secolo (α) l e traditiones dell’epoca dei
vescovi Meginbert (910/20 ca.), Wisunt (940/50 ca.) e Richbert
(956-975) con una scrittura dai caratteristici elementi corsivi che
si ritroveranno anche successivamente nei documenti brissinesi,
come le legature tra “c” e “t”, “r” e “t”, “v” e “s”.
Il codice A dei Libri traditiones dunque è un documento che
si è venuto modificando nel tempo e la sua struttura odierna in
realtà raggruppa fascicoli scritti in tempi diversi e con scopi
diversi. Colui che li ordinò nel XVII secolo mise in risalto soprattutto le traditiones di Albuin, che costituiscono il gruppo più
consistente (59 atti) per quanto riguarda il periodo precedente il
1000. Rompendo però l’ordine originario, ha unito in un unico
corpus i documenti del vescovato e del capitolo, dando probabilmente la priorità a un criterio tipologico e cronologico. È difficile capire perché abbia inserito tra le due sezioni scritte dai
medesimi copisti gli atti del vescovo Hartwig, che formavano a
loro volta un fascicolo autonomo.
Se volessimo destrutturare l’attuale codice e ricostituirlo in
base alle fasi di stesura, otterremmo il seguente risultato:
1. VI parte: traditiones di Meginbert (907-925), Wisunt (935955), Richbert (955-975).
2. I e III parte: traditiones di Albuin (977-1006), Anto (10971100), Altwin (1049-1097) con aggiunte del secolo XIII.
3. II parte: traditiones di Hartwig (1022-1039) e Altwin (10491097).
4. IV parte: traditiones della fine del XII e dell’inizio del XIII
secolo.
5. V parte: riporta una traditio del 1276.
Quaderni e fascicoli sparsi, dedicati inizialmente a un solo
vescovo e riempiti, là dove c’era un vuoto, da altre annotazioni,
quaderni e fascicoli rilegati assieme nel Seicento in un codice
sotto il titolo di «Traditiones concambia commutationes facta
temporibus Albuini et Hartwici episcoporum. Puech A. A. A. n.
48»: questo era ed è ciò che abbiamo definito come Codice A.
Assai problematica appare anche la struttura del codice B,
che si presenta come un volume di 188 fogli in formato in quarto, di dimensioni leggermente inferiori rispetto al codice A (26
72
T R A D I T I O N U M DI
S A B I O N A - B RESSANONE
cm x 20 cm) ma con la medesima rilegatura. Sulla copertina la
stessa mano del codice A ha riportato l’intitolazione: «Donationes
et Traditiones tempore Altwini Episcopi. Puech B. B. B. n. 49»
seguita da un’iscrizione di altra mano, in parte coperta da una
segnatura successiva, in cui sono riportati i nomi di altri vescovi
le cui traditiones sono raccolte nel codice: Hugo, Reginbertus,
Otto, Heinricus. Nella parte interna della copertina si trova l’antica definizione brissinese di Liber 3, mentre sul dorso della parte
esterna si può leggere la precedente segnatura dell’Archivio di
Stato: 106/103. Dunque, anche in questo caso si ha l’impressione
che il codice attuale sia stato assemblato attorno a un nucleo
costitutivo iniziale, le traditiones di Altwin (1049-97).
Il codice, in cui tranne che in sporadici casi non c’è distinzione tra documenti del Capitolo e della sede vescovile, si può dividere in due parti assai diverse: la prima che va dal foglio 1 al
122 e la seconda, dal foglio 123 al 188. All’interno delle due
sezioni sono raccolti vari quaderni con le traditiones fatte dai
vescovi brissinesi dalla seconda metà del secolo XI al secolo XIII
secondo il seguente schema:
1-54
55-58
59-98
99-104
105-118
119-122
123-126
127-136
137-138
139-142
159-162
Altwin (1049-97)
Altwin (1049-97)
Altwin (1049-97)
Altwin (1049-97)
Altwin (1049-97), Anto (1097-1100), Ugo (1100-1125),
Reginbert (1125-1140)
Altwin (1049-97), Ugo (1100-1125), Reginbert (11251140)
Hartmann (1140-1164), Ottone (1165-1170), Enrico II
(1170-1174).
Hartmann (1140-1164)
Enrico II (1170-1174), Richer (1174-1177), Enrico III
(1178-1195)
Bertoldo (1216-1224), Enrico IV (1224-1239), Egnone
(1240-1250),
Corrado (1200-1216), Bertoldo (1216-1224), Enrico IV
(1224-1239),
Bruno (1250-1288)
La parte finale del codice riporta atti dei secoli XIII e XIV in
ordine sparso, mentre l’ultimo importante nucleo di traditiones
risale all’epoca del vescovo Giovanni II (1302-1306), benché qua
e là siano stati riportati su spazi vuoti documenti successivi,
come quello in cui nel XV secolo Niccolò Cusano, probabilmen73
II. LE
LIBRI
FONTI
T R A D I T I O N U M DI
S A B I O N A - B RESSANONE
te la maggior personalità che guidò l’episcopio brissinese,
riportò delle annotazioni sui possedimenti di Bled (fol. 174’).
Scorrendo lo schema qui proposto, il codice potrebbe sembrare ordinato secondo una successione cronologica; purtroppo
però non è così.
Analizziamo anzitutto la prima parte; essa appare il frutto di
un progetto unitario, essendo costituita da fogli di pergamena di
un unico formato (24 cm x 19 cm), sui quali i copisti hanno
seguito il medesimo sistema di rigatura delle parti I e III del
Codice A, anche se varia il numero di righe, che sono 20 dal
foglio 1 al 114, e 19 dal 115 al 122. Ma, come aveva già notato
Niccolò Cusano, attento chiosatore di ambedue i codici, dal foglio 99 in poi i singoli quaderni sono stati rilegati tra loro in modo caotico, distruggendo l’ordine iniziale, un ordine che ora, con
l’ausilio delle indicazioni di Redlich, cercheremo di ripercorrere.
Nei primi 104 fogli vengono riportati 340 atti dell’età di Altwin
(1049-97); dal foglio 1 al 30 il copista ε riscrive le traditiones già
riportate da lui stesso nel Codice A. Secondo Redlich, che dà per
certa la priorità di A su B, si mosse con il chiaro intento di costituire un unico codice con tutti gli atti di Altwin. Ma anche in questo caso Redlich ragiona come se i due codici fossero stati tali già
all’epoca della loro stesura. Probabilmente ε, dopo aver ricopiato
provvisoriamente parte delle traditiones di Altwin sulle pagine
esarate del fascicolo del vescovo Hartwig, si propose di dar corpo
ad un “fascicolo” autonomo, sul modello di quelli di Albuin e di
Hartwig. Quest’ipotesi si basa anche sul fatto che mentre in A ε
ricopia i documenti di Altwin in modo piuttosto affrettato, in B
dimostra una maggiore attenzione, ricorrendo probabilmente in
diversi casi all’originale, visto che il testo degli atti ricopiati appare in alcuni casi più completo e accurato di quello corrispondente
dell’altro codice (es. A, 51 - B, 8, n. 79 dell’ed.). Inoltre in B appare una maggior cura anche dal punto di vista grafico: le iniziali di
ogni documento sono in scrittura capitale, di color minio, e viene
riportato sul margine l’actum con il luogo, elemento questo che
spinse Redlich a prendere come base dell’edizione degli atti di
Altwin il Codice B, nonostante lo ritenesse copia di A. Mi pare più
probabile invece che i documenti di Altwin riportati sia in A che
in B appartengano a due “progetti” diversi: in A viene fatta una
prima annotazione non organica, mentre in B prevale un preciso
disegno unitario. La sezione delle traditiones di Altwin si trova in
B per una scelta del nostro anonimo e misterioso archivista del
Seicento; avrebbe potuto trovarsi benissimo anche in A.
La sequenza delle traditiones di Altwin subisce per Redlich
un’alterazione a partire dal foglio 99 in cui appare la scrittura di
La prima parte del codice B si presenta come un riassemblaggio frettoloso di una serie di fascicoli concepiti in ogni caso con
un disegno unitario. I diversi copisti che si alternano nella riprodu-
74
75
una mano ι che ritroviamo già dal foglio 41 (documento n 128) al
foglio 56 (documento n 180); questa parte sarebbe stata erroneamente inserita dopo il foglio 98 e conterrebbe atti più antichi
(1070-80) rispetto a quelli che la precedono (1080-97). Redlich
colloca pertanto la sezione 99-104 subito dopo quella 47-54,
seguita poi dai fogli 55-58, in cui il copista κ dà il cambio a ι. Nel
fascicolo 105-110 a due iniziali traditiones di Altwin ne seguono
altre di Anto (1097-1100) e Ugo (1100-1125), che giungono sino al
foglio 115’, documento n 367, dopo di che sono riportate traditiones avvenute sotto Reginbert (1125-1140). Queste ultime giungono sino al foglio 118’ con la traditio numero 376. Gli atti che
vanno dal numero 353 al 374 sono stati scritti da un’unica mano
(ν), pur con cambi di inchiostro e ductus. I tre atti successivi sono
stati scritti da una mano più tarda; l’ultimo di questi atti, il 377,
dell’età del vescovo Hartmann (1140-1164), si interrompe bruscamente e a esso segue il fascicolo 119-122 dove sono riportati nuovamente copie di documenti dell’età di Altwin, Ugo e Reginbert
per opera del copista ν, a ulteriore dimostrazione della caoticità
della successione dei fascicoli. La seconda parte del documento
377 riappare poi all’inizio del foglio 127. Tenendo conto di questa
serie di intrecci, Redlich propone la seguente successione:
1-54
99-104
55-58
59-98
105-118
119-122
127-136
123-126
137-138
159-162
139-142
Altwin (1049-97)
Altwin (1049-97)
Altwin (1049-97)
Altwin (1049-97)
Altwin (1049-97), Anto (1097-1100), Ugo (1100-1125),
Reginbert (1125-1140)
Altwin (1049-97), Ugo (1100-1125), Reginbert (11251140)
Hartmann (1140-1164)
Hartmann (1140-1164), Ottone (1165-1170), Enrico II
(1170-1174).
Enrico II (1170-1174), Richer (1174-1177), Enrico III
(1178-1195)
Corrado (1200-1216), Bertoldo (1216-1224), Enrico IV
(1224-1239)
Bertoldo (1216-1224), Enrico IV (1224-1239), Egnone
(1240-1250),
Bruno (1250-1288)
II. LE
FONTI
zione delle traditiones di Altwin e dei suoi immediati successori
mantengono dei criteri di scrittura omogenei – capitale maiuscola
iniziale, indicazione dell’actum – e procedono per blocchi di traditiones piuttosto consistenti, come se a ognuno di loro fosse stato
affidato un fondo documentario preciso. Un discorso in parte
diverso andrebbe fatto per la seconda parte del codice, che però
ora non affrontiamo analiticamente dal momento che riproduce
atti di un’età, il secolo XIII, non presa in esame dalla mia ricerca.
A conclusione di questa breve indagine possiamo disegnare
un identikit dei Libri traditionum brissinesi:
1. Sino a tutto il secolo XI le traditiones vennero ricopiate in singoli quaderni o “fascicoli” incentrati sull’epoca di uno o al massimo due vescovi; la stesura di questi quaderni avvenne in periodi
di poco successivi alla morte dei vescovi a cui si riferivano.
2. Successivamente, all’interno dei singoli quaderni altri copisti
riportarono nuove traditiones su fogli intonsi, su altri fogli inseriti nel quaderno o, in pochi ma significativi casi, su fogli esarati.
3. Molto probabilmente i quaderni furono conservati singolarmente, sino a quando nel corso del Seicento vennero rilegati in
due codici in base a un criterio cronologico, talvolta però disatteso. In quest’operazione di rilegatura, alcuni fascicoli vennero
riportati in modo errato, a causa forse dell’imperizia di chi li
ordinò o forse del disordine in cui erano stati conservati.
4. L’edizione di Redlich del 1886, pur essendo assai pregevole, si
propose di riordinare cronologicamente tutto il corpus documentario dei due codici, proponendo le singole traditiones in un
ordine assai diverso rispetto a quello originale.
I Libri traditionum di Bressanone sono tutto ciò, sono documenti “a più dimensioni”, sono come la copia andata in frantumi e
successivamente ricostruita di un’antica scultura di cui si è perso
il disegno originario. E come tali vanno utilizzati.
LIBRI
T R A D I T I O N U M DI
S A B I O N A - B RESSANONE
La presenza per questi decenni di grandi trasformazioni di una
notevole documentazione è un dato rilevante, che già da solo
dice molto sul nuovo ruolo che nei medesimi anni assunse l’episcopio brissinese.
Stupisce tuttavia, sempre per la medesima età, la presenza di
alcuni vuoti. Mancano, per esempio, traditiones per l’epoca di
alcuni vescovi del X e XI secolo, ovvero per Nithard (930),
Adalberone (1006-1017), Heriward (1017-1022), Poppone (10391048) e Burkhard (1091-1099 ca). A parte Nithard, vissuto in
anni in cui la sede episcopale versava ancora in una situazione
di relativa debolezza, sembra difficile pensare che alcuni importanti presuli brissinesi come Poppone, divenuto addirittura papa
nel 1047 con il nome di Damaso II, non abbiamo compiuto alcuna transazione o donazione. Se si accetta l’ipotesi della strutturazione originaria dei Libri traditionum in singoli quaderni relativi
ai singoli vescovi, possiamo pensare al fatto che alcuni di essi
siano stati persi o siano stati eliminati all’epoca in cui l’episcopio
di Bressanone dovette lottare per far valere i propri antichi diritti. Non dobbiamo dimenticare infatti che i Libri traditionum
furono concepiti come uno strumento per preservare la memoria
della nascita e dello sviluppo della ricchezza fondiaria della sede
vescovile e dei diritti che ne erano connessi, come uno strumento d’uso, con tutti i rischi che ciò comporta.
3.6 L’uso dei Libri traditionum
Prima del 1100 si possono individuare nei Libri traditionum
brissinesi due importanti nuclei documentari, collegati all’operato dei vescovi Albuin e Hartwig, tra i maggiori protagonisti,
come vedremo, di quell’attenta politica di alleanze che permise
un cospicuo rafforzamento economico e politico del loro episcopio (cfr. tab. 1).
Questi gruppi documentari corrispondono a due importanti
periodi per la storia di tutto il centro Europa, sia dal punto di
vista economico sia da quello dell’assetto politico-istituzionale.
Sfogliando i due codici dei Libri traditionum si rimane stupiti
per la frequente presenza di chiose e annotazioni a margine dei
singoli atti. Si rimane poi ancora più stupiti, e anche emozionati,
quando si scopre l’autore delle chiose, Niccolò Cusano, il grande
umanista autore del De docta ignorantia, che venne nominato
vescovo di Bressanone nel 1450. Assunto questo incarico, infrangendo lo stereotipo del filosofo lontano dalle cose del mondo,
Cusano iniziò a battersi per il ripristino degli antichi diritti del
suo vescovato, assorbiti gradualmente dagli Asburgo, che dal
1363 governavano il Tirolo. Nella lotta che lo vide contrapporsi
aspramente a Sigismondo d’Asburgo, Cusano dedicò grande
attenzione ai Libri traditionum, tramite i quali era possibile avere una visione d’assieme della ricchezza temporale del suo episcopio. La risposta di Sigismondo alle rivendicazioni di Cusano
fu durissima e si concluse da un lato con la capitolazione del
vescovo, dall’altro con la scomunica del duca ad opera di Pio II:
in poche parole, si concluse con la vittoria dell’Asburgo. La
76
77
3.5 Frammenti perduti: quali traditiones per quali vescovi
II. LE
sconfitta di Cusano significò anche l’inizio della graduale decadenza della sede vescovile di Bressanone e della conseguente
caduta nell’oblio dei Libri traditionum. Fino all’età di Cusano
essi erano stati un punto di riferimento costante per qualsiasi
ricostruzione del patrimonio fondiario brissinese; ad esempio,
spesso furono utilizzati letteralmente, pur senza citazione diretta,
nel Calendarium Wintherii, un codice del XIII secolo che raccoglie un calendario necrologico e il primo urbario del capitolo
della cattedrale di Bressanone, opera redatta al fine di compilare
un inventario dei beni e dei diritti della sede vescovile24. Dopo
Cusano invece incontrarono l’interesse solamente di qualche
erudito, come il Guarinoni che nel XVI secolo li utilizzò per il
suo Nomenclator historicus episcoporum Brixinensium, il cancelliere di Bressanone Philipp Bartl von Summersberg, che li riprese nella Gründliche Vorstellung eines Herrn Bischofs von Brixen
von den in seinem Hochstift habenden Territorial-Rechten,
apparsa nel 1710 e altri storici tra cui possiamo ricordare Anton
Roschmann, Philipp Puell, Joseph Resch, che li pubblicò per la
prima volta, e Josef von Hormayr25.
Verso metà Ottocento un archivista, Andreas von Meiller,
riportò l’attenzione sulla loro importanza e a questa segnalazione seguì l’interesse e l’edizione di Redlich. E qui il nostro cerchio si ricompone. Si apre però un altro capitolo, relativo alla
“fortuna” dei Traditionsbücher di Redlich.
Infatti, è singolare che una fonte così importante, in un’edizione oggi parzialmente criticabile ma assai innovativa all’epoca
della sua pubblicazione, sia stata poco utilizzata anche dopo la
sua pubblicazione, se si esclude la tesi già più volte ricordata di
Alois Deutschmann pubblicata nel 1912. Dopo, il silenzio. Le
numerose ricerche di epoca successiva dedicate al mondo contadino svolte da Stolz, Wopfner e altri si sono limitate a rapidi
cenni ai Libri traditionum, ma mai a un loro approfondimento
monografico. Ciò probabilmente non avvenne casualmente: i Libri traditionum contengono una serie di informazioni che contrastano con il quadro, anzi sarebbe meglio dire con il paradigma dominante a partire dagli anni Venti del mondo contadino
nel Tirolo medievale, un mondo basato sul rapporto organico tra
i diversi ordini, un mondo in cui il contadino, pilastro della so24
Cfr. Calendarium Wintheri. Il più antico calendario necrologico ed urbario
del capitolo della cattedrale di Bressanone, a cura di Leo Santifaller, in «AAA»,
anno XVIII (1923), pp. 1-647.
25
IL
FONTI
Cfr O. REDLICH, Einleitung, in TBHB, pp. XI-XII e pp. LVIII-LIX.
78
TERRITORIO DEI
LIBRI
TRADITIONUM
cietà, era soprattutto un contadino libero26. Quest’immagine a
lungo propagandata è divenuta quasi luogo comune; viene ancor oggi spesso accettata e data per scontata o appare talmente
ovvia da non venir discussa. Essa in ogni caso va verificata; per
questo motivo ritengo di grande importanza riprendere e reinterrogare i Libri traditionum per cercare di avvicinarci, privi di preconcetti, al mondo che essi rappresentano.
4. Il territorio dei Libri traditionum
«Cunctorum fidelium sciat industria, qualiter quedam mulier
nomine Vuillipirc talem proprietatem quale in loco Hassinheim
habere videbatur... in congambium in manum... Megimperti episcopi... donavit...»; con questa permuta avvenuta nei primi decenni del X secolo, la più antica riportata nei Libri traditionum,
il vescovo di Sabiona-Bressanone, Meginbert, appare subito calato all’interno delle faccende del “mondo”27. Così sarà anche per i
suoi successori che acquisteranno, venderanno, ma soprattutto
scambieranno terreni, mansi e servi per rafforzare il patrimonio
del vescovato e talvolta anche il proprio. Punto catalizzatore di
questa attività non fu un centro urbano, ma due località alpine
poste circa a metà della Val d’Isarco: Sabiona sino circa alla fine
del X secolo e poi Bressanone28.
26
Principale assertore di questa interpretazione fu Hermann Wopfner. Si veda
a proposito il già citato Tirols Eroberung durch deutsche Arbeit.
27
TBHB, n 1, 907-925 (= Cod. A, f. 63’, n 190).
28
Come avremo modo di vedere più in dettaglio successivamente, abbiamo
testimonianze della sede vescovile di Sabiona a partire dal secolo VI, anche se solamente dalla fine del secolo VIII possediamo dati continuativi. L’importanza della
Val d’Isarco allora come oggi era costituita dalla strada che l’attraversava collegando, attraverso il passo del Brennero, l’Italia con la Germania. Per quanto riguarda
la strada romana lungo la Val d’Isarco, si vedano in generale W. CARTELLIERI, Die
römischen Alpenstrassen über den Brenner, Reschen-Scheideck und Plöckenpass,
Lipsia 1926; Alpenübergänge vor 1850. Landkarten - Strassen - Verkehr, a cura di
U. Lindgren, e il più recente G.M. TABARELLI, Strade romane nel Trentino e nell’Alto
Adige, Trento 1994; cfr. inoltre L. ALLAVENA, Il percorso della strada romana da
Bolzano al Brennero: nuovi dati archeologico-topografici, in «Civiltà padana.
Archeologia e storia del territorio», III/1990, Modena 1991, pp. 21-33 e J. RIEDMANN,
Verkehrswege, Verkehrsmittel, in Kommunikation und Mobilität im Mittelalter, a
cura di S. de Rachewiltz e J. Riedmann, Sigmaringen 1995, pp. 61-75.
79
II. LE
La Val d’Isarco si estende dalla piana di Bolzano sino al passo del Brennero, salendo in circa 83 km dai 262 metri dell’attuale capoluogo altoatesino ai 1375 del passo. Nel primo tratto,
circa vicino al paese di Chiusa (523 m), a nord del quale oggi
sorge il monastero di Sabiona (729 m), che in gran parte corrisponde alla Sabiona altomedievale, la valle è molto stretta e soggetta a frequenti frane; nei pressi di Bressanone (559 m) si allarga per risalire poi verso Vipiteno (948 m) e quindi il Brennero.
Tutta la valle è percorsa dal torrente Isarco, spesso impetuoso,
soprattutto nella stagione del disgelo (cfr. carta 1).
Abbiamo testimonianza di insediamenti, specialmente nell’area
di Bressanone, sin dall’età del bronzo. In epoca romana si moltiplicarono i primi nuclei stabili, di cui sono rimaste poche ma rilevanti tracce archeologiche. Molto probabilmente lungo la valle vi
era a partire dal I secolo dopo Cristo, e forse anche da prima, una
strada che collegava i diversi insediamenti nella direttrice nordsud29. Diverse testimonianze di cui disponiamo a partire dal 1500,
rimarcano spesso la particolare rischiosità della via che attraversava la Val d’Isarco. La configurazione del fondo valle, infatti, determinò la costruzione della strada lungo i crinali montani, anche se
purtroppo ancor oggi non abbiamo alcuna certezza sul suo percorso complessivo. La via della Val d’Isarco, quindi, pur essendo
importante, sicuramente in epoca romana e nei secoli successivi
costituiva un ripiego negli spostamenti verso il mondo centroeuropeo rispetto a vie più sicure come la Via Claudia Augusta, che
da Ostiglia percorreva la Val d’Adige fino l’attuale Merano e da lì
lungo la Val Venosta giungeva sino a Augusta Vindelicorum
(Augsburg-Augusta) (cfr. carta 2).
È difficile risalire con esattezza dai toponimi presenti nei
Libri traditionum a una loro sicura localizzazione. La stessa Val
d’Isarco è spesso definita nei documenti in modo ambiguo, con
il nome di Vallis Norica, con il quale si faceva riferimento pure a
territori a nord del Brennero, posti lungo la valle dell’Inn30.
Sabiona ci appare per la prima volta nei Libri traditionum non
solo come luogo di designazione della sede vescovile in un contesto drammatico, quando il vescovo Albuin obbligò un nobilis
vir di nome Wago a effettuare una donazione come emendatio
per una controversia durante la quale questi aveva fatto irruzione
in quella che viene definita come «episcopalis sedis urbem que di-
29
30
IL
FONTI
TERRITORIO DEI
TRADITIONUM
citur Sabienna»31. Successivamente essa viene nominata sempre
più raramente. Gli interessi vescovili infatti sembrano concentrarsi
soprattutto attorno a Bressanone e Vipiteno. La prima viene a far
parte dei beni del vescovato in seguito a una donazione effettuata
da re Ludovico il Fanciullo nel 901 al vescovo di Sabiona, Zaccaria; quella che diverrà Bressanone ci appare qui come una curtis
molto ricca ed estesa, definita come «quandam curtem inter convallia comitatu Ratpodi consistentem quae dicitur Prihsna»32. Non
si sa esattamente quando avvenne il trasferimento della curia vescovile da Sabiona a Bressanone, ma con grande probabilità ciò
accadde verso la fine del secolo X. Proprio a partire da questo periodo troviamo con una certa frequenza menzione del locus Prixina come riferimento per l’episcopato e anche come luogo di sepoltura33. Nel secolo XI Bressanone e le località limitrofe, grazie
ad un’accorta politica di permute e acquisizioni, divennero il principale nucleo della proprietà fondiaria vescovile. La curtis
Prihsna si avviava ormai a divenire un centro urbano.
Il secondo importante nucleo di beni in Val d’Isarco era posto
nei pressi dell’attuale Vipiteno, che riprende il proprio nome italiano dall’antica stazione stradale di Vipitenum, importante centro
posto lungo la via publica della Val d’Isarco. Nella documentazione altomedioevale un primo riferimento a insediamenti in
questa zona lo abbiamo nel cosiddetto Quartinus-Urkunde dell’827/28, una traditio nella quale un certo Quarti «nationis Noricorum et Pregnariorum» donò delle proprietà «ad Uuipitina in castello et in ipso vico»34. La sede vescovile di Bressanone dovette
possedere ben presto terreni nei pressi di Vipiteno, dove si estende una delle rare vaste radure della Val d’Isarco. Infatti attorno al 985-990 il vescovo Albuin scambiò dei beni «in loco qui
dicitur Wibitina» con altri «in loco Lius»35; inoltre, sempre nello
stesso periodo un nobile di nome Adalberto donò diverse proprietà al capitolo del duomo di Bressanone «in valle Wibitina»36.
Le piane di Bressanone e Vipiteno, con le vallate laterali,
vennero così gradualmente a costituire i due principali “palco31
TBHB, n 8, 985-990.
32
UBHA, n 4, 13 sett. 901.
33
TBHB, n 33, 995-1005 e n 43, 995-1005.
34
Cfr. A. SPARBER, Die Quartinus-Urkunde von 827/28, in Festschrift zu Ehren
Konrad Fischnalers, Innsbruck 1927 (= SS, n 12), pp. 176-185. Su questo importante documento ritorneremo più estesamente nel prossimo capitolo.
Cfr. ALLAVENA, Il percorso cit.
35
TBHB, n 9, 985-990.
Cfr. P. GLEIRSCHER, Vallis Norica, in «MIÖG», n 97 (1989), pp. 1-11.
36
TBHB, n 12, 985-993.
80
LIBRI
81
II. LE
IL
FONTI
scenici” all’interno dei quali operò la sede vescovile brissinese. A
esse si aggiunsero poi altri rilevanti nuclei di territori. Di grande
importanza furono quelli posti in Val Pusteria, vallata situata a
notevole altitudine, dal clima invernale particolarmente rigido,
estesa da un promontorio a nord-est di Bressanone sino all’odierna Lienz, presso la romana Aguntum.
In Pusteria i vescovi di Sabiona dovettero confrontarsi con un
altro ente ecclesiastico, l’episcopio di Frisinga. Infatti nel 769 il
duca di Baviera Tassilone donò all’abate Attone di Scharnitz il
«locum nuncupantem India quod vulgus Campo Gelau vocantur»37. Qui, nonostante la natura inclemente, testimoniata anche
dal toponimo, a quasi 1200 metri di altitudine venne fondato il
monastero di San Candido, un Eigenkloster del vescovato di Frisinga, il quale aveva diversi interessi a sud del Brennero, soprattutto in Cadore.
La Val Pusteria fin dall’epoca romana ricopriva un importante
ruolo nelle comunicazioni tra l’Italia nord-orientale e l’Europa centrale; a partire dal secolo VII divenne uno dei principali avamposti
per il controllo dell’espansione slava. Controllare la valle significava poter rendere maggiormente sicuri tutti i territori dell’odierno
Tirolo e soprattutto garantire i collegamenti tra il mondo germanico e l’area alpina orientale. Per questo motivo i Bavari cercarono
tra i secoli VII e VIII, attraverso uno stanziamento relativamente
intenso, di colonizzare la parte occidentale della valle. La sede
vescovile di Sabiona, raggiunta una certa stabilità in Val d’Isarco, a
partire dal secolo X cercò a sua volta di radicarsi in Pusteria attraverso acquisizioni territoriali che preludevano al controllo della
valle anche da un punto di vista amministrativo e istituzionale.
Verso il 985 la presenza brissinese doveva essere già considerevole. Infatti in questo periodo il vescovo Albuin ottenne da Abramo,
vescovo di Frisinga, una hoba «in loco Geizes», corrispondente
all’odierna Gais, presso Brunico; scambiò sempre con il medesimo
vescovo sei mancipia che vivevano presso l’abbazia di San Candido; ricevette all’incirca nelle medesime località dal libero Adalberto «tria curtifera, agrum i, hortum i»38. Gradualmente la proprietà fondiaria brissinese si estese sempre più, a scapito dell’aristocrazia bavara e della chiesa di Frisinga. Il dominio definitivo
sulla valle venne sancito ufficialmente nel 1091, quando Enrico IV
cedette al vescovo Altwin i diritti comitali «in valle Bustrissa»39.
TERRITORIO DEI
LIBRI
TRADITIONUM
Un quarto nucleo di beni si costituì sempre in questo periodo in un’area ancora più orientale, tra la Carinzia e la Carniola.
Qui Albuin, futuro vescovo e in questo momento ancora diacono ricevette dalla madre Hildegard il «predium quod dicitur
Stein»40. Successivamente, divenuto vescovo, Albuin accrebbe
questo primo nucleo di proprietà, scontrandosi anche con il fratello Aribone41. Siamo di fronte, in questo caso, a un intrecciarsi
di interessi familiari e vescovili che determinò una presenza del
potere vescovile di Bressanone ben al di fuori della sua diocesi.
La differenza tra confini di diocesi e di comitato e quelli “economici” in questo caso era veramente netta.
Più timida invece sembra l’acquisizione di terre e beni al di là
del Brennero, nella Valle dell’Inn e in Baviera, dove pure la
Chiesa brissinese possedeva importanti avamposti. Qui la concorrenza di altre importanti sedi episcopali, come quelle di
Salisburgo e Frisinga, rese difficile la creazione di unità fondiarie
compatte e consistenti.
L’episcopio brissinese tentò di estendere i propri interessi,
con scarso successo, anche verso la piana di Bolzano, luogo
ideale per la coltivazione della vite. È noto come il vino ricoprisse un ruolo fondamentale nel mondo medievale e fosse essenziale in una società profondamente marcata dal cristianesimo.
Infatti, come mise in evidenza Marc Bloch in un suo famoso saggio: «il cristianesimo, religione mediterranea, portò con sé nel
Nord i grappoli e i pampini che aveva reso elemento indispensabile dei propri misteri»42. La conca di Bolzano si presentava
come un “Eden della vite”, e presto incominciò una dura lotta
tra enti ecclesiastici del nord e del sud del Brennero per controllare il numero più alto possibile di vigneti. Nel 855 ad esempio
sorse una lite tra i vescovi di Trento, all’interno della cui diocesi
si trovava gran parte della Val d’Adige e la Bassa Atesina, e di
Frisinga per delle vigne «ad Pauzanam». L’importanza della posta
in palio fu testimoniata dall’intervento del rex Baiouuariorum
Ludovico e del suo omonimo rex Longobardorum43. Anche nei
Libri traditionum Bolzano appare immediatamente collegata ai
vigneti, che erano al centro di una donazione del nobile Adal-
40
TBHB, n 5, datato da Redlich prima del 975.
41
Si veda a proposito TBHB, n 28, 993-1000, su cui torneremo successivamente.
37
THF, n 34, 769.
38
TBHB, nn 14, 985-993; 15, 985-993; 17, 985-993.
M. BLOCH, I caratteri originali della storia rurale francese, Torino 1973, p. 27
(ed. or. Les caractères originaux de l’histoire rurale française, Parigi 1952).
39
UBHA, n 32, 2 sett. 1091.
43
42
82
Cfr. TUB, n 14, 855 e n 16, 857.
83
II. LE
FONTI
berto alla moglie Drusunda, e di un atto analogo compiuto da
un certo Sinberto a favore del Capitolo. In questo secondo caso
traspare nuovamente l’“avidità” che un vigneto poteva suscitare.
Infatti veniva scoraggiato, pena la perdita della preziosa vigna,
qualsiasi vescovo che «vineam usibus fratrum auferre machinaverit»44. La presenza diretta degli interessi vescovili di Bressanone
in questa zona fu però marginale, probabilmente a causa della
concorrenza della sede vescovile tridentina.
Un discorso a parte merita un’altra zona, relativamente lontana
da Bressanone, costituta dalla Val Venosta, l’Engadina e le vallate
limitrofe. Esse, fino alla costituzione della Contea del Tirolo, formavano un insieme compatto sia dal punto di vista culturale sia
da quello politico e ecclesiastico. Appartenendo alla diocesi di
Coira, tutta l’area rimase per lungo tempo estranea all’evoluzione
che negli stessi anni coinvolgeva la regione a est dell’attuale Merano. I Libri traditionum non documentano, per i secoli X e XI,
alcun interesse economico dell’episcopio di Bressanone per questa zona. Ma, come si sa, la mancanza di menzioni documentarie
non implica automaticamente un’assenza nella realtà. In questo
caso siamo aiutati da altri documenti brissinesi che ci testimoniano come nel 1020 l’imperatore Enrico II donasse alla Chiesa di
Bressanone la «abbatiam Tisentinensem in pago Curiense», ovvero
l’abbazia di Disentis, una località posta tra Coira e Andermatt, in
Svizzera45. Attorno all’abbazia però, probabilmente a causa della
sua lontananza, non si cercò di creare una rete di proprietà fondiarie. È importante, in ogni caso, ricordarsi della presenza in
questo avamposto occidentale della Chiesa di Bressanone.
La Val d’Isarco, tra Chiusa e Vipiteno, la Val Pusteria, territori
sparsi nella Valle dell’Inn, Stein in Carinzia, i vigneti della conca
di Bolzano: questi furono tra i secoli IX e XI i principali centri
d’attrazione dell’attività economica dell’episcopio di Bressanone,
queste sono le aree per le quali possiamo cercare di ricostruire
la vita nei campi, le coltivazioni, le vie di comunicazione e i
commerci, la vita economica e sociale. Ma per comprendere le
strutture di queste società è indispensabile determinare innanzitutto la morfologia dei poteri in essa presenti.
44
TBHB, n 16, 985-993 e n 42, 995-1005.
45
Cfr. UBHA, n 16, 24 aprile 1020. Sul rapporto tra il vescovato di Bressanone
e l’abbazia di Disentis cfr. I. MÜLLER, Das Bistum Brixen und die Abtei Disentis im
11. und 12. Jahrhundert, in «Studien und Mitteilungen zur Geschichte des Benediktinerordens und seiner Zweige», n 71 (1961), pp. 13-27.
84
III
Nuovi popoli, nuovi poteri
1. Le origini
1.1 Lo stanziamento di Longobardi, Bavari e Franchi1
Tra i secoli V e VIII giunsero nel territorio del futuro Tirolo
popoli di origine ed etnia diversa come Longobardi, Franchi,
Bavari e Slavi, che si sovrapposero alla popolazione reto-romana
presente ormai da secoli nelle vallate alpine. Purtroppo sono
poche le fonti da cui possiamo trarre delle informazioni sulle
modalità dei diversi stanziamenti. Per i secoli VII e VIII è possibile far riferimento quasi esclusivamente alla Historia Langobardorum di Paolo Diacono per l’area trentina e alla Vita Corbiniani di Arbeone di Frisinga per l’area sudtirolese2. Ambedue gli
1
Gli eventi dei secoli VII ed VIII sono stati ricostruiti in questo paragrafo in
modo sintetico, al fine di chiarire le basi a partire dalle quali si sviluppò la
società delle epoche successive. Per un inquadramento più generale rimando a
P.W. HAIDER, Antike und frühestes Mittelalter, in Geschichte des Landes Tirol cit.,
vol. I, 19902, pp. 234-251 e RIEDMANN, Mittelalter cit., pp. 293-301.
2
Cfr. PAOLO DIACONO, Historia cit., e Arbeonis episcopi cit. Si possono derivare
contributi per una migliore conoscenza di questa fase storica dalla ricerca
archeologica, i cui risultati per la nostra area al momento sono ancora frammentari. Per un quadro d’assieme dell’attuale stato delle ricerche di archeologia altomedievale si può far riferimento a H. NOTHDURFTER, Das spätantike und frühmittelalterliche Bozen und sein Umfeld aus der Sicht der Archäologie, in Bozen. Von
den Anfängen bis zur Schleifung der Stadtmauern / Bolzano. Dalle origini alla
distruzione delle mura, Bolzano 1991, pp. 105-113 e a L. DAL RÌ, G. RIZZI, Il territorio altoatesino alla fine del VI e nel VII secolo, in Città, castelli, campagne nei
territori di frontiera (secoli VI-VII), 5° seminario sul tardoantico e l’altomedioevo
in Italia centrosettentrionale, Monte Barro-Galbiate (Lecco) 9-10 giugno 1994, a
cura di G.P. Brogiolo, Mantova 1995, pp. 87-114. Per i diversi temi specifici di
ricerca si possono vedere inoltre altri saggi di Lorenzo Dal Rì e i lavori di Reimo
Lunz, Gigi Rizzi, Paul Gleirscher, Hans Nothdurfter e altri.
85
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
autori di queste opere ebbero un contatto quasi diretto con la
realtà che descrissero: Paolo Diacono poté trarre molte informazioni dalla Historiola Langobardorum di Secondo da Trento, vissuto alla corte della regina Teodolinda3; il vescovo di Frisinga
Arbeone invece probabilmente si basò sulla propria esperienza,
essendo vissuto nei luoghi dove collocò diversi episodi della vita
di San Corbiniano4. I dati forniti da Paolo Diacono e Arbeone
sono stati verificati negli ultimi decenni da nuove ricerche
archeologiche5. In base a queste e altre indicazioni cercherò di
tracciare brevemente le fasi dello stanziamento di Longobardi,
Bavari e Franchi nel futuro Tirolo tra i secoli VII e VIII per poter
chiarire le condizioni di partenza dalle quali si svilupperà nei
medesimi luoghi la società nei decenni attorno al Mille.
Paolo Delogu ha messo in evidenza come l’insediamento in
Italia dei Longobardi «avvenne secondo la tecnica già adottata in
Pannonia: controllo dei nodi stradali del territorio e separazione
delle popolazioni locali. Ne furono protagoniste le fare, i nuclei
parentali che, isolatamente o in gruppo, si stanziarono nelle
città, nei castelli, nei punti chiave dei percorsi stradali»6. Un processo analogo probabilmente avvenne anche nelle valli trentine,
dove venne istituito un ducato che ebbe una grande importanza
a causa della sua posizione strategica e dei suoi stretti contatti
con il mondo franco e, soprattutto, bavaro. La sua fondazione
risale alla fine del secolo VI, quando i Longobardi, dopo esser
calati nelle pianure friulane e venete, occuparono la Val Lagarina e la Val d’Adige sino alla chiusa di Salorno, penetrando poi
3
Cfr. E. QUARESIMA, Il frammento di Secondo da Trento, in «StT», XXXI (1952),
pp. 72-76 e R. CERVANI, La fonte tridentina dell’«Historia Langobandorum» di
Paolo Diacono, in La Regione Trentino-Alto Adige nel Medioevo, Atti della Accademia Roveretana degli Agiati, anno accademico 236 (1986), serie VI, vol. 26,
pp. 97-103.
4
Cfr. RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 295.
5
Si veda come esempio di ricerca che integra fonti storico-narrative e dati
archeologici V. BIERBRAUER, Il ducato di Tridentum, in I Longobardi, Milano 1990,
pp. 113-116.
6
P. DELOGU, Il Regno longobardo, in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso,
Torino 1980, vol. I, pp. 3-216; il passo citato si trova a p. 19. Sulle modalità dello
stanziamento longobardo tra gli studi più recenti si vedano S. GASPARRI, P. CAMMAROSANO, Langobardia, Udine 1990; S. GASPARRI, I Longobardi alle origini del
medioevo italiano, Firenze 1990 (= Dossier allegato a «Storia e Dossier», n 42,
luglio-agosto 1990); Italia longobarda, a cura di G. Menis, Venezia 1991 e J.
JARNUT, Storia dei Longobardi, Torino 1995 (ed. or. Geschichte der Langobarden,
Stoccarda-Berlino-Colonia-Magonza 1982).
86
LE
ORIGINI
rapidamente nelle vallate laterali; si spinsero infine verso nordovest, tra le attuali Bolzano e Merano7. Lungo tutto il corso dell’Adige quindi, con particolare intensità nell’area posta tra Bolzano e Trento, i Longobardi vennero a giustapporsi alla popolazione locale, dando vita a insediamenti stabili posti all’interno della
distrettuazione pubblica del ducato che si estendeva pressappoco su tutto il Trentino odierno, escludendo inizialmente la Valsugana a oriente di Pergine-Caldonazzo, Riva del Garda e il territorio a sud di Brentonico e Avio. Il confine più mobile del ducato
fu sempre quello settentrionale, a causa della mancanza di barriere naturali e della vicinanza di Franchi e Bavari. Esso fu teatro
di diversi scontri tra gli eserciti longobardi, bavari e franchi,
alcuni dei quali sono stati tramandati da Paolo Diacono. L’episodio più importante fu quello che nel secolo VI portò alla contrapposizione tra il duca trentino Ewin e il dux Raetiarum
Cramnichi8. Fu in questo contesto che Ewin comprese la necessità di fare fronte comune con i Bavari, che proprio in questi
anni stavano penetrando in Val d’Isarco. L’accordo, che si poneva all’interno della più vasta strategia di alleanze tra Bavari e
Longobardi, venne suggellato dal matrimonio tra Ewin ed Eufrasia, figlia del duca bavaro Garibaldo e sorella della più nota
Teodolinda. Ciò non impedì che nel 590 i Franchi, nell’ambito
dell’attacco sferrato al regno longobardo con l’imperatore Maurizio, passando per la Val Venosta giungessero nuovamente nel
ducato trentino che venne messo a ferro e fuoco9. Dalla narrazione di questo episodio fatta da Paolo Diacono, emerge la funzione già importante in questi anni dei vescovi di Sabiona e
Trento, Ingenuin e Agnello, sui quali ritorneremo in modo più
approfondito tra breve. La spedizione franca tuttavia fu solo una
7
Sui Longobardi nell’odierno Trentino Alto-Adige si possono vedere HAIDER,
Antike cit.; L. DAL RÌ, Il ducato longobardo di Trento, in «StT», anno LIX, n 4
(1973), pp. 393-421; BIERBRAUER, Il ducato cit.; G. GRANELLO, I Longobardi e l’alto
medioevo, in Storia del Trentino, a cura di L. de Finis, Trento 1994, pp. 75-97;
più in generale sui rapporti tra Longobardi, Bavari e Franchi in area alpina si
vedano i saggi raccolti in Romani e Germani nell’arco alpino (secoli VI-VIII), a
cura di V. Bierbrauer e G.C. Mor, Bologna 1986, J. JARNUT, Beiträge zu den
fränkisch-bayerisch-langobardischen Beziehungen im 7. und 8. Jahrhundert
(656-728), in «ZBLG», vol. 39, quad. 2 (1976), pp. 331-352 e ID., Bozen zwischen
Langobarden, Bayern und Franken, in Bozen cit., pp. 135-141.
8
PAOLO DIACONO, Historia cit., III, 9-10. Su quest’episodio si veda P.M. CONTI,
La spedizione del “Comes Langobardorum de Lagare” contro il “Castrum
Anagnis”, in «AAA», LVIII (1964), pp. 305-318.
9
PAOLO DIACONO, Historia cit., III, 31.
87
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
scorreria, che non alterò sostanzialmente il controllo del territorio da parte longobarda.
Le forme attraverso le quali si strutturava questo controllo
purtroppo non sono descritte dalle fonti. Pertanto oggi è assai
difficile ricostruire l’organizzazione istituzionale e amministrativa
dei territori del ducato trentino, anche a causa della mancanza di
studi d’assieme aggiornati, che tengano presenti le nuove acquisizioni della ricerca. La sintesi più completa infatti rimane ancora
quella dell’archeologo Lorenzo Dal Rì di più di vent’anni fa,
secondo cui anche il ducato di Trento come altri ducati longobardi sarebbe stato diviso in circoscrizioni territoriali, le sculdasce, all’interno delle quali un funzionario scelto dal duca o dal
gastaldo, lo sculdascio appunto, avrebbe svolto funzioni giudiziarie, amministrative e di difesa militare10. Queste supposizioni
però non sono supportate da una precisa base documentaria dal
momento che possediamo delle testimonianze sull’esercizio
della giustizia nel ducato tridentino solo a partire dall’epoca
franca, quando in un famoso placito dell’845 all’interno della
curtis ducalis giudicante sono menzionati un locopositus e uno
sculdassus11. In questo caso il locopositus, un certo Paulicius,
ricopre anche la carica di missus duci, mentre gli sculdassi sono
citati tra altri funzionari pubblici. Essi sembrano dunque rimettersi al parere superiore del duca per una causa che travalicava
il loro ambito di amministrazione della giustizia. Ma, e questo è
ciò che per noi riveste una maggiore importanza, la loro presenza testimonia il persistere, sia pure forse solo a livello nominale,
del funzionariato longobardo nel ducato trentino d’epoca franca.
Sempre Dal Rì suppone che accanto allo sculdascio, così come
in altri ducati, vi fossero anche a Trento funzionari minori, i
decani e gli scari, i primi preposti al controllo di una circoscrizione, la decania, i secondi in funzione di giudici per la bassa
giustizia. La permanenza di alcune di queste denominazioni per
cariche di epoca successiva all’interno di comunità di valle, tra le
quali la più famosa è la Magnifica Comunità di Fiemme, confermerebbe per Dal Rì una continuità plurisecolare nelle istituzioni
10 Il saggio di Lorenzo Dal Rì, Il ducato cit., risale ai primi anni Settanta e non
tiene conto del rinnovamento portato da importanti studi di storia politica e istituzionale, come per esempio G. TABACCO, I liberi del re nell’Italia carolingia e
postcarolingia, Spoleto 1966 e S. GASPARRI, I duchi longobardi, Roma 1978.
11
Per il testo del placito, tradotto e commentato cfr. B. ANDREOLLI, M. MONTANAL’azienda curtense in Italia. Proprietà della terra e lavoro contadino nei secoli
VIII-XI, Bologna 1983, pp. 106-114.
RI,
88
LE
ORIGINI
tridentine. Ritengo tuttavia che la ricerca di questo tipo di continuità debba esser fatta con maggiore cautela, soprattutto a causa
del carattere ipotetico della ricostruzione delle istituzioni d’età
longobarda. All’interno della struttura amministrativo-militare
dovevano giocare un importante ruolo i castra di cui parla Paolo
Diacono; egli ne ricorda sei nell’odierno Alto Adige, Tesana,
Maletum, Sermiana, Appianum, Enemase, Bauzanum, e sei nel
Trentino, Fagitana, Cimbra, Vitianum, Brentonicum, Volaenes,
Anagnis12. Dal Rì riteneva fossero sorti durante l’età goticobizantina su centri preistorici per fornire rifugio alla popolazione
durante la guerra retica e successivamente durante le invasioni
germaniche. In seguito agli studi di Volker Bierbrauer, la retrodatazione di Dal Rì ha subito un notevole raffreddamento, tanto
che in un recente saggio egli stesso ha affermato che con essi
nei secoli VI e VII si continuava «una presenza, che era iniziata a
partire almeno dal IV»13. Per Bierbrauer, sul modello di altri
castra longobardi, anche quelli “trentini” erano insediamenti fortificati che potevano essere situati vicino a importanti vie di
comunicazione, come la via Claudia Augusta. Pur non essendo
questa la loro funzione esclusiva, essi svolgevano un ruolo
importante per la difesa del territorio anche in epoca longobarda, altrimenti non si spiega il motivo per cui i Franchi nel 590 li
abbiano assunti come principale bersaglio della loro incursione
nel ducato trentino. Indirettamente, questi castra testimoniano
anche la presenza di insediamenti longobardi in località talvolta
impervie, insediamenti che si radicarono nel territorio, se pensiamo che per Caldare, corrispondente all’incirca all’odierna Caldaro, località situata presso i castra di Appianum e Bauzanum,
abbiamo menzione ancora per il secolo IX di diverse persone
«omnes viventes lege Longobardorum»14.
Al contrario della Val d’Adige, i territori a nord della piana di
Bolzano (Val d’Isarco, Val Pusteria) non vennero mai occupati
12 PAOLO DIACONO, Historia cit., III, 9; III, 31; V, 36. Per una loro identificazione,
dopo anni di dibattito gli esperti sono giunti a un certo accordo, sintetizzato in
DAL RÌ, RIZZI, Il territorio cit., pp. 91-92. Assai utili per contestualizzare il ruolo
delle fortificazioni trentine nelle dinamiche della società dell’Italia settentrionale
dell’epoca sono: A.A. SETTIA, Stabilità e dinamismi di un’area alpina: strutture
insediative nella diocesi di Trento, in «AARA», a. 235, serie VI, n 25 (1985), pp.
253-277 e ID., Le frontiere del regno italico nei secoli VI-XI: l’organizzazione della
difesa, in «Studi storici», a. XXX, n 1 (gen.-mar. 1989), pp. 155-169.
13
Cfr. BIERBRAUER, Il ducato cit., pp. 113-115 e DAL RÌ, RIZZI, Il territorio cit., p.
91.
14
TUB, n 13, 855-964/1022-1055.
89
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
militarmente in modo stabile dai Longobardi. Essi caddero ben
presto sotto l’influenza dei Bavari, che, negli stessi anni in cui i
Longobardi si stanziavano nel Trentino, penetrarono a sud del
Brennero, benché i loro primi contatti con quest’area risalissero a
circa la metà del secolo VI, quando le vallate delle Alpi orientali
vissero un periodo di grande instabilità in seguito alla guerra gotico-bizantina15. In tale contesto si ritiene siano avvenuti i primi
insediamenti bavari nella zona posta tra le odierne Kufstein,
Kitzbühel e Wörgl, verso la valle dell’Inn. Peter Haider, autore
della più approfondita sintesi sul Tirolo altomedievale, forzando
alcune fonti data l’inizio di un insediamento stabile dei Bavari in
Tirolo a partire dall’età di Garibaldo I († 590 ca.)16. Al di là di que-
15
Sull’origine “oscura” degli stessi Bavari si veda H. WOLFRAM, Die Geburt Mitteleuropas. Die Geschichte Österreichs vor seiner Entstehung. 378-907, BerlinoVienna 1987, pp. 319-330 (ora riedito col titolo Grenzen und Räume. Geschichte
Österreichs vor seiner Entstehung. 378-907, Vienna 1995).Più in generale sulla
società bavara cfr. Die Bajuwaren. Von Severin bis Tassilo 488-788, a cura di H.
Dannheimer e H. Dopsch, Monaco-Salisburgo 1988 e J. JAHN, Ducatus Baiuvariorum. Das bairesche Herzogtum der Agilolfinger, Stoccarda 1991. Sul rapporto
tra i Bavari e gli altri popoli dell’Europa centrale cfr. Die Bayern und ihre Nachbarn, Teil 1, a cura di H. Wolfram e A. Schwarcz, Vienna 1985. Sui Bavari e l’Italia cfr. A. SCHMID, Bayern und Italien vom 7. bis zum 10. Jahrhundert, in Die
transalpinen Verbindungen der Bayern, Alemannen und Franken bis zum 10.
Jahrhundert, a cura di H. Beumann e W. Schröder, Sigmaringen 1987, pp. 51-92.
Sul ruolo dei Bavari a sud del Brennero tra i numerosi studi si possono citare: F.
PRINZ, Herzog und Adel im Agilulfingischen Bayern. Herzogsgut und Konsensschenkungen vor 788, in «ZBLG», n 25 (1962), pp. 283-311 e il più generico K.
BOSL, 700 Jahre bayerisch Südtirol, Bolzano 1988. Sull’insediamento bavaro in val
Pusteria si vedano poi: ID., Die Gründung Innichens und die Überlieferung. Zum
1200. Jubiläum (769-1969) der Gründung Innichens durch Herzog Tassilo III, in
«ZBLG», n 33 (1970), quad. 2, pp. 451-469; F. HUTER, Siedlungsleistung und
Grundherrschaft von Innichen, in «Der Schlern», n 45 (1971), pp. 475-485; M.
MITTERAUER , Das agilolfingische Herzogtum und sein Machtbereich in den
Ostalpen, in «Der Schlern», n 45 (1971), pp. 419-435; E. ZÖLLNER, Der bairische
Adel und die Gründung Innichens, in «MIÖG», n 68 (1960), pp. 362-387.
16
LE
ORIGINI
ste forzature interpretative, sicuramente una graduale penetrazione dei Bavari nel territorio dell’Alto Adige e in particolar modo in
Val Pusteria venne avviata in questi anni per bloccare l’espansione slava. Essa fu affidata soprattutto a importanti stirpi aristocratiche, come è testimoniato anche dalla toponomastica. Nell’area
attorno all’odierna Brunico, ad esempio, vi sono diversi paesi il
cui toponimo deriva da nomi di persona tipici della stirpe agilolfingia: Dietenheim (Theodo), Greinwalden (Grimoald), Issing
(Isso), Reiperting (Reipert), Tesselberg e Tessenberg (Tassilone),
Uttenheim (Uta)17. Accanto alla Pusteria anche Vipitenum, come
ci ricorda Karl Bosl, fu un centro della Agilolfingerherrschaft18.
All’interno di questo contesto va riportata la già ricordata fondazione del monastero di San Candido, avvenuta in seguito alla
donazione fatta nel 769 dal duca Tassilone all’abate Attone di
Scharnitz, un monastero che anche in futuro rimarrà un Eigenkloster della sede vescovile di Frisinga19. Erich Zöllner, in un
importante studio di trent’anni fa dedicato al rapporto tra l’aristocrazia bavara e la fondazione di San Candido, ha sottolineato fortemente il ruolo spesso misconosciuto dell’aristocrazia bavara
nella colonizzazione delle Alpi orientali20. Le sue indicazioni sono
molto preziose ancor oggi. Infatti proprio nella seconda parte del
secolo VIII iniziarono a radicarsi in Val d’Isarco e in Val Pusteria
quelle stirpi aristocratiche che, con l’inglobamento del ducato
bavaro nel regno franco, svolgeranno nel corso dei secoli IX e X
un importante ruolo funzionariale, e non solo.
Gli insediamenti bavari che, oltre i territori ricordati, riguardarono anche la Val d’Adige sino a Mais, presso l’odierna Merano,
furono caratterizzati soprattutto dalla formazione di nuove aree
di potere territoriale all’interno delle quali importanti famiglie
aristocratiche tentarono di svolgere funzioni di egemonia21.
successiva rappresaglia dei Bavari che scacciarono gli Slavi «de suis finibus»
(PAOLO DIACONO, Historia cit., IV, 39).
17
HAIDER, Antike cit., pp. 237-238.
18
BOSL, 700 Jahre cit., p. 12.
HAIDER, Antike cit., p. 237 e n. 360. Egli giunge a questa conclusione interpretando alcuni passi di Paolo Diacono, tra cui quello qui di seguito riportato:
«His diebus Tassilo a Childeperto rege Francorum aput Baioariam rex ordinatus
est. Qui mox cum exercitu in Sclaborum provinciam introiens, parata victoria, ad
solum proprium cum maxima praeda remeavit» (PAOLO DIACONO, Historia cit., IV,
7). Facendo riferimento solo a questo testo egli afferma che la vittoria contro gli
Slavi avvenne in Val Pusteria, la quale a questa data dunque sarebbe stata già
colonizzata dai Bavari. Chiaramente il passo di Paolo Diacono non permette assolutamente questa conclusione. Assai più utile è invece un altro passo di Paolo
Diacono, in cui si parla di una vittoriosa incursione slava «in Agunto» e di una
Naturalmente, quando si parla di “famiglie aristocratiche” in quest’epoca,
bisogna tener presente le diverse indicazioni che Fridrich Prinz, sulla scorta degli
studi di Gerd Tellenbach e Karl Schmid, ha riportato in Die innere Entwicklung:
Staat, Gesellschaft, Kirche. Wirtschaft, in Handbuch der bayerischen Geschichte,
vol. I, Monaco 19812, pp. 405-6. Su questi aspetti, rimando ai capitoli successivi.
90
91
19 THF, n 34, 769. Su San Candido e la sua fondazione torneremo tra breve, nel
prossimo paragrafo.
20
ZÖLLNER, Der bairische Adel cit., p. 386.
21
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
Secondo Karl Bosl questo processo può essere rappresentato come «l’espansione degli Agilolfingi, non dei Bavari», intendendo
con ciò che, al contrario di quanto era avvenuto con i Longobardi, i Bavari non diedero vita a una migrazione, ma a un allargamento delle maglie del dominio di alcune grandi famiglie22.
Ritengo che si possa concordare con questo giudizio, anche se
purtroppo le fonti non ci permettono di verificare se tale processo venne accompagnato dalla realizzazione di un ordinamento
pubblico circoscrizionale. Inoltre non bisogna trascurare che già
nel 788, con la deposizione di Tassilone III, il ducato bavaro
venne inserito nei domini dei Franchi. Questi, già a partire dagli
ultimi decenni del secolo VI avevano avviato una graduale penetrazione all’interno delle Alpi orientali, che toccò anche la Val
Venosta, estremamente importante per i collegamenti tra mondo
mediterraneo e centro Europa23. Essa infatti, sempre strettamente
collegata alla Bassa Engadina, a partire dal 539 risulta parte della
Raetia Curiensis, che corrispondeva territorialmente all’incirca
alla Raetia prima, provincia romana d’epoca dioclezianea con
capitale a Coira24. Al contrario di altre zone, qui la popolazione
di origine romana mantenne per lungo tempo la propria lingua
e le proprie tradizioni giuridiche, codificate probabilmente all’inizio del secolo VIII nella Lex Romana Curiensis25. Anche in Val
Venosta, come nel resto della Raetia Curiensis, sino all’epoca di
Carlo Magno il dominio sul territorio era esercitato da un praeses, eletto dal popolus Raetiarum, quasi sempre appartenente al22 BOSL, 700 Jahre cit., p. 10; questa è l’espressione originale di Bosl: «[...] der
Vorstoß der bajuwarischen Agilolfinger, nicht der Bajuwaren».
23
Sul ruolo dei Franchi a sud del Brennero e del Passo di Resia si veda, per un
inquadramento generale, HAIDER, Antike cit., p. 246; per un inserimento all’interno di dinamiche più vaste sono utili: H. BÜTTNER, Die Alpenpolitik der Franken
im 6. und 7. Jahrhundert, in «HJB», n 79, Monaco-Friburgo 1960, pp. 63-88;
JARNUT, Beiträge cit.; R. SCHNEIDER, Fränkische Alpenpolitik, in Die transalpinen
Verbindungen cit., pp. 23-49 (= Nationes, n 7).
24
Cfr. B OSL , 700 Jahre c i t . , p p . 7 - 9 . S u l l a R e z i a m e d i e v a l e c f r . O . P .
CLAVADETSCHER, Rätien im Mittelalter. Verkehr, Recht, Notariat. Ausgewählte
Aufsätze, a cura di U. Brunold e L. Deplazes, Disentis-Sigmaringen 1994, pp. 1109.
25 Lex Romana Curiensis, in Die Rechtsquellen des Kantons Graubünden, a
cura di Elisabeth Meyer-Marthaler, Aarau 1959. In quest’edizione nell’ampia
introduzione la curatrice presenta con ricchezza di dettagli il dibattito sull’origine
di questa particolare Lex. Si veda anche: Lex Romana Raetica Curiensis ex editione Karoli Zeumer, in MGH LL, V, Stoccarda 1987, pp. 289-452 (copia anastatica
dell’edizione Hannover 1889).
92
LE
ORIGINI
la famiglia dei Vittoridi; il dux Raetiarum invece era nominato
dai re franchi e svolgeva esclusivamente funzioni militari26. Non
bisogna dimenticare, infine, che la presenza franca in Val Venosta ha lasciato importanti tracce artistiche, come la chiesa di San
Benedetto a Malles con il suo ciclo di affreschi.
In seguito all’annessione del Regno longobardo e del Ducato
di Baviera alla fine del secolo VIII, i Franchi portarono sotto il
loro controllo ormai tutto il territorio tra la Val Venosta e la Pusteria, tra il Brennero e la Val Lagarina. Da questo momento in
conformità con gli altri territori dell’impero avvenne una riorganizzazione amministrativa dell’intera regione in base all’istituto
comitale. Purtroppo non siamo in grado di individuare con certezza per l’epoca franca l’ambito delle circoscrizioni comitali
attorno e a sud del Brennero. Sappiamo tuttavia, ad esempio,
che nell’ordinatio imperii dell’817 il bacino di Bolzano e Merano, le valli d’Isarco, dell’Inn e della Pusteria furono considerati
parti del regno franco orientale27. Non possediamo però informazioni esplicite sui funzionari regi che ricoprirono funzioni
comitali in quest’epoca. I pochi documenti di cui disponiamo
per la fine del secolo VIII e l’inizio del secolo IX ci confermano
la permanenza di interessi per la nostra area da parte di esponenti dell’aristocrazia bavara, i quali probabilmente ricoprirono
anche incarichi funzionariali.
L’insediamento di Longobardi, Bavari e Franchi dunque avvenne secondo modalità assai diverse. I primi giunsero nell’area
trentina nell’ambito di una generale migrazione di tutto il loro
popolo e, una volta insediatisi, cercarono di sovrapporre il loro
ordinamento e le loro circoscrizioni pubbliche a quelle preesistenti di età tardoromana, costituendo un ducato dalla fisionomia
territoriale ben marcata; i secondi invece penetrarono nei territori a sud del Brennero soprattutto tramite acquisizioni fondiarie
26 HAIDER, Antike cit., p. 246. Sui depositari del potere in Val Venosta cfr. anche
P. GLEIRSCHER, Wer ist Herr im Vinschgau?, in «Der Schlern», n 65 (1991), p. 629
sg., il quale ritiene che la Val Venosta fu territorio bavaro già sul finire del secolo
VI, interpretando, in particolare a partire da alcuni indizi artistico-archeologici, la
presenza di singoli insediamenti bavari o il controllo temporaneo di parti della
Val Venosta nel senso di un dominio territoriale, attribuendo in tal modo ai
Bavari modalità di insediamento a loro completamente estranei in quest’epoca
sul versante meridionale delle Alpi. La proposta di Gleirscher è stata recentemente contestata in modo analitico in L. V. SALVINI PLAWEN, Bayern, Bistum Chur und
“Praedium Meies” im Vintschgau, in «Der Schlern», n 70, (1996), pp. 131-138.
27
MGH LL, I, a cura di G.H. Pertz, Stoccarda 1991 (copia anastatica dell’edizione Hannover 1835), n 108, p. 198. Cfr. anche BOSL, 700 Jahre cit., p. 17.
93
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
avvenute per opera di importanti gruppi familiari aristocratici, tra
cui gli stessi Agilolfingi, e di episcopi e monasteri a essi collegati; i Franchi infine, conquistati militarmente i ducati di Baviera e
di Trento, li inserirono nella loro organizzazione amministrativa,
ristrutturandoli in base a circoscrizioni comitali.
1.2 Marcello, Ingenuin, Alim: i primi secoli del vescovato di
Sabiona
La cristianizzazione della popolazione delle diverse vallate a
sud del Brennero fu assai difficile e non venne condotta in base
a un disegno unitario, come ci testimoniano per epoche diverse
le vite del vescovo Vigilio e dei martiri Alessandro, Sisinnio e
Martirio per l’area dell’odierno Trentino e le vite dei Santi Corbiniano e Severino per i territori più settentrionali28. Il processo di
28
LE
ORIGINI
evangelizzazione fu lento e graduale a causa anche della conformazione morfologica del territorio.
Le prime testimonianze sulla sede episcopale di Trento datano
circa alla seconda metà del IV secolo, mentre per Sabiona non
possediamo che alcuni sporadici, e discussi, dati per il secolo VI;
poi, fino al secolo VIII non abbiamo più alcuna informazione,
tanto che è stata addirittura messa in discussione la continuità
stessa dell’episcopio. La scarsità di notizie per la sede vescovile
della Val d’Isarco non permette di stabilire con precisione, sino ad
ora, nemmeno il motivo della scelta di Sabiona, una località impervia – pur con testimonianze di insediamenti anche per l’epoca
precedente – come sede episcopale. Recenti scavi archeologici
stanno riportando alla luce reperti che testimonierebbero la presenza di una comunità cristiana sin dai secoli IV o V29. Con l’aiuto
di queste ricerche andrebbe verificata la tesi di una persistenza di
luoghi di culto romani e preromani a cui la sede vescovile potrebbe essersi ricollegata spazialmente. Ma, allo stato attuale della
ricerca, non è possibile andare al di là di queste ipotesi.
Poche e controverse, si diceva, sono le testimonianze sui
primi vescovi di Sabiona. Si pensi alla lettera che, nel marzo del
559, papa Pelagio I (556-561) inviò ad un certo «episcopus
Marcellus Seuoniensis» in cui il presule veniva invitato a lasciar
svolgere le loro funzioni a sacerdoti «ex diversis Italiae regionibus
per bellicam necessitatem dispersis atque in illis locis modo consistentibus» 30. Molto è stato discusso sull’identificazione del
vescovo Marcello soprattutto da quando due benedettini spagnoli, editori delle lettere di Pelagio I, hanno ricondotto la definizione di Seuoniensis a Sabiona. Essi, tuttavia, affermano di esser
giunti a tale conclusione non in base a riscontri documentari, ma
Per quanto riguarda questi testi agiografici rimando alla trattazione fatta nel
capitolo precedente. Sulla storia della chiesa in Tirolo è utile la recente messa a
punto di F. DÖRRER, Die Christianisierung Tirols und die Anfänge der vielen
Bistümer. Zur 25-Jahr-Feier der Diözese Innsbruck, in «TH», n 55 (1991), pp. 5974. In generale, sull’organizzazione ecclesiastica in ambito bavarese si vedano H.
W OLFF, Die Kontinuität der Kirchenorganisation in Raetien und Noricum bis an
die Schwelle des 7. Jahrhunderts, in E. BOSHOF, H. WOLFF, Das Christentum im
bairischen Raum. Von den Anfängen bis ins 11. Jahrhundert, Colonia-WeimarVienna 1944, pp. 1-27 e H. BERG, Bischöfe und Bischofssitze im Ostalpen- und
Donauraum vom 4. bis zum 8. Jahrhundert, in Die Bayern und ihre Nachbarn
cit., pp. 61-108. La bibliografia sulla chiesa tirolese medievale è vastissima. Richiamo ora solo alcune opere di riferimento o di carattere generale: J. GELMI, Die
Brixner Bischöfe in der Geschichte Tirols, Bolzano 1984; ID., Kirchengeschichte
Tirols, Innsbruck-Vienna-Bolzano 1986; P. GLEIRSCHER, Säben-von der Spätantike
ins frühe Mittelalter. Stand der archäologischen Forschung, in «Der Schlern», n 60
(1986), pp. 552-562; F. HUTER , Ursprung der bischöflichen Kirche Brixen.
Tatsachen und Thesen aus anderthalbtausend Jahren, in «Der Schlern», n 51
(1977), pp. 6-1; REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit.; J. RIEDMANN, Die Funktion
der Bischöfe von Säben in den transalpinen Beziehungen, in Die transalpinen
Verbindungen der Bayern, Alamannen und Franken bis zum 10. Jahrhundert,
Sigmaringen 1987 (= Nationes, n 6); ID., Bischof Alim von Säben und die
Einbindung des Bistums Säben in die bayerisch-salzburgische Kirchenprovinz, in
Kunst und Kirche in Tirol. Festschrift zum 70. Geburtstag von Karl Wolfsgruber,
Bolzano 1987, pp. 7-17; ID., Säben-Brixen als bairisches Bistum, in «Jahresbericht
der Stiftung Aventinum», n 5, 1991, pp. 5-35; I. ROGGER, I principati ecclesiastici
di Trento e di Bressanone dalle origini alla secolarizzazione del 1236, in I poteri
temporali dei vescovi in Italia e Germania nel Medioevo, a cura di G.C. Mor e H.
Schmidinger, Bologna 1979; G. SANDBERGER, Bistum Chur in Südtirol. Unter-
Testo tratto da Pelagii II papae epistulae quae supersunt (556-561), Montisserati 1956, n 57, pp. 149-152, riportato in RIEDMANN, Die Funktion cit., pp. 93-94,
in cui lo storico tirolese, pur con alcune perplessità, accetta l’ipotesi secondo la
quale Marcello sarebbe stato vescovo di Sabiona.
94
95
suchungen zur Ostausdehnung ursprünglicher Hochstiftsrechte im Vintschgau, in
«ZBLG», n 40, quad. 2/3 (1977), pp. 705-828; A. SPARBER, Das Bistum Sabiona im
seinen geschichtlichen Entwicklung, Bressanone 1942; J. TRÖSTER, Studien zur
Geschichte des Episkopates von Säben/Brixen im Mittelalter, Vienna 1948 (tesi di
laurea dattiloscritta).
29
Una messa a punto dei risultati delle ricerche archeologiche viene fatta da
GLEIRSCHER, Säben von der Spätantike ins frühen Mittelalter cit. e in V. BIERBRAUER,
H. N OTHDURFTER , Die Ausgrabungen im spätantik-frühmittelalterlichen
Bischofssitz Sabiona-Säben, in «Der Schlern», n 62 (1988), p. 243 sg.
30
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
«Deo ducente»31. Conferme dell’esistenza di un vescovo Marcello
nella sede di Sabiona le ha indicate però Josef Riedmann, il quale
ha posto l’attenzione sul catalogo dei vescovi di SabionaBressanone, composto nel tardo medioevo, in cui compare effettivamente un «episcopus Marcellus»32. Se così fosse, la sede
vescovile di Sabiona nel VI secolo sarebbe stata inserita nell’organizzazione ecclesiastica dell’Italia settentrionale, dato questo confermato da alcuni documenti che riguardano gli ultimi decenni
del secolo e che meritano di esser analizzati con attenzione.
Torniamo così al famoso episodio che vide come protagonisti i
vescovi Ingenuin di Sabiona e Agnello di Trento. Siamo attorno
al 590 e i Franchi, forti dei buoni rapporti che erano riusciti a
ristabilire con l’imperatore bizantino Maurizio, decisero di sferrare un attacco in Italia per «debellarvi la gente longobarda»33. La
spedizione fu condotta da tre importanti duchi, Andoaldo, Olone
e Cedino, su fronti diversi. Andoaldo e Olone tuttavia fallirono
nel loro intento. Il primo dovette rinunciare all’assedio di Milano
per il mancato arrivo di rinforzi, il secondo morì cadendo da
cavallo durante l’assedio del castrum di Bellinzona. Chi ebbe inizialmente maggiore fortuna fu Cedino che, entrato in Italia “da
sinistra”, probabilmente da Coira e Chiavenna, giunse sino a
Verona e da qui risalì il corso dell’Adige “in territorio tridentino”
distruggendo importanti castra e facendo numerosi prigionieri. In
questo contesto appaiono Ingenuin e Agnello, «episcopi de Savione e de Tridento» che, pagando un’ingente taglia, riuscirono a
salvare il «castrum Ferruge», identificabile con Dos Trento o, per
taluni, con Castel Firmiano, la fortezza che controlla l’accesso da
sud alla piana di Bolzano. L’impegno di Ingenuin per la salvaguardia dell’importante fortificazione, testimonia sicuramente uno
stretto legame tra la sede episcopale della Val d’Isarco e il ducato
tridentino. Oltretutto, non bisogna dimenticare che in questi anni
il vescovo di Sabiona era suffraganeo del metropolita di Aquileia,
com’è confermato da una lettera all’imperatore Maurizio, firmata
da Ingenuin assieme ad altri vescovi facenti capo all’arcivescovato friulano, e dalla partecipazione sempre di Ingenuin a un sinodo tenuto a Marano, presso Aquileia34.
31
Le osservazioni dei monaci benedettini spagnoli Dom Pius M. Gassò e Dom
Columba M. Battle sono riportate in RIEDMANN, Die Funktion cit., p. 94.
32
Ibidem, p. 94; per il catalogo dei vescovi cfr. A. SPARBER, Der Brixner
Bischofskatalog, in «MIÖG», n 58 (1950), pp. 373-385.
33
34
LE
ORIGINI
Dopo Ingenuin, per circa un secolo e mezzo il silenzio più
assoluto avvolge l’episcopio di Sabiona, un silenzio che probabilmente potrà esser spezzato solo dai risultati di ricerche archeologiche. Quando rincontriamo un vescovo di Sabiona, esso
appare ormai nell’orbita del ducato di Baviera. Si tratta di Alim,
menzionato tra i testi della donazione del territorio su cui sorgerà il monastero di San Candido, una donazione assai ricca di
indicazioni35. Essa avvenne «in Bauzano», quando Tassilone era
«rediente de Italia» nel medesimo anno (769) in cui si era sposato
con Liutberga, figlia del re longobardo Desiderio. Riedmann collega i due episodi e interpreta la presenza di Alim nel seguito di
Tassilone come una conferma dell’importanza del suo episcopio
nei rapporti tra Longobardi e Bavari in un momento in cui la
loro indipendenza era minacciata dal pericolo franco36. Rimane
aperta però la questione del perché il duca bavaro diede all’abate Attone e non ad Alim gli importanti beni fondiari pusteresi,
quasi che la fedeltà del vescovo di Sabiona non fosse certa. E
forse Tassilone operò in modo giusto, perché, pochi anni dopo
la caduta degli Agilolfingi ritroviamo Alim in ottimi rapporti con
Alcuino e la corte di Carlo Magno37.
L’inserimento dell’intera area tra Inn e Adige nell’orbita franca mentre da un punto di vista politico portò all’unificazione
sotto un’unica autorità, dal punto di vista dell’organizzazione ecclesiastica determinò una frattura nei destini delle sedi vescovili
di Sabiona e Trento a causa del passaggio del primo nel 798
dalla provincia ecclesiastica di Aquileia a quella, di nuova fondazione, di Saliburgo. Il destino della diocesi di Sabiona da questo
momento in poi sarà strettamente legato a quello del versante
germanico dell’Impero; per usare una felice immagine di Ried-
Hartmann, in MGH Epp., 1, 1891, n 1, 16a, pp. 17-21 e Chronica patriarchum
Gradensium, in MGH SS rer. Langob., I, p. 393. Sull’interpretazione di questi
documenti cfr. RIEDMANN, Die Funktion cit., p. 95. Sul ruolo di Aquileia nell’organizzazione ecclesiastica orientale cfr. R. BRATOZ, Der Einfluß Aquileias auf den
Alpenraum und das Alpenvorland, in Das Christentum cit., pp. 29-61.
35 Per la donazione cfr. THF, n 34, 769. La bibliografia sul monastero di San
Candido è assai vasta. Per un primo orientamento si vedano i saggi raccolti in
«Der Schlern», a. 43, n 9/10 (1969) e a. 45, n 11/12 (1971) e G. JENAL, Die geistlichen Gemeinschaften in Trintino-Alto Adige bis zu den Gründungen der Bettelorden, in «AARA», a. 235, ser. VI, vol. 25 (1985), pp. 309-370. Su Alim cfr.
RIEDMANN, Bischof Alim cit.
PAOLO DIACONO, Historia cit., III, 31.
36
RIEDMANN, Die Funktion cit., p. 98.
Cfr. Gregorii I papae registrum epistolarum, T. I, a cura di P. Ewald e L.M.
37
Ibidem.
96
97
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
mann, dopo esser stato l’episcopio più settentrionale della penisola italiana divenne il più meridionale della Baviera38.
Per quanto riguarda l’estensione delle diocesi di Sabiona e
Trento, come spesso accadeva in età altomedievale, essa ricalcava
grossomodo i confini della struttura amministrativa romana. Due
erano le province romane che si estendevano sulla parte settentrionale del nostro territorio: la Rezia e il Norico. La prima aveva i
suoi confini meridionali presso l’odierna Tell, tra la Val Venosta e
il bacino di Merano, e a Sublavione, che corrispondeva all’incirca
all’odierna Colma, poco sotto Chiusa e Sabiona, in Val d’Isarco e
comprendeva grosso modo i territori dell’attuale Svizzera orientale, del Vorarlberg, del Tirolo – sino ai confini appena ricordati – e
la Baviera a Sud del Danubio. Suo centro urbano maggiore era
Augusta Vindelicorum, ovvero Augusta (Augsburg). La Provincia
del Norico invece si estendeva tra il Tirolo orientale, compresa la
Pusteria, e il bacino di Vienna escluso. Suo capoluogo era Lauriacum, l’odierna Lorch bei Enns. Tutta l’area a sud delle chiuse di
Tell e Sublavione faceva parte dell’Italia (cfr. carta 4)39. Nel secolo IV, in seguito alla riforma amministrativa di Diocleziano, la
Raetia venne suddivisa in Raetia prima, con capitale Coira, e
Raetia secunda, con capitale Augusta. Già verso il V e VI secolo
probabilmente Tell e Sublavione designavano anche i confini tra
le diocesi dell’area al centro del nostro interesse: a nord di Sublavione si estendevano, in territori difficili da indicare con precisione, le diocesi di Sabiona e, verso oriente, di Aguntum (Lienz). A
sud invece era l’episcopio di Trento a controllare i territori all’incirca dell’odierno Trentino e di tutta la Val d’Adige sino a Tell,
dove invece iniziava la diocesi di Coira40. Purtroppo siamo scarsamente informati sulla vita di queste diocesi per i secoli delle grandi migrazioni dei popoli germanici, epoca in cui venne soppressa
la sede vescovile di Aguntum e per la quale, come si è già accennato, non si ha alcun riferimento a Sabiona.
Quando a partire dalla fine del secolo VIII, incominciamo a
possedere una documentazione più ricca, ci troviamo di fronte a
una ripartizione diocesana che, con alcuni aggiustamenti, rimarrà
stabile per quasi un millennio. Questa è la nuova situazione: la
diocesi di Trento comprendeva ancora quasi tutta l’area dell’ex
ducato longobardo a cui si sommavano i territori della Val d’Adi-
L’ ETÀ
CAROLINGIA : VESCOVI E POTERE
ge, con le valli limitrofe, sino al rio Tinne e al rio Kardaun in Val
d’Isarco e, a est, all’odierna Merano; da Tell, sopra la conca di
Merano, iniziava la parte orientale della diocesi del vescovo di
Coira che poi si estendeva nella Rezia di un tempo; la diocesi di
Sabiona comprendeva invece la Val d’Isarco a partire dai confini
sopra ricordati, quasi tutta la Pusteria e, al di là del Brennero, la
Valle dell’Inn; lo Ziller segnava il confine con la diocesi dell’arcivescovato di Salisburgo che si estendeva a sud anche su gran
parte del futuro Tirolo orientale e sui territori a est dello Ziller e
dell’Inn; alla diocesi di Augusta invece apparteneva la Lechtal con
alcune località limitrofe, a nord-ovest della Valle dell’Inn; alla diocesi di Frisinga infine facevano riferimento dei nuclei di territori,
tra cui Scharnitz, a nord-est della Valle dell’Inn (cfr. carta 5)41.
Il secolo VIII ebbe dunque una fondamentale importanza per
la costituzione delle diocesi di Bressanone e Trento, che da questo periodo assunsero una fisionomia precisa all’interno dell’organizzazione ecclesiastica delle Alpi orientali. Con la fine dei
regna di Bavari e Longobardi però anche per gli enti ecclesiastici si poneva il problema dell’inserimento nella nuova organizzazione territoriale carolingia. Ma tutto ciò ormai ci introduce in un
nuovo contesto, in un nuovo secolo.
2. L’età carolingia: vescovi e potere
Friedrich Prinz in un suo famoso saggio dedicato al rapporto
tra clero e guerra nell’alto medioevo giunse a una conclusione
che offre un’importante chiave di lettura per comprendere le
forme di potere in età carolingia. Egli affermò infatti che si può
parlare di un “sistema ecclesiastico-imperiale” carolingio tanto
quanto si parla di uno ottoniano salico; quest’ultimo infatti
sarebbe stato forse più una “rinascita” della prassi di governo
carolingia che non una creazione ex novo42. Con i sovrani caro-
41
GELMI, Kirchengeschichte cit., p. 18 e RIEDMANN, Mittelalter cit., pp. 316-321.
42
38
Ibidem.
39
Cfr. DÖRRER, Die Christianisierung cit., p. 59.
40
Cfr. GELMI, Kirchengeschichte cit., p. 18.
98
F. PRINZ, Clero e guerra nell’alto medioevo, Torino 1994 (ed. or. Klerus und
Krieg im früherem Mittelalter, Stoccarda 1971), p. 113. Secondo Prinz gli Ottoni
iniziarono una politica di privilegio nei confronti del clero solamente dopo aver
sperimentato il fallimento di un potere interamente fondato su base parentale. A
questo punto si avvicinarono a quanto era già avvenuto in epoca carolingia, in
cui vi era una rigida partecipazione del clero al servizio regio.
99
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
lingi iniziò dunque una strategia di potere che, legando i vescovi
al sovrano tramite il servitium regis, portò alla creazione di una
sorta di chiesa regia che prefigurava un suo inquadramento statuale43. Questo tipo di controllo poteva essere avviato soprattutto là dove non vi erano forti contropoteri laici, o dove le sedi
vescovili non erano radicate in una tradizione cittadina gelosa
della sua indipendenza. L’episcopio di Sabiona si collocava proprio in un contesto di questo tipo, un contesto che ora cercheremo di delineare, tenendo presente che purtroppo come per il
periodo precedente, anche per il secolo IX possediamo pochissimi dati, molto generici. Solamente per la seconda metà del secolo disponiamo di alcuni documenti dai quali è possibile trarre
delle indicazioni precise sul ruolo di comites e vescovi.
2.1 Immunità e riserve di caccia: il vescovo-miles in un nuovo
equilibrio di poteri
Con la conquista del ducato di Baviera a opera dei Franchi
nel 788 tutti i territori del futuro Tirolo vennero inseriti nei domini carolingi e riorganizzati da un punto di vista circoscrizionale.
La Baviera stessa, ai cui destini la nostra area rimase strettamente
legata, venne trasformata in una provincia, governata da un
praefectus, anche se successivamente, di pari passo con lo
smembramento dell’Impero, riuscì a riguadagnare una crescente
autonomia ottenendo lo status di marca e infine, all’inizio del
secolo X, quello di ducato (cfr. carte 6 e 7)44. Il nuovo dux, inizialmente appartenente alla famiglia dei luitpoldingi, non si presentava più come un semplice funzionario, ma come il portatore
di un’autorità che si voleva porre alla pari con quella regia.
43 Ibidem, p. 81; sul servitium regis in generale si veda C. BRÜHL, Fodrum,
Gistum, Servitium regis. Studien zu den wirtschaftlichen Grundlagen des
Königstums im Frankenreich und in der fränkischen Nachfolgenstaaten
Deutschland, Frankenreich und Italien vom 6. bis zur Mitte des 14. Jhdts.,
Colonia-Graz 1968.
44
Sull’evoluzione generale della Baviera in epoca carolingia, oltre alle opere
già citate in nota 15 del presente capitolo si vedano: Handbuch der bayerischen
Geschichte, vol. I, a cura di Max Spindler, Monaco 19812; A. KRAUS, Geschichte
Bayerns. Von den Anfängen bis zur Gegenwart, Monaco 1983 oppure il più sintetico K. BOSL, Bayerische Geschichte, Monaco 1971, pp. 44-67. Per la situazione
in area trentina è di grande utilità F. CAGOL, Circoscrizioni pubbliche e poteri
comitali in Trentino e in Tirolo nell’epoca carolingia e post-carolingia, Verona
(tesi di laurea discussa nell’anno accademico 1987/88).
100
L’ ETÀ
CAROLINGIA : VESCOVI E POTERE
Questa situazione sarà causa di una forte conflittualità con i diversi poteri e porterà a una frattura all’interno dell’aristocrazia,
schierata ora con il duca, ora con il re. Quindi, nel corso del
secolo IX la Baviera si trovò in un processo evolutivo che rende
spesso ambiguo il significato e il ruolo dei diversi uffici pubblici.
Tale difficoltà di identificazione è aumentata, poi, per la nostra
area d’indagine dalla scarsità di informazioni documentarie, dalle
quali emerge tuttavia da un lato il rafforzamento dell’aristocrazia
e degli enti ecclesiastici bavari, dall’altro un nuovo radicamento
nel territorio da parte dei vescovi di Sabiona. Seguiamo ora innanzitutto questo secondo processo.
Il 4 settembre dell’845 Ludovico il Germanico mentre si trovava a Francoforte concesse al vescovo di Sabiona Lanfredo
(845-868) l’immunità sui propri territori «propter malorum hominum»; in tal modo venivano poste le basi per un notevole rafforzamento dell’episcopio della Val d’Isarco a danno di funzionari
pubblici ai quali veniva tolta ogni possibilità di «causas audiendas vel freda exigenda aut mansiones vel paratas faciendas aut
fideiussores tollendos aut homines ipsius eclesiae iniuste distringendos…»45. Il vescovo di Sabiona per la prima volta non ci appare più solo come presule, ma anche come un dominus strettamente collegato all’entourage regio. E questo re, non a caso, è il
re della “Francia orientale”, della Germania. Il carattere di dominus del vescovo Lanfredo è confermato anche da un altro episodio. Egli fu al centro di un aspro contrasto con papa Niccolò I
per la sua passione per la caccia e per la sua condotta morale
piuttosto discutibile. In una lettera al metropolita di Salisburgo
Adalvino, infatti il papa affermò allarmato: «è giunta alle nostre
orecchie, grazie a una relazione di nostri fedeli, la notizia che il
vescovo Lanfredo, del quale si dice sia ancora giovane, si dedichi alla caccia [...]»46; pertanto Niccolò I consigliava Adalvino di
convocare un concilio dei vescovo suffraganei per ammonire il
vescovo di Sabiona con «salutaribus eloquiis» affinché si astenesse totalmente dalla caccia e dall’uccellagione e da ogni «immode-
45
La prima concessione immunitaria su territori del futuro Tirolo riguarda però
il vescovo di Coira. Cfr. TUB, n 9, 9 giugno 831. Questa concessione venne
riconfermata poi da Lotario I nell’843 (TUB, n 10, 21 gennaio 843) e da Ludovico
il Germanico probabilmente attorno all’849 (TUB, n 12, 12 giugno 849).
46
«Quorundam relatione fidelium nostris auribus intimatum est, quod
Lanfredus episcopus, qui et iuvenis esse dicitur, venationi sit deditus», in MGH
Epp., VI, p. 632, n 116.
101
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
rata filia suae familiaritas»47. Non sappiamo se le raccomandazioni del papa ebbero un seguito.
Con Ludovico il Germanico e Lanfredo iniziarono a stabilirsi
dei rapporti molto stretti tra re di Germania e la sede vescovile
di Sabiona, i cui presuli, talvolta anche con le armi, furono sempre in prima fila accanto ai loro sovrani nei momenti più difficili,
ottenendo in cambio notevoli concessioni territoriali che crearono le basi per un controllo politico della loro diocesi. In questo
contesto naturalmente i conti divenivano una figura ingombrante, un fastidioso contropotere, come ci conferma indirettamente
un documento della fine del secolo IX i cui protagonisti sono
nuovamente un vescovo, un re e la caccia.
Infatti, anche il successore di Lanfredo, Zaccaria (890-907), si
distinse per la passione per la caccia e le armi, mantenendo per
tutto il suo vescovato un atteggiamento filoimperiale. In seguito
ai frequenti passaggi lungo la «vallis tridentina» di Arnolfo di
Carinzia egli ottenne dal sovrano il riconoscimento dei propri
diritti di caccia in un bosco nei pressi dell’odierna Bressanone48.
In tal modo Zaccaria non soddisfaceva solamente un suo desiderio, ma, attraverso la sanzione regia della sua riserva di caccia,
dalla quale era tassativamente escluso il comes, enfatizzava la
propria condizione signorile, di dominus.
Pochi anni dopo, nel 901, il giovanissimo figlio di Arnolfo,
Ludovico il Fanciullo, portò a termine questo processo donando
al vescovo Zaccaria l’importantissima curtis Prihsna, che costituì
il nucleo territoriale sul quale si sviluppò il centro di Bressanone, dove poco prima del Mille fu poi trasferita la sede dell’episcopio della Val d’Isarco49. Ma Zaccaria non si distinse solamen47 Ibidem: «Oportet ergo fraternitatem tuam synodale cum episcopis et suffraganeis tuis convocare concilium et hunc salutaribus eloquiis episcopum convenire
atque illi pastorali auctoritate praecipere, quatinus et ab omnium bestiarum vel
volucrum venatione penitus alienus existat atque ab immoderata filiae suae familiaritate semet omnino coherceat».
48
UBHA, n 3, 31 maggio 893. Nel documento vengono riportati in modo molto
preciso i confini del bosco, ma purtroppo non tutte le località sono facilmente
riconoscibili. Non bisogna trascurare il fatto, poi, che nella parte conclusiva del
documento vi è un richiamo esplicito contro ogni possibile ingerenza di un
comes. Per un quadro dettagliato dello sviluppo tecnico della caccia dall’alto
medioevo in poi nel Tirolo si veda ora C. GASSER, Zur Geschichte des Weidwerks
in Tirol vom Mittelalter bis zum 18. Jahrhundert, in C. GASSER, H. STAMPFER, Die
Jagd in der Kunst Alttirols, Bolzano 1994, pp. 8-57.
49
UBHA, n 4, 13 settembre 901. Si trattava di una curtis molto consistente «(...)
cum curtilibus aedificiis familiis mancipiis utriusque sexus parschalchis censibus
102
L’ ETÀ
CAROLINGIA : VESCOVI E POTERE
te per le sue qualità di dominus; egli fu anche miles, qualità,
questa, che gli costò la vita. Il 5 luglio 907 presso Presburgo
trovò la morte in battaglia accanto a molti conti, cavalieri e ad
altri prelati come il metropolita di Salisburgo Thietmar e il vescovo di Frisinga Udo50.
Con l’immunità ottenuta da Lanfredo e la curtis Prihsna ricevuta da Zaccaria erano state poste le pietre basilari sulle quali
costruire le nuove strategie di dominio della sede vescovile di
Sabiona. Esse furono i due momenti più eclatanti di una politica
di espansione perseguita anche ad altri livelli, accompagnata da
una costante acquisizione fondiaria. Ma in questo processo i
vescovi di Sabiona non furono soli.
2.2 Terra e potere: conti, vescovi e proprietari fondiari
La donazione della curtis Prihsna a seconda della prospettiva
con cui la si esamini, può esser considerata sia il momento conclusivo di un processo di radicamento nel territorio dei vescovi
di Sabiona, sia il punto d’avvio di una nuova strategia di potere
che verrà condotta in modo mirato e consapevole da parte di
alcuni vescovi del secolo X. Infatti i pochi documenti di cui
disponiamo per i secoli VIII e IX sembrano tutti attestare una
medesima linea di sviluppo: l’inglobamento della grande proprietà fondiaria laica in quella ecclesiastica. E ciò non valeva
solo per Sabiona, ma anche per altri enti ecclesiastici con interessi in Val d’Isarco e lungo il corso dell’Adige, come gli episcopi di Frisinga e Trento. Abbiamo già visto come il primo si fosse
radicato proprio all’interno della diocesi di Sabiona con la donazione di Tassilone del 769 del «locum nuncupantem India» in
Pusteria e la conseguente fondazione del monastero di San
Candido i cui possessi fondiari si estendevano sino «ad terminos
Sclauorum»51. In questo documento, il più antico che possediamo per il nostro territorio, parte della Val Pusteria appare già
colonizzata e inserita all’interno delle proprietà del duca di Baviera e il locus India si presenta come un vasto insieme compatvineis montanis planitiebus collibus vallibus alpibus ruppibus forestibus venationibus agris pratis campis pascuis silvis aquis aquarumve decursibus molinis
piscationibus viis et inviis exitibus ad reditibus quesitis aut inquisitis mobilibus et
immobilibus terris cultis et incultis (...)».
50
Cfr. PRINZ, Clero cit., p. 175.
51
THF, n 34, 769.
103
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
to di terreni, colti ed incolti52. Karl Bosl in un suo scritto dedicato alla fondazione del monastero di San Candido sostenne che,
in conformità con il significato che egli attribuisce al termine
locus in area bavarese, questi territori avessero già una struttura
signorile53. Anche Franz Huter, sia pure in modo più sfumato, si
dichiarò della stessa opinione laddove affermò che ogni colonizzazione implica un successivo sfruttamento signorile, dal momento che «la struttura in cui nel medioevo si organizza l’insediamento si chiama, con un termine della moderna scienza storica, signoria fondiaria»54. Il testo della donazione tuttavia non
lascia intravedere quanto viene descritto da Bosl e Huter. Anzi,
sembra contenere degli elementi in netta contraddizione con la
loro ricostruzione. Infatti, se ammettiamo il significato attribuito
da Bosl a locus, come possiamo giustificare poi il fatto che nel
documento si dica che «ipsa loca ab antiquo tempore inanem
atque inhabitabilem esse cognovimus»? Bisogna ipotizzare un
duplice uso di locus o, come lo stesso Bosl suggerisce ricondurre quest’affermazione a un topos? A parte ciò, può esser più utile
rovesciare il problema e accantonare la pretesa di vedere in questo documento elementi che in esso non ci sono, anche se,
forse, potevano essere presenti nella realtà. Purtroppo dobbiamo
prendere atto che la donazione di Tassilone non ci permette di
esprimere alcun giudizio certo sulla forma di gestione del territo-
L’ ETÀ
CAROLINGIA : VESCOVI E POTERE
rio concesso: essa ci informa solamente del fatto, in ogni caso di
grande rilevanza, che parte della Pusteria, inserita sino poco
dopo la metà del secolo VIII all’interno dei territori del duca di
Baviera, passò a un ente ecclesiastico collegato strettamente a
una delle maggiori sedi episcopali bavaresi, Frisinga, e che questo territorio appare nell’ambito di un’unica proprietà. Già alcuni
decenni dopo, il monastero di San Candido cercò di rafforzare il
proprio patrimonio fondiario anche al di fuori della Val Pusteria.
Un esempio di ciò ci viene offerto da uno dei pochi documenti
di cui disponiamo per questi anni, il cosiddetto QuartinusUrkunde (827-28 ca)55; attore di questo documento è un certo
«Quarti nationis Noricorum et Pregnariorum», sulle cui origini
etniche tanto è stato discusso. Purtroppo, questo dibattito sulla
“nazionalità” di Quarti e di molti testes riportati nei tre documenti, ha determinato uno scarso interesse per altri aspetti che invec e o r a e s a m i n e r e m o 5 6. Ebbene, Quarti assieme alla madre
Clauza il 31 dicembre 827 «ad Inticha», l’odierna San Candido,
55
SPARBER, Die Quartinus-Urkunde cit.
56
54 Cfr. HUTER, Siedlungsleistung cit., pp. 476-477. Questo il testo originale da
me tradotto in italiano: «Die Struktur, in der sich im Mittelalter der Siedlungsausbau vollzieht, heißt mit einem Wort der modernen Wissenschaft: Grundherrschaft».
Lo stesso Riedmann in Mittelalter cit., p. 304, incentra il suo discorso soprattutto sull’origine di Quarti. Da parte di coloro che hanno affrontato questi documenti il termine natio è stato ripreso come se fosse un sinonimo dell’odierno
“nazione”, compiendo quell’operazione di sovrapposizione di concetti di epoca
diversa stigmatizzata da Carlirichard Brühl in Deutschland-Frankreich cit., p. 243.
Come s’è visto precedentemente, Brühl ha chiarito come il termine natio nelle
fonti altomedievali appaia quasi sempre con il significato di “origine” e mai nel
senso odierno di popolo/nazione. Per quanto riguarda l’identificazione etnica di
Norici e Pregnarii Sparber in Die Quartinus Urkunde cit., p. 180, ritiene che i
primi fossero bavari, i secondi breoni («unter den Norikern haben wir die
Bayern, unter den Pregnarii wahrscheinlich die Breonen [Breones] zu verstehen»). Invece per HAIDER, Antike und früheste Mittelalter cit., p. 247, sulla scorta degli studi di R. Heuberger e H. Wolfram, agli inizi del secolo IX con Norici e
Pregnarii si intendeva la popolazione di origine latina, nettamente distinta dai
Bavari. La medesima distinzione la si trova anche in H. DOPSCH, Zum Anteil der
Romanen und ihre Kultur an der Stammesbildung der Bajuwaren, in Die Bajuwaren cit., pp. 47-54. Non bisogna dimenticare, tuttavia che, successivamente,
nel secolo XI i termini “norico” e “bavaro” definivano la medesima realtà. Per
esempio in W IPO,Gesta Chuonradi II imperatoris, in MGH SSrG in usum scholarum, Hannover-Lipsia 1917 (ristampa anastatica 1977), p. 10, l’arcivescovo di
Magonza Aribone, appartenente a una delle più antiche e conosciute famiglie
dell’aristocrazia bavara (gli Ariboni, su cui torneremo ampiamente), viene presentato come «natione Noricus»; inoltre, nel medesimo testo, p. 44, 17, vien detto
che re Stefano d’Ungheria fece numerose incursioni «in regno Noricorum, id est
Baioariorum». Pertanto, per quanto le retrodatazioni siano sempre un’operazione
arbitraria, forse sarebbe meglio procedere con maggior cautela nel voler vedere
in Norici e Pregnarii (o Breoni) solamente dei latini.
104
105
52
È difficile ricostruire con sicurezza i confini indicati dal documento. HUTER,
Siedlungsleistung cit., p. 476, ritiene che nel 769 il confine occidentale fosse costituito dal Taistener o dal Gsierer Bach mentre quello orientale corrispondesse
all’Anraser Bach, futuro confine tra i comitati di Pusteria e Lurngau («Als
Westgrenze des Stiftungsgebietes wird 769 der Taistener oder Gsierer Bach
[Pudig], als Ostgrenze der Anraser Bach genannt. Der Anraser Bach ist später die
Grenze zwischen den Grafschaften Pustertal und Lurngau»).
53 Karl Bosl conduce in Die Gründung Innichens cit., p. 456, una Begriffsgeschichte relativa al significato del termine locus nelle fonti bavaresi concludendo
che esso non designava in modo generico una località ma «un distretto, delimitato da un confine sia pure non ben definito, organizzato da un punto di vista
signorile» («... den grundherrschaftlich organisierten und auch grob umgrenzten
Bezirk»). Più recentemente anche JAHN, Ducatus cit., pp. 427, 432, 478, 497 ha
riproposto l’identificazione tra locus e signorie fondiarie fiscali. Ma, al di là delle
proposte di Huter e Jahn, è lo stesso termine Grundherrschaft, usato in tedesco
con uno spettro semantico assai più vasto dell’italiano “signoria fondiaria”, a
creare un margine di ambiguità.
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
cedette al monastero di San Candido, rappresentato da Hittone,
suo rector e vescovo di Frisinga, la hereditas, ricevuta dai genitori, composta da diversi beni situati «ad Uuipitina in castello et
in ipso vico et in aliis villulis ibidem adiacentibus…, ad Bauzana
in vico Suczano cum vineis et silvis, cum pratis et agris et ad
Taurane suum proprium seu ad Stauenes coloniam I», da tutto
quanto egli possedeva in queste località «in silvis, in pratis, in
campis, in agris, in pascuis, in vineis, in aquarum decursibus» e
da cinque mancipia57. Egli si riservava tuttavia di mantenere
queste proprietà in «usu fructuario» per sé e per la madre fino
alla loro morte. In cambio di questa ricca donazione il vescovo
Hittone gli concesse un «beneficium… in vico, qui dicitur
Duplago»58. Nei mesi successivi Quarti confermò la sua donazione dapprima il 17 gennaio 828, di fronte anche al vescovo di
Sabiona, Arbeone, accompagnato da Hittone a Uuipitina, e poi
«ad locum Pressena» il 4 di luglio dello stesso anno, davanti ad
Arbeone e al decano del monastero, Felicio59. In questa seconda
conferma i beni donati vengono definiti «de alode paterno quam
de hereditate materna»60.
Quarti e sua madre Clauza appaiono dunque in una duplice
veste. Inizialmente si presentano come dei grandi proprietari
fondiari, di probabile origine reto-romana: i loro beni di natura
allodiale erano parte del patrimonio familiare ed erano slegati,
sino al momento della donazione, da qualsiasi vincolo o rapporto beneficiario. La proprietà donata, composta da campi coltivati,
prati, boschi, pascoli appare divisa in più nuclei, con il centro
nella zona dell’attuale Vipiteno e con delle appendici nella
conca bolzanina, dove erano situati dei vigneti61 (cfr. carta 8).
57 SPARBER, Die Quartinus-Urkunde cit., p. 178. Da ora i tre documenti di donazione di Quartino saranno citati come QU I, QU II, QU III.
58
Cfr. QU I: «Venerabilis pater Hitto (...) istam traditionem condixit cum
Quartino et econtra praestabit illi in beneficium in vico, qui dicitur Duplago
talem sicut ei placitum fuit, ut hoc haberet et mater eius Clauza pro talem traditionem».
L’ ETÀ
CAROLINGIA : VESCOVI E POTERE
Dal documento della donazione veniamo a sapere anche che i
beni presso Wipitina erano posti «in castello et in ipso vico»62:
essi dunque erano concentrati all’interno di un’area fortificata e
di un villaggio63. In seguito alla donazione, Quarti e la madre
Clauza abbandonarono lo status di proprietari fondiari per divenire invece degli usufruttuari su quelle che un tempo erano state
le loro proprietà, stabilendo un rapporto di tipo beneficiario con
il vescovo di Frisinga.
L’importanza della donazione è testimoniata dal fatto che
viene ribadita tre volte in luoghi diversi e di fronte a testimoni in
gran parte diversi. Ognuno di questi luoghi doveva avere un preciso significato; l’atto fondamentale, come s’è visto, venne registrato a San Candido di fronte al vescovo di Frisinga Hittone, a
sottolineare il primato dell’ente ricevente e dell’episcopio bavarese; il secondo atto avvenne presso Vipiteno, là dove c’era il
nucleo fondamentale dei beni di Quarti, in presenza del vescovo
di Sabiona Arbeone, titolare della diocesi in cui i terreni erano
posti; il terzo atto infine venne stipulato di nuovo di fronte ad
Arbeone, questa volta però nella futura Bressanone, in un area
nella stessa piana in cui oggi sorge il centro di Vipiteno, sviluppatosi però probabilmente da un altro nucleo abitatativo rispetto al sito romano. Per quanto
riguarda gli altri centri questa è la proposta di Sparber: Stilues viene fatto coincidere con l’odierna Stilves, posta poco a sud di Vipiteno; Torrentes è identificato
con Trens, posta di fronte a Stilves dall’altro lato della valle; Ualones con Flanes,
a nord di Vipiteno; Zedes con Cedes, posto tra Vipiteno e Flanes; per Teines non
viene data alcuna indicazione; Tuluares è identificata con Tulve in Val di Vizze;
Bauzana con Bolzano; Suczano con Bagno Dolce sul monte Renon; diverse incertezze rimangono per Sparber sull’identificazione di Taurane e Stauanes; la
prima potrebbe coincidere con Thaur, presso Innsbruck o con Terlano, in Val
d’Adige; la seconda invece con Stans presso Schwatz, con Steinach presso
Merano o con Stafflach, presso il Brennero. Infine Duplago dovrebbe coincidere
con Dobbiaco, in Val Pusteria.
62
QU I.
63
Anselm Sparber in Die Quartinus-Urkunde cit., pp. 183-184 cerca di identificare le diverse località riportate nel documento, impresa assai difficile perché
molte di loro appaiono per la prima volta. La sua ricerca non sempre è convincente, ma merita di essere richiamata in mancanza di altri studi più precisi. Già
abbiamo visto come Wipitina sia una località che fin dall’epoca romana è attestata come importante centro lungo la via publica del Brennero; essa era posta
È molto difficile poter ricostruire con precisione l’origine e le funzioni del
castellum e del vicus di Wipitina. Per verificare la sua continuità dall’epoca
romana a quella altomedievale rimando, per le indicazioni generali, al primo
volume della più volte citata Geschichte des Landes Tirol. Il termine castellum
nella nostra documentazione appare per il secolo IX solo in questo documento
per poi non comparire più sino alla seconda parte del secolo successivo. Ciò
rende difficile una sua precisa chiarificazione, anche a causa dell’ampio dibattito
sulle fortificazioni altomedievale che qui non può essere ripreso nel suo complesso. Ritengo che, a titolo comparativo, possano essere molto utili le indicazioni riportate per l’area friulana di età longobarda in V. BIERBRAUER, Un castrum
d’età longobarda: Ibligo-Invillino, in I Longobardi cit., pp. 143-145.
106
107
59
QU II e QU III.
60
QU III.
61
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
probabilmente già in questi anni di una certa importanza per l’episcopio di Sabiona. Manca invece qualsiasi cenno a un possibile
funzionario pubblico, pur essendo assai vasto il numero dei testimoni, i cui nomi rimandano a una realtà che, con un termine
moderno, potremmo definire “multiculturale”. Tutti però giurarono «per aures tracti», secondo una consuetudine bavara, nonostante il donatore fosse di origine diversa64. Ciò ci porterebbe a supporre un radicamento, almeno al livello delle classi superiori, del
diritto e delle consuetudini bavare, che confermerebbe una posizione di salda egemonia da parte dell’aristocrazia bavara.
Anche in questo caso, come per i beni del «locus Inticha», è
difficile ipotizzare l’organizzazione fondiaria vigente. L’origine di
Quarti e il fatto che egli dichiari di donare i suoi beni «sicut antecessores mei habuerunt» può far pensare che essi fossero strutturati in base ai criteri della villa romana e si basassero soprattutto
su un’organizzazione del lavoro di tipo schiavistico. Parimenti, la
mancanza di qualsiasi riferimento a tributi, censi, prestazioni di
lavoro, suddivisioni interne rende poco probabile che in essi
vigesse un’organizzazione curtense o signorile65. La proprietà di
Quarti appare fondamentalmente debole, priva di difese. Al contrario invece la proprietà ecclesiastica si presenta in forte espansione, grazie anche all’importante ruolo giocato da vescovi e
abati profondamente inseriti nell’aristocrazia dominante. La donazione di Quarti dunque ci introduce in una nuova epoca, in
cui assistiamo a un profondo cambiamento delle forme economiche di gestione del territorio, un cambiamento che prelude a
un nuovo assetto politico-istituzionale.
Troviamo una conferma di questo processo in altri documenti del secolo IX relativi a zone non lontane dalla Val d’Isarco.
Nell’857 ad esempio re Ludovico il Germanico confermò un contratto di precaria tra una certa Waldrada e il vescovo di Coira
Essone; con quest’atto la donna donò al vescovo tutte le sue
proprietà poste «in valle Tridentina in loco qui dicitur [M]airania»,
presso l’odierna Merano ottenendo in cambio in precaria, sem-
L’ ETÀ
CAROLINGIA : VESCOVI E POTERE
pre nei dintorni della stessa località, per la durata della sua vita,
la villa Cerones66. Dunque Waldrada appare proprietaria di beni
di una certa consistenza, concentrati attorno a un unico nucleo;
essa però, come Quarti, non sembra più in grado di controllarli
pienamente e dunque li cede alla Chiesa di Coira, che in questi
decenni cercava di espandere sempre più la propria area di
influenza in Val Venosta e verso la Val d’Adige. Attraverso il
contratto di precaria, unico registrato in maniera esplicita nella
nostra documentazione relativa ai secoli IX e X, Waldrada si
legò anche personalmente nei confronti dell’episcopio curiense,
rinunciando al suo status di piena indipendenza67.
Un’altra donna, una vedova di nome Anna, attorno all’875
rinunciò ai propri beni, questa volta nuovamente a vantaggio del
vescovato di Frisinga, che conduceva una lucida politica di
penetrazione a sud del Brennero68. Questa Anna donò ciò che
possedeva sul monte Renon, presso l’odierna Bolzano a Dietrich, «nobilis vir et abbas», il quale a suo volta cedette questi
beni alla chiesa di Frisinga, mantenendone però l’usufrutto sino
alla morte e ottenendo inoltre anche un beneficium. Più o meno
sempre nello stesso periodo la Chiesa di Frisinga acquisì altri
66 TUB, n 15, 2 giugno 857, dove i beni di Waldrada sono così descritti: «(...)
quaedam femina nomine Waldrada quasdam res proprietatis coniacentes in valle
Tridentina in loco qui dicitur [M]airania, quicquid ibi habere visa fuerat in terris
cultis et incultis vineis campis pratis silvis pascuis aquis (...) totum ad integrum
contradidit et legaliter confirmavit». Huter, nell’introduzione a questo documento,
ritiene che con sicurezza la località di nome Mairania possa essere rapportata
all’odierna Merano, mentre ricorda come vi siano diverse interpretazioni sull’identificazione della villa Cerones e del locus Aniues. Egli, contestando l’indicazione di Jäger, Böhmer-Mühlbacher e Meyer è convinto che la prima delle due
località possa essere rapportata all’odierna Cermes presso Merano e la seconda
sempre a zone presso il medesimo centro (l’area attorno al torrente Naif o quella
della Naifhufe presso Lagundo). Sul significato che questa donazione ebbe per
l’espansione dell’area di controllo dei vescovi di Coira si veda SANDBERGER,
Bistum Chur in Südtirol cit., p. 742.
67
64
La formula «per aures tracti» appare nei documenti brissinesi almeno per
tutto il secolo XI. Essa riprende un’usanza, attestata anche tra i Burgundi, registrata nella Lex Baiwariorum, a cura di E. von Schwind, in MGH LL nationum
Germanicrum, V, 2, Hannover 1926, 16, 2 e 17, 3. Per un rapido inquadramento
della Lex Baiuvariorum cfr. HARTMANN, Das Recht, in Die Bajuwaren cit., pp.
266-272.
Non troviamo menzione esplicita nei nostri documenti di contratti di precaria
sino al 1091, in UBHA, n 32. Ciò in ogni caso non deve essere preso come segno
della sua non esistenza. Infatti come ci ricorda DOLLINGER , Der bayerische
Bauernstand cit., pp. 369-371, essa era assai diffusa in area bavarese già a partire
dal secolo IX, anche se si presenta nelle varie epoche in forme differenti. Nel
secolo IX sarebbe stata molto diffusa per Dollinger la “precaria data”, che assegnava i beni al precarista per la durata della sua vita. Ritengo che a questo
modello generale possa essere ricondotto anche il nostro documento.
Rimando al paragrafo seguente per una discussione più ampia sulla signoria
e la sua evoluzione.
68 TUB, n 17, 871-875. Si veda inoltre, per una riproduzione integrale del documento, THF, n 912.
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III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
beni sul monte Renon, grazie alla permuta attuata nell’875 con il
comes Waldbert69, uno dei rarissimi funzionari pubblici menzionati per questi anni, che diede alla Chiesa di Frisinga dei beni
«in monte Ritano». È difficile identificare questo Waldbert; omonimo di un conte di origine alemanna attestato per l’area veronese in documenti di circa trent’anni più antichi del nostro70;
qualora anche il nostro Waldbert fosse alemanno, il possesso da
parte sua di beni presso Bauzanum testimonierebbe ancora una
volta la penetrazione, quasi capillare, della proprietà fondiaria
d’oltralpe nel territorio a sud del Brennero. Ma quest’atto, che
potremmo definire paritetico, costituisce un’eccezione all’interno
della nostra documentazione. Infatti per l’888 disponiamo di un
documento in cui nuovamente una donna, una certa Himiltrud,
donò al monastero di San Gallo tutto ciò che essa possedeva e
che, come essa stessa dice «mihi vir meus Plasius in dotem
dedit»71. Si trattava di vari beni, posti anche in Val Venosta, che
riottenne poi per la durata della sua vita dietro il pagamento di
un censo di un denaro annuale e con la possibilità, per sé e per
il figlio, di riacquistarlo per 40 soldi.
I grandi enti ecclesiastici con interessi in Val d’Adige e nelle
zone limitrofe non si limitarono in questi anni a portare sotto il
loro controllo i beni fondiari laici. Essi cercarono anche di difendere strenuamente le proprietà e i diritti acquisiti. E qui ritroviamo nuovamente un vescovo di Frisinga, Annone, che si scontrò
duramente con quello di Trento, Odascalco, per la proprietà di
alcuni vigneti nella conca di Bolzano72. Annone, rivendicando
delle vigne che a suo avviso Odascalco gli aveva sottratto ingiu69 TUB, n 18, 24 marzo 875. Per il testo completo del documento si veda THF,
n 913.
70
Circa trent’anni prima, nell’840, un comes Walpert appare in documenti dell’area veronese, come ci ricorda E. HLAWITSCHKA, Franken, Alemannen, Bayern
und Burgunder in Oberitalien (774-962), Freiburg im Breisgau 1960, p. 278,
secondo il quale probabilmente questo comes era di origine alemanna. Gli anni
che separano i due documenti porterebbero ad escludere che si tratti della medesima persona. Potrebbero però far parte dello stesso ceppo, dal momento che,
come si vedrà in modo più ampio nei prossimi capitoli, nell’aristocrazia germanica altomedievale all’interno dei singoli gruppi parentali vi erano frequentemente
nomi ripetuti più volte. Cfr. a tal proposito K. SCHMID, Zur Problematik von
Familie, Sippe und Geschlecht, Haus und Dynastie beim mittelalterlichen Adel, in
Gebetsgedenken und adliges Selbstverständnis im Mittelalter. Ausgewählte
Beiträge, Sigmaringen 1983, p. 184.
71
TUB, n 20, 22 gennaio 888.
72
TUB, n 14, 855 e TUB, n 16, 857.
110
L’ ETÀ
CAROLINGIA : VESCOVI E POTERE
stamente, decise di esporre il suo caso al re Ludovico il Germanico, che in questo momento si trovava ad Aibling. Qui il sovrano convocò le parti e affidò a Ernesto, comes palatium, il compito di dirimere la questione. Il vescovo di Trento si presentò
alla corte accompagnato da diversi «missi regis Longobardorum,
tra cui il vescovo Notingus, il comes Pernhard, il suo advocatus
Jacob e un certo Willipert. Il conte Ernesto accolse le proteste
del vescovo di Frisinga, confermando i suoi diritti sulle vigne
bolzanine. Il vescovo di Trento, Odascalco, insoddisfatto da questa decisione, due anni dopo, approffittando della presenza nella
sua città sia di Ludovico il Germanico, sia dell’omonimo re d’Italia – definiti però come “Baiouuariorum et Longobardorum reges” – chiese di ottenere maxima iustitia da parte dei due sovrani, i quali convocarono «omnis plebis... tam principes quam
mediocres» e riconfermarono la sentenza precedente.
Attraverso la vigna di Annone (o di Odascalco?) dalla proprietà fondiara siamo ricondotti al “potere”, a conferma del legame indissolubile tra questi due elementi. È importante notare
come i due vescovi per dirimere la questione non ricorsero a un
funzionario locale del sovrano. Conformemente al loro alto ruolo sociale si rivolsero direttamente alla giustizia maggiore, sia del
rex Baiouuariorum sia di quello Longobardorum a conferma,
forse, della indeterminatezza della territorialità dei poteri in una
zona, come la Val d’Adige, posta ai confini di diocesi, regni e
culture diverse. In questa vicenda i funzionari pubblici non furono completamente assenti: nel seguito di Odascalco c’era un
conte, Pernhard, che forse può essere identificato col conte di
Verona Bernardo, uno dei principali personaggi dell’entourage
dell’imperatore Ludovico II73. Ed ecco che allora la trama apparentemente invisibile dei poteri si fa palese e ci permette di supporre un ruolo politico del conte veronese anche sul territorio
tridentino. Non bisogna trascurare infine l’oggetto del contendere tra i due vescovi, una vigna, la vera ricchezza dell’area attorno a Bolzano. Vigne e vigneti spesso erano l’obiettivo fondamentale dall’espansione a sud del Brennero degli episcopi bavaresi, che a tal fine cercarono di consolidare il più possibile la
loro posizione nella piana di Bolzano e nella Val d’Adige.
Per difendere la loro proprietà fondiaria vescovi e monasteri
non si rivolsero alla giustizia solo in contrasti tra di loro. È notis73 HLAWITSCHKA, Franken cit., pp. 148-151. Nelle medesime pagine Hlawitschka
identifica anche un altro personaggio al seguito di Odascalco, l’episcopus Notingus, che corrisponderebbe al vescovo di Brescia Noting.
111
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
simo, ad esempio, il placito tenutosi a Trento nell’845 in cui il
monastero veronese di Santa Maria in Organo si scontrò duramente con alcuni coloni che rivendicavano la loro libertà e si
rifiutavano di prestare opere a titolo servile74. Il contrasto si concluse con un compromesso a tutto vantaggio del monastero veronese, a conferma di come mentre da un lato la grande proprietà
laica vacillava di fronte all’avanzata di quella ecclesiastica, dall’altro i ceti rurali subivano uno spietato processo di livellamento.
Un discorso a parte merita un documento particolare, il cosiddetto Vigiliusbrief, un falso relativo alla fondazione della pieve di
Caldaro elaborato nell’XI secolo, probabilmente dalla cancelleria
del vescovo di Trento Odalrico II (1022-55), per attestare antichi
diritti sulla base di frammenti d’epoca precedente, un falso che,
tuttavia, contiene informazioni in ogni caso utili75. Il Vigliusbrief
riprende in alcune parti le vite dei martiri anauni e di San Vigilio
e in altre le dotazioni ricevute dalla pieve di Caldaro, dalla chiesa
di S. Quirico e Iolite di Termeno e dalla chiesa di S. Vigilio a Castelvecchio, sopra Caldaro, tutti documenti attraverso i quali possiamo assistere all’atto di nascita di alcune importanti istituzioni
pievane, a testimonianza di come negli anni precedenti il secolo
IX non fossero solamente le grandi istituzioni ecclesiastiche a
insediarsi e a penetrare nel territorio. Inoltre, dal dettagliato elenco delle decime in esso riportato, possiamo trarre una conferma
dell’esistenza di una rete diffusa di proprietà fondiarie nucleari
raccolte attorno a delle villae e a degli allodi, in cui lavoravano
«servi et ancillae». È molto importante tener presente il fatto che
nel territorio un tempo del ducato trentino gran parte dei donatori viveva secondo la legge longobarda, fatto che ci permette di
pensare che anche l’organizzazione delle aziende fondiarie
potesse seguire la medesima tradizione76.
74
Cfr. ANDREOLLI, MONTANARI, L’azienda curtense cit., pp. 106-114.
75
TUB, n 13, 855-864 e 1022-1055. Cfr. HUTER, Der sogenannte Vigiliusbrief cit.
e K.H. PRAXMARER, Der Kalterer Vigiliusbrief, in Kirche in Kaltern. Geschichte,
Kult und Kunst, Caldaro 1992, pp. 48-67. Secondo Franz Huter le due parti principali del documento furono scritte tra l’855 e l’864 e tra il 1022 e il 1055. La
copia in pergamena di cui disponiamo, oggi conservata presso l’Archivio Provinciale di Bolzano, è stata redatta da un notaio di nome Boninsegna nel 1191. Sul
possibile uso del falso nella ricerca storica cfr. TOUBERT, Dalla terra cit., p. 9 e la
serie dei Fälschungen im Mittelalter, 6 voll., Hannover 1988-90.
76 Per un quadro generale dell’organizzazione fondiaria longobarda si può vedere B. ANDREOLLI, M. MONTANARI, Prima della curtis: l’organizzazione della proprietà fondiaria e del lavoro contadino in epoca longobarda in L’azienda curten-
112
L’ ETÀ
CAROLINGIA : VESCOVI E POTERE
I dati sulla produzione che possono essere desunti dai tributi
purtroppo sono di scarsa rilevanza data l’insicurezza delle fonti.
Essi ci testimoniano la presenza del piccolo allevamente e ribadiscono ancora una volta la centralità del vino e dei vigneti; è
interessante notare infine come alcuni dei donatori risultino proprietari di uliveti sulle rive del Garda77.
Il Vigiliusbrief si mostra d’altra parte particolarmente inaffidabile per quanto riguarda il rapporto tra vescovi e conti in un
passo in cui riappare come protagonista il vescovo di Trento Odascalco. La pieve di Caldaro era posta all’interno della sua diocesi e pertanto egli avrebbe agito affinché essa si rinforzasse
anche da un punto di vista militare; a tal fine avrebbe provveduto ad assegnare in feudum a Reginaldo di Fornace un terzo delle
decime delle pieve in cambio della sua difesa «contra barbaros et
insidiatores»78. Saremmo di fronte dunque all’unico documento
del secolo IX per la nostra area in cui un ente ecclesiastico
dichiara la propria incapacità di difesa, che delega, attraverso un
atto di infeudazione, a un signore laico. Ma qui i “falsari” del
vescovo di Trento, che proprio con questo riferimento volevano
rivendicare gli antichi diritti su Caldaro, commisero un madornale
errore trasferendo al IX secolo situazioni e termini tipici della
loro epoca. Come ha chiarito, probabilmente in modo definitivo
François Louis Ganshof, il termine feudum venne utilizzato per la
prima volta verso la fine del secolo IX in Borgogna e il suo uso si
affermò assai timidamente nella Germania occidentale solamente
all’inizio del secolo XI79. Appare quindi fortemente dubbio, se
non impossibile, che la parte del Vigiliusbrief relativa al vescovo
Odascalco sia una riproduzione del documento originale.
se in Italia cit., pp. 46-55. In questo testo a p. 47 i due autori ricordano come
«sulla scorta delle leggi e della documentazione privata superstite, si può affermare che nel territorio longobardo dei secoli VII e VIII dovevano esistere grossomodo quattro tipi di proprietà: 1. la grande proprietà fiscale, regia e ducale; 2. la
grande proprietà dell’aristocrazia laica ed ecclesiastica; 3. la piccola proprietà
libera; 4. la proprietà delle comunità di villaggio».
77
TUB, n 13.
78
Ibidem. Nel testo viene riprodotto un documento in cui Odascalco parla in
prima persona: «pheudum dedi cuidam Regnardo de loco Fornace tres partes
decime et dotis de plebe Caldare usque ad exitus anime mee, ut esset defensator
sancte ecclesie de Caldare, quia non valebam eam defendere contra barbaros et
insidiatores, qui volebant destruere eam (...) Quartam autem partem dimisi servitoribus ecclesie, ut illis victum necessaria».
79
F.L. GANSHOF, Che cos’è il feudalesimo?, Torino 1989 (ed. or. Qu’est-ce que la
féodalité?, Bruxelles 1944), p. 119 e p. 123.
113
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
Le poche fonti di cui disponiamo per il periodo antecedente
il secolo X non permettono una precisa ricostruzione dell’organizzazione del territorio. Essi ci presentano una pluralità di
forme d’organizzazione fondiaria; da un lato vescovi e monasteri
vengono a costituire nuclei fondiari consistenti grazie a donazioni e a concessioni immunitarie; dall’altro la proprietà laica strutturata in nuclei fondiari sparsi in un ambito delimitato o costituita in più ampie villae vive nella sua globalità un periodo di trasformazione, di crisi. Vediamo infatti persone appartenenti anche a uno strato sociale elevato rinunciare, in apparenza in modo volontario, ai propri beni e alla propria totale indipendenza
personale, sottoponendosi a rapporti di tipo beneficiario. Sono
soprattutto delle donne a trovarsi nella condizione di doversi
porre sotto la protezione di un’autorità superiore e ciò non può
essere di certo casuale: probabilmente la loro condizione di
maggior debolezza sociale permetteva un loro più facile intimidamento. Proprio verso la fine dell’età carolingia dunque sembrano venir meno gli strumenti di tutela della proprietà e della
libertà individuale.
I nostri documenti testimoniano una realtà in graduale, ma
radicale trasformazione, in cui, a causa anche della presenza di
etnie diverse, si giustappongono tradizioni differenti di gestione
fondiaria. Sarà solo a partire da questo momento, e non prima,
che verranno poste le basi per un controllo del territorio di tipo
signorile da parte soprattutto degli enti ecclesiastici. Infatti mentre da un lato vescovi e abbazie ottenevano proprietà anche
considerevoli da parte dei laici, dall’altro consolidavano il loro
dominio sul patrimonio fondiario acquisito attraverso la concessione dell’immunità da parte dei sovrani. In tal modo iniziavano
a costruire ambiti di dominio all’interno dei quali esercitare prerogative di tipo signorile. Ciò accadeva soprattutto nell’area
posta tra la piana di Bolzano e il Brennero, al confine tra il
regno italico e quello teutonico, un’area che in quest’età vive
una situazione fluida anche dal punto di vista dell’inquadramento politico-circoscrizionale. Ma prima di seguire le tappe di questo percorso lungo il secolo X ritengo sia utile fare chiarezza su
un concetto, quello di signoria, utilizzato spesso con significati
differenti, non sempre dichiarati. In tal modo definiremo un
armamentario interpretativo, con cui affrontare poi l’analisi della
società del “Tirolo” altomedievale attorno al Mille.
114
UN
CONCETTO A M B I G U O : LA SIGNORIA
3. Un concetto ambiguo: la signoria
3.1 Rivoluzioni francesi
Negli ultimi decenni si è sviluppato un vasto dibattito sulle
forme economiche e sociali del dominio altomedievale che ha
condotto a una profonda revisione dei concetti di signoria e di
feudalesimo80, portando a un ulteriore sviluppo l’opera avviata a
partire dagli anni Trenta da Marc Bloch e proseguita nei decenni
successivi da Robert Boutruche e Georges Duby81. Nella sua Società feudale Marc Bloch infatti aveva posto due questioni che
da allora divennero ineludibili. Proponendo una netta distinzione tra due età feudali dalle caratteristiche profondamente diverse
che si sarebbero gradualmente “avvicendate” nel corso del secolo XI, aveva sottolineato la netta distinzione nella società medievale tra elementi signorili e elementi feudali82. Tuttavia, nono80
Questa breve ricostruzione del dibattito storico sulla signoria naturalmente
non ha alcuna pretesa di esaustività. Essa si prefigge solamente di richiamare alcuni risultati della ricerca storiografica molto spesso trascurati da coloro che hanno affrontato la storia del futuro Tirolo tra i secoli VIII e XI.
81 Per una sintesi del dibattito più recente si veda G. SERGI, Assetti politici intorno al Mille: ricerche sui regni di Borgogna e d’Italia, in Il mestiere dello storico
nel Medioevo, Spoleto 1994, pp. 5-38. Molto utili per una panoramica sui temi
della discussione storiografica attuale sono gli atti del convegno tenuto all’École
française di Roma nell’ottobre del 1978: Structures féodales et féodalisme dans
l’occident méditerranéen (Xe-XIIIe siècles). Bilan et perspectives de recherches,
Roma 1980. Il dibattito su signoria e feudalesimo è stato avviato da testi divenuti
ormai dei classici della ricerca storiografica del ’900: M. BLOCH, La società feudale, Torino 1980 (5a ed. nella collana “Reprints” Einaudi; ed. or. La société féodale,
Parigi 1939); R. BOUTRUCHE, Signoria e feudalesimo, vol. I, Ordinamento curtense
e clientele vassallatiche, vol. II, Signoria rurale e feudo, Bologna 1971 (ed. or.
Seigneurie et fèodalité, 2 voll., Parigi 1968-72); G. DUBY, Una società francese nel
medioevo, Bologna 1985 (ed. or. La société aux XIe et XIIe siècles dans la région
mâconnaise, Parigi 1953). Su Marc Bloch in generale è assai utile la recente
messa a punto di G. TABACCO, Marc Bloch e lo studio della società medievale, in
M. BLOCH, La società feudale, Torino 1987 (nuova ed.), pp. IX-XXVIII.
82
Per il primo aspetto cfr. BLOCH, La società feudale cit., p. 76 dove lo storico
francese afferma: «Sarebbe un grave errore... trattare la “civiltà feudale” come
costituente, nel tempo, un blocco di un solo getto. Una serie di trasformazioni
molto profonde e molto generali si osservano verso la metà del secolo XI (...)
Non rottura, certamente, ma cambiamenti di rotta che, nonostante inevitabili
lacune, secondo i paesi o i fenomeni esaminati, investì a volta a volta quasi tutti
i campi dell’attività sociale. Vi furono, in una parola, due successive età “feudali”,
di tonalità assai diverse». Per il secondo aspetto cfr. BLOCH, La società feudale cit.,
115
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
stante ciò, come si può chiaramente percepire dal titolo della
sua opera, egli vedeva nel feudalesimo il vero segno caratteristico della società medievale, mentre la signoria gli appariva una
forma di sfruttamento generale, presente anche in altre fasi storiche. Come ricorda Giovanni Tabacco per Bloch «soltanto il feudalesimo, come rete di rapporti interni a un’aristocrazia militare
e come prodotto di una disgregazione dell’ordinamento pubblico sia del mondo romano sia delle popolazioni germaniche,
conferì alla signoria il carattere che le fu proprio nel medioevo:
il carattere di nucleo dinamico di poteri politici locali»83.
Nel secondo dopoguerra quest’immagine estremamente innovativa della società medievale venne in parte modificata da due
storici, Duby e Boutruche, che avevano in Bloch il loro principale punto di riferimento. L’importante monografia di Georges
Duby dedicata al Mâconnais, apparsa nel 1953, mise in evidenza
per la prima volta in modo esplicito come i decenni precedenti
l’anno Mille siano stati fondamentali per l’affermazione di un
nuovo sistema di controllo politico, economico e sociale: la
signoria territoriale di banno84. In questo modo Duby ridimensionava notevolmente il ruolo del feudalesimo, visto ora come una
forma di controllo sociale di grande rilevanza solo a partire circa
dal secolo XII. L’analisi dello storico francese portava dunque alle
estreme conseguenze la bipartizione tra “due età” feudali proposta da Marc Bloch85; infatti, come egli stesso ci narra nella sua
autobiografia intellettuale, ben presto nel corso delle sue ricerche
gli apparve che: «la separazione tra i cavalieri, compagni del capo
della fortezza, e i contadini, suoi sudditi, si collegava strettamente
all’istituzione della signoria e che, perciò, era preferibile chiamare “signorile” anziché “feudale” il sistema instaurato dal muta-
p. 273: «Gli ambienti sociali relativamente elevati caratterizzati dall’omaggio militare non erano i soli in cui esistessero “uomini” di altri uomini. Ma, su un piano
inferiore, le relazioni di dipendenza trovarono la loro cornice naturale in un raggruppamento molto più antico del vassallaggio e destinato a sopravvivere a
lungo al suo declino: la signoria terriera».
83
G. TABACCO, Introduzione all’edizione italiana, in BOUTRUCHE, Signoria e feudalesimo cit., p. 13.
84
DUBY, Una società francese cit.
85
UN
CONCETTO A M B I G U O : LA SIGNORIA
mento dell’XI secolo, episodio estremo di un frazionamento progressivo dell’autorità regia e della progressiva decadenza dello
stato»86. Duby dunque già nella sua thèse poneva uno stretto
legame tra la crisi dell’autorità regia e delle istituzioni carolinge e
il progressivo affermarsi di un potere su uomini e terre slegato da
vincoli di delega. Nelle sue opere successive è andato via via
precisando questa iniziale intuizione, affinando nuovi strumenti
d’indagine e presentando nuovi interrogativi con cui confrontarsi.
Uno dei contributi maggiori di Duby è costituito dall’elaborazione del concetto, di derivazione marxista, di modo di produzione
signorile che «nasceva (...) dall’equilibrio – forse perverso, ma
certo funzionante, – raggiunto fra le diverse forze sociali e produttive nel momento in cui l’aristocrazia franca, persi gli introiti
derivanti dal bottino delle guerre esterne, riciclava le proprie attitudini militari all’interno, aprendo quella spirale violenza-protezione che è tipica del controllo incastellato delle campagne»87.
Anche Robert Boutruche nella sua opera dedicata alla signoria e
il feudalesimo apparsa nel 1959 sottolineò fortemente l’autonomia dell’istituto signorile e la sua importanza centrale nella
società medievale. Già la struttura in due volumi chiarisce la sua
impostazione, poiché egli divise nettamente la trattazione dell’ordinamento curtense e delle clientele vassallatiche da quello della
signoria rurale e del feudo88. Naturalmente con ciò non intendeva affermare che non vi fossero profondi rapporti tra signoria e
feudalesimo; ma intendeva sottolineare come la prima non potesse esser ridotta alla seconda, come nella società medievale vi fossero aree di dominio signorili, si pensi ad esempio alle immunità
vescovili, non riconducibili a un rapporto feudale. Con Boutruche era distrutta definitivamente l’immagine piramidale della società feudale, che veniva sostituita con un quadro più complesso,
più articolato, caratterizzato da una pluralità di poteri, delegati
dall’alto o “usurpati” dal basso89. Dunque con Bloch prima e con
86
DUBY, La storia continua cit., pp. 64-65.
87
SERGI, Assetti politici cit., p. 8.
88
Cfr. BOUTRUCHE, Signoria cit., vol. 1, p. 296; Boutruche distingue signoria e
feudalesimo dicendo: «La signoria rurale lega dei contadini a un signore. Il feudalesimo va oltre: esso unisce i signori tra loro con vincoli che colpiscono sempre le persone, spesso anche i loro beni e i loro poteri; prende inoltre nel suo
ingranaggio uomini senza terra, impegnati soltanto dal loro giuramento».
BLOCH, La società feudale cit., p. 75. Per quanto riguarda il rapporto tra le
riflessioni di Bloch e quelle di Duby, lo stesso Duby in La storia continua,
Milano 1992, p. 63 (ed. or. L’histoire continue, Parigi 1991), afferma che in questo periodo egli era «nutrito dalla lettura Marc Bloch, in direzione del feudo e
della servitù della gleba».
89 Ibidem, vol. 2, p. 324: «Non crediamo più come un tempo alla famosa “piramide”, tant’è vero che la gerarchia sociale fu sconvolta da intrecci dovuti alla
molteplicità degli omaggi, alle subinfeudazioni, alla natura dei patrimoni».
116
117
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
Duby e Boutruche poi veniva reimpostato il modo stesso di analizzare la società tra i secoli VIII e XIII: essi, sia pure in modi
diversi, proponevano un modello che integrava indissolubilmente
il fattore economico con quello politico-sociale, distinguendo tra
le diverse forme di dipendenza personale. Dopo i loro studi non
sarebbe più stato possibile ricondurre la società europea di quell’età solamente all’interno dell’inquadramento feudale; né affontare la signoria senza affrontare contemporaneamente anche il
tema della curtis90. Ma Bloch, Duby, Boutruche furono veramente i primi a riconoscere nella signoria una struttura fondante della
società medievale?
3.2 Pionieri tedeschi
Ogni rivoluzione ha i suoi precursori misconosciuti, magari
proprio nelle file degli avversari. Così fu anche per la rivoluzione
storiografica dei medievisti francesi. Il ruolo della signoria, della
Grundherrschaft, nella società altomedievale era stato già colto
alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del nostro secolo da
parte di storici d’area tedesca particolarmente attenti agli aspetti
economici e sociali91. Ad esempio Karl Theodor Inama-Sternegg,
già ricordato per il suo insegnamento presso l’Università di
Innsbruck, e Karl Lamprecht nell’ultimo scorcio dell’Ottocento
90
Questo nesso è presentato in modo molto chiaro in P. TOUBERT, Il sistema
curtense: la produzione e lo scambio interno in Italia nei secoli VIII, IX e X, in
Storia d’Italia Einaudi, Annali, vol. 6, Torino 1983, pp. 5-63 e in G. SERGI, Curtis
e signoria rurale: interferenze tra due strutture medievali, Torino 1993. Uno degli
storici che maggiormente in Italia ha contribuito alla riflessione sui temi proposti
da Bloch, Boutruche, Duby e altri studiosi – si pensi p. es. a Ch. Perrin – è sicuramente Giovanni Tabacco. Tra i suoi numerosi interventi, ricordiamo per la sua
esemplarità La dissoluzione medievale dello stato nella recente storiografia, in
«Studi medievali», 3a serie, I (1960), pp. 397-445, ora ripubblicato in G. TABACCO,
Sperimentazioni del potere nell’alto medioevo, Torino 1993, pp. 245-303, in cui
vengono presentate le più importanti prospettive di studi su istituzioni e forme
di potere all’interno della storiografia europea. Tra le altre sue ricerche dedicate
al tema della signoria, è necessario ricordare poi ID., Uomini e terra nell’alto
medioevo, i n Agricoltura e mondo rurale in occidente nell’alto medioevo
(Settimane di studio del CISAM, XIII), Spoleto 1966, pp. 17-43.
91
Per una sintetica ma precisa presentazione del dibattito storiografico sulla
signoria fondiaria in area tedesca si vedano: RÖSENER, Agrarwirtschaft cit., pp. 5758, e H.K. SCHULZE , Grundstrukturen der Verfassung im Mittelalter, vol. I,
Stoccarda-Berlino-Colonia 19902, pp. 95-157. Sull’origine della storiografia economica in Germania si veda anche TABACCO, Uomini cit., pp. 17-43.
118
UN
CONCETTO A M B I G U O : LA SIGNORIA
proposero, all’interno delle loro monumentali opere dedicate alla
storia economica d’Europa, una teoria che cercava di spiegare la
genesi e il ruolo della signoria fondiaria (Grundherrschaft) all’interno della società medievale92. Ambedue ritenevano che la concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani di pochi proprietari avesse rappresentato il punto di partenza per la creazione
della signoria fondiaria altomedievale; grazie a questo fenomeno
si sarebbe creata una differenziazione sociale tale da render possibile una nuova forma di dominio basata sulla coercizione e l’usurpazione di diritti pubblici93. Il signore fondiario sarebbe stato,
soprattutto per Inama-Sternegg, il vero dominus all’interno della
società altomedievale. Questa posizione venne criticata e modificata dallo storico austriaco Alphons Dopsch, per il quale la proprietà fondiaria era sì importante per l’esercizio del potere, ma
non ne costituiva il vero unico prerequisito. Per Dopsch essa diveniva fondamentale quando il proprietario fondiario apparteneva già a un alto status sociale. Egli affermò infatti che «l’alta aristocrazia, laica ed ecclesiastica, ottenne i propri diritti non per il
fatto di essere costituita da proprietari fondiari, ma per la propria
posizione accanto al re»94.
Le ricerche di Dopsch aprirono la strada a una nuova serie di
studi che tendeva a rapportare la signoria fondiaria alla delega
dei poteri regi. Quest’analisi veniva inserita poi in un modello
generale che vedeva la storia economica come un evolversi
razionale di sistemi economici definiti all’interno di due grandi
poli: l’economia naturale e l’economia monetaria95.
A partire circa dagli anni Trenta il ruolo dell’elemento economico della Herrschaft venne ridimensionato da storici come Otto
Brunner, Walter Schlesinger e Karl Bosl, i quali elaborarono, sia
pure con toni diversi, la teoria secondo cui il potere signorile sa-
92 Cfr. INAMA -S TERNEGG , Deutsche Wirtschaftsgeschichte cit., e LAMPRECHT ,
Deutsches Wirtschaftsleben cit.
93
Cfr. RÖSENER, Agrarwirtschaft cit., p. 57.
94
«Der hohe Adel, geistlich wie weltlich, erwarb jene Rechte nicht deshalb,
weil er ein großer Grundbesitzer war, sondern vermöge seiner politischen
Stellung neben dem König» in A. DOPSCH, Herrschaft und Bauer in der deutschen
Kaiserzeit. Untersuchungen zur Agrar- und Sozialgeschichte des hohen
Mittelalters mit besonderenr Berücksichtigung des südostdeutschen Raumes, Jena
1939, p. 5; citato in RÖSENER, Agrarwirtschaft cit., p. 58.
95
Per un’analisi di questi aspetti cfr. TOUBERT, Il sistema curtense cit., pp. 6-7.
Per quanto riguarda la teoria economica di Dopsch, si veda il suo Economia
naturale ed economia monetaria nella storia universale, Firenze 1949.
119
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
rebbe derivato da un precedente Herrengewalt di tradizione germanica, connaturato alla condizione nobiliare e non condizionato
da alcuna delega regia; tutti i diversi tipi di signoria sarebbero
stati collegati pertanto dalla Hausherrschaft esercitata da ogni
nobile96. Questa posizione divenne gradualmente dominante
nella medievistica tedesca almeno sino ai primi anni Cinquanta
quando una nuova generazione di storici ripropose il problema
del rapporto tra le forme di dominio e il possesso fondiario in
modo originale attraverso una nuova interpretazione del potere
germanico altomedievale visto ora come una «dominazione egemonica, fondata non su un astratto diritto delegato dall’alto o
derivato dal suolo, bensì sull’attività di un potente, su una
volontà risoluta e fornita di mezzi per esercitare la protezione e il
comando»97. Però, pur con un approccio rinnovato, tra gli anni
Cinquanta e gli anni Sessanta la storiografia tedesca privilegiò
soprattutto l’analisi della grande proprietà fondiaria in rapporto
alla formazione a livello locale di ambiti territoriali di potere.
La opere di Marc Bloch, Robert Boutruche e Georges Duby
dunque vanno inserite all’interno di un dibattito storiografico che
trova le sue origini proprio nelle ricerche di storia economica sviluppatesi in Germania sino agli anni Trenta e poi in Francia, grazie soprattutto a Marc Bloch e al suo dialogo, costante anche se
spesso molto polemico, con storici d’area tedesca98. Esse ebbero
il grande merito di riproporre l’importanza delle strutture econo96 Cfr. come trattazione generale la voce Herrschaft, a cura di Peter Moraw, in
Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache
in Deutschland, a cura di O. Brunner, W. Conze e R. Koselleck, Stoccarda 1982,
vol. 3, pp.1-102. Per quanto riguarda Brunner, Schlesinger e Bosl, si possono
ricordare a titolo esemplificativo nella loro ampia produzione: BRUNNER, Terra e
potere cit.; W. SCHLESINGER, Die Entstehung der Landesherrschaft, Dresda 1941; K.
BOSL, Modelli di società medievale, Bologna 1979 (ed. or. Die Gesellschaft in der
Geschichte des Mittelalters, Göttingen 1975).
97
TABACCO, Uomini e terra cit., p. 26.
98
UN
CONCETTO A M B I G U O : LA SIGNORIA
miche all’interno della società, riprendendo e ricontestualizzando
alcuni concetti e alcuni strumenti d’indagine di ispirazione
marxiana. Negli anni Sessanta numerosi furono gli studi, di cui
ora purtroppo non è possibile ricostruire i diversi percorsi storiografici, che seguirono questa strada. Ricorderemo solamente un
filone di ricerca che rappresentò un vero punto di svolta all’interno del dibattito sulla signoria e le trasformazioni del secolo XI.
3.3 La “rivoluzione copernicana” di Adriaan Verhulst
Nel 1965 lo storico belga Adriaan Verhulst presentò a Spoleto, nel corso del congresso dedicato all’agricoltura nell’alto Medioevo, una relazione sull’azienda curtense e la signoria destinata a divenire un punto di riferimento obbligato per chiunque
voglia occuparsi di questi temi99. In essa egli, come ricorda Guy
Bois, portò «il più fiero colpo ai vecchi schemi» che ancora imperavano all’interno della ricerca storica100. Infatti attraverso un’analisi molto accurata riuscì a dimostrare che il regime domaniale
classique, ovvero la signoria fondiaria basata sulla curtis, sorse
nel corso dei secoli VII e VIII in alcune regioni del nord della
Francia grazie a condizioni favorevoli dal punto di vista umano
(presenza consistente di proprietà regia, vasti dissodamenti) e da
quello geografico (terreni fertili, particolare situazione pedologica e di rilievo). Si trattò dunque di un fenomeno delimitato spazialmente e cronologicamente. La sua estensione ad altri territori,
spesso privi dei requisiti favorevoli, appare per Verhulst come il
risultato di una politica cosciente da parte del regno e delle
grandi istituzioni ecclesiastiche101.
Tre per Verhulst sono gli elementi che caratterizzano il regime domaniale classique: innanzitutto la villa, a un tempo base e
campo d’applicazione dell’azienda curtense; in secondo luogo la
presenza di un dominus della villa, che poteva essere un re, un
ente ecclesiastico o uno dei potentes; infine, la struttura bipartita
della curtis, divisa in indominicatum, riserva signorile che pote-
Sull’ ambiente culturale all’interno del quale Marc Bloch si venne formando
e sui suoi rapporti con la cultura tedesca sono assai utili: GEMELLI, Storia e scienze sociali cit., e G. HUPPERT, Storia e scienze sociali: Bloch, Febvre e le prime
“Annales” in Il mondo contemporaneo, Firenze 1983, vol. X, Tomo 2, pp. 734750. Più generico ma ugualmente utile è anche BURKE, Una rivoluzione cit. Sono
molto interessanti le considerazioni sui rapporti tra la «Zeitschrift für Sozial- und
Wirtschaftsgeschichte» di Ludo Hartmann e le «Annales» fatte da TABACCO, Uomini
e terra cit., p. 22. Come esempio del dialogo/scontro tra la nuova storiografia
francese e la storiografia tedesca si veda M. BLOCH, La società dell’alto Medioevo e
le sue origini in La servitù nella società medievale, Firenze 1975, pp. 3-28, in cui
l’autore contrappone la propria analisi a quella di Alphons Dopsch.
99 A. VERHULST, La genèse du régime domanial classique en France au haut
Moyen Âge, in Agricoltura e mondo rurale in occidente nell’alto Medioevo
(Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, XIII), Spoleto
1966, pp. 135-160.
120
121
100 G. BOIS, L’anno Mille. Il mondo si trasforma (ed. or. La mutation de l’an mil,
Parigi 1989), Roma-Bari 1991, p. 11.
101 Cfr. VERHULST, La genèse cit., pp. 158-160.
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
UN
CONCETTO A M B I G U O : LA SIGNORIA
va comprendere sia terre arative che incolto, e in mansi o tenures, costituite quasi esclusivamente da terre coltivate. Questo
modello di sfruttamento di terre e persone, basato sulla grande
proprietà nell’Europa altomedievale sarebbe stato l’eccezione,
non la regola. Per questo motivo Verhulst riteneva molto importante che venissero svolti studi regionali attraverso i quali mettere in rilievo le singole realtà locali. Lo storico belga, ridimensionando notevolmente il ruolo della grande signoria fondiaria,
poneva una serie di nuovi quesiti, che trovarono risposta soprattutto in ambito tedesco, in studi incentrati sull’attività regia nella
diffusione dell’azienda curtense, sul ruolo di mansi e hufe e sul
tipo di dominio che il signore poteva espletare nel proprio territorio102. I risultati di molte nuove ricerche locali vennero presentati nel 1980 al colloquio franco-tedesco di Xanten, dove dalla
maggior parte degli intervenuti venne sostenuta la teoria della
discontinuità tra fundus romano e villa franca103 e nel 1983 a
Gand, dove venne discusso il tema dell’origine del sistema
bipartito104. Questi due convegni permisero di analizzare con
precisione diversi aspetti dello sviluppo economico tra VI e IX
secolo e di raffrontare tra di loro le nuove ipotesi di lavoro. A
Gand, Verhulst105 cercò di confrontare le proprie posizioni con
quelle di Robert Fossier, il quale, al contrario dello storico belga,
tendeva a rappresentare l’età carolingia come un’età di stagnazione tecnica, economica e sociale106. Verhulst, richiamandosi
alle diverse monografie presentate ai due convegni, ritenne di
poter respingere le ipotesi di Fossier e di poter confermare come
l’azienda curtense «sia stata in costante evoluzione, anche nel
pieno del secolo IX», esercitando una funzione dinamica nello
sviluppo economico107.
I due convegni hanno permesso anche di mettere in rilievo in
modo chiaro le differenze di sviluppo economico a ovest e a est
del Reno. Questo aspetto venne ribadito in un nuovo simposio,
tenuto a Göttingen nel 1987 durante il quale Verhulst cercò di
tirare le fila del dibattito da lui avviato nel 1965108. Egli giunse
alla conclusione secondo cui a est del Reno, al contrario di quanto avvenne nell’Ile de France, non vi fu alcuna volontà regia o
ecclesiastica nella costituzione della signoria fondiaria anche se le
necessità nell’organizzazione della proprietà fondiaria avrebbero
spinto alcuni grandi proprietari a strutturare gradualmente i propri domini in modo simile a quello della curtis classica109.
Nel corso delle sue trentennali ricerche Verhulst ha trovato
conferma dell’intuizione del 1965; egli è giunto così a tratteggiare un quadro in parte inaspettato della società agraria altomedievale, che ora appare sotto una luce diversa, più ricca di ombre e
di sfumature. Il mondo altomedievale di Verhulst è un mondo in
cui convivevano diverse forme di sfruttamento e di dominio del
territorio; è un mondo dinamico, alla ricerca di assetti sempre
più “efficienti”, è un mondo in continuo mutamento.
102 Questo dibattito è riportato in modo sintetico da RÖSENER in Agrarwirtschaft
cit., pp. 59-68. Tra i diversi studi ricordiamo per la particolare importanza che
ebbero nel momento della loro pubblicazione: W. SCHLESINGER, Die Hufe im
Frankenreich, in Untersuchungen zur eisenzeitlichen und frühmittelalterlichen
Flur in Mitteleuropa und ihrer Nutzung, a cura di H. Beck e altri, Göttingen
1979/80, pp. 41-76; L. KUCHENBUCH, Bäuerliche Gesellschaft und Klosterherrschaft
im 9. Jahrhundert. Studien zur Sozialstruktur der Familia der Abtei Prüm, Wiesbaden 1978; H. VOLLRATH, Herrschaft und Genossenschaft im Kontext frühmittelalterlichen Rechtsbeziehungen, in «HJb», n 102 (1982), pp. 33-71; H.-W. GOETZ,
Herrschaft und Recht in der frühmittelalterlichen Grundherrschaft, in «HJb», n
104 (1984), pp. 392-410.
3.4 Il successo del “mutazionismo”
103 I risultati del convegno furono raccolti in: Villa-curtis-grangia. Landwirtschaft zwischen Loire und Rhein von der Römerzeit zum Hochmittelalter, a cura
di W. Janssen e D. Lohrmann, Monaco 1983.
104 Le grand domaine aux époques mérovingienne et carolingienne, a cura di A.
Verhulst, Gand 1985.
105 A. VERHULST, Le grand domaine aux époques mérovingienne et carolingienne,
in Le grand domaine cit., pp. 11-20.
La proposta di Verhulst è stata estremizzata in tempi recenti
da Guy Bois, il quale in un suo celebre e aspramente criticato
saggio apparso in Francia nel 1989 affermava che attorno all’an-
croissance?, in Nascita dell’Europa ed Europa carolingia (Settimane di studio del
CISAM, XXVII), Spoleto 1981, pp. 261-290; ID., L’infanzia dell’Europa. Economia
e società dal X al XII secolo, Bologna 1987 (ed. or. Enfance de l’Europe. Aspects
économiques et sociaux (Xe-XIIe siècles), Parigi 1982).
107 VERHULST, Le grand domaine cit., p. 19. Questa la versione originale del testo
citato: «il a été en évolution constante, encore en plein 9e siècle».
108 Gli atti del convegno sono raccolti in Strukturen der Grundherrschaft im
frühen Mittelalter, a cura di Werner Rösener, Göttingen 1989.
109 A. VERHULST, Die Grundherrschaftsentwicklung im ostfränkischen Raum vom
106 Cfr. R. FOSSIER, Les tendances de l’économie carolingienne: stagnation ou
8. bis 10. Jahrhundert. Grundzüge und Fragen aus westfränkischer Sicht, in
Strukturen der Grundherrschaft cit., pp. 29-46.
122
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III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
no Mille vi fu una vera e propria accelerazione nel cambiamento
delle strutture sociali; in questi anni, per lo storico francese,
avvenne un mutamento epocale, con il quale tramontò definitivamente il sistema di produzione schiavistico, che aveva caratterizzato l’economia del mondo antico110. Questa «rivoluzione dell’anno Mille», come egli la definisce si sarebbe presentata «quando la società, sotto l’azione di molteplici squilibri d’ordine economico, sociale e politico, non poteva più essere governata
come nel passato»111 sprofondando nell’anarchia; essa si presentava come «una rottura in tutti i campi» che cristallizzò «in un
complesso o sistema nuovo tutti gli elementi comparsi in precedenza, tanto sul piano della condizione degli uomini e delle
terre che su quello della distribuzione del potere, dei meccanismi economici e delle rappresentazioni sociali»112. Bois in tal
modo riprendeva, correggendola in molti aspetti sino a trasfigurarla, la teoria di Georges Duby sul mutamento dell’anno Mille,
alla quale abbiamo accennato in precedenza, coniugandola con
un’analisi di tipo economico che fa ricorso a categorie marxiane
elaborate per l’età antica da Moses Finley113. Inoltre ricorreva
alle conclusioni di Verhulst, per dimostrare l’esistenza e l’importanza della piccola proprietà fondiaria in tutto l’alto Medioevo.
La proposta di Bois, pur provocatoriamente radicale, rappresenta
una delle posizioni più esasperate nell’ambito del dibattito sul
“mutamento feudale” reso possibile dagli studi di Boutruche,
Duby e Verhulst. Ad esso hanno partecipato storici di varia
estrazione e nazionalità come Hagen Keller, Carlrichard Brühl,
Laurent Theis, Dominique Barthélemy, Robert Fossier, JeanPierre Poly, Éric Bournazel, Giuseppe Sergi114. Inoltre su questo
110 B OIS, L’anno Mille cit.; sul dibattito acceso da questo testo si vedano G.
UN
CONCETTO A M B I G U O : LA SIGNORIA
tema sono stati tenuti importanti convegni, tra cui si possono
ricordare quelli di Spoleto, Paderborn e Trento115. Dopo il boom
iniziale, la teoria mutazionista inizia oggi a segnare il passo e c’è
già chi, come Dominique Barthélemy, ritiene che sia una gabbia
dalla quale uscire e propone di sostituire al concetto di mutazione quello di «aggiustamento»116. In ogni caso questo dibattito,
nonostante le forme esasperate che in alcuni casi ha assunto, ha
introdotto nella medievistica contemporanea nuove attenzioni
verso la pluralità dei poteri, delle forme di organizzazione del
territorio; ha fatto cadere definitivamente l’immagine solamente
feudale, curtense del medioevo e ha assegnato finalmente un
ruolo da protagonista a un attore spesso trascurato: la signoria.
3.5 Signoria, signorie
Roscellino da Compiègne, com’è noto, nella disputa che nel
XII secolo oppose realisti a nominasti sostenne l’individualità di
ogni termine astratto, che sarebbe corrisposto o all’individuo particolare e concreto espresso dal termine, oppure al flatus vocis,
alla realtà fisica della parola. Talvolta parrebbe che una nuova
ventata di riflessione sulle “parole e le cose” non sarebbe dannosa alla ricerca storica contemporanea, in cui molti termini vengono utilizzati in modo generico, quasi fossero degli universali che
74-128; J.P. POLY, E. BOURNAZEL, Il mutamento feodale. Secoli X-XI, Milano 1990
(ed. or. La mutation féodale. Xe-XIIe siècles, Parigi 1980); L. THEIS, L’héritage des
Charles (de la mort de Charlemagne aux environs de l’an mil), Parigi 1989.
115 Cfr. Il secolo di ferro: mito e realtà del secolo X (Settimane di studio del
111 BOIS, L’anno Mille cit., p. 206.
CISAM, XXXVIII), Spoleto 1991; Die Stadt im 11. Jahrhundert (Paderborn, 10-15
dicembre 1989), atti in corso di stampa; Il secolo XI: una svolta?, XXXVIII Settimana di studio dell’Istituto storico italo-germanico in Trento (10-15 settembre
1990), Bologna 1993.
112 Ibidem.
116 Contro le teorie “mutazioniste” più radicali è stato introdotto recentemente il
SERGI, Dispute sul Mille, in «L’Indice», anno VIII, n 7 (luglio 1991), p. 31 e L’an
Mil. Rythmes et acteurs d’une croissance (= «Médiévales», n 21, autunno 1991).
le varie opere dedicate a questi argomenti si vedano a titolo esemplificativo per
gli storici sopra richiamati: D. BARTHÉLEMY, L’ordre seigneurial. XIe-XIIe siècle,
Parigi 1990; ID., La mutation féodale a-t-elle eu lieu?, in «Annales E.S.C.», maggiogiugno 1992, n 3, pp. 767-777; B RÜHL, Deutschland-Frankreich cit.; FOSSIER,
L’infanzia dell’Europa cit.; H. KELLER, Reichstruktur und Herrschaftsauffassung
in ottonischfrühsalischer Zeit, in «Frühmittelalterliche Studien», n 16 (1982), pp.
concetto di “aggiustamento”. Si vedano a tal proposito: G. SERGI, Vescovi, monasteri, aristocrazie militari, in Storia d’Italia Einaudi, Annali, vol. IX, La Chiesa e
il potere politico, Torino 1986, p. 88; ID., L’aristocrazia della preghiera. Politica e
scelte religiose nel medioevo italiano, Roma 1994, p. 17, n. 1 in cui l’autore ricorda come «questo concetto di “aggiustamento”... già sostanzialmente presente
nella medievistica italiana, è stato di recente formalizzato, in polemica con i
“mutazionisti” che cercano nei decenni intorno al Mille una netta svolta, da D.
BARTHÉLEMY, La mutation féodale a-t-elle eu lieu?...». Dominique Barthélemy ha
approfondito il tema delle mutazioni dell’anno mille in D. BARTHÉLEMY, La société
dans le comté de Vandôme de l’an mil au XIVe siècle, Parigi 1993, p. 333 sg.
124
125
113 Egli fa riferimento soprattutto a M. FINLEY, Economia e società nel mondo an-
tico, Roma-Bari 1984 (ed. or. The Ancient Economy, Berkeley-Los Angeles 1973).
114 Per una presentazione di questo dibattito si veda SERGI, Assetti politici cit. Tra
III. NU O V I
P O P O L I , NUOVI POTERI
tutto comprendono, generando ambiguità nei testi e nelle menti
dei loro lettori. Uno dei termini che ha subito maggiormente questa situazione è sicuramente quello di signoria, utilizzato inizialmente dalla storiografia italiana per definire gli stati territoriali del
Rinascimento, e rientrato dalla porta di servizio per designare
altre forme di dominio medievale. Per cercare di fare chiarezza
sulla terminologia usata dai vari storici è di grande utilità un saggio di Cinzio Violante sulla signoria rurale, che permette di differenziare, attraverso convenzioni terminologiche, realtà diverse
spesso accomunate sotto un unico nome e quindi confuse tra di
loro117. Cerchiamo dunque di ripercorrere la via tracciata da
Violante. Innanzi tutto egli raccomanda di non porre sotto l’unico
concetto di regime signorile anche il regime curtense, sottolineando come il primo sia più recente del secondo. Poi, richiamandosi al dibattito storiografico avviato dalle ricerche di InamaSternegg e Lamprecht, pone all’interno del regime signorile una
netta distinzione tra signoria fondiaria, il cui ambito di applicazione sono i possessi terrieri detenuti dal signore; signoria fondiaria padronale, all’interno della quale l’intervento autoritario del
dominus avviene solamente per regolare le questioni riguardanti
lo sfruttamento economico delle sue proprietà; signoria fondiaria
di banno, caratterizzata da un intervento del dominus che investe
anche altri settori, come mercati, commerci, trasporti; signoria
curtense, in cui i poteri signorili derivano dal patrimonio fondiario raccolto in curtes e dal possesso delle attrezzature per l’attività agricola; signoria immunitaria, analoga alla signoria fondiaria
per l’ambito di applicazione, ma costituita dall’immunità concessa
dal re, generalmente, agli enti ecclesiastici su tutte le loro terre,
sparse o compatte in curtes regiae e, infine, la signoria territoriale, o di banno, teorizzata per la prima volta da Duby, che consiste nell’esercizio del banno regio all’interno di un preciso territorio da parte di un individuo che lo detiene autonomamente, ma
lo ha necessariamente derivato dal re. Nella mia ricerca ho cercato di attenermi a queste definizioni.
UN
CONCETTO A M B I G U O : LA SIGNORIA
pongono tra di loro, ma sono per lo più accomunate dal carattere signorile; la creazione di concentrazioni omogenee di proprietà fondiarie, non necessariamente strutturate sul modello
della curtis franca, diviene la via maestra per la creazione di
aree di egemonia. Parallelamente le diverse famiglie di potentes
iniziano a tessere trame di relazioni parentali e vassallatiche per
cercare di legittimare il loro nuovo ruolo. La rottura con il sistema della distrettuazione carolingia risulta più o meno netto a
seconda delle singole realtà locali, anche perché vi potevano
essere notevoli variabili e incognite. Tra queste le più frequenti
erano date dalla presenza di una rete di piccole proprietà fondiarie e, soprattutto, dalla presenza dei vescovi, forse i veri eredi
dei funzionari regi carolingi. Nei capitoli che seguiranno cercheremo di verificare se e in che misura questo quadro sia applicabile anche alla regione tra Inn e Adige.
3.6 Conclusioni
Nella società europea attorno al Mille vengono gradualmente
a crearsi forme di dominio diversificate, che spesso si sovrap117 C. VIOLANTE, La signoria rurale nel secolo X. Proposte tipologiche, in Il secolo
di ferro cit., pp. 329-385.
126
127
IV
Il secolo X: conti, vescovi e contadini
1. Il contesto storico
Il secolo X, grazie alle ricerche condotte negli ultimi decenni,
anche per l’area tedesca appare sempre più come un’età di trapasso, un’età di nuovi mutamenti, spesso radicali, che modificarono profondamente l’assetto e gli ambiti dei poteri pubblici e
signorili1. Ciò vale anche per la regione posta tra Inn e Adige
dove in questi decenni avvennero numerosi cambiamenti di tipo
istituzionale, politico ed economico. Ma per comprendere a
pieno questi mutamenti è necessario conoscere le dinamiche più
generali all’interno delle quali essi si generarono.
1.1 La Baviera agli inizi del X secolo2
Nel 907 presso Presburgo in una rovinosa offensiva contro gli
Ungari morirono molti grandi di Baviera, tra cui lo stesso margravio Luitpold, l’arcivescovo di Salisburgo Thietmar e i vescovi Udo
di Frisinga e Zaccaria di Sabiona. Con questa sconfitta finì per la
Baviera anche un’epoca di stretti legami con il regno teutonico e
incominciò una fase di nuova, continua conflittualità, alternata a
1
Cfr. la messa a punto svolta in H. KELLER, Reichsorganisation, Herrschaftsformen und Gesellschaftsstrukturen im Regnum Teutonicum, in Il secolo di ferro cit.,
p. 159 sg.
2
Per una ricostruzione più dettagliata cfr. K. REINDEL, Bayern vom Zeitalter der
Karolinger bis zum Ende der Welfenherrschaft (788-1180), in Handbuch der
bayerischen Geschichte, a cura di Max Spindler, vol. I, Monaco 19812, pp. 247349.
129
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
brevi periodi di pace3. Parallelamente anche la sede vescovile di
Sabiona-Bressanone avviò la ricerca di un proprio ruolo autonomo, tentando di trovare diretti collegamenti con i sovrani tedeschi.
In seguito alla morte di Luitpold, che formalmente era ancora
un funzionario regio, il potere sul territorio bavarese venne esercitato da suo figlio maggiore, Arnolfo; in apparenza si trattava di
una successione illegittima, in quanto non derivava né da una
nomina regia, né da un’elezione. Ma il potere di Arnolfo era
basato su un dato di fatto, la sua potenza personale, e approfittava dell’estrema debolezza della corona regia, in mano a
Ludovico il Fanciullo4.
Stando a Reindel, autore di un’ampia sintesi della storia della
Baviera altomedievale, Arnolfo cercò di legittimare il suo potere
richiamandosi alla tradizione del Regnum Bavariae d’età carolingia, proponendosi come un vero e proprio rex indipendente5. In
questo modo aveva tracciato i binari all’interno dei quali si muoverà tutta la storia bavarese del X secolo. Da un lato vi era il
dux, che esercitava poteri di tipo regio, dall’altro il re teutonico
che si trovava costretto a confrontarsi in continuazione con un
forte “contropotere” interno; infine c’era l’aristocrazia bavara
che, per cercare propri spazi di libertà, si schierava spesso con il
re contro il duca. All’interno di questo gioco delle parti diveniva
essenziale il ruolo delle sedi vescovili che si trasformarono frequentemente nel mezzo attraverso il quale esponenti di alcune
grandi famiglie bavare cercavano di ottenere delle proprie aree
di autonomia, completamente sottratte al potere ducale.
Durante tutto il periodo del suo “regno”, Arnolfo svolse una
politica tesa a consolidare il proprio dominio, conducendo una
dura lotta contro il costante pericolo ungaro e intervenendo autonomamente in territori limitrofi; si pensi ad esempio a quando
nell’autunno del 933 calò in Italia per partecipare a una fallimen3
Sul ruolo della battaglia di Presburgo nello sviluppo futuro della Baviera e
del regno teutonico cfr. R. H IESTAND , Pressburg 907. Eine Wende in der
Geschichte des ostfränkischen Reiches?, in «ZBLG», n 57 (1994), pp. 1-20.
IL
CONTESTO S T O R I C O
tare spedizione contro Ugo di Provenza. Solamente negli ultimi
anni di vita, probabilmente per assicurare al figlio Eberardo la
successione, assunse un atteggiamento conciliante nei confronti
del nuovo sovrano, Ottone I, il cui fratello, Enrico, sposò una
figlia di Arnolfo, Giuditta. Ma questi rapporti pacifici durarono
poco. Infatti Eberardo, una volta succeduto al padre, si schierò
immediatamente contro Ottone; e Ottone, che sicuramente non
era un sovrano debole come Ludovico il Fanciullo, riuscì a sconfiggere il giovane duca e a bandirlo dal suo territorio già nel 9386.
Il ducato passò quindi a Bertoldo, fratello di Arnolfo, che rimase
sempre fedele al re per questo inaspettato incarico di prestigio.
1.2 Una strada per la corona
Prima di ricoprire la carica ducale, Bertoldo era stato attivo
soprattutto in Carantania, dove forse aveva ricoperto anche cariche pubbliche, in Engadina e in Val Venosta, dove appare come
comes, a conferma dell’importanza strategica di queste valli,
attraversate da importanti vie di comunicazione fra nord e sud.
In particolare la Val Venosta, percorsa dalla via Claudia Augusta, fu battuta anche nei decenni successivi da eserciti il cui
apporto fu estremamente importante nella lotta per la corona del
regno italico. Val Venosta e Val d’Adige assunsero un ruolo particolare tra il 944/45 quando furono attraversate dall’esercito di
Berengario di Ivrea, che tentava di tornare in Italia dalla Svevia
in cui si era rifugiato con lo scopo di partecipare alla lotta contro il re italico, Ugo di Provenza. La discesa in Italia di Berengario fu facilitata dalla complicità dell’allora vescovo di Trento,
Manasse, un personaggio che ben rappresenta il ruolo politicomilitare assunto in quest’età da alcuni alti prelati; egli infatti era
stato imposto come vescovo contro la volontà del clero locale a
Mantova, a Verona e a Trento da Ugo di Provenza, di cui fu
compatriota e fors’anche sicario7. A Trento assunse inoltre anche
4
Per quanto riguarda la successione di Luitpold, cfr. REINDEL, Bayern cit., p.
280. Per una sintetica ma precisa analisi della situazione del regno teutonico
all’epoca di Ludovico il Fanciullo cfr. F. PRINZ , Grundlagen und Anfänge.
Deutschland bis 1056, Monaco 1985, p. 122 sg. Ludovico venne eletto re a
Forchheim il 4 febbraio 900 all’età di soli sei anni. Prinz mette in risalto come
durante l’epoca di Ludovico il Fanciullo il regno franco-orientale si sia trasformato in un sistema di potere strutturato in gruppi parentali aristocratici radicati a
livello regionale.
5
REINDEL, Bayern cit., p. 281.
130
6
Naturalmente il problema del rapporto tra Ottone I e la Baviera andrebbe
inquadrato nella più ampia questione della riorganizzazione dell’Impero, tema
che, data la sua vastità, qui non può essere affrontato. Un tentativo di sintesi del
grande dibattito storiografico sugli Ottoni lo si può trovare in G. ALTHOFF, H.
KELLER, Heinrich I. und Otto der Große. Neubeginn und karolingisches Erbe, 2
voll., Göttingen-Zurigo 1985.
7
Per una ricostruzione di questi avvenimenti cfr. FUMAGALLI, Il Regno italico
cit., pp. 188-202. La figura di Manasse e l’attraversamento di Val Venosta e Val
131
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
il titolo ducale, anticipando di circa un cinquantennio quella
sovrapposizione di funzioni pubbliche e funzioni episcopali che
sarà una delle principali caratteristiche dell’episcopio tridentino.
Con l’acquisizione del territorio tra Verona e Bolzano, Manasse
divenne uno dei principali arbitri nella lotta tra Ugo e
Berengario. Liutprando da Cremona narra in proposito un episodio significativo. Giunto alla piana di Bolzano, Berengario sarebbe stato in grossa difficoltà a causa della resistenza del castello
di Formigar, una fortezza identificabile probabilmente con l’odierno Castel Firmiano, che controllava l’accesso alla Bassa
Atesina e quindi alla strada che conduceva verso sud. Il castello
Formigar era uno dei principali avamposti militari di Manasse il
quale tuttavia si sarebbe fatto facilmente corrompere da Berengario, che gli propose un patto di ferro: il passaggio lungo la via
dell’Adige in cambio della concessione della cattreda vescovile
di Milano. Fu così che Manasse passò con estrema disinvoltura
dalle schiere di Ugo a quelle di Berengario. Ma ai nostri fini, il
vero protagonista dell’episodio non è né Manasse, né Ugo o
Berengario: è la strada dell’Adige, una strada protetta da fortificazioni poste in luoghi strategici, una strada il cui controllo
poteva essere determinante non solo per l’acquisizione della
corona regia, ma anche per quella imperiale. E l’alternativa a
questa strada dalla piana di Bolzano era unica: la Val d’Isarco e
il Brennero. Non a caso, infatti, se il vescovo di Trento cercò di
volgere a suo vantaggio la lotta di Berengario contro Ugo di
Provenza, nella seconda metà del secolo i vescovi di SabionaBressanone, soprattutto Albuin, tentarono di cogliere il massimo
dei frutti dalla contrapposizione tra Berengario e Ottone I.
Ma prima di affrontare questi fatti è necessario tornare brevemente alla Baviera.
IL
CONTESTO S T O R I C O
marsi anche come erede dei Luitpoldingi, essendo marito di Giuditta, la figlia di Arnolfo. Enrico (948-955) rimase sempre fedele
al fratello, riuscendo così anche ad ampliare i territori del proprio ducato. Nel 951 partecipò alla spedizione di Ottone in Italia
contro Berengario in aiuto di Adelaide di Borgogna, la vedova di
Ugo, una spedizione che si concluse positivamente e che ebbe
tra le sue conseguenze l’annessione dell’antico ducato longobardo del Friuli, e delle marche dell’Istria, di Verona e di Trento al
ducato di Baviera. In tal modo per la prima volta venne costituito un grande ducato “transalpino” che per estensione e importanza strategica poteva esser considerato uno dei territori più
importanti dell’Europa centrale del tempo8.
Il nuovo duca Enrico non venne accettato dalla maggior
parte dell’aristocrazia e del clero bavaro, che vedeva in lui il tentativo imperiale di portare la Baviera sotto il diretto controllo
dell’imperatore; il figlio di Ottone, Liudolf, duca di Svevia, cercò
di approfittare della situazione e organizzò una sollevazione che
durò circa due anni e che continuò anche dopo la sua riconciliazione con il padre. Tra gli episodi finali della rivolta ce n’è uno
che ebbe come teatro anche Sabiona. Enrico, sconfitti i nemici,
volle allontanare coloro da cui maggiormente si sentiva tradito.
Tra questi c’era anche l’arcivescovo di Salisburgo, Herold, un
luitpoldingio, che venne accecato e mandato “in esilio” a Sabiona, un luogo che probabilmente appariva sicuro sia per la
fedeltà del suo vescovo, sia per la lontananza dai principali centri di potere della Baviera9.
I legami tra l’impero e i vescovi di Sabiona divennero evidenti quando Ottone I – sconfitti gli Ungari a Lechfeld – potè dedicarsi completamente alle vicende italiane. Probabilmente in
occasione di una dieta che si tenne a Ratisbona nel 960 egli
donò al vescovo di Sabiona Richbert per la durata della sua vita
1.3 La Baviera in età ottoniana: un ducato “transalpino”
8
Il 23 novembre 947 morì il duca Bertoldo, al cui posto
Ottone I aveva insediato suo fratello Enrico, che poteva legittid’Adige da parte di Berengario sono tratteggiati in modo drammatico da
LIUTPRANDO DA CREMONA, Antapodisis, in Liutprandi Opera, a cura di J. Becker, in
MGH SSrG in usum scholarum, Hannover-Lipsia 1915, p. 105 sg. Sul rapporto
strade/potere si vedano G. SERGI, Potere e territorio lungo la strada di Francia,
Napoli 1981 e ID., Sulle strade del potere. Monasteri e paesaggio politico, in ID.,
L’aristocrazia della preghiera. Politica e scelte religiose nel medioevo italiano,
Roma 1994, pp. 31-53.
132
Cfr. H. KRAHWINKLER, Friaul im Frümittelalter. Geschichte einer Region vom
Ende des fünften bis zum Ende des zehnten Jahrhunderts, Vienna-ColoniaWeimar 1992, p. 298, in cui si contestualizza in modo chiaro il significato della
dieta imperiale di Augusta dell’agosto 952, quando Ottone investì Berengario II
del regno italico al quale però tolse tutto il territorio orientale. Sull’effettivo successo del collegamento di queste regioni con la Baviera permangono molti dubbi. Soprattutto appare assai problematica una reale sottomissione del Patriarca di
Aquileia (Lupo II), che secondo Thietmar di Merseburgo venne fatto castrare dal
duca di Baviera Enrico. In particolare, sulla storia del Friuli medievale cfr. P.
CAMMAROSANO, L’alto Medioevo: verso la formazione regionale, in Storia della società friulana. Il Medioevo, a cura di P. Cammarosano, Tavagnacco 1988.
9
KRAHWINKLER, Friaul cit., p. 299.
133
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
l’antica cappella di Santa Maria di Ratisbona, donazione che venne ribadita alcuni anni dopo, nel 967 da Ottone II10. Per gli imperatori diveniva fondamentale avere uomini di loro fiducia lungo le importanti arterie stradali che collegavano il mondo tedesco con quello italiano e i vescovi di Sabiona, soprattutto Albuin,
riuscirono a trarre il massimo profitto da questa situazione, come
avremo modo di vedere oltre più dettagliatamente
Mentre Ottone I era in lotta contro gli Ungari ed era costretto
a calare in Italia per porre fine al dominio di Berengario II, la
Baviera viveva un altro periodo travagliato. Poco dopo aver
sconfitto i rivoltosi, il duca Enrico morì, lasciando il ducato in
mano al figlio, Enrico II, di soli quattro anni. Fino alla sua maggiore età la reggenza venne assunta da Giuditta, l’unica luitpoldingia che non aveva preso parte alla grande sollevazione del
954/55, e dal vescovo Abramo di Frisinga. Giunto alla maggiore
età, il giovane duca per motivi non ben chiariti attorno al 974
organizzò una nuova ribellione antimperiale che si concluse
rovinosamente. Enrico probabilmente voleva trarre il massimo
profitto dalla notevole estensione territoriale del suo ducato per
riprendere una totale autonomia dall’impero. Ma questo suo progetto portò a un esito contrario rispetto a quello desiderato.
Infatti Ottone II, proprio per evitare che vi potesse essere uno
stato territoriale troppo forte all’interno dell’impero, ridusse
notevolmente il ducato bavarese. Alla dieta di Ratisbona del 976
egli separò il ducato di Baviera, assegnato ora a Ottone di
Svevia, nipote di Ottone I, da quello di Carinzia, che da questo
momento divenne un ducato indipendente, assegnato al figlio di
Bertoldo, Enrico. Da notare che alla Carinzia rimase legata anche
la marca di Verona, importantissima per gli equilibri del nord
Italia11. Ma la nuova situazione anziché placare le rivolte aumentò i rancori e i desideri di stabilire nuove egemonie. Enrico
II, che non si era rassegnato di aver perso il ducato, alleatosi
con Enrico di Carinzia, tentò di conquistare la città di Passau,
10
Cfr. RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 305 e nota 39 e UBHA, n 7, 15 ottobre 967.
Il fatto che la cappella sia stata donata per la durata della vita del vescovo sembra sottolineare il livello personale dell’atto di Ottone I e di Ottone II. Infatti,
come vien detto nel documento del 967, la cappella era stata data a Richbert
«reminescens illius pristini servicii», termine quest’ultimo che evidenzia lo stretto
rapporto di dipendenza del vescovo dall’imperatore. Da notare infine che la cappella aveva una certa importanza dal punto di vista economico, dal momento
che comprendeva terreni e servi.
IL
CONTESTO S T O R I C O
importantissima per i rapporti con i territori orientali. Anche
questa volta il suo tentativo andò male, tanto che il suo alleato
perse il ducato di Carinzia, assegnato ora a Ottone di Worms.
Nel 982, sulla via del ritorno dalla disastrosa spedizione in Italia
nella quale aveva seguito con un proprio esercito l’imperatore
Ottone II, il duca di Baviera Ottone morì, creando un pericoloso
vuoto di potere. Nel corso della dieta che si tenne a Verona nel
maggio del 983 venne scelto come suo successore il luitpoldingio Enrico (III di Baviera), che, come abbiamo visto, per un
breve periodo aveva ricoperto la carica di duca di Carinzia, a
conferma della debolezza della posizione imperiale dopo il fallimento della spedizione italiana12. Il vacuum di potere che investì l’impero in seguito alla morte di Ottone II, avvenuta nell’ottobre del 983, accese le speranze di quei gruppi dell’aristocrazia
bavara che speravano di riottenere una maggiore autonomia.
Portavoce di questa posizione fu ancora Enrico II che, pur privo
di cariche pubbliche da circa un decennio, iniziò a contrastare
duramente Enrico III. La lotta tra i “due Enrichi” si concluse a
vantaggio di Enrico II che così, dopo circa nove anni, riuscì a
riconquistare il ducato di Baviera, mentre a Enrico III venne riassegnato il ducato di Carinzia. Quest’ultimo però già quattro anni
dopo, nel 989, morì, e con lui si estinse anche il ramo principale
dei Luitpoldingi. Il suo posto venne ricoperto da Enrico II, che
così riuscì a ricostruire un vasto ambito di dominio che andava
dal Mar Adriatico alla Germania centrale. Alla morte di Enrico II,
avvenuta nel 995, il ducato passò al figlio, Enrico IV, eletto dall’aristocrazia bavara. Con Enrico IV ebbe inizio una vera svolta
nei rapporti tra ducato e impero: concluso ormai il secolo X,
giustamente definito da Reindel una «kämpferische Zeit» («un’età
di combattimenti»)13, incominciò un nuovo periodo di stretti
legami tra i due ex contendenti favoriti dalle vicende biografiche
di Enrico IV, il quale, alla morte di Ottone III, avvenuta nel
1002, nonostante l’opposizione sassone, venne nominato re di
Germania, portando per la prima volta all’unione della corona
tedesca con quella del ducato bavarese14. Quest’unione durò per
12
Cfr. REINDEL, Bayern cit., p. 301.
13
REINDEL, Bayern cit., p. 302.
14
11 Sulla storia della Carinzia nel medioevo si veda C. FRÄSS-EHRFELD, Geschichte
Käntens, vol. 1, Das Mittelalter, Klagenfurt 1984.
Non è stato ancora definitivamente chiarito se Enrico IV mantenne dopo la
sua elezione a duca di Baviera anche il ducato di Carinzia. In ogni caso nel 1002
riappare come duca di Carinzia Ottone di Worms. Secondo la FRÄSS-EHRFELD,
Geschichte Kärntens cit., p. 114, probabilmente questi ottenne il ducato in cambio della sua rinuncia alla corona regia.
134
135
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
breve tempo, poiché già nel 1004 egli investì del ducato il
cognato, Enrico di Lützelburg, che, tranne che per un tentativo
di ribellione nel 1008, rimase fedele al sovrano.
Tra i secoli X e XI, durante il regno di Enrico II (IV di
Baviera), i rapporti con i vescovi di Sabiona-Bressanone si intensificarono notevolmente, avviando anche in questo una nuova
fase15. Per comprendere bene questo processo è necessario ora
IL
LESSICO DEL POTERE
però abbandonare le vicende bavaresi per cercare di analizzare
l’evoluzione del ruolo politico dei vescovi di Sabiona.
2. Il lessico del potere
2.1 Gau e comitatus
15
Probabilmente durante il vescovato di Albuin (975-1006) la sede episcopale
venne trasferita da Sabiona a Bressanone, sorta sulla base della «curtis Prihsna»,
sulla cui consistenza economica ritorneremo oltre. Secondo una recente ricerca
di A. FREDIANI, La Chiesa nell’Alto Adige nord-orientale alla vigilia della creazione del principato vescovile di Bressanone (X secolo), in «AAA», LXXXVI (1992), p.
199, «Bressanone è un centro già ben avviato quando i vescovi vi si insediano,
anzi quando incominciano ad interessarvisi; lo dimostra anche il fatto che il complesso degli edifici ecclesiastici viene posto a sud, contrapposto al compatto
complesso cittadino settentrionale». Io ritengo invece che al momento della
donazione si trattasse di una curtis con diversi nuclei abitativi, non ordinati
all’interno di una “città” (una posizione simile è seguita anche da RIEDMNN,
Mittelalter cit., p. 301, il quale afferma che «Der Hof lag wohl nicht direkt im
Bereich der späteren Stadt Brixen, deren regelmäßiger Grundriß auf eine völlige
Neugründung hinweist, sondern in Stufels über dem linken Eisackufer»; trad. it.
«La curtis non si trovava esattamente nella cerchia della futura città di Bressanone, ma era a Stufles, sopra la sponda sinistra dell’Isarco»). Per quanto riguarda il
problema della data e delle motivazioni che portarono al trasferimento della
sede vescovile, quasi tutti coloro che hanno affrontato tale problema sono concordi ormai nell’affermare che il cambio di sede avvenne tra la metà e la fine del
X secolo (cfr. GELMI, Kirchengeschichte cit., p. 23 e RIEDMANN, Mittelalter cit., p.
306). La prima menzione di un vescovo “brissinese” la troviamo in una donazione di Ottone II del 967, in cui Richbert viene definito «Prihsinensis sanctae ecclesiae episcopus» (UBHA, n 7, 15 ottobre 967). Successivamente, sempre in una
donazione di Ottone II, Albuin appare come «sanctae Sabanensis et Prixianensis
ecclesiae episcopus» (UBHA, n 8, 8 settembre 977). Sino ai primi decenni dell’XI
secolo in ogni caso predomina la designazione in base a Sabiona (cfr. UBHA, n
9, 978; UBHA, n 10, 979; UBHA, n 13, 1002; UBHA, n 14, 1004; UBHA, n 15, 1011
e TBHB, n 55, 955-1005) dalla quale probabilmente la sede vescovile si distaccò
con una certa gradualità. RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 306, mette in relazione lo
spostamento da Sabiona a Bressanone con il venir meno del pericolo ungaro e
con l’intensificazione in età ottoniana dei collegamenti lungo la Val d’Isarco. In
questa sua ricostruzione trascura però i rapporti di potere a livello locale. Ad
esempio non si deve dimenticare l’aggressione portata al centro vescovile di
Sabiona, circa tra il 985 e il 990, dal «nobilis vir nomine Wago» (TBHB, n 8, 985990). Nemici e aggressori nei confronti della Chiesa erano quindi presenti all’interno della stessa Val d’Isarco, tra gli uomini per i quali il vescovo era anche un
dominus. Il trasferimento delle sede vescovile da Sabiona a Bressanone pertanto
non sta a significare solo la fine della necessità di difendersi da pericoli esterni,
quanto invece un’identificazione con il proprio nucleo principale di beni all’interno dei quali difendersi e avviare una politica di acquisizione fondiaria per
Cfr. MGH DD regum et imperatorum Germaniae, IV, Conradi II. Diplomata,
nn 101, 102, 103, Monaco 1980 (= Hannover 1909). Sul significato delle cessioni
del comitatus tra i secoli X e XI torneremo in modo più ampio nel prossimo
capitolo.
136
137
Nel giugno del 1027 Corrado II, di ritorno dalla spedizione
che gli aveva permesso di essere incoronato imperatore da papa
Giovanni XIX, concesse al vescovo di Trento Odalrico II i diritti
di giurisdizione sul «comitatus Venuste» e il «comitatus Bauzanum», e al vescovo di Bressanone Hartwig sul «comitatus quondam Welfoni commissus» che si estendeva in Val d’Isarco e nella
Valle dell’Inn16. Quest’evento tradizionalmente è stato presentato
come l’atto di nascita dei nuovi comitati vescovili dai quali
sarebbe scaturita successivamente la contea del Tirolo. Ma molti
elementi fanno però ritenere che con quest’atto sia stata sanzionata una situazione già in atto. Per cogliere in pieno il significato
delle concessioni di Corrado II può essere utile ripercorrere la
documentazione di cui disponiamo dall’età post-carolingia e
individuare quali sono le attestazioni precedenti dei comitati; soprattutto è importante cercare di capire che cosa si intendesse
effettivamente in quest’epoca e in quest’area con il termine
comitatus. Infatti tra i diversi studiosi che hanno affrontato il
tema della concessione comitale del 1027 pochi hanno cercato
di contestualizzare storicamente la terminologia utilizzata nei
documenti, incorrendo così in gravi equivoci.
Tra coloro che hanno tentato di interrogarsi su questi aspetti
possiamo ricordare Otto Stolz, Franz Huter e Josef Riedmann, tutti
storici le cui opere in anni diversi hanno avuto una notevole diffusione anche al di fuori della stretta cerchia degli specialisti. Otto
aumentare le aree immunitarie e indebolire di conseguenza i poteri di signori e
comites locali. Ma per comprendere in pieno questo processo è necessario analizzare con attenzione i rapporti tra i vari poteri e il ruolo di coloro che li esercitarono, tutti aspetti trattati nei prossimi paragrafi.
16
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
Stolz, nella sua Geschichte des Landes Tirol, dove riprese anche
uno studio giovanile dedicato ai comitati, in apertura del capitolo
relativo a Gaue e Grafschaften affermò che i ducati di Baviera,
Svevia e Carinzia erano «seit alters» («dal remoto passato») divisi in
Gaue (pagi) all’interno dei quali svolgevano le loro funzioni, su
incarico dei duchi, i conti; per questo, a suo avviso, le Gaue, o
almeno una parte di esse, vennero definite come Grafschaften
(comitatus); esse inoltre avrebbero avuto una precisa estensione
territoriale e una certa omogeneità dal punto di vista dell’insediamento, della lingua e anche della costruzione delle case17. Per
Stolz pertanto i comitati sarebbero stati delle unità territoriali omogenee anche culturalmente, prefigurando quasi un Land, uno stato
regionale di tipo moderno. Di altro avviso appare invece Franz
Huter il quale ha affrontato la questione in un testo di accompagnamento alla carta F 5 del Tirol-Atlas, prendendo le distanze
dalle teorie che ponevano i comitati come centri amministrativi e
giudiziari, compatti territorialmente, istituiti dai sovrani carolingi18.
Richiamandosi in particolare a studi di Karl Bosl e Friedrich Prinz,
per Huter almeno sino al secolo X il conte era soprattutto un
amministratore dei beni regi e un comandante militare dei coloni
presenti su questi territori, che quindi non dovevano essere per
forza omogenei. Solo a partire dal secolo X si sarebbe fatta più
marcata la tendenza alla localizzazione dei poteri, testimoniata sia
dal collegamento che appare ora nei documenti tra il nome del
comitato e quello della Gau, sia dalla sottolineatura dei poteri giudiziari dei conti. Diversamente da Huter, Josef Riedmann nella sua
storia del Tirolo medievale, pur non affrontando in modo specifico
l’argomento, ha sottolineato soprattutto la possibile continuità tra
le divisioni territoriali del pieno medioevo e la struttura circoscrizionale carolingia. A sostegno di questa sua ipotesi richiama la
presenza di pagi già tra i secoli VIII e IX, dando per scontato il significato del termine pagus e la sua identità con comitatus. Un
dato importante sottolineato da Riedmann invece è l’appartenenza
a importanti famiglie dell’aristocrazia bavara dei pochi comites di
cui abbiamo una conoscenza più approfondita19.
17 STOLZ, Geschichte cit., p. 341. Stolz ha esposto più estesamente queste sue
convinzioni anche in Das Wesen der Grafschaft im Raume Oberbayern-TirolSalzburg, in «ZBLG», n 15 (1949), pp. 68-109. Lo studio giovanile richiamato è O.
STOLZ, Gaue und Grafschaften in Tirol, in «AÖG», n 102 (1912), pp. 92-115.
18
Cfr. F. HUTER, Grafschaften im mittleren Alpenraum (Karte F 5), in TirolAtlas. Begleittexte IV, Innsbruck 1977, pp. 229-233.
19
RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 302. Sull’origine dei conti torneremo tra breve.
138
IL
LESSICO DEL POTERE
Il tema delle circoscrizioni pubbliche e dei poteri comitali
nell’ambito del futuro Tirolo è stato ripreso di recente dal “versante trentino” da Franco Cagol, che ha analizzato con grande
attenzione le nozioni di comitatus e di Gau all’interno dell’evoluzione delle istituzioni di Baviera e Carinzia20. Convinto che
«tutto il X secolo rappresenta una lenta fase di transizione, attraverso la quale si assiste ad una crescente attività dell’aristocrazia
comitale e marchionale»21, Cagol si sofferma in particolare sull’origine del potere comitale e sulla sua evoluzione in senso ereditario, incentrando l’analisi sulle principali famiglie comitali. Per
quanto riguarda il tema della territorialità, egli ritiene che l’ambito in cui si svolgono le funzioni comitali corrisponda al pagus,
mentre il termine comitatus avrebbe dovuto esprimere l’espletamento delle funzioni stesse. Solo con la dinastizzazione del potere comitale vi sarebbe una sovrapposizione tra comitatus e
Gau. La ricerca di Cagol quindi ha il grande pregio di riuscire a
chiarire i punti centrali della realtà istituzionale prima del Mille,
togliendo gli equivoci presenti in Stolz e in parte in Riedmann.
La sua analisi poi si mostra meno rigida di quella di Huter, sottolineando i continui aggiustamenti attraverso i quali i poteri pubblici e le circoscrizioni vennero trasformandosi nel corso del X
secolo22.
20
CAGOL, Circoscrizioni cit.
21
CAGOL, Circoscrizioni cit., p. 118.
22
Come si può notare, l’analisi sui comitati altomedievali nel futuro Tirolo
riflette la più ampia riflessione che su questi temi è avvenuta negli ultimi decenni, soprattutto tra i medievisti tedeschi. I termini di questo dibattito sono stati
riportati in breve da Ulrich Nonn in un saggio apparso in tempi recenti: U. NONN,
Probleme der frühmittelalterlichen Grafschaftsverfassung am Beispiel des RheinMosel-Raums, in «Jahrbuch für westdeutsche Landesgeschichte», anno XVII
(1991), pp. 29-41, in cui ha puntualizzato riflessioni già presenti in ID., Pagus
und Comitatus in Niederlothringen, Bonn 1983. Un quadro più particolareggiato
del dibattito sulla Grafschaftsverfassung che ha coinvolto per diversi decenni
soprattutto la medievistica tedesca lo si può trovare in H.K. SCHULZE , Die
Grafschaftsverfassung der Karolingerzeit in den Gebieten östlich des Rheins, Berlino 1973 (= Schriften zur Verfassungsgeschichte, n 19), che ha reintrodotto quel
significato territoriale di comitatus messo in dubbio, nel particolare clima culturale della Germania degli anni Trenta, da Adolf W AAS in Herrschaft und Staat im
deutschen Frühmittelalter, 1938. Su questi temi sono assai utili anche le voci
Comitatus e Gau nel Lexikon des Mittelalters, Monaco-Zurigo, dal 1977, a cura di
M. Borgolte. Per l’area bavarese si veda L. HOLZFURTNER, Ebersberg - Dießen Schleyern. Zur Entwicklung der oberbayerischen Grafschaft in der Salierzeit, in
Die Salier und das Reich, a cura di S. Weinfurtner, vol. I, Sigmaringen 1991, pp.
549-577. Per quanto riguarda la riflessione in ambito italiano cfr. G. SERGI,
139
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
2.2 Circoscrizioni pubbliche tra Inn e Adige prima del Mille
Stolz, Huter, Riedmann e Cagol hanno letto in modo assai
diverso i concetti di Gau e comitatus; per verificare le loro interpretazioni si rende necessario ripercorrere con attenzione le
testimonianze scritte di cui disponiamo.
Tra i documenti dell’episcopio di Bressanone e quelli di altri
enti riportati da Franz Huter nel Tiroler Urkundenbuch, il termine
comitatus appare prima del 1027 diciassette volte23; in sette casi è
accompagnato da una specificazione territoriale, in altri sette è
definito in base al nome del comes, mentre una volta sola sono
riportati sia il nome del comes sia quello del luogo; in due casi
invece non vi è alcuna specificazione. Cinque volte accanto al
comitatus viene riportato anche il pagus. Di queste diciassette attestazioni, solo dieci riguardano l’area della futura contea del Tirolo, due sono relative a Trento, una alla Carinzia, due alla Carniola, una all’Engadina e una a Ratisbona. Dal punto di vista temporale, una menzione è del secolo IX, undici sono del X e cinque
del primo ventennio dell’XI. Il termine pagus invece compare per
lo stesso periodo nove volte, una nel secolo IX, cinque nel X e tre
nel primo ventennio dell’XI24. Per quattro volte lo troviamo inserito all’interno della formula di concessione dell’immunità alla sede
vescovile di Sabiona-Bressanone, mentre tutte le altre volte è
abbinato a comitatus. Solo una volta viene usato in riferimento a
un territorio posto a sud del Brennero e del Passo di Resia; negli
altri casi definisce località della Baviera o della Carniola.
La prima menzione di un comitatus nella nostra documentazione porta la data del 31 maggio 893 ed è posta all’interno delIstituzioni politiche e società nel regno di Borgogna, in Il secolo di ferro cit., in
particolare pp. 220-222, dove Sergi respinge l’interpretazione «meramente fiscale
del termine comitatus, legata a concezioni superate della collocazione dell’aristocrazia germanica negli ordinamenti del regno».
23 UBHA, n 3, 893; UBHA, n 4, 901; TUB, n 24, 923; TUB, n 27, 931; TUB, n 31,
967; TUB, n 32, 971; UBHA, n 9, 978; UBHA, n 10, 979; TUB, n 37, 993; TBHB, n
30, 995-1005; TBHB, n 50, 995-1005; UBHA, n 11, 999; TBHB, n 57, 1002-4;
UBHA, n 12, 1002; UBHA, n 14, 1004; UBHA, n 15, 1011; UBHA, n 16, 1020; dal
computo generale escludo i documenti non collocabili con certezza prima del
1027: TBHB, n 65, 1022-39; TBHB, n 66, 1022-39; TBHB, n 67, 1022-39; TBHB, n
68, 1022-39; TBHB, n 69, 1022-39; TBHB, n 71, 1022-39; TBHB, n 72, 1022-39.
24 UBHA, n 1, 845; UBHA, n 5, 909; UBHA, n 6, 916; TUB, n 27, 931; UBHA, n
9, 978; UBHA, n 11, 999; UBHA, n 14, 1004; UBHA, n 15, 1011; UBHA, n 16,
1020; non considero, in quanto non definito temporalmente, TBHB, n 72, 102239.
140
IL
LESSICO DEL POTERE
l’importante diploma in cui re Arnolfo su richiesta del vescovo di
Sabiona Zaccaria restituisce a questa sede episcopale i diritti di
caccia in una foresta presso l’odierna Bressanone di cui vengono
riportati in modo dettagliato i confini; e proprio parlando di questi confini viene nominato un fiume chiamato Pirra, del quale si
dice che «pertinet ad comitatun»25. Non viene data alcuna indicazione in più, ma già questa è molto importante per verificare la
presenza di un distretto comitale territorialmente delimitato.
Qualche anno dopo questo conte, o probabilmente un suo
successore, prende un volto. Il 13 settembre 901 re Ludovico IV
il Fanciullo dona alla chiesa di Sabiona, sempre su richiesta del
vescovo Zaccaria, la «curtis Prihsna» più volte ricordata26. E questa curtis si trovava «inter convallia comitatu Ratpodi», un personaggio su cui torneremo tra breve. In una donazione alla chiesa
vescovile di Salisburgo del 923 per la prima volta il termine comitatus viene accompagnato da un toponimo: sono ricordate
infatti due località, «Mellita et Torilan» poste «in comitatu Nurihtale» 27. Attraverso uno svolgimento graduale il comitato della
Norital si presenta quindi prima come puro sfondo, successivamente con il nome del comes, infine con la propria denominazione territoriale. Per circa ottant’anni poi non viene più menzionato direttamente. Anonimo, appare minaccioso nelle conferme
dell’immunità conferite dagli imperatori alla sede vescovile di Sabiona-Bressanone, che in tal modo sembra eroderlo dall’interno.
Agli inizi del secolo XI ritorna come soggetto di una controversia. Ci vien detto infatti che «tempore [...] Ottonis comitis [...] orta
est contentio de finibus comitiorum Pustrissa et Norica valle»28.
Questo documento è di grande importanza poiché in esso per la
prima volta vengono forniti in modo dettagliato i confini di due
comitati, che quindi sicuramente a quest’epoca – e, di conseguenza, probabilmente anche nei decenni precedenti – venivano
considerati come unità territoriali29.
25
UBHA, n 3, 893.
26
TBHB, n 4, 13 settembre 901.
27 TUB, n 24, 923. Franz Huter identifica nell’introduzione a TUB, n 24, queste
località con le odierne Meltina e Terlano, poste l’una sulle pendici montane, l’altra sul fondovalle tra Merano e Bolzano. Quest’identificazione però contrasta con
il territorio che comunemente viene assegnato al Norital.
28
TBHB, n 57, 1002-4.
29
Da notare che nel testo i termini comitio e comitatus vengono usati come
sinonimi. Il comitato della Pusteria, che solo alla fine del secolo XI sarà unito a
141
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
Oltre ai comitati di Norital e Pustrissa prima del secolo X
abbiamo notizia anche di quello posto in Val Venosta, nell’ambito quindi della diocesi di Coira. Possediamo infatti un documento del 931 in cui re Enrico I restituisce al vescovo di Frisinga dei
beni sottratti alla sua chiesa nella località di Meies, Chorces e
Cheines, identificate da Huter con Mais, la futura Merano, Corces
in Val Venosta e Caines in Val Passiria, tutte poste «in pago Uenusta in comitatu Berhtolt»30. È questa l’unica volta in cui nella
nostra documentazione troviamo il termine pagus usato per definire un territorio a sud del Passo di Resia e del Brennero. Qui
esso sembrerebbe usato come definizione distrettuale, mentre
comitatus parrebbe indicare la relazione con il conte incaricato
nella sua amministrazione. Fino al 1027, quando il comitato della
Val Venosta fu assegnato al vescovo di Trento, possediamo solamente un’altra sua menzione, del 967, relativa alla donazione di
u n a terra situata «in comitatu Recie in vallibus Uenuste et
Ignadine»31. È confermata qui la sua appartenenza alla Rezia
curiense, definita comitatus secondo un uso tipico della tradizione retica, che alterna, dando loro lo stesso significato, comitatus
e ducatus32. In questo documento la Val Venosta non è definita
pagus ma vallis: non credo sia solo una sfumatura linguistica.
Nel primo caso ritengo venga sottolineato maggiormente il suo
essere un distretto all’interno di un più vasto comitatus sottoposto a un comes, che in questo caso è Bertoldo, fratello di Arnolfo
duca di Baviera. Nel secondo caso si vuole indicare in modo
generico una località posta all’interno di un’unità territoriale più
vasta. Sicuramente in quest’epoca in Val Venosta non c’è identità
totale tra pagus e comitatus. Per altre zone ricordate nella nostra
documentazione abbiamo dei casi diversi; il «pagus Creina» ad
esempio, corrispondente all’odierna Carniola, veniva a coincidere con il comitatus; infatti nel documento nel quale Enrico II
dona alla chiesa di Sabiona il «praedium Veldes», si dice che esso
era situato «in pago Creina nominato in comitatu Uuatilonis supra dicto nomine id est Creina vocitato»33. In base a questa anali-
quello della Norital, è ricordato anche in una donazione all’incirca sempre di
quest’epoca, in cui il vescovo Albuin permuta con una nobilis femina di nome
Suanihilt dei beni «in comitatu Pustrissa» (TBHB, n 50, 995-1005).
30
TUB, n 27, 931.
31
TUB, n 31, 967.
32
Cfr. CAGOL, Circoscrizioni cit., p. 207.
33
UBHA, n 14, 1004.
142
IL
LESSICO DEL POTERE
si, per quanto riguarda l’area tra il Brennero e la Val Venosta si
p u ò e s c l u d e r e u n ’ a u t o m a t i c a c o i n c i d e n z a t r a pagus e comitatus34. Anche in altre aree limitrofe il primo termine designa
un’unità territoriale all’interno della quale il conte esercitava le
sue funzioni. Con la Val Venosta poi siamo di fronte a un caso
opposto rispetto a quello della Borgogna, in cui si hanno delle
testimonianze «di un uso di comitatus circoscrizionale ma equivalente ad una ripartizione interna del pagus»35. Qui al contrario
è il pagus ad apparire come ripartizione del comitatus. Che il
pagus nella nostra documentazione in genere venga inteso in tal
modo, senza escludere, come per il «pagus Creina» che possa anche coincidere con il comitatus, è confermato anche dalla successione dei termini che portano a identificare un territorio; si
parte infatti sempre dalla realtà più delimitata spazialmente per
giungere a quella più generale. La successione più frequente è
«in pago… in comitatu», oppure «in villis… in pago... in comitatu», o «in loco… in pago... in comitatu»36. Il termine comitatus
invece appare in un duplice uso: quando è rapportato a pagus
ed è seguito dal nome di un comes si riferisce alla funzione
comitale, mentre quando appare da solo o accompagnato da un
nome di luogo indica lo spazio territoriale all’interno del quale il
comes agisce, com’è testimoniato da documenti che riportano
con estrema precisione i suoi confini.
Dato questo significato a pagus e comitatus per il secolo X,
possiamo affermare l’esistenza nel territorio del futuro Tirolo del
comitato di Norital tra la Valle dell’Inn e la conca di Bolzano,
del comitato di Pusteria nella valle omonima, e del comitato di
Venosta, a ovest dell’attuale Merano (cfr. carta 9). Per tutti gli
altri comitati menzionati a partire dal secolo XI si possono solo
fare supposizioni sulla loro esistenza prive però di riscontro
documentario37.
34 Sul comitato della Val Venosta si veda R. HEUBERGER, Die Südost-Grenze der
Grafschaft Vinschgau, in «Der Schlern», n 11, 1930, pp. 476-479.
35
SERGI, Istituzioni cit., p. 222.
36
Si vedano p. es. TUB, n 27, 931; UBHA, n 11, 999; UBHA, n 19, 1028.
37 Tra i comitati vicini a quello di Norital secondo HUTER, Grafschaften cit., p.
230, oltre a quelli già menzionati vanno ricordati per il X e i primi decenni
dell’XI secolo il «pagus intervalles», nominato già nel 790, e il «pagus Indale», da
esso probabilmente derivato, che si estendevano nell’odierna bassa Valle dell’Inn
(naturalmente anche in questo caso valgono tutte le cautele sopra ricordate per
l’identità pagus/comitatus); il «comitatus Bauzani», separato dal comitato di
Norital nel 1027. È estremamente difficile stabilire con esattezza i confini dei
143
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
Chiarito, almeno in parte, il significato dei termini comitatus e
pagus per l’area posta tra Inn e Adige, è giunto ora il momento
di verificare il modo in cui all’interno di queste circoscrizioni nel
corso del X secolo venne esercitato il potere su uomini e cose.
3. Conti e vescovi nel secolo X. Una strategia di potere
Vito Fumagalli in un importante contributo dedicato all’analisi
del potere civile dei vescovi italiani al tempo di Ottone I ha
messo in evidenza come «non è possibile contrapporre storiograficamente i vescovi all’alta nobiltà, facendone due parti con interessi diversi, dal momento che spesso i presuli provengono dalle
grandi famiglie nobiliari e non possono agire in modo del tutto
autonomo dalle medesime»; da ciò egli concluse che «i vescovi,
nel secolo X, in quasi tutta l’Italia settentrionale, rappresentano
una forza politica di fatto che Ottone I è obbligato a riconoscere»38. Ritengo che queste sue osservazioni abbiano mantenuto
inalterato il loro valore. E soprattutto penso che esse possano
essere utili per meglio comprendere le vicende dell’episcopio di
Sabiona-Bressanone e del comitato di Norital nel secolo X. Infatti
spesso sono stati sottolineati gli stretti rapporti tra re di Germania, o imperatori, e vescovi così come sono stati messi in eviden-
diversi comitati, cosa che non è nemmeno così importante data la caratteristica
di estrema mobilità dei confini di quest’epoca. Tra il resto non bisogna dimenticare che la nozione stessa di confine nel senso moderno è totalmente estranea
alla realtà del X e degli inizi dell’XI secolo.
U NA
STRATEGIA DI POTERE
za gli interessi dimostrati per quest’area da importanti famiglie
dell’aristocrazia bavara; raramente però si è cercato di rapportare
questa politica dinastica allo sviluppo dei poteri politici del
vescovo di Sabiona-Bressanone39. Mio intento è dimostrare che la
cessione del comitatus del 1027 se da un lato si pone come
momento conclusivo di un lungo processo di interventi regi e
imperiali a favore dell’episcopio tesi a contrastare l’affermazione
di forti famiglie comitali di origine bavara che tendevano a dinastizzare la loro carica, dall’altro non può essere interpretato come
una vittoria dell’impero contro l’aristocrazia. Si tratterebbe piuttosto della ratifica di una posizione di preminenza raggiunta nella
Valle d’Isarco da parte di gruppi parentali ricollegabili alla famiglia degli Ariboni, che tramite la concessione di Corrado II potè
aggiungere alla carica vescovile il controllo sul comitato.
Per comprendere questo processo cercheremo di conoscere
più da vicino i protagonisti di queste vicende, conti e vescovi,
inquadrandoli all’interno dei contrastati rapporti tra re germanici
e duchi di Baviera. Successivamente tenteremo di ricostruire la
politica di acquisizione territoriali dei vescovi di SabionaBressanone. Infine analizzeremo le concessioni comitali del 1027
collegandole con atti analoghi svolti da Corrado II per altre zone.
3.1 I conti
Quando Ludovico il Fanciullo nel 901 donò al vescovo di
Sabiona Zaccaria la «curtis Prihsna», vien detto che essa si trovava «inter convallia comitatu Ratpodi»40. Successivamente tra i
documenti tramandati dai Libri traditionum troviamo una donazione avvenuta circa a metà del secolo X di beni posti «in loco
nuncupato Alpines, sub rege Ottone, comite Ratpotone»41. Nel
medesimo periodo lo stesso comes donò al Capitolo del duomo
«in loco Prixina» due hobae in una località che Redlich identifica
38 V. FUMAGALLI, Il potere civile dei vescovi italiani al tempo di Ottone I, in I poteri temporali dei vescovi in Italia e in Germania nel Medioevo cit., p. 77. Fumagalli
in questo suo saggio si ricollega all’ampio dibattito avvenuto all’interno della storiografia tedesca sul cosiddetto ottonisch-salisches Reichkirchensystem. In particolare egli riprende le conclusioni a cui giunse Hagen Keller in Zur Struktur der
Königsherrschaft in Karolingischen und nachkarolingischen Italien, in «Quellen
und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», XLVII (1967), pp.
123-223. Tra le opere che maggiormente contribuirono ad avviare questo dibattito va ricordato un importante saggio dello storico tirolese L. SANTIFALLER, Zur Geschichte des ottonisch-salischen Reichskirchensystems, Vienna 19642. Assai utile
per ricostruire il dibattito storiografico in ambito italiano è il saggio di G. SERGI,
Vescovi, monasteri, aristocrazia militare, in Storia d’Italia Einaudi, Annali, vol.
IX, La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a cura di G.
Chittolini e G. Miccoli, Torino 1986, pp. 75-98.
TBHB, n 2b, 955-975. Il «locus Alpines» per Redlich corrisponderebbe all’odierna Albes-Albeins in Val d’Isarco
144
145
39 Significativa a tal proposito è la parte dedicata a questi aspetti in RIEDMANN,
Mittelalter cit., p. 302. Anche in studi specifici recenti, come quello di ROGGER, I
principati ecclesiastici cit., o quello di FREDIANI, La Chiesa cit., pur essendo messa
in risalto la costituzione da parte dei vescovi di Sabiona-Bressanone di una rete
di poteri prima della concessione di Corrado II, viene trascurato l’aspetto dinastico.
40
UBHA, n 4, 901.
41
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
con Tils presso Bressanone42. In una donazione avvenuta probabilmente tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo troviamo di
nuovo un comes di nome Ratpoto che funge da intermediario tra
un certo «vir religiosus nomine Sinpertus» e un diacono del capitolo del Duomo di Bressanone43. Tra i testi di questa transazione
compare un altro conte, Ottone, che è posto all’inizio dell’elenco
dei nomi, concluso da un Ratpotone (di nuovo il comes?) per il
quale non viene riportato alcun titolo. Non è la prima volta che
nella nostra documentazione emerge il «comes Otto» che appare
già attorno al 985-993 in qualità di benefattore della comunità
monastica di St. Georgenberg, alla quale donò una proprietà a
Vomp, presso Schwatz, che riconfermò e arricchì alcuni anni
dopo44. Un altro documento all’incirca della medesima epoca ci
conferma l’esistenza di rapporti tra il conte Ottone e il vescovo
Albuin, che si scambiarono dei servi45. L’importanza del ruolo di
Ottone in Val d’Isarco è confermata dal fatto che attorno al
Mille, per indicare l’epoca in cui sorse un contenzioso relativo ai
confini dei comitati di Norital e Pusteria, si parla di «tempore
Albuuini [...] episcopi et Ottonis comitis»46. Purtroppo il documento, che testimonia la presenza di scabini in ambedue i comitati, non ci spiega il ruolo di Ottone in questa controversia. Da
questo momento in poi Ottone scompare dalla nostra documentazione. Attorno al 1005 riappare invece un Ratpotone che compie una serie di donazioni a favore del capitolo del duomo di
Bressanone, al quale cedette dei mancipia e delle proprietà
presso Barbiano, Pedratz e Chiusa47.
La presenza all’interno della medesima area, la Val d’Isarco e
quindi il comitatus di Norital, di tre comites di nome Ratpotone
agli inizi, a metà e alla fine del X secolo – sia pur con l’“intrusione” del conte Ottone – fa pensare alla dinastizzazione della carica comitale nell’ambito di un’unica famiglia. Questa supposizione viene confermata dagli studi genealogici di Franz Tyroller, il
quale riporta sia i tre Ratpotoni che Ottone in un unico ceppo
42
TBHB, n 4, 955-75.
43
TBHB, n 42, 995-1005. Simperto, definito «vir religiosus», donò una vigna al
capitolo del duomo di Sabiona «cum manu Ratpotonis comitis et advocati sui
Sigiperti».
44
TBHB, n 18, 985-93 e n 46, 995-1005.
45
TBHB, n 20, 985-993.
46
TBHB, n 57, 1002-1004.
47
TBHB, n 60, 1005; TBHB, n 61, 1005; TBHB, n 62, 1005.
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U NA
STRATEGIA DI POTERE
familiare di origine bavara, i Ratpotoni di Hohenwart, che possedevano in quest’epoca beni a Thaur presso Innsbruck e nell’alta
Baviera vicino al Danubio (cfr. tavola 1)48.
48 F. TYROLLER, Genealogie des albayerischen Adels im Hochmittelalter in 51
genealogischen Tafeln mit Quellennachweisen, einem Anhang und einer Karte,
in Genealogische Tafeln zur mitteleuropäischen Geschichte, a cura di Wilhelm
Wegener, Göttingen 1962-69, pp. 208-209. Le proposte di Tyroller possono essere confrontate ora con il più recente Eurpäische Stammtafeln. NF XVI. Bayern
und Franken, a cura di D. Schwennicke, Marburg 1995. Sulle problematiche collegate alla ricostruzione del ruolo delle famiglie aristocratiche nell’alto medioevo
si veda K. SCHMID, Zur Problematik von Familie, Sippe und Geschlecht, Haus und
Dynastie beim mittelalterlichen Adel. Vortragen zum Thema »Adel und Herrschaft im Mittelater«, in Gebetsgedenken und adliges Selbstverständnis im Mittelater. Ausgewählte Beiträge, Sigmaringen 1983, pp. 183-244 e ID., Adel und
Herrschaft im Mittelater, in Gebetsgedenken cit., pp. 245-267. Si tratta di due tra
le principali raccolte di saggi dello storico tedesco che con le sue ricerche ha
contribuito a rinnovare l’approccio allo studio dell’aristocrazia altomedievale.
Muovendo dalle analisi di Gerd Tellenbach, egli si è interrogato sulle strutture
familiari in epoca altomedievale, giungendo alla fondamentale distinzione tra
Sippe e Geschlecht. Il primo concetto secondo Schmid va utilizzato per gruppi
parentali che il più delle volte oltrepassano i confini della famiglia in senso stretto. Esso si mostra particolarmente adatto per cercare di ricostruire i rapporti di
parentela prima del Mille, quando, sia per la reticenza delle fonti, sia per la mancanza di una vera e propria “coscienza” familiare, raramente ci imbattiamo in
famiglie dalla precisa identità. Il secondo concetto, quello di Geschlecht, che in
italiano potremmo tradurre come “stirpe”, va utilizzato invece quando la presenza di Leitnamen, di nomi propri che si ripetono, ci testimonia la coscienza dell’appartenenza a una famiglia stabile, che dura nel tempo, strutturata in modo
agnatizio, ovvero in modo tale che le donne, sposandosi, vengono a far parte di
un’altra stirpe. La differenza tra Sippe e Geschlecht viene sintetizzata da Schmid
in questo modo: «Geschlechter dauern fort, bilden sich neu oder sterben aus,
Sippen wandeln sich» («Geschlechter perdurano, si rinnovano o scompaiono, le
Sippen mutano»). Per una sintesi delle ricerche di Schmid e della “scuola di
Friburgo” cfr. P. GUGLIELMOTTI, Esperienze di ricerca e problemi di metodo negli
studi di Karl Schmid sulla nobiltà medievale, in «Annali dell’Istituto Italo-germanico in Trento», XIII (1987), pp. 209-269; O.G. OEXLE, Gruppen in der Gesellschaft. Das wissenschaftliche Œuvre von Karl Schmid, in «Frühmittelalterliche Studien», n 28 (1994), pp. 410-423; H. KELLER, Das Werk Gerd Tellenbach in der Geschichtswissenschaft unseres Jahrhunderts, in «Frühmittelalterliche Studien», n 28
(1994), pp. 374-397. Gli alberi genealogici che ho riportato sono solamente dei
mezzi per visualizzare alcune importanti relazioni parentali; sono altrimenti consapevole che si tratta di una forma di forzatura rispetto alla realtà del secolo X,
come ha messo in evidenza Friedrich Prinz – proprio in riferimento al Tyroller –
in Die innere Entwicklung cit., p. 405, n. 12. Utilizzando le categorie interpretative di Schmid, ritengo che sia legittimo rappresentare i Ratpotoni come stirpe, dal
momento che lungo un intero secolo il nome Ratpotone si ripete all’interno di
una medesima area geografica piuttosto limitata in riferimento a persone che
ricoprono la medesima funzione.
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SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
I Ratpotoni appaiono quindi nel ruolo di conti della Norital
per tutto il secolo X. Il loro radicamento nel territorio è confermato anche dalle donazioni che testimoniano la presenza di loro
proprietà proprio nel cuore nevralgico della Val d’Isarco, tra
Chiusa e la piana di Bressanone. È difficile dai pochi dati di cui
disponiamo comprendere i loro rapporti con i sovrani del regno
teutonico, i duchi di Baviera e i vescovi di Sabiona-Bressanone.
Il fatto che Ludovico il Fanciullo abbia pensato di rafforzare
notevolmente da un punto di vista territoriale i vescovi di Sabiona con la donazione della grande «curtis Prihsna», posta proprio
al centro del comitato di Ratpotone I, sembra testimoniare una
certa ostilità nei confronti del conte. Con questo atto il patrimonio immunitario dell’episcopio iniziava ad assumere una consistenza notevole e riduceva, a causa del diritto immunitario, notevolmente l’ambito di azione dei comites. Per quanto riguarda i
rapporti tra vescovi e conti, non può essere un caso il fatto che
solo nel 1005 troviamo una donazione a favore del vescovo49,
contro quattro ricche elargizioni nei confronti del Capitolo che
proprio in questi anni veniva rafforzandosi50. In due delle donazioni a favore del capitolo, una del 955 e l’altra di fine secolo,
nelle clausole finali c’è una dura ammonizione nei confronti dei
vescovi che avessero osato appropriarsi indebitamente dei beni
donati 51. Sembrerebbe quasi che i conti abbiano cercato di
rafforzare il Capitolo per controbilanciare il potere vescovile. I
Ratpotoni quindi si posero molto probabilmente in modo antagonista nei confronti del potere vescovile.
Poco o nulla sappiamo invece dei loro rapporti con i re di
Germania. Grazie agli studi genealogici di Franz Tyroller abbiamo a disposizione i richiami a tutti i documenti in cui essi
appaiono, anche marginalmente. Ebbene, mai emergono in modo chiaro i loro legami con i sovrani, se non per quanto riguarda
il conte Ottone. Egli viene ricordato per la sua partecipazione
ingloriosa alla spedizione contro Arduino di Ivrea durante la
quale il suo contingente militare avrebbe subito una grave sconfitta a causa della sua fuga52. Altro dato negativo che possediamo
49
TBHB, n 62, 1005.
50
TBHB, n 4, 955; TBHB, n 42, 995-1005; TBHB, n 60, 1005; TBHB, n 61, 1005.
Sulla storia del Capitolo del duomo di Bressanone cfr. L. SANTIFALLER, Das
Brixner Domkapitel in seiner persönlicher Zusammensetzung im Mittelalter,
Innsbruck, senza anno (SS, n 7).
51
TBHB, n 4, 955 e TBHB, n 42, 995-1005.
52
TYROLLER, Genealogie cit., p. 208.
148
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STRATEGIA DI POTERE
su Ottone riguarda dei beni confiscatigli dall’imperatore per una
condanna dovuta ad incesto53. Dunque, se da un lato emergono
forti tensioni tra Ratpotoni e i vescovi di Sabiona-Bressanone,
dall’altro anche i rapporti con l’impero, pur essendo presenti,
non sembrano dei migliori54. Non dobbiamo dimenticare poi che
proprio nel medesimo periodo andavano invece intensificandosi
gli stretti collegamenti tra i vescovi di Sabiona-Bressanone e i re
di Germania, che giunsero al loro apice nel periodo di Albuin, il
quale appoggiò apertamente nelle loro imprese Ottone II e
Enrico II, ottenendo in cambio importanti concessioni territoriali.
Nel 1027, quando Corrado II concesse ai vescovi di Bressanone i diritti comitali, il comitato di Norital non appare più nelle
mani di un Ratpotone, bensì «quondam Welfoni commissus».
Questo Welf va identificato con il conte Welf II, dei cosiddetti
ältere Welfen, il quale era stato estromesso da ogni carica dopo
aver partecipato a una rivolta contro Corrado II intrapresa dal
duca di Svevia Ernesto II55. Nella letteratura a mia conoscenza
mai si è cercato di chiarire il motivo dell’improvvisa scomparsa
dei Ratpotoni e della loro sostituzione da parte di un Welfen.
Purtroppo non possediamo anche in questo caso dei chiari riferimenti documentari. Tuttavia, attraverso un’analisi prosopografica, possiamo giungere a un’ipotesi fortemente plausibile. Come
53
TYROLLER, Genealogie cit., p. 209.
54
Sulla posizione “antimperiale” dei Ratpotoni cfr. C. PLANK, Die Regensburger
Grafschaft im Unterinntal und die Rapotonen, in «VdF», vol. 31 (1951), pp. 561565.
55 Su questa identificazione cfr. RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 326. Sul ruolo di
Welf II all’interno dell’aristocrazia tedesca si vedano, per un primo orientamento,
PRINZ, Grundlagen und Anfänge cit., p. 192 e K. BOSL, Bayerische Geschichte,
Monaco 1971, pp. 84-85. Un’importante testimonianza su Welf II la possiamo
ritrovare nella Historia Welforum, composta nei primi decenni del XII secolo.
Questo testo di recente è stato ripubblicato in traduzione tedesca: Geschichte der
Welfen, a cura di A. Heine, Essen-Stoccarda 1986. Di Welf II vien detto a p. 41
«Dieser Welf war es, welcher sich einmal mit Hilfe des Herzogs Ernst gegen den
Kaiser empörte und Bruno, den Bischof von Augsburg, lange Zeit mit Brand und
Plünderung befehdete, sehr viele seiner Burgen und Plätze zerstörte und endlich
dessen Stadt selbst wegnahm. Da diesem der Bischof von Freising zu Hilfe kam,
so hatte er von Welf Ähnliches zu erdulden» («Questo Welf era colui che un
tempo con l’aiuto del duca Ernesto si ribellò al re e combatté contro Bruno, il
vescovo di Augusta, causando incendi e saccheggi, distrusse molti dei suoi
castelli ed infine gli prese la sua città. Poiché in aiuto di Bruno venne il vescovo
di Frisinga, questi patì da Welf lo stesso destino»).
149
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SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
si può desumere dagli studi di Tyroller, gli ultimi Ratpotoni che
svolsero funzioni comitali nelle valli dell’Inn e dell’Isarco, Ratpotone III e Ottone, morirono senza lasciare eredi. Non fu un caso
se Welf II divenne loro successore. Essi infatti erano strettamente
imparentati: la zia di Ratpotone III e Ottone, Ata, infatti aveva
sposato Enrico «mit dem goldenen Wagen», bisnonno di Welf II.
Vi era dunque un rapporto diretto tra Ratpotoni e ältere Welfen
che poteva giustificare anche da un punto di vista dinastico la
presenza di Welf II come comes in Norital56.
Non solo la Valle dell’Inn e la Val d’Isarco sino ai primi decenni del Mille erano sotto il controllo di rappresentanti di famiglie bavare ostili al potere regio e imperiale. S’è già visto, ad
esempio, come nel 931 la Val Venosta fosse posta all’interno del
comitato di Bertoldo, un luitpoldingio, fratello del duca di Baviera Arnolfo, primogenito di Luitpold, con il quale il ducato di Baviera aveva acquisito nuovamente una forte autonomia contrapponendosi spesso in modo antagonista al potere regio57. Lo stesso Bertoldo divenne duca di Baviera dopo che nel 938 Ottone I
costrinse all’esilio il ribelle Eberardo, figlio di Arnolfo, il quale lo
aveva designato come suo successore. Purtroppo non sappiamo
chi dopo di lui ricoperse la carica comitale, tant’è vero che vi sono dubbi sulla stessa appartenenza della Val Venosta al ducato
di Baviera. Nemmeno Liutprando da Cremona, altrimenti prodigo di particolari, narrando il passaggio di Berengario per la Val
Venosta fa alcun cenno a funzionari pubblici; dalle sue parole,
tuttavia, essa sembrerebbe parte della Svevia58. È assai probabile
56 La rapida ascesa e l’improvvisa scomparsa di scena dei Ratpotoni e successivamente dei ben più importanti ältere Welfen ricorda in parte le vicende dei
Supponidi descritte in V. FUMAGALLI, Terra e società nell’Italia padana, Torino
1976, pp. 103-123; in ambedue i casi ci troviamo di fronte a delle famiglie funzionariali che si dimostrano “inadeguate” rispetto alle nuove esigenze della
società.
57
TUB, n 27, 14 aprile 931 in cui re Enrico I restituisce alla sede vescovile di
Frisinga dei beni che le erano stati sottratti «in pago Uenusta in comitatu
Berhtolti».
58 Cfr. LIUTPRANDO DA CREMONA, Antapodosis cit., in cui in modo un po’ ambiguo
vien detto «[...] Berengarius ex Suevorum partibus [...] a Suevia per Venustam vallem Italiam petiit [...]». Per quanto riguarda l’attribuzione della Val Venosta, stando a HUTER, TUB, I, p. 19 sg. essa e l’Engadina non facevano parte del patrimonio familiare dei Luitpoldingi ma sarebbero state assegnate loro nel 926 da
Enrico I quando venne ridisegnata l’area del Ducato di Svevia. Anche per
REINDEL, Bayern cit., p. 324, faceva parte della Svevia, mentre secondo ROGGER, I
principati cit., p. 182, nel 1027 sarebbe stata parte della Rezia curiense.
150
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STRATEGIA DI POTERE
che anch’essa, come la Valle dell’Inn e la Val d’Isarco sino al
1027 fosse sotto l’influenza dei Welfen, i quali possedevano importanti beni lungo l’alto corso dell’Adige. Che fosse sottoposto
direttamente o meno ai Welfen, in ogni caso il comitato di Venosta nel 1027 passò al vescovo di Trento Odalrico II, riconducibile forse alla famiglia carinziana dei Lurngauer, i cui destini
furono strettamente intrecciati a quelli dell’episcopio tridentino
sino a metà del XII secolo con il vescovo Altemanno59.
Origini bavaro-carinziane dovette avere anche il comes Otwin,
che appare nella nostra documentazione in un solo documento,
databile tra il 993 ed il 1000, in cui funge da teste in una permuta
tra il vescovo Albuin e un nobilis di nome Odascalco60. Poiché i
beni scambiati si trovavano in Val Pusteria, è plausibile l’ipotesi
secondo cui egli possa essere identificato come comes di questa
valle, che, come abbiamo visto, costituiva un comitato a sé stante.
Di quest’opinione sono sia Franz Tyroller sia Heinz Dopsch; il
primo non lo colloca nell’ambito di un precisa genealogia, ma lo
rapporta agli Ariboni, uno dei principali nuclei familiari della Baviera altomedievale, sui quali ci soffermeremo tra breve approfonditamente, dal momento che ricoprirono un ruolo fondamentale per l’episcopio di Sabiona-Bressanone61; il secondo svolge un’identificazione più precisa; egli ritiene di poter identificare il nostro
comes con l’Otwin che verso la fine del X secolo aveva sposato
Wichburg, una figlia dell’aribone Hartwig I, conte palatino in Baviera, assai importante per i nostri fini anche perché, stando a questa ricostruzione, sarebbe stato il fratello di Hildegard, la madre
del vescovo di Sabiona-Bressanone Albuin62. Con Otwin dunque si
chiude il cerchio che collega alcune importanti famiglie funzionariali bavaresi e l’episcopio brissinese.
Il breve esame svolto in queste pagine ci permette di delineare con una certa sicurezza il palcoscenico su cui si mossero
59 Sui rapporti tra Welfen e Val Venosta cfr. H. SCHWARZMAIER, Die Welfen und
der schwäbische Adel im 11. und 12. Jahrhundert in ihren Beziehungen zum
Vinschgau, in Der Vinschgau und seine Nachbarräume, a cura di R. Loose, Bolzano 1993, pp. 83-98. Sui rapporti tra i vescovi di Trento Odalrico I e Odalrico II
e i Lurngauer cfr. RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 332. Per un primo inquadramento
dei Lurngauer cfr. FRÄSS-EHRFELD, Geschichte Kärntens cit., pp. 117-118.
60
TBHB, n 27, 993-1000.
61
TYROLLER, Genealogie cit., pp. 55 e 58.
62
Cfr. H. DOPSCH, Die Aribonen - Stifter des Klosters Seeon, in Kloster Seeon.
Beiträge zu Geschichte, Kunst und Kultur der ehemaligen Benediktinerabtei, a
cura di H. von Malottki, 1993, p. 65 e tavola 2.
151
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X:
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prima del Mille i vescovi di Sabiona-Bressanone: essi operarono
in un ambito territoriale suddiviso in comitati delimitati territorialmente, le cui origini probabilmente risalgono all’epoca carolingia, anche se è impossibile ricostruire la loro genesi, comitati
che, in ogni caso non corrispondono assolutamente alla suddivisione diocesana. I principali attori che recitano su questo palcoscenico sono dei comites di cui abbiamo sporadiche notizie: i
Ratpotoni nella Norital, i Luitpoldingi e probabilmente i Welfen
in Val Venosta, il comes Otwin in Pusteria. Le famiglie di questi
comites appartenevano, tranne il caso di Otwin, al fronte antimperiale, che uscì perdente e ridimensionato nelle lotte che sconvolsero la Germania meridionale nel corso di tutta la seconda
metà del X secolo. Ma oltre che con gli Ottoni, il loro progetto si
scontrò con il rafforzamento della sede vescovile di SabionaBressanone la quale, grazie ad acquisizioni territoriali cospicue e
un’attenta politica filoimperiale, riuscì a radicarsi nel territorio a
danno dei funzionari pubblici, la cui presenza risultava sempre
più “ingombrante”. Questo contrasto tra comites e vescovi non
può comunque essere ricondotto al classico schema della lotta
tra chiesa e poteri pubblici; esso nasconde invece lo scontro tra
gruppi nobiliari che adottano delle strategie di potere differenti:
da un lato possiamo assistere alla sconfitta delle famiglie funzionariali, che fallirono nella loro politica di radicamento, dall’altro
all’affermazione di un grande gruppo parentale, gli Ariboni, che
attraverso un’accorta sovrapposizione di beni allodiali e beni
ecclesiastici e un’attenta politica filoimperiale riuscirono a creare
una propria vasta area di egemonia. È giunto il momento ora di
esaminare con maggior attenzione questo processo.
3.2 I vescovi
Lungo il secolo X e il primo trentennio di quello successivo la
diocesi di Sabiona-Bressanone è stata retta da nove vescovi: Zaccaria (890-907), Meginbert (910-20), Nithard (attorno al 930),
Wisunt (940-950), Richbert (956-975), Albuin (977-1006), Adalberone (1006-1017), Heriward (1017-1022) e Hartwig (1022-1039).
Purtroppo possediamo pochissime informazioni per i vescovi
precedenti Albuin63. A Zaccaria, il vescovo miles che morì nel
U NA
STRATEGIA DI POTERE
907 nella battaglia di Presburgo, e alle donazioni che riuscì ad
ottenere abbiamo già accennato in precedenza. Come suo successore venne nominato probabilmente già nel 907 Meginbert, il
quale è ricordato per la prima volta in qualità di vescovo di
Sabiona in un documento di re Ludovico IV il Fanciullo che si
riferisce a una dieta generale tenuta a Waiblingen am Neckar il
17 dicembre 90764. Pochi mesi dopo appare nel Liber vitae del
monastero di San Gallo dal quale veniamo informati che nell’ottobre del 908 si recò in visita al monastero assieme al vescovo
Adalberone di Augusta, uno dei principali alleati regi tra i vescovi svevi e bavaresi65. Meginbert dunque in ambedue i casi sembra essere ben inserito tra i sostenitori del re teutonico. Quest’impressione viene rafforzata da un diploma del gennaio dell’anno seguente, quando Ludovico il Fanciullo a Holzkirchen
confermò a Meginbert l’immunità e la protezione regia concesse
dai suoi predecessori66. Da notare che tra coloro che avevano
sollecitato l’intervento del giovane re appaiono due tra i principali esponenti del clero “regio”: il già ricordato vescovo Adalberone e il cancelliere Salomone, vescovo di Costanza e, soprattutto, abate di San Gallo67. Il breve soggiorno di Meginbert e Adalberone a San Gallo quindi non fu un mero episodio, una semplice “visita di piacere”. Fu assai probabilmente uno dei principali passi compiuti dal vescovo di Sabiona per riuscire a ottenere la conferma dell’immunità. Esso si inseriva in una sua strategia che tendeva a stringere sempre più i legami con la corona e
il clero ad essa vicino. La conferma dell’immunità quindi sembra
essere il frutto di una precisa e accorta strategia di Meginbert, il
quale, grazie alla sua fedeltà, riuscì a ottenere una conferma dei
precedenti Albuin mi sono rifatto soprattutto al citato studio di Redlich che, pur
essendo stato scritto più di cent’anni fa, è per alcuni aspetti il più completo.
64
Cfr. REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 5 e MGH DD Germ. Karol., IV, n
64.
65 Ibidem. Sul ruolo del vescovo di Augusta Adalberone cfr. PRINZ, Grundlagen
cit., p. 122.
66
UBHA, n 5, 20 gennaio 909 (= MGH DD Germ. Karol., IV, n 66).
67
63 Cfr. REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit.; TRÖSTER, Studien cit. e SPARBER, Die
Brixner Fürstbischöfe cit. Per la breve ricostruzione delle vicende dei vescovi
Ibidem, «... per interventum dilectorum nobis episcoporum Adalberonis scilicet spiritalis patris et magistri nostri ac Salomonis venerandi ministerialis nostri».
Pur se non detto esplicitamente, penso che non vi possano esser dubbi sull’identificazione tra l’episcopus Adalbero e Adalberone di Augusta. Per quanto riguarda
il vescovo di Costanza Salomone (890-919), come ci ricorda PRINZ, Grundlagen
cit., p. 233, sappiamo che fu allievo e amico di Notker il Balbo, e che per un
certo periodo fu il principale artefice della politica di Ludovico il Fanciullo.
152
153
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
privilegi da Corrado I proprio nel bel mezzo dell’aspra lotta che
contrapponeva il sovrano al duca di Baviera Arnolfo68. Anche in
questo caso è significativa la presenza tra coloro che sollecitarono la concessione di alcuni tra i principali ecclesiastici sostenitori
del re, come il vescovo di Ratisbona Tutone69. Ma gli stretti legami tra Corrado I e Meginbert sono attestati da un altro diploma,
spesso ignorato, nel quale il vescovo di Sabiona compare tra i
“grandi” della corte regia in occasione di una conferma di donazioni a favore dell’episcopio di Eichstätt70. Non bisogna dimenticare, infine, che Meginbert fu il primo vescovo di Sabiona a
comparire nei Libri traditionum della sua sede vescovile a conferma di come si preoccupasse anche dell’ambito economico
dell’episcopio71. Meginbert dunque proseguì risolutamente la via
tracciata dal suo predecessore, Zaccaria, contribuendo a inserire
in modo stabile l’episcopio di Sabiona-Bressanone all’interno
della Reichskirchenpolitik.
Conosciamo poco o nulla invece dei successori di Meginbert,
Nithard, che compare soltanto in un documento relativo a un
sinodo provinciale bavarese del 93272, e Wisunt, ricordato in una
permuta dei Libri Traditionum e in un falso privilegio concesso
da papa Leone VII73. La mancanza di dati e documenti per un
periodo di duri scontri e lotte come il primo cinquantennio del
secolo X purtroppo è un mistero che allo stato attuale delle
ricerche rimane inspiegabile. In ogni caso, quando a partire circa
dal 960 iniziamo a esser nuovamente informati sui vescovi di Sabiona-Bressanone, la loro collocazione nell’entourage regio non
sembra essere mutata. Infatti il vescovo Richbert compare per la
prima volta nel Natale del 960 presso la corte di Ottone I a
Ratisbona in occasione della traslazione del corpo di San Maurizio74. Probabilmente in questi giorni egli ottenne da Ottone I –
U NA
STRATEGIA DI POTERE
in considerazione del suo lungo servicium – l’antica cappella di
Santa Maria, situata nell’importante città bavarese, una donazione che nel 967 gli venne riconfermata da Ottone II a Brihsine, la
futura Bressanone, dove il re teutonico fece tappa durante la sua
calata in Italia75. La sede vescovile di Sabiona ormai stava iniziando a trasferirsi nell’ambito della vasta «curtis Prihsna», dove
in questi anni si era già stabilito il capitolo, come è testimoniato
da un documento dei Libri traditionum in cui si parla di «monasterium sancti Stephani et beati Ingenuini… quod est constructum in loco nuncupato Prixina»76. Proprio i Libri traditionum
testimoniano come anche Richbert abbia cercato di rafforzare
economicamente la sede vescovile, permutando delle proprietà
con una certa Irminlind, dalla quale, come il suo predecessore,
ottenne dei beni in Baviera e «in valle Norica»77. In queste permute sia Wisunt che Richbert erano affiancati da degli advocati,
in linea con quanto avveniva in tutte le regioni meridionali del
regno teutonico78.
Nel corso del vescovato di Richbert un giovane diacono,
Albuin, ottenne dalla madre un importante predium a Stein, nella
legatis domni apostoloci et universalis pape Iohannis XII, Iohanne scilicet sanctae Romanae ecclesiae archidiacono et Azone protoscriniario, archiepiscopis vero
Waltberto Mediolanensi, Willehelmo Mogontiensi, Friderico Salzburgensi, episcopis quoque Othelrico Augustensi, Popone Wirceburgensi, Michahele
Ratisponensi, Hartberto Curiensi, Adalberto Lauriacensi, Abraham Frisiensi,
Lanwardo Mindunensi, Pero Novanensi, Ricberto Sabionensi...».
75 UBHA, n 7, 15 ottobre 967 (= MGH D O II, n 14). La donazione venne fatta a
Richbert per la durata della sua vita. Da notare che anche se la cappella era
«dilapsa... atque distructa», essa comprendeva «curtibus et curtilibus aedificiis
familiis mancipiis utriusque sexus cum censibus et decimis silvis saginationibus
quesitis et inquirendis...».
76
TBHB, n 4, 955-975. Si tratta della donazione del conte Ratpotone di due
importanti hobae presso l’odierna Bressanone.
68
UBHA, n 6, 6 luglio 916 (=MGH D K I, n 30).
69
Cfr. REINDEL, Bayern cit., p. 284.
70
77
MGH D K I, n 3.
71
78
TBHB, n 1, 907-925.
72
REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 7, n. 2.
TBHB, n 3, 955-975.
REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 8, n. 1. Cfr. Annalista Saxo, in MGH
SS, vol. VI, Stoccarda 1980 (ristampa dell’edizione Hannover 1844), p. 615, dove
vien detto: «Regnante piisimo rege Ottone, anno regni eius XXV, presentibus
Cfr. J. RIEDMANN, Vescovi e avvocati, in I poteri temporali cit., pp. 35-76. In
particolare a p. 46 sg. Riedmann ricorda che «nei documenti del X secolo gli
avvocati rappresentano tanto in Germania quanto in Italia i vescovi e gli abati
davanti al tribunale. Si deve aggiungere la collaborazione espressamente menzionata dell’avvocato nei negozi giuridici, ad esempio in occasione di donazioni che
avvenivano per manus o in manus advocati». Riedmann accenna poi al fatto di
come già prima del 900 la presenza dell’advocatus viene resa obbligatoria nelle
permute. Sul rapporto tra vescovi e avvocati si veda anche il paragrafo relativo
del capitolo V.
154
155
73
TBHB, n 2, 955-962; per il privilegio cfr. REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit.,
p. 7, n. 4.
74
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
Jauntal in Carinzia79. Quest’atto, apparentemente di scarsa rilevanza, in realtà segna l’inizio di una nuova fase per l’episcopio di
Sabiona-Bressanone. Alcuni anni dopo la donazione, infatti, il
giovane Albuin divenne il successore di Richbert, avviando una
politica di rafforzamento della sede vescovile che solo in parte
seguiva le tracce dei suoi predecessori, poiché fu strettamente
intrecciata a un progetto di rafforzamento personale e dinastico.
Già Oswald Redlich nel suo saggio dedicato ai primi vescovi
di Sabiona-Bressanone aveva messo in risalto gli importanti rapporti tra Albuin e la famiglia degli Ariboni, una delle principali
stirpi della Baviera – e del regno teutonico – del X e dell’XI secolo80. Molto prudentemente metteva in guardia però dalla tentazione di ricostruire in modo completo la parentela del vescovo, impresa a suo avviso inutile e improducente a causa della
frammentarietà della documentazione81. Queste osservazioni
mantengono ancor oggi il loro valore metodologico, anche se le
recenti ricerche di Heinz Dopsch sugli Ariboni ci permettono di
illuminare con una nuova luce alcuni importanti legami parentali
di Albuin.
Purtroppo sappiamo poco o nulla sulla famiglia del padre del
nostro vescovo, anch’egli di nome Albuin, che molto probabil79
TBHB, n 5, prima del 975.
80
REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 9. Gli Ariboni furono una delle principali famiglie dell’aristocrazia bavara tra X e XI secolo e riuscirono a conquistare
una posizione preminente anche nel regno teutonico attraverso un’accurata strategia matrimoniale e una mirata acquisizione di sedi episcopali. Nonostante ciò –
a causa anche della frammentarietà della documentazione – non è stata fatta
ancora chiarezza su diversi aspetti che li riguardano. Tra gli storici che maggiormente hanno contribuito a una corretta conoscenza degli Ariboni dobbiamo
ricordare Gertrud Diepolder, autrice del saggio Die Herkunft der Aribonen, in
«ZBLG», n 27 (1964), pp. 74-119, e Heinz Dopsch, che nel 1968 presentò presso
l’Institut für Österreichische Geschichtsforschung una ricerca intitolata Die
Aribonen. Ein führendes Adelsgeschlecht in Bayern und Kärnten während des
Hochmittelalters, mai pubblicata. Recentemente Dopsch ha affrontato nuovamente la storia degli Ariboni in un breve saggio in cui, riprendendo diverse intuizioni
già presenti nella tesi, ha chiarito alcuni importanti aspetti (DOPSCH , Die
Aribonen - Stifter des Klosters Seeon cit., pp. 55-92). Nella mia ricostruzione dei
rapporti parentali di Albuin mi sono rifatto a questo testo, che corregge in parte
la genealogia elaborata da TYROLLER, Genealogie cit., pp. 53-61, anche se purtroppo non ho potuto verificare documentariamente le ricostruzioni di Dopsch, che
ho assunto pertanto come ipotesi di lavoro. Per una prima rapida messa a punto
sugli Ariboni si veda la voce Aribonen in Lexikon des Mittelalter, I, MonacoZurigo 1980, p. 930.
81
REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 9, n. 2.
156
U NA
STRATEGIA DI POTERE
mente era originario di Stein, in Carinzia82. Anche Claudia FrässEhrfeld nella sua monografia dedicata alla storia della Carinzia
medievale non ne chiarisce le origini83. Diverso invece è il discorso relativo alla madre, che secondo Franz Tyroller era figlia
di Aribone II84. In una ricerca della fine degli anni Sessanta e in
un recente saggio lo storico austriaco Heinz Dopsch ha però
messo in discussione questa ricostruzione85. Stando alle sue ricerche (cfr. tavola 2) la madre di Albuin sarebbe stata la sorella di
Hartwig I, un importante funzionario regio che ricoprì diverse
rilevanti cariche funzionariali in Carinzia e che, a partire dal 976,
fu conte palatino in Baviera86. In base a questa ricostruzione
genealogica Albuin appare inserito in un gruppo parentale che
ottenne cariche di estrema importanza nel ducato bavarese tra i
secoli X e XI. Egli era fratello del conte della Jauntal, Aribone;
ma soprattutto era cugino di Hartwig, vescovo di Salisburgo tra il
991 e il 1023; di Wichburg, moglie di Otwin, conte di Pusteria, e
di Adala, che in prime nozze aveva sposato Aribone I, dal 985
conte palatino di Baviera, e in seconde nozze Engelbert, conte in
Chiemgau, riconducibile all’importante famiglia degli Sighardinger87. Albuin dunque faceva parte di un gruppo parentale, di
una Sippe, che controllava gran parte delle Alpi nord-orientali, e,
come vedremo, cercò a sua volta di rafforzare la propria posizione attraverso un’attenta politica di acquisizioni territoriali in cui
spesso appare in stretto contatto con il suo potente parentado.
Non dobbiamo dimenticare poi che l’episcopato di Albuin si colloca in un periodo in cui il valico del Brennero e le vie di comunicazione tra centro Europa e nord Italia assumono un’importanza strategica sempre maggiore, a causa delle profonde modifiche
che l’assetto politico delle Alpi orientali subì nella seconda metà
82
Gran parte delle proprietà del vescovo Albuin e dei suoi familiari erano concentrate a Stein e nella Jauntal, come si può vedere dalle diverse permute riportate nei Libri traditionum.
83
FRÄSS-EHRFELD, Geschichte Kärntens cit.
84
TYROLLER, Genealogie cit. Attorno alla figura della madre di Albuin e alla sua
santità è sorto in Jauntal un vero culto che si è protratto sino a tempi recenti. Si
veda a tal proposito G. GRABER, Hildegard von Stein und ihre Stiftung, Klagenfurt
1952.
85
DOPSCH, Die Aribonen cit. e ID., Die Aribonen - Stifter des Klosters Seeon cit.
86
DOPSCH, Die Aribonen cit., p. 70 e p. 77.
87
Tra i figli che Adala ebbe da Engelbert c’è anche Hartwig, futuro vescovo di
Sabiona-Bressanone.
157
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
del secolo X. In questo contesto il vescovo brissinese si dimostrò
sempre vicino ai sovrani della casa di Sassonia, anche nei momenti più difficili. Nel 977 egli probabilmente prese parte alla
spedizione di Ottone II contro Enrico detto der Zänker e il duca
di Carinzia, il luitpoldingio Enrico, che si era ribellato a Ottone
nonostante l’anno precedente avesse ottenuto proprio dall’imperatore il nuovo ducato di Carinzia. La sollevazione venne sedata
dopo un lungo assedio e la conquista della città di Passau88. E
proprio «in campo Pattauii» l’8 settembre 977 il vescovo Albuin
ottenne da Ottone II una vasta curtis chiamata Ribniza, corrispondente all’odierna Reifnitz am Wörthersee, in Carinzia, tolta a
un certo Ascuin che probabilmente aveva preso parte alla rivolta,
dal momento che viene definito come infidelissimus89. Questa
donazione rende evidente l’interesse di Albuin di rafforzare la
sua posizione nella regione in cui la sua famiglia aveva gran
parte dei suoi possedimenti e in cui egli stesso poteva contare su
importanti legami. Infatti la curtis si trovava in «regimine Hartvvici waltpotonis», ovvero all’interno del territorio in cui il principale
rappresentante regio era Hartwig, che secondo Heinz Dopsch era
fratello della madre di Albuin90. I buoni rapporti tra Albuin e
Ottone II sono attestati anche da un diploma del 978 con il quale
l’imperatore confermava al vescovo di Sabiona le immunità già
concesse dai suoi predecessori91. Nel 979 il vescovo ricevette una
nuova conferma, questa volta per dei beni già ottenuti precedentemente in beneficium personale; si trattava dell’importante
castello e della curtis di Fillac, corrispondente all’odierna Villach,
posta sempre in Carinzia lungo un’importante via di comunica-
88
REINDEL, Bayern cit., p. 300.
89
UBHA, n 8, 977 (= MGH D O II, n 163). A causa della mancanza di successive attestazioni documentarie C. LACKNER, Der Besitz des Hochstifts Brixen in
Kärnten und Steiermark, Innsbruck 1984 (tesi di dottorato dattiloscritta), p. 8,
mette in dubbio che tale curtis sia mai entrata veramente in possesso della sede
vescovile di Sabiona-Bressanone. Tuttavia, non bisogna trascurare il fatto che, in
mancanza di un libro fondiario, noi veniamo sempre a conoscenza della proprietà dell’episcopio solo nel momento della loro acquisizione o alienazione e
nei pochi casi di conferma.
90
Per DOPSCH, Die Aribonen cit., p. 38 e sg., il waltpoto svolgeva una funzione
analoga a quella del conte palatino. Il fatto che anche in altri documenti le funzioni del waltpoto vengano definite con il termine regimen sarebbe per lo storico
austriaco un ulteriore segno del fatto che i suoi poteri erano delegati dal re.
91
UBHA, n 9, 17 maggio 978 (= MGH D O II, n 178).
158
U NA
STRATEGIA DI POTERE
zione verso l’Italia92. La concessione beneficiaria di questa curtis,
estremamente rilevante sia dal punto di vista economico sia da
quello militare, testimonia ulteriormente gli stretti legami tra
Ottone II e Albuin, il quale agiva più come fidelis che come presule93. Ciò è confermato dal fatto che pochi anni dopo egli, alla
guida di una ventina di cavalieri ben armati (loricati), prese parte
a l l a s f o r t u n a t a s p e d i z i o n e i t a l i a n a c h e c o s t ò l a v i t a a ll’imperatore94. Nulla sappiamo dei suoi rapporti con Ottone III,
che in ogni caso dovettero essere buoni dal momento che Albuin
è ricordato tra coloro che parteciparono ai suoi funerali95. Un
atteggiamento filoimperiale venne mantenuto dal vescovo anche
con Enrico II, che seguì sin dall’incoronazione. Enrico II non
aspettò molto per manifestare la sua benevolenza nei confronti di
Albuin; già nel 1002 gli donò un’altra importante curtis posta a
Ratisbona e dei beni nella campagna circostante, a Teugn, che si
andavano ad aggiungere alla cappella di Santa Maria ottenuta nel
967 dal vescovo Richbert96; in tal modo si veniva costituendo un
insieme di proprietà che durarono per secoli e che testimoniano
forse il desiderio del vescovo di Sabiona di partecipare alle
vicende della Germania meridionale da una posizione meno
decentrata (cfr. carta 7). Questa sua volontà in parte è attestata
anche dal trasferimento della sede vescovile da Sabiona a Bressanone che avvenne probabilmente proprio in questi anni.
La donazione della curtis di Ratisbona sembrerebbe poi confermare l’esistenza di un rapporto di tipo vassallatico tra Enrico
II e Albuin, definito nuovamente come fidelis in ricordo anche
92 UBHA, n 10, 15 ottobre 979 (= MGH D O II, n 205). Purtroppo non sappiamo
a quando risalga la concessione beneficiaria. Anche in questo caso secondo
LACKNER, Der Besitz cit., p. 6, la curtis rimase per breve tempo tra le proprietà
brissinesi, essendo una donazione beneficiaria a favore di Albuin. Ma, come si
vedrà successivamente, la commistione tra beni vescovili e beni personali con
Albuin e i suoi successori era la regola, non l’eccezione.
93
In questo diploma egli è denominato esplicitamente da Ottone come «noster
fidelis». Inoltre viene ricordata la «fidelitatem eiusdem episcopi». L’uso del titolo
di fidelis in questo contesto naturalmente non dà alcuna certezza del fatto che si
tratti di una fedeltà vassallatica in senso tecnico, anche se la presenza di beneficia lascia spazio a questa supposizione.
94
Cfr. RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 306.
95
REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., pp. 13-14. Cfr. Vita Heinrici II cit., p.
684, in cui, per la verità, si parla solo di «Bavaricis episcopis».
96
UBHA, n 12, 16 novembre 1002 e n 13, 24 novembre 1002 (=MGH D H II, n
27 e n 31).
159
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
del suo «devotum obsequium»97. Alcuni anni dopo, tra l’aprile
1004 e il maggio 1011 Enrico II dotò la sede vescovile brissinese
dell’importantissima curtis Veldes, corrispondente all’odierna
Bled, in Carniola, e del castellum, con trenta hobae, a essa collegato98. La prima donazione, che chiaramente determinò anche la
seconda, avvenne ancora durante il vescovato di Albuin, morto
nel 1006. Essa venne effettuata a Trento, presumibilmente durante una sosta dell’esercito imperiale sceso in Italia per combattere
Arduino di Ivrea, e doveva consolidare i rapporti con i vescovi
brissinesi in un momento in cui per Enrico II era particolarmente
importante avere sotto controllo le vie di comunicazione tra
Germania e Italia (per un quadro d’insieme delle donazioni cfr.
carte 10 e 11). Non è escluso tra il resto che Albuin abbia accompagnato Enrico nella sua impresa.
Il vescovo Albuin, grazie alla fidelitas nei confronti di Ottone
II e Enrico II, riuscì dunque a rafforzare notevolmente la proprietà
fondiaria dell’episcopio di Sabiona-Bressanone in Baviera e Carinzia, a Ratisbona, da dove poteva mantenere stretti legami con il
re teutonico, e a Villach e Reifnitz, in prossimità del nucleo centrale dei beni della sua famiglia. È chiaro quindi come la sua azione politica sia stata guidata soprattutto da esigenze di tipo personale, al fine di consolidare la sua posizione nel regno teutonico e
nella sua regione di provenienza. Per quanto riguarda il territorio
della sua diocesi, egli sembra limitarsi al mantenimento dello status quo, ribadendo la centralità della propria signoria immunitaria,
ormai saldamente sottratta alle ingerenze dei funzionari pubblici.
Ma per comprendere a pieno la strategia patrimoniale e politica di Albuin è necessario analizzare i numerosi atti in cui egli
appare come protagonista nei Libri Traditionum della diocesi di
Sabiona-Bressanone.
Il primo documento che lo riguarda come s’è già accennato
risale alla sua giovinezza ed è un’importante chiave per capire la
sua futura politica di acquisizioni territoriali. In questo atto l’ancora diacono Albuin ricevette dalla madre Hildegard due predia
a Stein, in Carinzia, uno con otto «hobae Sclavaniscae» e l’altro
tra due laghi99. In questa maniera egli costituì il primo nucleo
97
UBHA, n 12, 1002.
98
UBHA, n 14, 10 aprile 1004 (= MGH D H II, n 67); UBHA, n 15, 22 maggio
1011 (MGH D H II, n 228). La principale ricostruzione del territorio di Bled è
opera di uno storico sloveno e purtoppo non è stata tradotta né in tedesco né in
italiano: A. PLETERSKI, Zupa Bled, nastamek, razvoj in prezitki, Lubiana 1986.
99
TBHB, n 5, ante 975. Per quanto riguarda le «hobae Sclavaniscae» rimando
160
U NA
STRATEGIA DI POTERE
delle sue proprietà in Carinzia, là dove la sua famiglia era maggiormente radicata. La centralità delle proprietà a Stein per
Albuin e la sua famiglia è ribadita in documenti d’età successiva.
Tra il 993 ed il 1005 egli si scontrò per due volte con il fratello
Aribone riguardo a vari beni e diritti, tra cui appaiono anche il
«castellum Stein» e una silva pertinente al suo predium100. In
ambedue i casi la dinamica sembra la stessa: Aribone, probabilmente approfittando della lontananza di Albuin, si appropria di
diritti relativi alle proprietà del fratello; questi però costringe
Aribone a riconoscere l’usurpazione fatta e a ricostituire gli antichi usi. Ma cerchiamo di vedere più da vicino questi documenti.
Presumibilmente tra il 993 ed il 1000 i fratelli Aribone e Albuin
dovettero scendere a un accordo per un importante nucleo di
beni posti tra la Valle dell’Inn e la Jauntal. Albuin cedette al fratello un predium presso Liupicdorf, ottenendo in cambio il «castellum Stein» con delle hobae a esso pertinenti e un «praedium
in loco Aschouua», ovvero a Aschau presso Mühldorf am Inn101.
Inoltre si accordarono anche sulla gestione di alcuni territori circostanti. Poco tempo dopo i due fratelli si scontrarono anche
per la proprietà di un bosco, sempre presso Stein, che decisero
di spartirsi in modo definitivo102. All’incirca sempre in questo
stesso periodo Albuin rinunciò anche al predium di Stein, con
tutte le sue pertinenze, a favore della propria sede episcopale103.
Questo atto, che dimostra la commistione tra beni episcopali e
beni privati condotta da Albuin, potrebbe essere interpretato
come una mossa difensiva e preventiva nei confronti delle pretese di Aribone104. Facendo parte dei beni della mensa vescovile
alle considerazioni svolte nella parte dedicata a mansi e hobae. In generale sui
possedimenti brissinesi in Carinzia cfr. E. KLEBEL, Die Brixner Besitzungen in
Kärnten, in «Carinthia I», n 123 (1933), pp. 44-73.
100 TBHB, n 28, 993-1000 e TBHB, n 34, 995-1005.
101 Cfr. TBHB, n 28, 993-1000. Per quanto riguarda l’identificazione delle località
nominate nel documento, Redlich ritiene che Liupicdorf possa coincidere con
grande probabilità con il centro carinziano di Lippendorf, posto nelle immediate
vicinanze della Jauntal; sulla coincidenza tra Aschouua con Aschau invece
Redlich rimanda a TBHB, n 65, dove è espressamente inserita nella Isengau. Per
quanto riguarda Aribone, egli ricoprì cariche funzionariali, dal momento che in
TBHB, n 58 viene definito come marchicomes.
102 TBHB, n 34, 995-1005.
103 TBHB, n 30, 995-1005.
104 Un altro esempio molto chiaro di questa commistione lo si può ricavare dai
documenti TBHB, n 58 e n 59 in cui Albuin dapprima riceve un servo da suo fratello Aribone e poi lo dona alla propria sede episcopale.
161
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
di Sabiona-Bressanone, il «predium Stein» veniva protetto dallo
scudo dell’immunità e si sottraeva a qualsiasi pretesa avanzata
da signori laici, fossero anche fratelli del vescovo. Poco tempo
dopo subirono la stessa sorte anche i beni che Albuin possedeva
ad Aschau105. Al di là dei contrasti con Aribone, non abbiamo
notizia di altre controversie tra Albuin e i suoi familiari. Anzi, a
conferma dei nuovi equilibri troviamo una donazione fatta nel
1006 dalla nepta di Albuin, Truta, che donò all’episcopio brissinese un prato sempre in Jauntal, in Carinzia, presso Stein106.
Questa donazione andava ad aggiungersi a un’altra che Albuin
aveva ricevuto ancora una volta a Stein da un nobile di nome
Ragici: si trattava di due colonie “slave” dalle quali doveva essere consegnato un preciso tributo per il sostentamento del figlio
di Ragici, clericellus e di un suo ministerialis107.
Accanto al nucleo dei beni in Carinzia, Albuin cercò di porre
delle più solide basi territoriali per sé e il suo episcpio anche in
Val d’Isarco e Val Pusteria. Nelle due vallate scelse una strategia
diversa: tra Vipiteno, Bressanone e Chiusa cercò soprattutto di
acquisire nuovi territori, mentre in Val Pusteria attuò una serie di
permute che probabilmente servivano a meglio compattare possedimenti già presenti, per contrapporsi alla “concorrenza” del
monastero di San Candido e del vescovo di Frisinga108 (cfr. carte
11 e 12 e l’annesso elenco di beni).
Albuin, sia attraverso le donazioni di re e imperatori, sia tramite permute e acquisizioni con persone di diverso livello sociale, riuscì a dare una fisionomia precisa ai possedimenti territoriali dei vescovi di Sabiona-Bressanone: la Val d’Isarco tra Vipiteno
e Chiusa, la Val Pusteria presso la futura Brunico e la Jauntal in
Carinzia divennero i tre perni del potere territoriale suo e dell’episcopio di Sabiona-Bressanone. È interessante cercare di individuare, là dove possibile, coloro che tramite donazioni o permute
contribuirono al disegno di Albuin. Innanzitutto affrontiamo gli
ecclesiastici. Nel 982/87 Albuin scambiò dei diritti di riscossione
105 TBHB, n 31, 995-1005 e n 44, 995-1005. Nel secondo caso si tratta di un pre-
U NA
STRATEGIA DI POTERE
di tributi con un altro vescovo, Eticone di Augusta109. Questi apparteneva alla famiglia degli ältere Welfen, che, come abbiamo
visto, era imparentata con i Ratpotoni; egli era zio di quel Welf
II al quale Corrado II sottrasse i diritti di comitato in Val d’Isarco.
Un altro vescovo con cui Albuin scambiò alcuni beni e dei mancipia fu Abramo di Frisinga, noto per essere stato il precettore di
Enrico II e per aver rafforzato, grazie alla sua attività, il suo episcopoo in Istria e in Carniola110. La cessione di hobae in Val d’Isarco e Val Pusteria forse può essere interpretato come un suo
parziale disimpegno a sud del Brennero a vantaggio di territori
più orientali; si tratterebbe di un riconoscimento dell’egemonia
del vescovo di Bressanone nei territori ad esso limitrofi111. Oltre
a Eticone e Abramo non troviamo altri vescovi con cui Albuin
abbia compiuto delle transazioni.
Tra i laici appare subito Enrico, duca di Carinzia, che donò al
vescovo due hobae in Val Pusteria112. Qui ci troviamo di nuovo
di fronte a un personaggio di primo piano: egli era un luitpoldingio, figlio di quel Bertoldo che abbiamo visto esercitare i
diritti comitali in Val Venosta113. Enrico fu un personaggio chiave delle vicende della Germania sudorientale della seconda metà
del X secolo. Negli anni in cui compì la donazione a favore dell’episcopio di Sabiona-Bressanone, 985-989, egli controllava in
qualità di duca non solo la Carinzia, ma anche le marche del
Friuli e di Verona. Il fatto che abbia compiuto quest’atto ci testimonia ulteriormente l’accorta politica di Albuin, attento a collegarsi con i maggiori potentes, anche con coloro che aveva combattuto, quando si erano dimostrati infedeli al re.
Già abbiamo parlato dei difficili rapporti tra Albuin e i Ratpotoni, con i quali era costretto a convivere. A questo contesto va
ricondotta la donazione di un nobilis di nome Wago114. Questo
personaggio infatti donò al vescovo di Sabiona-Bressanone due
«hobae pro delicti emendatione». Egli aveva fatto irruzione a
Sabiona «contra suum proprium dominum episcopum venerabilem Albuinum incitatu cuiusdam Ratpotonis defendendam»115.
dium che Albuin aveva permutato con la sorella Gepa.
109 TBHB, n 6, 982-987.
106 TBHB, n 64, 1006.
110 BOSL, Bayerische cit., p. 102.
107 TBHB, n 37, 995-1005. Più avanti torneremo su questo documento per ana-
111 TBHB, n 13, 985-993; TBHB, n 14, 985-993; TBHB, n 15, 985-993.
lizzarne con maggiore attenzione il contenuto.
112 TBHB, n 7, 985-989.
108 Per un’analisi dettagliata dei beni del vescovato di Sabiona-Bressanone
113 Cfr. TYROLLER, Genealogie cit., p. 75 e p. 78.
rimando ai paragrafi successivi. Ad esempio Albuin tra il 985 e il 993 (TBHB, n
14 e n 15) permuta beni e mancipia in Val Pusteria con il vescovo Abramo di
Frisinga.
162
114 TBHB, n 8, 985-990.
115 Ibidem.
163
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
U NA
STRATEGIA DI POTERE
Non è possibile identificare questo Wago con precisione; Andrea
Frediani in un suo recente saggio dedicato alla chiesa nell’Alto
Adige medievale lo definisce comes, ipotesi da scartare perché
priva di riscontro116. Nei nostri documenti riportati nei Libri traditionum il nome Wago ricorre tra il 935/55 ed il 1022/39 circa
una ventina di volte, soprattutto tra i testes delle diverse transazioni. Si può supporre che il Wago che appare nel 935/55 e nel
955/57 sia la medesima persona117. Discorso analogo si potrebbe
fare per il Wago presente in quattordici documenti tra il 982/7 e
il 1005, anche se viene ricordato in posizioni apparentemente
contrastanti. Nel documento citato sembra in aperto contrasto
con il vescovo e schierato con Ratpotone. In altri documenti
datati da Redlich alla medesima epoca invece viene presentato
sempre come un uomo del vescovo: per tre volte è definito
come advocatus di Albuin118, due come advocatus dell’archipresbyter Guotone119, una sempre come advocatus, ma in rappresentanza di una certa Liutpirch120. In un documento oltre che
come advocatus appare anche come diaconus121. È possibile
che il Wago “ribelle” e il Wago advocatus siano la stessa persona? Ritengo di si, soprattutto per il fatto che anche nel documento in cui si presenta la sua ribellione Albuin appare come suo
dominus. Se ciò fosse vero, sarebbe da rivedere la datazione
attribuita da Redlich ai vari documenti in cui Wago viene citato.
Tutti gli atti in cui compare come advocatus probabilmente sono
anteriori alla sua irruzione a Sabiona.
Per quanto riguarda gli altri nobiles citati in donazioni o permute purtroppo non sono in grado di ricostruire parentele e lignaggi. Essi, come Wago e Aribone, ricorrono spesso anche all’interno dell’elenco dei testes dei diversi documenti, a conferma
della presenza di una aristocrazia ormai stabile all’interno delle
Alpi nord-orientali.
La fedeltà nei confronti degli imperatori della casa di Sassonia, una accorta politica di rapporti con i principali esponenti
dell’aristocrazia delle valli d’Isarco, Pusteria e della Carinzia, un
costante raccordo tra interessi episcopali e interessi dinastici permisero ad Albuin di presentarsi come il perno fondamentale
all’interno dei territori della Norital. Egli appare come un dominus intento a tessere una rete di rapporti personali per rafforzare
il proprio potere, completamente antagonista rispetto al comes
che nei medesimi territori avrebbe dovuto svolgere le funzioni
pubbliche. Grazie ai suoi rapporti privilegiati con Ottone II non
è egli forse già de facto un signore depositario di poteri comitali?
Poco o nulla sappiamo invece sull’origine e l’attività di Adalberone e Heriward, vescovi di Sabiona-Bressanone rispettivamente tra il 1006 e il 1017 e il 1017 e il 1022122. Anche Adalberone molto probabilmente apparteneva a una famiglia dell’aristocrazia bavara, dal momento che, come ci ricorda Oswald Redlich
nella sua ricostruzione della storia dei primi vescovi di SabionaBressanone, viene menzionato nella Vita Godehardi, secondo la
quale avrebbe frequentato la scuola monastica di Niederaltaich,
assieme a Gotthard, Teodorico e Gottschalk, futuri vescovi di
Hildesheim, Minden e Frisinga, dimostrando di possedere sin da
giovane particolari attitudini per la caccia e le armi, in conformità con la “tradizione” dei vescovi-milites brissinesi123. Egli
seguì le tracce dei suoi predecessori anche per quanto riguarda i
rapporti con l’impero, cercando di rafforzare i beni già acquisiti.
Adalberone ricevette nel 1011 da Enrico II trenta mansi e un
castellum a Veldes, nel «pagus Creina», dove già il suo predecessore aveva ricevuto una curtis124. Questo castellum si veniva ad
aggiungere a quelli assai vicini di Villach e Stein, a conferma
dell’importanza delle proprietà carinziane. Anche il successore di
Adalberone, Heriward, nel suo breve episcopato seguì la politica
filoimperiale, ottenendo a sua volta un’importante donazione da
Enrico: la abbazia di Disentis, in Vall’Engadina, nella diocesi di
Coira, una zona dove sino ad allora il vescovato di SabionaBressanone non aveva avuto alcun interesse125.
116 Cfr. FREDIANI, La chiesa cit.; come fonte Frediani cita TBHB, n 8, dove però
Wago viene definito nobilis vir.
122 Cfr. SPARBER, Die Brixner cit., p. 42 e, soprattutto, REDLICH, Geschichte der
Bischöfe cit., pp. 18-20.
117 TBHB, n 2, 955-962 e TBHB, n 4, 955-975.
123 REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 18.
118 TBHB, n 12, 985-993; TBHB, n 20, 985-993; TBHB, n 40, 995-1005.
124 UBHA, n 15, 22 maggio 1011 (= MGH D H II, n 228).
119 TBHB, n 42, 995-1005 e TBHB, n 60, 1005.
125 UBHA, n 16, 24 aprile 1020 (= MGH D H II, n 424). Allo stato attuale delle
120 TBHB, n 21, 985-993.
121 TBHB, n 12, 985-993.
164
ricerche è difficile indicare il motivo per il quale l’importante abbazia sia stata
consegnata proprio ai vescovi brissinesi. Sulla storia dell’abbazia di Disentis cfr.
MÜLLER, Das Bistum Brixen cit. Data la lontananza da Bressanone, l’abbazia di
165
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
3.3 Vescovi-conti?
I costanti rapporti tra Enrico II e i vescovi di Sabiona-Bressanone confermano l’importanza per la politica imperiale dei territori delle Alpi orientali, attraverso i quali passavano le principali vie di comunicazione per l’Italia settentrionale. Tramite la politica delle donazioni, Enrico II, come i suoi predecessori, aveva
notevolmente rafforzato il potere temporale dei vescovi brissinesi. Ora era necessario ratificare questo predominio territoriale
anche attraverso il conferimento di una carica pubblica, che esplicitasse il rapporto di dipendenza tra imperatore e vescovo.
Ciò avvenne con Corrado II e il vescovo Hartwig nel 1027,
quando l’imperatore assegnò al vescovo di Bressanone il «comitatum quondam Welfoni commissum»126. Con quest’atto sembra
giungere a compimento il processo di rafforzamento del potere
territoriale della sede vescovile brissinese iniziato nel 901 con
Ludovico il Fanciullo127. Anzi, come abbiamo già potuto sottolineare, viene istituzionalizzata una situazione ormai in atto. Contemporaneamente si realizza anche un altro disegno: la vittoria
del gruppo familiare imperniato sugli Ariboni a danno di quello
dei Welfen, strettamente legato ai Ratpotoni. Il passaggio dei
diritti comitali ai vescovi brissinesi nasconde quindi anche la
sostituzione di un gruppo familiare antagonista al potere imperiale con uno che garantiva una maggiore fedeltà. Dunque,
prima di affrontare in dettaglio l’atto di Corrado II ritengo opportuno cercare di definire anche le origini e il gruppo parentale
del vescovo Hartwig, impresa di difficile realizzazione secondo
Anselm Sparber per il quale l’importante vescovo potrebbe esse-
Disentis non fu mai controllata completamente dai vescovi della Val d’Isarco e
nel corso del XII secolo riuscì a sottrarsi completamente dal loro controllo.
126 UBHA, n 18, 7 giugno 1027 (= MGH D K II, n 103). Come si può immaginare,
su questa concessione comitale c’è una bibliografia vastissima. Per un primo
orientamento si possono vedere: RIEDMANN, Mittelalter cit., pp. 325-329 e ROGGER,
I principati ecclesiastici cit., p. 178 sg., oltre ai già citati testi sulla storia ecclesiastica tirolese. Utile è anche il recente saggio di W. HUSCHNER, Die verfassungsrechtliche Stellung der Region Trient-Bozen-Vintschgau im Reichsverband während
der Regierungszeit Konrads II, in E. MÜLLER-MERTENS, W. HUSCHNER, Reichsintegration im Spiegel der Herrschaftspraxis Kaiser Konrads II, Weimar 1992, pp.
356-367.
127 Si vedano a tal proposito le considerazioni di ROGGER, I principati ecclesiasti-
ci cit., p. 186 e quelle più recenti di FREDIANI, La chiesa cit., pp. 191-192.
166
U NA
STRATEGIA DI POTERE
re ricondotto sia agli Ariboni sia ai Lurngauer conti di Gorizia128.
Egli sottovalutava però degli elementi già messi in evidenza il
secolo scorso da Redlich e ripresi più recentemente, sia pure
con risultati diversi, da Tyroller e Dopsch, elementi che lo ricolle gano c hiarame nt e alla famiglia de gli Ariboni 129 . O s w a l d
Redlich infatti nel suo saggio dedicato ai vescovi brissinesi apparso nel 1884 nella «Zeitschrift des Ferdinandeums» facendo riferimento a studi genealogici in parte ormai superati riconobbe
in Hartwig il figlio di Otwin, il già ricordato conte della Lurngau
e della Pusteria, e di Wichburg, sorella di Adala, moglie di Aribone I130. In tempi più recenti Franz Tyroller e Heinz Dopsch invece in modo più convincente hanno identificato il vescovo brissinese con il figlio che Adala avrebbe avuto dal secondo marito,
il conte della Chiemgau Engelbert, appartenente alla famiglia dei
Sighardinger131. E non bisogna dimenticare che secondo Heinz
Dopsch Adala era figlia di Hartwig I, il fratello della madre del
vescovo Albuin, a conferma del fatto che i due principali vescovi
brissinesi tra X e XI secolo facevano parte della medesima Sippe
di cui, oltretutto, Hartwig aveva un nome ricorrente. Il vescovo
brissinese quindi si trovava all’interno di una rete parentale di
particolare prestigio: era fratello di Engelbert, ricordato per il
periodo che va dal 1035 al 1041 come conte nella Valle dell’Inn,
nella Norital e in Pusteria, nell’ambito quindi di tutta la diocesi
brissinese; era figlio della medesima madre di Hartwig II, conte
palatino in Baviera tra il 1001 ed il 1027, di Aribone, arcivescovo
di Magonza tra il 1021 ed il 1031 e di Chadalchoh, conte in
Isengau tra il 1011 e il 1030, tramite il quale era imparentato anche con Pilgrim, importante vescovo di Colonia. Inoltre era nipote di Hartwig, vescovo di Salisburgo tra il 991 e il 1023.
Hartwig dunque, stando a queste ricostruzioni, pur facendo
parte della famiglia dei Sieghardinger, era strettamente collegato
con gli Ariboni; era dunque imparentato con due tra le principali
famiglie aristocratiche della Germania meridionale.
Per quanto concerne la sua attività precedente alla concessione delle funzioni comitali non siamo molto informati; egli appare in otto documenti, di difficile datazione, riportati nei Libri traditionum. Con il primo egli donò al proprio episcopio tre mansi
128 SPARBER, Die Brixner cit., p. 43.
129 Cfr. tavola 2.
130 REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 20 sg.
131 TYROLLER, Genealogische Tafeln cit. e DOPSCH, Die Aribonen-Stifter cit., p. 64.
167
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
U NA
STRATEGIA DI POTERE
e tre vigne «in comitatu Isenehkeuvensi in loco Totinberg»
(Isengau) e un manso con mancipia nel vicino «locus Askauva»,
Aschau, presso Mühldorf, lungo l’Inn132. Questa donazione è di
importanza fondamentale per dimostrare i rapporti diretti tra
Hartwig e Albuin. Infatti questi, nel corso di un suo contrasto
con il fratello Aribone, lo aveva costretto a restituirgli un «predium quod investitura habuit in partibus Bauuarie in loco
Aschouua cum mancipiis quibus fuit possessum... et uno monte
qui dicitur Totinperch excepto...»133. Inoltre, da un altro documento coevo risulta che egli donò alla sede vescovile di Sabiona-Bressanone «sue proprietatis loca duo que dicuntur Ascouua
et Tan»134. Anche la sorella di Albuin, Gepa, era proprietaria di
alcuni beni «in loco Ascouua»135, che, acquisiti da Albuin, furono
poi donati all’episcopio136. Dunque, Hartwig risulta essere proprietario di beni nella medesima località, Aschau im Isengau, in
cui gli Ariboni possedevano un nucleo delle loro proprietà familiarie. Come Albuin anche Hartwig aveva consolidato con una
propria donazione quest’insieme di beni, ormai parte del patrimonio fondiario della sede episcopale brissinese.
Che l’operato di Hartwig fosse strettamente intrecciato a
quello della sua famiglia ci viene confermato anche da un’altra
donazione, nella quale suo fratello Engelbert – il cui ruolo sarà
fondamentale nella concessione del 1027 – cedette dei beni
presso l’odierna Matrei137. Esaminando le diverse donazioni
avvenute sotto il vescovato di Hartwig possiamo notare come
siano confermate le direttrici di espansione della proprietà fondiaria già tracciate da Albuin: quattro infatti riguardano beni in
Carinzia, presso l’odierna Lienz138; una, come si è detto, la località di Aschau139; una i pressi di Matrei140, una la Val Pusteria141;
un’altra la Val d’Isarco142 e una i dintorni di Ratisbona143. Tutte
vanno a rafforzare delle proprietà fondiarie già esistenti.
Purtroppo invece non possiamo ricavare informazioni di particolare interesse dall’esame di coloro che durante il vescovato
di Hartwig entrarono in rapporti “economici” con la sede vescovile brissinese. Di un certo interesse è solamente la presenza di
un «miles quidam venerabilis episcopi Hartvvici Vogo nominatus», che testimonia come anche Hartwig fosse innanzitutto un
dominus, con il proprio seguito di fedeli, tra cui forse vi era un
discendente del Wago che operò nell’età di Albuin144.
Il vescovo Hartwig, come Albuin, era soprattutto un uomo di
potere, intento a rafforzare i possedimenti dell’episcopio solamente là dove essi entravano in sintonia con le esigenze della
sua famiglia. In tal modo egli “contaminò” i beni immunitari
vescovili con i propri beni allodiali, costruendo le basi materiali
per una nuova forma di controllo del territorio per la quale la
confusione dei diversi livelli di proprietà era un elemento funzionale indispensabile. La rivolta antimperiale del comes Welf e
la successiva repressione di Corrado II accelerarono questo processo, portando a un nuovo assetto dei poteri145.
È venuto ora il momento di affrontare la cessione del comitatus della Norital effettuata da Corrado II nel 1027. Ritengo utile
richiamare prima alla memoria un dato molto spesso trascurato;
l’elezione a re di Germania di Corrado, come si sa, fu molto
contrastata e causò una frattura nell’aristocrazia tedesca; egli riuscì ad avere la meglio sul proprio cugino grazie soprattutto
all’intervento del metropolita di Magonza Aribone146, che, stando
alla ricostruzione di Heinz Dopsch, era figlio di Aribone I e
132 TBHB, n 65, 1022-1039.
143 TBHB, n 67, 1022-1039.
133 TBHB, n 28, 993-1000.
144 TBHB, n 67, 1022-1039.
134 TBHB, n 31, 995-1000.
145 La vicenda del vasto gruppo parentale degli Ariboni ricorda in parte quella
135 TBHB, n 36, 995-1005.
degli Arduinici in Piemonte che cercarono di combinare alle cariche funzionariali
una precisa strategia dinastica. Il progetto ariboniano tuttavia, troppo legato alla
politica imperiale del secolo XI, si rivelò inadeguato a fronteggiare la nuova
realtà dell’età post-gregoriana. Sulle dinastie marchionali piemontesi cfr. G. SERGI,
Anscarici, Arduinici, Aleramici: elementi per una comparazione fra dinastie
marchionali, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», LXXXII (1984), fasc.
II, pp. 301-319.
142 TBHB, n 70, 1022-1039.
136 TBHB, n 44, 995-1005.
137 TBHB, n 66, 1022-1039.
138 TBHB, n 68, 1022-1039; TBHB, n 69, 1022-1039; TBHB, n 71, 1022-1039;
TBHB, n 72, 1022-1039.
139 TBHB, n 65, 1022-1039.
146 P RINZ , Grundlagen cit., p. 191. Sul ruolo del vescovo Aribone si veda
W IPONE, Gesta Chuonradi II imperatoris, in Wiponis Opera, a cura di H. Bresslau,
Hannover e Lipsia 1915, II, p. 35 sg.
140 TBHB, n 66, 1022-1039.
141 TBHB, n 69, 1022-39.
168
169
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SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
Adala, e quindi da parte di madre era fratello del vescovo
Hartwig147. Successivamente l’imperatore rimase sempre fedele
al vescovo magontino, tanto che lo pose a capo della cancelleria
imperiale, in un ruolo di assoluto prestigio, al posto del vescovo
di Bamberga, Eberardo, fratello del comes Welf II148. Questo
cambio al vertice della cancelleria imperiale sembra prefigurare
già quanto da lì a poco sarebbe accaduto all’interno del comitatus di Norital. Non penso si tratti solo di una coincidenza:
Corrado II aveva scelto la propria rete di alleanze. La presenza
di Aribone a fianco dell’imperatore non deve essere trascurata;
egli sicuramente diede un contributo fondamentale per il passaggio del comitatus al proprio “fratellastro”.
Ma la cessione del comitatus va inquadrata anche in un progetto di riordinamento dei grandi ducati della Germania meridionale avviata da Corrado in seguito alle due rivolte guidate dal
duca Ernesto II di Svevia, alla prima delle quali partecipò anche
Welf II. Nel 1027 egli assegnò al figlio Enrico III il ducato di
Baviera, nel 1038 fece altrettanto con il ducato di Svevia, che già
nel 1030 aveva sottratto al ribelle Enrico II e tolse il ducato di
Carinzia ad Adalberone per consegnarlo a suo cugino Corrado,
già suo avversario per il conseguimento della corona. La concessione del 1027 può esser compresa solo all’interno dello sviluppo di questi nuovi assetti di potere.
Ma cerchiamo ora di ricostruire i fatti. Il 26 marzo 1027 Corrado II venne incoronato imperatore da papa Giovanni XIX. Sulla via del ritorno il 7 di giugno fece la famosa cessione a favore
dell’episcopio brissinese. Prima di quest’atto, ne compì due di
analogo tenore a favore del vescovo tridentino, relativi ai comitati di Trento, Bolzano e Venosta. Il 31 maggio infatti egli per
alcuni effettuò, per altri confermò al vescovo di Trento Odalrico
la cessione del «comitatus Tridentinus»149. L’incertezza nell’interpretazione di questo atto è dovuta all’uso dell’espressione «damus, tradimus atque confirmamus». Non è la sede per affrontare
nel dettaglio questo tema che ha prodotto nel passato un ampio
dibattito, aperto da un celebre intervento di Bresslau dedicato
all’esistenza di un precedente atto analogo databile al 1004, ipotesi questa condivisa, sia pur con sfumature diverse, da Franz
147 Rimando alla tavola 2.
U NA
STRATEGIA DI POTERE
Huter e Josef Riedmann150. Al contrario essa è stata messa in discussione dagli studiosi trentini Iginio Rogger e Franco Cagol;
soprattutto il secondo, richiamandosi all’uso fatto in altre concessioni del verbo confirmare nel senso di “rafforzare”, tende a
escludere precedenti. Anche a mio avviso questa è l’interpretazione più probabile, in particolare alla luce di altri atti analoghi.
Ad esempio possediamo un diploma del 1026 in cui lo stesso
Corrado, confermando la cessione del comitatus di Chiavenna a
favore del vescovo di Como, fa esplicito riferimento a concessioni dei suoi predecessori dicendo: «comitatum Clauenne habeat,
quiete possideat, tam ipse quam eius successores, sicut sui
tenuerunt anteriores, quibus nostri concederunt hoc idem comitatum reges et maiores imperatores»151. Da un punto di vista
contestuale è nuovamente molto probabile che la cessione del
comitatus di Corrado sia la prima; il fatto che in essa, come in
quella analoga attuata sempre dal medesimo imperatore pochi
giorni dopo per i comitati di Bolzano e Venosta, siano esplicitati
i confini dei comitati, che sembrano venir modificati per coincidere con quelli diocesani, appare confermare il disegno di riordinamento dei distretti pubblici di tutta l’area alpina ricordato
precedentemente. Proprio a tal proposito, un recente saggio di
Wolfgang Huschner ha messo chiaramente in evidenza come la
concessione del 1027 in ogni caso abbia un valore a sé stante,
perché segna il momento dell’uscita del comitato tridentino dal
dominio del duca di Carinzia, che in questi anni controllava
anche il territorio veronese152. Infine non dobbiamo dimenticare
che non possediamo atti di cessione di comitatus a opera di
Enrico II prima del 1006153.
Al vescovo tridentino viene dunque ceduta la giurisdizione su
tre comitati eterogenei: due, quello di Trento e quello della
Venosta già attestati per il periodo precedente, e uno, quello di
150 H. BRESSLAU, Exkurse zu den Diplomen Konrads II, in «Neues Archiv der
Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde», n XXXIV (1908), pp. 106-23.
Cfr. inoltre il commento al documento di Franz Huter riportato in TUB, n 51 e
RIEDMANN , Mittelalter cit., p. 325. Si veda, infine, W. G ÖBEL , Entstehung,
Entwicklung und Rechtsstellung geistlicher Territorien im deutsch-italienischen
Grenzraum. Dargestellt am Beispiel Trients und Aquileias, Würzburg 1976 (tesi
di laurea).
151 MGH D K II, n 52.
148 MGH DD K II, p. II.
149 MGH DD K II, n 101. Per un’analisi del dibattito su questa concessione cfr.
ROGGER, I principati ecclesiastici cit., pp. 180-185 e HUSCHNER, Die verfassungsrechtliche Stellung cit.
170
152 HUSCHNER, Die verfassungsrechtliche Stellung cit, p. 358.
153 Cfr. MGH D H II. La prima concessione di diritti comitali di Enrico II riguarda
il vicecomitatus della Valtellina ed è datato 1006 (doc. n 113).
171
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
Bolzano nominato esplicitamente per la prima volta; il primo «cum
districtis placitis cunctisque publicis functionibus et reditionibus»154,
il secondo e il terzo «cum omnibus suis pertinentiis et illis utilitatibus»155. Come ha dimostrato Tabacco, questa concessione, al pari
di altre del tempo, non era di tipo vassallatico ma di tipo allodial e156; con essa la sede episcopale tridentina, unica tra vari enti
ecclesiastici che dal 1025 a questa data risultano beneficiari di concessioni dello stesso tenore, ottenne il districtus, ovvero lo ius
distringendi, all’interno di circoscrizioni delimitate territorialmente
e il diritto alla riscossione di proventi economici.
La concessione del comitatus sulla Val d’Isarco a favore dell’episcopio di Bressanone è di diverso tenore. Ritengo opportuno
riportarla nella sua interezza: «[...] fidelis nostri Hardwici Prixinensis videlicet aecclesie episcopi petitione pulsati in proprium
tradidimus eidem sanctae Prixinensi aecclesie in honorem sanctorum Cassiani martiris nec non et Ingenuini confessoris contructe
comitatum quondam Welfoni commissum, ab eo scilicet termino,
qui Tridentinum a Prixinense dividit episcopatum, quousque longissime porrigitur in valle Eniana, cum Clausa sub Sabione sita et
omni usu iureque ad eum legaliter pertinente». Coloro che hanno
154 MGH D K II, n 101. Questo lo iuris actus del diploma: «Quapropter notum sit
[...] qualiter nos [...] comitatum Tridentinum cum omnibus suis pertinentiis et utilitatibus illis, quibus eum duces comes sive marchiones huc usque beneficii
nomine habere visi sunt, sancte Tridentine ecclesie [...] in proprium cum districtis
placitis cunctisque publicis functionibus et reditionibus eidem supra nominate
ecclesie et Odalrico episcopo suisque successoribus imperpetuum damus tradimus atque confirmamus [...]».
155 MGH D K II, n 102, «... Quapropter notum esse volumus..., qualiter nos...
comitatum Uenustensem cum omnibus suis pertinentiis et illis utilitatibus, quibus
eum duces marchiones seu comites antea beneficii nomine visi sunt habere,
Tridentine ecclesie... et Odolrico eiusdem ecclesie venerabili episcopo suisque
successoribus cum districtis placitis cunctisque functionibus et redicionibus a
nostro iure et dominio in suum ius et dominium trasfundendo in perpetuum
damus atque tradendo confirmamus... Preter hec concedimus damus atque largimur supra nominate ecclesie... comitatum Bauzanum cum suis pertinenciis et illis
utilitatibus omnibus...». Segue la descrizione dell’ambito territoriale del comitatus.
156 Cfr. TABACCO, L’allodialità cit., p. 602 sg., dove viene richiamato il caso speci-
U NA
STRATEGIA DI POTERE
studiato questo documento, da Richard Heuberger a Iginio Rogger
hanno sempre, e giustamente, messo in evidenza come manchi un
esplicito riconoscimento al vescovo dell’autorità comitale o di
un’esenzione dal ducato competente157. Ciò si spiega facilmente
qualora, seguendo le indicazioni di Tabacco, si comprenda come
essa non c’è per il semplice motivo che non avvenne: anche in
questo caso non ci troviamo di fronte a una delega di poteri ma a
una cessione “in proprium” del comitatus. Non bisogna trascurare
il fatto poi che Hartwig è l’unica persona, tra coloro ai quali
Corrado II conferisce i diritti di comitato tra il 1025 ed il 1027 a
esser definito come fidelis158. Ciò in parte può esser casuale; in
ogni caso è un indizio, una spia che conferma quel rapporto di
fedeltà tra imperatore e vescovo di Bressanone che troviamo già
nel 979 tra Ottone II e l’aribone Albuin159. La concessione del 1027
a favore della Chiesa brissinese, ma forse sarebbe meglio dire del
vescovo brissinese, va quindi vista sotto una luce diversa rispetto a
quelle relative al vescovo trentino. Essa indica soprattutto la sostituzione di un funzionario regio infedele, Welf II, con una persona
di provata fedeltà, appartenente a un lignaggio molto vicino a
Corrado II. Ma la concessione di per sé stessa, anche in questo
caso non è di tipo vassallatico ma di tipo allodiale e riguarda poteri di tipo comitale, non il titolo e l’ufficio di conte.
L’atto di Corrado II dunque può esser visto anche come un
frutto della strategia a lungo termine attuata dal gruppo familiare
degli Ariboni a svantaggio dei titolari delle funzioni comitali
sulla Norital. In esso si può individuare un intreccio di elementi
diversi: il riordino delle circoscrizioni pubbliche delle Alpi orientali; l’estromissione di famiglie nobiliari ostili dalle cariche pubbliche, una attenta Kirchenpolitik.
Corrado tentò di attuare con la Chiesa di Bressanone il suo
programma di ristrutturazione delle istituzioni dell’impero e di
restituzione all’autorità regia delle funzioni di coordinamento
militare160. Che la cessione del comitatus della Norital di Corrado
II abbia avuto un significato allodiale combinato con una sostituzione di funzionari regi viene testimoniato da un documento
157 R. HEUBERGER, Die Begründung des Brixner Fürstentums, in «Der Schlern», n
6, 1927, p. 189 e ROGGER, I principati cit., p. 190.
fico di Trento. Si veda anche G. SERGI, Le istituzioni politiche del secolo XI: trasformazioni dell’apparato pubblico e nuove forme di potere, p. 82, in cui vien detto
«ciò che è concesso... non è un’investitura di ufficio pubblico, ma un privilegio da
cui la chiesa locale trae sostentamento e autonomia. Il vescovo – pur potente e
pur inquadrato in empirici disegni regi di controllo territoriale – non deve rapportarsi al re come un funzionario pubblico al suo superiore: ecco perché la definizione di vescovo-conte suggerisce, almeno per l’Italia, una prospettiva distorta».
160 Cfr. G. TABACCO, Gli orientamenti feudali dell’impero in Italia, in Structures
féodales et féodalisme dans l’occident méditerranéen (X-XIII siècles), École
française de Rome, Roma 1980, p. 224.
172
173
158 Cfr. MGH DD K II, nn 23, 43, 52, 64, 98.
159 UBHA, n 10, 15 ottobre 979 (= MGH D O II, n 205).
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
datato 19 aprile 1028161 nel quale tramite il fratellastro, il vescovo
Aribone di Magonza, Hartwig ottenne per il monastero di Sabiona, e quindi per il proprio episcopio, le «clusas sitas in loco Sebona in pago Orital in comitatu Engilberti cum theloneo et cum
omni utilitate». Dunque, a meno di un anno dal conferimento, il
comitatus della Val d’Isarco era già nelle mani dell’altro fratello
di Hartwig, Engelbert, comes anche in Val Pusteria.
A partire dalla donazione di Ludovico il Fanciullo del 901 i
vescovi di Bressanone cercarono di consolidare la propria signoria immunitaria attraverso una politica di fedeltà nei confronti
dei re di Germania che culminò con Albuin e Hartwig, entrambi
riconducibili alla stirpe degli Ariboni. Essi si contrapposero ai
comites della Norital che nello stesso periodo cercavano di radicarsi territorialmente in Val d’Isarco attraverso una dinastizzazione della loro carica e un collegamento con le forze centripete
all’interno del regno teutonico. I contrasti tra Corrado II e Ernesto di Svevia e il successivo riordino delle circoscrizioni pubbliche alpine permise a Hartwig e alla sua famiglia di ottenere un
ruolo preminente nella Val d’Isarco attraverso la cessione del
comitatus. Tale conferimento si differenziò nettamente da quello
ricevuto nel medesimo periodo dal vescovo Odalrico di Trento.
Con la concessione del 1027 nell’area tra Inn e Adige venne
completamente ristrutturata la distrettuazione di origine carolingia. Il vescovo di Trento estese il proprio districtus anche sul
comitato di Bolzano, che appare ora per la prima volta e che
probabilme nt e de riv a da u na div is ione de l c omit at o de lla
Norital, e su quello della Val Venosta. Nel primo caso il comitato
coincideva con i confini della sua diocesi, nel secondo invece si
veniva a sovrapporre con la diocesi del vescovo di Coira e con il
ducato di Rezia, già controllato dai Welfen.
Il vescovo di Bressanone invece ottenne il comitatus solo su
una parte della diocesi, la Norital; egli in tal modo eliminò la presenza pericolosa di un comes ostile attorno al nucleo del proprio
episcopato e potè concedere poi il titolo comitale al fratello
Engelbert, già comes nella vicina Pusteria. Da questo momento nei
comitati incominciò un nuovo processo che porterà al sorgere di
una nuova aristocrazia. Ma prima di seguire quest’evoluzione è
necessario richiamare alcuni aspetti dell’organizzazione economica
dell’epicospio di Sabiona-Bressanone nel X secolo e nei primi
decenni di quello successivo, per cercare di comprendere come il
rafforzamento politico andò di pari passo con quello economico.
161 UBHA, n 19, 19 aprile 1028 (= MGH D K II, n 115).
174
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
4. Un nuovo ordine nel territorio. Forme di proprietà fra i secoli
X e XI
4.1 Un patrimonio in crescita
Nel corso della seconda metà del secolo X e i primi decenni
dopo il Mille i vescovi di Sabiona-Bressanone estesero notevolmente i propri domini grazie a donazioni regie e imperiali, costituendo due nuclei fondamentali di beni, uno in Val d’Isarco e
l’altro in Carinzia. Negli stessi anni ottennero anche territori o
beni di più limitata estensione ad opera di rappresentanti dell’aristocrazia locale o di altri proprietari fondiari (cfr. carte 10, 11,
12). Queste acquisizioni a partire dall’età del vescovo Meginbert
sono state registrate nei Libri traditionum e ci permettono di ricostruire, sia pur parzialmente, il patrimonio fondiario della sede
vescovile di Sabiona-Bressanone, la sua collocazione territoriale,
la sua organizzazione economica e signorile. Prima di analizzarle
nel dettaglio e rapportarle alle grandi donazioni regie, può esser
di una qualche utilità verificare con l’aiuto di alcune tabelle i
dati che esse ci offrono.
È importante innanzitutto riflettere sulla scansione cronologica
delle donazioni e permute avvenute nel corso del secolo X (cfr.
tab. 2): esse sono in gran parte concentrate nel trentennio 9751006, sotto il vescovato di Albuin, nello stesso periodo in cui,
dunque, attraverso l’accorta politica filo-ottoniana del presule, l’episcopio brissinese acquisiva le importanti curtes carinziane.
Questa concentrazione di permute, acquisti e vendite di terreni e persone nell’ultimo venticinquennio del secolo X può
forse esser casuale. Essa però sembra indicare una tendenza di
trasformazione della gestione del territorio che in parte ricorda
dinamiche analoghe, individuate per altre zone d’Europa da vari
storici, tra cui Guy Bois, che le ha sottolineate in modo particolarmente marcato162. Nei paragrafi che seguiranno cercherò di
verificare quest’ipotesi. Nella tabella 4 ho riportato la tipologia
dei beni fondiari acquisiti dai vescovi di Sabiona-Bressanone nel
corso del secolo X, escludendo le donazioni regie o imperiali,
non incluse nei Libri traditionum; si tratta perlopiù di unità fondiarie di medie e piccole dimensioni, sulla cui composizione e
organizzazione ritorneremo tra breve. Da un’analisi della loro
162 Il testo di Guy Bois a cui faccio riferimento è il già più volte ricordato,
L’anno mille cit.
175
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
localizzazione – purtroppo non sempre agevole – è possibile
verificare come l’espansione fondiaria dell’episcopio brissinese si
svolgesse in base a una logica di rafforzamento e di radicamento
in aree poste all’interno della diocesi (Val d’Isarco, Val Pusteria)
o vicino ad alcuni importanti nuclei fondiari delle famiglie dei
vescovi, confermando quell’intreccio tra interessi familiari ed esigenze dell’episcopio che ho delineato nelle pagine precedenti.
Non bisogna trascurare, poi, che i beni ceduti nel corso degli
stessi anni (tab. 5) erano di entità assai ridotta e non hanno mai
intaccato a fondo la coesione delle proprietà fondiarie episcopali. Anche il numero dei servi acquisiti separatamente dai terreni
è superiore a quello di coloro che vennero alienati (cfr. tab. 6).
La forte prevalenza delle acquisizioni rispetto alle cessioni
nelle traditiones del X secolo è confermata anche dalla tipologia
degli atti di cui disponiamo, tra i quali prevalgono soprattutto le
donazioni – quasi sempre a favore del vescovato – rispetto alle
permute.
Dalle traditiones infine possiamo anche cercare di ricostruire
lo status sociale di coloro con i quali Albuin e i suoi predecessori entrarono in contatto per motivi “economici”. Tra costoro
emergono i nobiles, i vescovi e alcuni funzionari pubblici, quindi
quello che potremmo definire il ceto dirigente dell’epoca. In
modo più inaspettato possiamo imbatterci però anche in persone di bassa condizione sociale, come ad esempio un servus (cfr.
tab. 7).
Già a partire da un rapido sguardo alle tabelle che abbiamo
richiamato si può cogliere la complessità della realtà economica
in cui operarono i vescovi di Sabiona-Bressanone nel secolo X.
La particolare conformità geografica delle vallate alpine e la
mancanza di domini o gruppi familiari nobiliari fortemente radicati nel territorio permisero il persistere della piccola e media
proprietà allodiale, insidiata pericolosamente solo dalle grandi
istituzioni ecclesiastiche. La stessa grande proprietà vescovile,
proprio a causa della sua origine, si venne costituendo sulla base di piccole unità fondiarie sparse, aggregate attorno alle grandi
curtes acquisite con le donazioni regie. Nei paragrafi che seguiranno, cercherò di descrivere più nel dettaglio questa particolare
situazione.
4.2 L’organizzazione economica della proprietà fondiaria
«Durante il pieno medioevo la signoria fondiaria di grandi e
medie dimensioni in Baviera come in gran parte d’Europa era
176
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
organizzata economicamente e amministrativamente in base al
modello curtense»163. Con queste parole Philippe Dollinger apriva la parte dedicata all’organizzazione economica e amministrativa della signoria fondiaria nella sua ricerca sui ceti rurali della
Baviera altomedievale. Egli era convinto che in tutta l’area bavarese, all’interno della quale va inserita anche la nostra zona d’indagine, il sistema curtense si fosse mantenuto pressoché invariato dall’età carolingia sino alla fine del secolo XII, quando sarebbe andato in crisi e sarebbe stato sostituito da una nuova organizzazione, che egli definisce come Zinshof- o Ämterverfassung,
caratterizzata dalla trasformazione della terra salica in terreno
ceduto dietro la corresponsione di un censo 164. L’opera di
Dollinger, pioneristica sotto diversi aspetti e sicuramente ancora
attuale in molte delle sue osservazioni, venne pubblicata, nella
versione originale francese, nel 1949, prima dunque del dibattito
aperto dagli studi Georges Duby sulla trasformazione del Mille e
da quelli di Adriaan Verhulst sulla reale diffusione in Europa
dell’azienda curtense165. Fu proprio lo storico belga a riprendere
in considerazione e a discutere in tempi recenti l’analisi di
Dollinger, in occasione di un convegno organizzato a Göttingen
sulle strutture della signoria fondiaria nella Germania d’epoca
carolingia e ottoniana166. In questo contesto egli, rifacendosi oltre che a Dollinger anche a Störmer, Heinzelmann e Wanderwitz, ritenne di poter proporre per la Baviera altomedievale un
modello di sviluppo della proprietà fondiaria di particolare complessità: l’azienda curtense classica si sarebbe sviluppata più per
volontà dei singoli proprietari fondiari che per volontà regia o
ducale e avrebbe assunto dei caratteri particolari: pars dominica
(= Fronhof) di dimensioni ridotte, all’incirca di 40 o 50 ettari;
presenza diffusa di mansi ingenuiles e di mansi serviles, distinguibili anche in base alle corvées – due settimane all’anno i
primi, tre giorni alla settimana i secondi; presenza di coloniae
che teoricamente avrebbero dovuto esser condotte da contadini
liberi, ma che spesso risultano in possesso di servi o mancipia;
163 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 112 (questo il testo originale
da me tradotto «Während des Hochmittelalters ist die große und die mittlere
Grundherrschaft in Bayern wie in ganz Europa wirtschaftlich und verwaltungmäßig nach dem sogenannten Villikationssystem organisiert»).
164 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 112 e pp. 121-126.
165 Cfr. cap III, § 3.
166 VERHULST, Die Grundherrschaftsentwicklung cit.
177
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
presenza della particolare figura dei Barschalken167. Il ruolo
della curtis classica risulta dunque notevolmente ridimensionato
rispetto a quanto emergeva dall’analisi di Dollinger. Sulla stessa
linea si muovono anche i recenti studi di Werner Rösener sulla
signoria fondiaria ecclesiastica sveva e di Michael Banzhaf sugli
strati sociali di bassa condizione riportati nelle fonti bavaresi tra i
secoli VIII e XI; in particolare nella ricerca di Banzhaf emerge
una situazione particolarmente intricata per quanto riguarda lo
status giuridico e la condizione sociale di coloro che vivevano
nelle campagne168. Banzhaf non affronta mai direttamente il
tema della Villikationsverfassung, ma le considerazioni che egli
svolge implicano un rifiuto della presenza diffusa della curtis
classica, in contrasto con la molteplicità di forme di dipendenza
e servaggio che egli descrive.
L’azienda curtense, dunque, pur essendo presente nell’area
bavarese, appare, in base agli studi più aggiornati, come l’eccezione e non la regola dell’organizzazione della proprietà fondiaria. Verifichiamo ora se queste considerazioni possono essere
assunte anche per l’area tra Inn e Adige.
Nelle nostre fonti la grande proprietà – costituita da un insieme di beni fondiari, colti e incolti, e da diritti su cose e persone
– viene definita con vari termini – villa, curtis, predium e proprietas – il cui uso varia a seconda dei luoghi e dei tempi. Per
questo motivo ritengo necessario cercare di definire innanzitutto
la realtà economica che ognuna di queste definizioni sottende e
tracciare successivamente l’ambito territoriale e temporale della
loro diffusione, per verificare se esse rimandino a forme di organizzazione del territorio di tipo diverso o solamente a delle consuetudini linguistiche differenti.
Nel corso dell’analisi dedicata alle forme di proprietà del
secolo IX, ho ricordato come purtroppo non possediamo alcuna
descrizione dettagliata di villae o curtes. I pochi dati a nostra
disposizione inducono a pensare che in quest’epoca con il termine villa si indichino piccoli villaggi oppure un insieme nucleare di terreni, sparsi in un territorio delimitato, non ancora orga-
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
nizzati in base allo “schema” della curtis classica169. Nei documenti del secolo successivo villa e il suo diminutivo villula vengono usati ormai esclusivamente per indicare dei piccoli villaggi
che fanno parte di vaste proprietà fondiarie170 o, al contrario,
località all’interno delle quali si estendevano dei praedia171.
Assai diverso invece è il discorso che si può fare per curtis, termine che appare per la prima volta in una donazione dell’888
ricevuta dal miles Engilger da parte di re Arnolfo172, per ricomparire pochi anni dopo, nel 901, in un documento che abbiamo
già più volte ricordato: la donazione della «curtis Prihsna»173. In
questo caso è ricordata una curtis di notevole estensione, della
quale però non sono riportati i confini. Essa veniva ceduta «cum
curtilibus aedificiis familiis mancipiis utriusque sexus parschalchis censibus vineis montanis planitiebus collibus vallibus alpibus ruppibus forestibus venationibus agris pratis campis pascuis
silvis aquis aquarumve decursibus molinis piscationibus viis et
inviis exitibus ac reditibus quesitis aut inquisitis mobilibus et
immobilibus terris cultis vel incultis et quidquid iuste legitimeque ad eandem curtem pertinere dinoscitur... integriter cum
viciis et villulis proprietario iure sub potestate ac tuitione sepe
dictae domus domini»174. La «curtis Prihsna» venne donata alla
Chiesa di Sabiona «proprietario iure», al di fuori di qualsiasi rapporto di tipo beneficiario, divenendo da questo momento in poi
il fulcro delle proprietà allodiali dell’episcopio in Val d’Isarco.
Essa si presenta come un articolato insieme di terreni, colti e
169 Rimando alle considerazioni fatte nel capitolo terzo. Prima del Mille rinvenia-
mo il termine villa nell’urbario dei beni imperiali in Rezia (TUB, n 7, 830) in cui
vien detto p. es. «… in villa Mortario; ... in villa Nalles», nel Vigiliusbrief (TUB, n
13, 855-864, 1022-1055) in riferimento a diverse villae attorno a Caldaro. Molto
importante poi è il già richiamato documento in cui una certa Waldrada riceve in
precaria sino alla sua morte in cambio della donazione al vescovo di Coira delle
sue proprietà «villam unam quae vocatur Cerones cum omnibus appenditiis suis
et [adiac]entiis suis terris mancipiis vineis campis pratis silvis pascuis aquis aquarumque dec[urs]ibus necnon et vineam unam in loco qui dicitur Aniues».
170 UBHA, n 4, 901, in cui si descrive una «curtis cum vicis et villulis»; UBHA, n
7, 967, in cui appare invece una cappella sempre «cum vicis et villulis».
167 VERHULST, Die Grundherrschaftsentwicklung cit., pp. 36-46.
171 TBHB, n 7, 985-89; UBHA, n 11, 999.
168 M. B ANZHAF , Unterschichten in bayerischen Quellen des 8. bis 11. Jahr-
172 UBHA, n 2, 888. Il miles Engilger ricevette «VIII hobas... XX mancipia cum
curtibus aedificiis terris cultis et incultis» e altri beni.
hundert, Monaco 1991. Le ricerche di Rösener a cui ho fatto riferimento sono
quelle riportate in W. RÖSENER, Grundherrschaft im Wandel. Untersuchungen zur
Entwicklung geistlicher Grundherrschaften im südwestdeutschen Raum vom 9.
bis 14. Jahrhundert, Göttingen 1991.
178
173 UBHA, n 4, 901.
174 Ibidem.
179
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
incolti. Per quanto riguarda la sua organizzazione interna, è difficile poter dire con certezza se fosse strutturata sul modello del
“sistema curtense”; sappiamo infatti che, in genere, le curtes del
fisco regio erano basate sulla suddivisione tra pars dominica e
pars massaricia175; d’altro canto il diploma di Ludovico il Fanciullo non fa alcun cenno a prestazioni d’opera, a corvées d a
parte dei coloni, che, come più volte è stato ribadito, erano la
struttura portante dell’intero “sistema”176. I riferimenti ai censi,
alla forestis, ai mulini, ai diritti di caccia e pesca, fanno pensare
invece alla presenza di un’organizzazione di tipo signorile, riconducibile alla tipologia della signoria curtense. Il vescovo di
Sabiona poteva disporre di vigne e di mulini177; poteva esercitare il diritto di caccia in una propria riserva e poteva disporre del
lavoro di mancipia e parschalchi, lavoratori in condizione di dipendenza personale.
175 Non è possibile richiamare ora tutta la vastissima bibliografia sulla curtis.
Come primo rapido riferimento alle questioni qui accennate si possono vedere
ANDREOLLI, MONTANARI, L’azienda curtense cit. e TOUBERT, Il sistema curtense cit.,
p. 12, dove, in riferimento al fisco regio, vien detto «In Italia, come nelle altre
parti dell’impero franco, le curtes regiae si sono trovate a svolgere un ruolo pilota per un migliore assetto del sistema curtense».
176 Si vedano p. es. le considerazioni di TOUBERT, Il sistema curtense cit., p. 6,
dove vien detto «Non esiste sistema curtense senza corvée». I termini angariae o
operae con i quali comunemente nei documenti altomedievali si definiscono le
corvées non appaiono mai nella nostra documentazione, se non in un caso, per
quanto riguarda operae, che si riferisce però all’area tra Trento e Verona (TUB, n
11, 845). Il termine servitium ricorre più volte a partire dall’VIII secolo, ma sempre in riferimento al “servizio” prestato da persone di alto rango sociale nei confronti del re o di altre autorità. Anche in UBHA, n 10, 15 ottobre 979, si parla di
servitium in riferimento alla «curtis Fillac»; vien detto infatti «et omne tributum et
servitium quod Heinrico ad eandem curtem ex benefitio militum suorum persolvebatur, prenominato episcopo deinceps ex integro persolvatur». Mi sembra però
che anche in questo caso risulti chiaro come non si tratti di un servitium di tipo
servile, ma di una prestazione legata ad una concessione di tipo beneficiario.
177 Sul ruolo non solo economico del vino si veda per un primo approccio gene-
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
Sino al Mille il termine curtis ricorre solo altre tre volte, due
delle quali si riferiscono nuovamente a donazioni imperiali e
una invece riguarda una lite per una curtis posta in area verones e178. Tra il 977 ed il 979 il vescovo Albuin, come abbiamo già
avuto modo di vedere, ottenne in Carinzia la «curtis Ribniza», sottratta dall’imperatore Ottone II all’infidelis Ascuin e la «curtis
Fillac». Anche in questo caso per nessuna delle due curtes vengono indicati con precisione i confini o la suddivisione in pars
dominica e pars massaricia, mentre sono descritte le diverse
pertinenze. La curtis Ribniza aveva una struttura assai simile a
quella della curtis Prihsna, essendo costituita anch’essa da un
insieme di terreni colti e incolti, all’interno dei quali vi erano
boschi, vigne, mulini, pascoli e riserve di pesca179. Più articolata
invece si presenta la curtis Fillac, che, oltre alle usuali pertinenze, comprendeva anche una cappella, dei ponti, delle saline e
u n castellum, tutti elementi che ne sottolineano il carattere
signorile180.
Le curtes ottenute dai vescovi di Sabiona nel corso del secolo
X difficilmente possono essere ricondotte al modello curtense
classico. Esse appaiono piuttosto come un vasto insieme di beni
controllati direttamente dal loro proprietario, o, per riprendere
quanto detto da Castagnetti per aree dell’Italia settentrionale,
come un «territorio circoscritto, soggetto ad una giurisdizione
signorile»181. Si tratterebbe dunque di una situazione assai simile
a quella di altre zone in cui il sistema franco di organizzazione
del territorio non si diffuse capillarmente a causa della presenza
di tradizioni politiche, istituzionali e culturali diverse o a causa
di una particolare collocazione geografica182. Molte sono le aree
del nord Italia in cui l’azienda curtense di tipo classico compare
178 UBHA, n 8, 8 settembre 977; UBHA, n 10, 15 ottobre 979; TUB, n 37, novem-
bre 993. Quest’ultimo è un documento, riportato da Huter stralciato dal suo contesto, relativo ad un placito svoltosi a Verona, presieduto dal duca di Baviera
Enrico. Esso viene ripreso da Huter perché vi sono riferimenti alle istituzioni presenti in Val d’Adige.
rale M. MONTANARI, L’alimentazione contadina nell’alto medioevo, Napoli 1979,
pp. 373-384. Per quanto riguarda i mulini e le loro implicazioni signorili sono
ancora fondamentali le indicazioni di M. BLOCH, Avvento e conquiste del mulino
ad acqua in Lavoro e tecnica nel Medioevo, Roma-Bari 1977, pp. 73-110; si veda
in particolare p. 95, dove Bloch afferma che «... tutti i mulini ad acqua, la cui storia, bene o male, siamo in grado di seguire, si trovano ad essere di origine signorile». Per un’indagine più aggiornata si vedano ora C. RIVALS, Il mulino. L’avventura del pane quotidiano, inserto di «Storia e Dossier», n 7 (maggio 1987), in cui
vengono esaminati però soprattutto gli aspetti tecnici e la voce Mühle, Müller, in
Lexikon des Mittelalters, vol. VI, Monaco-Zurigo 1993, pp. 885-891.
di VERHULST, La genèse cit., il quale richiama l’attenzione sull’importanza del fattore geografico per la diffusione del régime domanial.
180
181
179 UBHA, n 8, 8 settembre 977.
180 UBHA, n 10, 15 ottobre 979.
181 Definizione citata in ANDREOLLI, MONTANARI, L’azienda curtense cit., p. 165,
dove vengono fatte delle interessanti osservazioni sulla diffusione del termine
curtis nei secoli X e XI al di là di qualsiasi rapporto con l’azienda curtense.
182 Non bisogna dimenticare le indicazioni contenute nel più volte citato saggio
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
in modo sporadico. Possiamo richiamare ad esempio la Romagna; oppure il Friuli e il territorio tra Trento e Verona, dove il
modello curtense venne importato tardivamente dai grandi
monasteri del Nord Italia, come ha chiarito recentemente Bruno
Andreolli183.
Tra Inn e Val d’Adige nel secolo X con curtis viene indicata
una grande proprietà accentrata, una realtà economica uguale, o
molto simile, a quella che nel secolo IX veniva definita come
villa184; il cambiamento di terminologia molto probabilmente fu
effetto di una definitiva affermazione della cultura franca negli
ambienti cancellereschi regi. Curtis rimane tuttavia un termine
ancora scarsamente diffuso tra la popolazione, dal momento che
non viene utilizzato nei documenti di produzione locale, dove
per definire aziende fondiarie del medesimo tenore, sia pure
non con l’estensione delle curtes regie, vengono utilizzate denominazioni più generiche come proprietas e predium.
È questo il caso ad esempio della proprietas, documentata
per il 935/55, donata alla chiesa di Sabiona da una certa Irminlind, che era composta da «aedificiis campis pratis pascuis silvis
aquis aquarumve decursibus exitibus et reditibus et cum omnibus illuc pertinentibus»185 oppure quello, relativo alla fine del X
secolo, del più titolato conte Ratpotone, che possedeva «in loco
Parpian dicto» una proprietas «cum mancipiis viii ...agris vineis
silvis pascuis vallibus montibus planiciebus cultis et incultis et
cum omnibus usibus ad eundem locum pertinentibus»186.
Un uso analogo viene fatto anche per il termine predium,
che può riferirsi sia a una piccola proprietà che a un insieme
fondiario più vasto, come è il caso del predium dato presso
Rosenheim, in Baviera, dal nobilis Odalrico e da sua moglie
Adalswinda al vescovo Albuin attorno alla fine del X secolo,
183 Per la Romagna cfr. ANDREOLLI, MONTANARI, L’azienda curtense cit., p. 169;
per il Trentino B. ANDREOLLI, Proprietà fondiaria e società rurale nel Trentino dei
secoli VIII-XI, in «AARA», anno accademico 236 (1986), serie VI, vol. 26 (= Atti del
congresso La Regione Trentino-Alto Adige nel Medioe evo, vol. II), pp. 189-205.
184 Si confronti p. es. la descrizione delle curtes che abbiamo già riportato con
quella della «villa Cerones» ricevuta da Waldrada nell’857 (TUB, n 15); si tratta di
«villam unam quae vocatur Cerones cum omnibus appendititiis [adiac]entiis suis
terris mancipiis vineis campis pratis silvis pascuis aquis aquarumque dec[urs]ibus
necnon et vineam unam in loco qui dicitur Aniues».
185 TBHB, n 2, 935-955.
186 TBHB, n 60, 1005.
182
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
composto da «curtiferis agris pratis aquis aquarumve decursibus
viis et inviis montanis et submontanis quaesitis et inquirendis
omnibusque adtinentibus»187. Rispetto alle altre denominazioni,
predium si affaccia nella nostra documentazione in un’epoca più
tarda e solo verso la fine del X secolo viene usato comunemente, anche se quasi sempre in riferimento a beni posti in Baviera
e in Carinzia188. Spesso viene utilizzato in modo interscambiabile
con proprietas, a conferma del fatto che ambedue i termini possono indicare la medesima realtà189.
Attraverso questa breve analisi possiamo affermare dunque
che la grande proprietà in questi anni viene rappresentata con
denominazioni diverse, le quali rimandano a un tipo di organizzazione fondiaria analoga, differenziata nettamente dall’azienda
curtense di tipo carolingio. La diversità terminologica era determinata soprattutto dalla diversità degli enti di emissione dei
documenti: curtis appare solo in atti provenienti dalla cancelleria
regia o imperiale; predium viene usato nei Libri traditionum
prima del Mille soprattutto in riferimento ai beni di famiglia del
vescovo Albuin posti in Carinzia e in Baviera; proprietas si presenta come il termine di uso comune, mentre villa in rapporto
alla proprietà fondiaria è attestato nel IX secolo e successivamente viene utilizzato quasi esclusivamente in riferimento a
paesi e villaggi.
Accanto alla grande proprietà nelle nostre fonti ci sono riferimenti continui anche a piccoli poderi, a loro volta designati in
modi differenti.
Innanzitutto è bene analizzare i diminutivi dei termini già
affrontati per la grande proprietà. Per esempio, accanto a curtis
ricorre spesso anche il diminutivo curtiferum o curtifer sia all’interno dell’elenco di pertinenze di una proprietas o di un predium sia isolatamente190; questo secondo caso presenta un mag-
187 TBHB, n 25, 993-1000.
188 La prima attestazione la troviamo in TUB, n 27, 931, mentre tutte le altre
sono concentrate tra il 977 e il 1011. A partire dal Mille invece divenne il termine
più comune per definire proprietà fondiarie di differente entità.
189 Cfr. p. es. TBHB, n 12, 985-993; TBHB, n 41, 995-1005; TBHB, n 50, 995-1005.
190 Cfr. TBHB, n 2, 935-955; TBHB, n 9, 985-990; TBHB, n 11, 985-993; TBHB, n
17, 985-993; TBHB, n 18, 985-993; TBHB, n 25, 993-1000; TBHB, n 54, 993-1000;
TBHB, n 62, 1005; TBHB, n 63, 1005. Come esempio del primo caso si vedano
TBHB, n 25 in cui viene presentato un «predium quod habuit in loco Flinspach
curtiferis agris pratis aquis aquarumve decursibus» e TBHB, n 11 in cui il nobilis
183
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
giore interesse perché permette di ricostruire con più precisione
la realtà che esso rappresenta.
Incontriamo per la prima volta un curtifer isolato in un documento dei Libri traditionum in cui il vescovo Albuin compie una
permuta con il nobilis Arnix grazie alla quale acquisisce una
proprietas a Lius, una località non identificata da Redlich, in
cambio della cessione di «unum curtiferum et tres agros et de
pratis quantum in una die secandum sufficiat quattuor viris, et
decem et septem siclos» situati presso Vipiteno191. Qualche anno
dopo in una donazione regia del 1002 troviamo per la seconda
volta menzionato un curtifer, posto questa volta presso Ratisbona, di cui ci vengono date le misure, caso estremamente raro
nella nostra documentazione: esso sarebbe stato lungo circa undici pertiche e mezzo e largo sei192. Tuttavia, data la forte indeterminatezza e variabilità delle unità di misura è difficile ricostruirne l’estensione, che in ogni caso dovette essere modesta193,
avvicinando il nostro curtifer sicuramente più a un cortile che a
una curtis di tipo classico, sia pure di estensione limitata194.
Un discorso diverso si deve fare invece per il prediolum
ricordato in tre documenti dei Libri traditionum ricchi di dati e
di informazioni195. In uno di questi atti il vescovo Albuin acquivir Diethoh dona una «suam proprietatem quam habuit in loco Elues curtiferis
agris pratis exitibus et reditibus aquis aquarumve decursibus».
191 TBHB, n 9, 985-990.
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
sta un prediolum a Kehlburg, presso Brunico, dal nobile Liuto
dietro il pagamento di «tribus probabilis gaze solidis et i dimidio», mentre in un altro documento della medesima epoca riceve
da un certo Eppone per cinque «libras percaris rebus adpretiatas»
due prediola con due servi maschi a Mellaun e Klerant, presso la
futura Bressanone196. Come nel caso delle misure di superficie,
anche ora è assai difficile cercare di esplicitare in un valore economico le indicazioni presenti nei due documenti, a causa dell’estremo frazionamento delle coniazioni che caratterizza il
periodo al centro del nostro interesse197. In ogni caso vale la
pena avviare un tentativo, sia pur approssimativo, per cercare di
cogliere anche quantitativamente il valore economico delle proprietà fondiarie.
È noto che in base alla riforma monetaria avvenuta in età
carolingia erano state introdotte due monete di conto, il soldo e
la lira il cui rapporto con il denaro era il seguente:
1 lira = 20 soldi = 240 denari198
Sulla diffusione di questi rapporti ci mise in guardia già Marc
Bloch, il quale pose in evidenza l’eccezionalità della Baviera,
che «praticamente indipendente sotto i suoi duchi nel momento
in cui il nuovo rapporto era stato regolarizzato in Gallia, (...)
restò per secoli fedele a un altro rapporto, quello di 30 denari
per soldo»199. Philippe Dollinger ribadì quest’osservazione; rifacendosi anche agli studi di Inama-Sternegg, egli proponeva per
192 UBHA, n 12, 16 novembre 1002, il curtifer appare «possessum a tribus viris
ita vocatis: Azo, Lanzo, Gotti, habens in longitudine perticas XI et dimidiam et in
latitudine sex, in proprium dedimus, cum exitibus et reditibus omnibusque rebus
iure legitimeque ad idem curtiferum pertinentibus».
193 La pertica era un sottomultiplo dello iugero che in area bavarese, secondo
DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 107, n. 103, corrispondeva all’incirca allo iugero di epoca romana (20x120 piedi) il cui valore è rapportabile a
2.038,76m2. Dollinger trae queste indicazioni da Die mittelalterlichen Stiftsurbare
des Erzherzogtums Österreichs ob der Enns, a cura di K. Schiffmann, 2 voll.,
Vienna 1912-1915, II vol., p. 115, in cui si riporta un documento del 1299 che dice in modo chiaro «iuger dicitur quod unum par boum in die arare (potest),
habens in longitudine pedes 240, in latitudine 120 [...]». O. STOLZ, Zur Geschichte
des Weinbaues in Tirol, in «Der Schlern», 22 (1948), p. 332, ricorda poi che con
l’introduzione del sistema decimale nel 1870 un Klafter tirolese venne fatto corrispondere a 268 cm e lo Joch tirolese, ovvero lo iugero, a 0,36 ha.
196 TBHB, n 23, 993; TBHB, n 24a, 993-1000.
197 Si possono vedere a tal riguardo le indicazioni sempre interessanti di M.
B LOCH, Lineamenti di una storia monetaria d’Europa, Torino 1981 (ed. or.
Esquisse d’une histoire monétaire de l’Europe, Parigi 1954).
198 BLOCH, Lineamenti cit., p. 30. Purtroppo a causa della scarsità delle fonti non
bavarese un curtifer corrispondeva a ciò che in tedesco si definisce Garten,
ovvero al giardino posto attorno alla casa.
troviamo studi esaurienti sulla circolazione monetaria altomedievale tra Inn e
Adige. Anche il recente e pregevole lavoro di H. RIZZOLLI, Münzgeschichte des
alttirolischen Raumes im Mittelalter, vol. 1, Bolzano 1991, purtroppo trascura
quasi completamente il periodo precedente il XII secolo. Per l’area tedesca più
i n g e n e r a l e s i v e d a B. K LUGE , Deutsche Münzgeschichte von den späten
Karolingerzeit bis zum Ende der Salier, Sigmaringen 1991. Per la Baviera cfr. W.
HAHN, Das Münzwesen im Herzogtum Baiern vor 976, in «Jahresbericht der
Stiftung Aventinum», pp. 5-23, dove però non viene proposta alcuna particolarità
bavarese rispetto alla riforma monetaria carolingia del 789.
195 TBHB, n 17, 985-93; TBHB, n 23, 993; TBHB, n 24a, 993-1000.
199 BLOCH, Lineamenti cit., pp. 27-28.
194 Cfr. DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 107, afferma che in area
184
185
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
tutto il territorio bavarese sino all’XI secolo questo particolare
rapporto:
1 marca = 2,5 lire 1 lira = 8 soldi 1 soldo = 30 denari200
Rispetto a quanto accadeva nei territori franchi dunque in
Baviera il rapporto lira-soldi-denari sarebbe stato:
1 lira = 8 soldi = 240 denari
Possiamo adottare a titolo indicativo questo rapporto per cercare di determinare il valore dei nostri due prediola, confrontandolo con pochi altri casi in cui nelle nostra documentazione sono riportati valori in denaro (cfr. tab. 8).
Un prediolum poteva avere un valore assai oscillante, a conferma del fatto che con questa definizione probabilmente veniva
designato sia un piccolo appezzamento di terreno, sia una unità
insediativa più ampia, rapportabile alla hoba. Questa sovrapposizione tra prediolum e hoba viene confermata anche da un altro
documento riportato nei Libri traditionum, in cui un certo Adalberto cede al vescovo Albuin tre curtifera, un campo e un orto
presso Olang, in Val Pusteria, in cambio di una hoba, che successivamente è definita anche come prediolum201.
Hobae e mansi sono spesso presenti nella nostra documentazione, conformemente a quanto proponeva Philippe Dollinger,
secondo il quale per tutto l’alto medioevo nell’area bavarese il
manso può essere considerato l’unità insediativa più diffusa202.
Il manso, termine con il quale possiamo rendere sia mansus
che hoba, in genere corrispondeva in quest’epoca alla quantità di
terreno necessaria al sostentamento di una famiglia ed era costituito da una casa con un giardino, dai campi e, talvolta, da prati e
parti di bosco, tant’è vero che ancora in un urbario bavarese del
1299 viene definito in questo modo: «mansus dicitur predium de
quo unus rusticus cum sua familia poterit sustentari [...]»203. Nelle
fonti bavaresi il manso appare sia come unità dipendente sia
come parte strettamente collegata ai beni signorili e si presenta
in tipologie assai diverse determinate dallo status economico,
200 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 160.
201 TBHB, n 17, 985-993.
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
etnico o sociale di chi lo conduceva. Anche l’estensione dei
mansi poteva essere molto diversificata e, secondo Dollinger,
quelli servili avevano una dimensione media di 12 ettari, quelli
liberi di circa 15 ettari e quelli regi di 30 ettari204. Dollinger riteneva però che nel corso dei secoli XI e XII questa differenziazione fosse andata gradualmente sparendo a causa dell’azione signorile incentrata in una riconduzione di tutti i tipi di mansi allo
standard di quelli servili. A partire poi dal secolo XIII si sarebbe
avviato un processo di frammentazione che avrebbe portato a
una graduale trasformazione del manso e del suo ruolo.
Per la nostra area d’indagine tra il secolo IX e i primi decenni
dell’XI il termine hoba ricorre in dodici documenti che, tranne
uno, sono tutti riportati nei Libri traditionum205, mentre la definizione mansus sembra di uso più limitato, in quanto appare a
partire dalla fine del secolo X solamente sei volte, di cui cinque
nei Libri traditionum206. La prima impressione che possiamo ricavare è quella di una conferma dell’analisi di Dollinger, soprattutto
per quanto riguarda la presenza di tipologie di mansi assai diversi tra di loro. Raramente nei nostri documenti però vi è una presentazione esplicita della condizione, servile o ingenuile, dei
mansi. Solamente in un documento dell’888 si parla chiaramente
di «hobas tales quales in eisdem locis servi habere soliti sunt»207.
Si tratta di un atto molto interessante, sul quale conviene soffermarsi. Questi mansi furono donati «in perpetuam proprietatem»
da re Arnolfo ad Engilger, miles di un certo Iezone, per dei servizi prestati precedentemente; essi si trovavano in una località
posta al confine tra Baviera ed Italia di nome Fellis, che Santifaller fa coincidere con Fiè allo Sciliar, e comprendevano, in modo
analogo a quanto abbiamo già visto per alcune grandi proprietà
204 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 109. BANZHAF, Unterschichten
cit., pp. 130 e 195-196, accetta la proposta di Dollinger per quanto riguarda i
mansi liberi, mentre, sulla base degli studi di Wilhelm Abel, ritiene che quelli servili in genere fossero più piccoli di quanto ipotizzato dallo storico francese; essi
infatti avrebbero avuto un’estensione media di 30 iugeri, quindi di circa 10 ettari.
205 UBHA, n 2, 888; TBHB, n 1, 907-925; TBHB, n 5, ante 975; TBHB, n 7, 985989; TBHB, n 8, 985-990; TBHB, n 13, 985-993; TBHB, n 14, 985-993; TBHB, n
17, 985-993; TBHB, n 28, 993-1000; TBHB, n 39, 995-1005; TBHB, n 50, 995-1005;
TBHB, n 70, 1022-39.
202 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 106.
206 TBHB, n 12, 985-993; UBHA, n 15, 1011; TBHB, n 65, 1022-39; TBHB, n 68,
1022-39; TBHB, n 69, 1022-39; TBHB, n 71, 1022-1039.
203 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 107, n. 101.
207 UBHA, n 2, 20 febbraio 888.
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X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
fondiarie, campi, prati, zone incolte e venti mancipia208. Come si
diceva, non abbiamo nella nostra documentazione altre menzioni
esplicite per il X secolo di mansi servili, anche se in alcuni casi
appaiono mansi con mancipia209. Ma il fatto che dei mansi siano
stati lavorati da persone in condizione servile non significa automaticamente che la loro condizione si identificasse con quella
dell’unità fondiaria210.
Purtroppo non è facile cercare di ricostruire l’estensione di
mansi e hobae; ad esempio per quanto riguarda le hobae ottenute da Engilger, le uniche che con sicurezza possiamo definire
come servili, se ci atteniamo alle indicazioni di Dollinger e
Banzhaf, esse avrebbero avuto un’estensione complessiva minima di 80 iugeri e massima di 120 iugeri. Ma si tratta in ogni caso
sempre solo di supposizioni.
Possiamo cercare di ricostruire poi la consistenza di alcune
delle altre hobae presenti nei nostri documenti rapportandole ai
beni o al valore in denaro con i quali esse vennero permutate.
Ho sintetizzato i pochi dati di cui disponiamo nella tabella 9,
dalla quale viene confermata l’immagine della hoba come unità
fondiaria con un valore economico medio-basso.
È necessario chiarire a questo punto il problema dell’inserimento delle hobae all’interno di una più vasta proprietà o signoria fondiaria. Purtroppo i pochi elementi di cui disponiamo forniscono solo delle indicazioni sporadiche, dalle quali è assai difficile generalizzare. Alcuni documenti testimoniano il versamento da
parte di hobae e mansi di censi e tributi. Sappiamo ad esempio
che un libero di nome Adalberto si dovette impegnare, per una
hoba ottenuta dal vescovo Albuin in seguito a una permuta, di
pagare «ex eadem hoba Odalscalcho cuidam vasallo episcopi rec-
tum censum daret, et episcopo annis singulis x situalas vini vel
xx situlas cervesie daret»211. Abbiamo poi il caso di un nobile di
nome Erimberto che, divenuto chierico, donò al capitolo del
duomo di Bressanone quattro mansi dai quali gli doveva essere
fornito uno stipendium annuale, riportato in modo molto dettagliato, che fornisce delle importanti indicazioni sulla produzione
e le attività economiche presso un manso (cfr. tab. 11)212. Questi
mansi erano obbligati a versamenti di censi e tributi non tanto
per un loro statuto interno, quanto invece per i legami o la posizione personale di chi li possedeva. Essi in ogni caso erano indipendenti, non inseriti all’interno di una più vasta proprietà fondiaria. Infatti abbiamo solamente due documenti del secolo X o
dei primi anni dell’XI che ci presentano dei mansi in condizione
di dipendenza. Uno riguarda i beni della famiglia del vescovo
Albuin, posti in Carinzia, all’interno dei quali vi era l’importante
castello Stein213, l’altro si riferisce invece a proprietà donate all’episcopio brissinese presso l’odierna Lienz da parte di Erimberto,
che comprendevano un «predium… exceptis v mansis»214. In
ambedue i casi si tratta però di menzioni episodiche, che nulla ci
dicono del rapporto tra i mansi e l’insieme della proprietà.
Talvolta i mansi potevano essere identificati anche dal punto
di vista “etnico”: un nobile di nome Adalberto ad esempio possedeva verso la fine del X secolo dei mansi latini presso Vipiteno,
mentre il vescovo Hartwig aveva all’interno delle sue proprietà
presso Lienz venti mansi sclavanisci215. Probabilmente si trattava
di piccole aziende fondiarie che, a causa dell’origine dei loro
“fondatori”, mantenevano uno status giuridico particolare, al di là
dell’etnia di chi li gestiva216. La presenza di queste determinazioni
208 Ibidem. I beni donati vengono descritti con questi termini «VIII hobas tales
212 TBHB, n 69, 1022-39. In TBHB, n 70, 1022-39, invece il vescovo Hartwig
211 TBHB, n 17, 985-993.
quales in eisdem loci servi habere soliti sunt et XX mancipia cum curtibus aedificiis terris cultis et incultis in planis montibusque iacentibus agris campis pratis
pascuis silvis aquis aquarumve decursibus finibus vineis viis et inviis accessibus
et regressibus venatione quaesitis et inquisitis mobilibus et immobilibus omnibusque ad eandem proprietatem pertinentibus [...]». Questo documento pone anche
in modo esplicito il problema della definizione della condizione servile, distinguendo nettamente tra servi e mancipia. Per questa questione rimando alle considerazioni riportate tra breve nella sezione dedicata ai servi. Sulla storia insediativa, e non solo, di Fiè si veda Völs am Schlern 888-1988. Ein Gemeindebuch, a
cura di J. Nössing, Fiè allo Sciliar 1988.
209 TBHB, n 65, 1022-39 e TBHB, n 70, 1022-39.
210 Si vedano a tal proposito le considerazioni fatte più volte da VERHULST, Die
Grundherrschaftsentwicklung cit.
188
dona alla Chiesa di Bressanone «hobam i in loco Albium sitam quam illi
Adalperht suus miles dedit, cum mancipiis omnique iure eidem hobe adherente»
affinché il presbyter che «huic altari deserviret ubi venerabile corpus tumularetur,
eadem hoba absque stipendii beneficiique ratione perpetualiter uteretur». Viene
confermata dunque la possibilità, in questo caso non concessa, di ottenere uno
stipendium da una hoba.
213 Cfr. TBHB, n 28, 993-1000, dove vien detto che Aribone «recredit se... inquisitionis quam ad castellum Stein et illas hobas ad hoc attinentes habuit, quod
post hunc diem nullam inde adquisitionem faciet».
214 TBHB, n 68, 1022-1039.
215 TBHB, n 12, 985-993 e TBHB, n 71, 1021-1049.
216 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 108, osserva che soprattutto
189
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SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
“etniche”, qualunque sia stata la loro effettiva realtà, proprio nell’area delle Alpi nord-orientali è in ogni caso un significativo
segno della presenza di tradizioni insediative di tipo diverso.
Alcuni poderi vengono definiti anche con il termine colonia,
che indicava l’equivalente di un manso o di una hoba. Questo
termine appare senza particolari specificazioni per la prima volta
già agli inizi del secolo IX all’interno della più volte richiamata
donazione di Quarti217. Per ritrovarlo nuovamente dobbiamo
aspettare la fine del secolo X, quando ricompare in una permuta
tra il vescovo Albuin e suo fratello Aribone relativa a dei beni in
Baviera218. Qui finalmente troviamo dei dati che permettono di
rapportarla a una realtà concreta: il testo infatti parla di una censuali colonia, definita anche come hoba, condotta da un servo219. Si tratterebbe dunque di un manso censuale, in origine
non servile, assegnato in conduzione però a un servo, a conferma del fatto che non sempre lo status dell’unità fondiaria corrispondeva effettivamente a quello di colui che la gestiva.
Per quanto riguarda l’estensione di una colonia, ci può esser
d’aiuto solo un documento del Mille circa in cui viene riportata
la permuta tra una colonia e una proprietas che si estendeva su
nell’area tirolese «[...] wir finden Hufen, die nach der Nationalität ihrer Inhaber
benannt werden, etwa nach Slawen, Bayern und Latinern» («Troviamo mansi
denominati in base alla nazionalità dei possessori, per esempio Slavi, Bavari e
Latini»); in nota cita per quanto riguarda le attestazioni per le hobae sclavaniscae:
THF, I, n 1007 (895); THF, II, n 1393, 1050; TBHB, n 5, 975; n 170, n 173, n 244,
1080; per il mansus Bavaricus: TBHB, n 231, 1065, presso Lienz e per il mansus
Latinus: TBHB, n 12, 985-993, nella Wipptal. A proposito di questi mansi si
vedano anche le osservazioni di DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., p. 15, il quale
sottolineava la loro diversità di tipo “etnico” e riteneva che con il termine di
mansi latini venissero indicati i beni fondiari di organizzazione latina, precedenti
le invasioni germaniche. La denominazione poi si sarebbe mantenuta soprattutto
in aree di confine per sottolineare la differenza di quello che egli definisce il
fundamentum in re delle diverse aziende fondiarie.
217 QU, n 1, 827: «... ad Stauanes coloniam I et in his supradictis locis quicquid
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
tredici iugeri di campi arabili e dieci iugeri di prati220. Si tratta di
misure relativamente modeste, che sono mediamente inferiori a
quelle di un manso servile di area bavarese. La colonia appare
come un’unità fondiaria riconducibile in linea di massima al
manso, pur essendo forse di misura più esigua221.
Accanto alla grande proprietà fondiaria i nostri documenti
testimoniano quindi anche la presenza di piccole aziende fondiarie, hobae o mansi, che il più delle volte erano totalmente indipendenti, anche se inserite all’interno di più vaste proprietà222. Il
modello di gestione del territorio dominante nel secolo X era
dunque di duplice natura: da un lato c’erano le grandi proprietates, laiche ed ecclesiastiche, sottoposte direttamente al controllo
signorile, dall’altro una costellazione di piccole e medie unità
fondiarie autonome, che gradualmente nel corso del secolo persero la loro autonomia. La grande azienda fondiaria uscì decisamente rafforzata e trasformata da questo processo: attraverso un
accumulo mirato di terreni e mansi riuscì a costituire nuove unità
relativamente compatte di beni fondiari, che però, al contrario
delle curtes, non gestiva direttamente. La media proprietà, rappresentata da hobae e mansi indipendenti, risulta presente in misura consistente ancora dopo il Mille.
L’accumulazione fondiaria e la gestione del territorio nel secolo
X attraversava una fase di transizione, alla ricerca di un assetto e
un’organizzazione definitiva. Ma le proprietà fondiarie, grandi e
piccole, oltre che strumento di dominio erano principalmente
mezzi di sfruttamento, di terre e di uomini. Nei paragrafi che seguiranno cercherò di far luce su questi aspetti, tentando di ricostruire le principali risorse economiche e il ruolo del lavoro servile.
4.3 Vita nei campi: lo sfruttamento economico delle campagne
Otto Stolz nel 1930 in un articolo dedicato alla storia dell’agricoltura in Tirolo ricordò la mancanza di studi che affrontasse-
in eis proprii habere visus sum».
218 TBHB, n 28, 993-1000.
219 TBHB, n 28. Questo è il testo in cui vengono riportati i dati citati «reddidit
Albuin… predium quod investitura habuit in partibus Bauuarie in loco
Aschouuua cum mancipiis quibus fuit possessum, et cum omnibus pertinentibus,
vineis agris silvis aquis aquarumve decursibus quesitis et inquirendis firmiter in
proprium retinendum aut commutandum aut quicquid liberuit faciendum, una
tantum censuali colonia excepta et ad hanc coloniam pastum animalibus que in
ipsa hoba nutrita fuerint, et incisionem, quantum huic servo sufficiat qui ipsam
coloniam providet [...]».
190
220 TBHB, n 63, 1005.
221 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 120, ritiene che un tale tipo di
colonia fosse diffusa solo in alta Baviera, in Tirolo e in Carinzia.
222 In base alla documentazione di cui disponiamo non penso che per la nostra
area si possa proporre una differenza tra hobae e mansi, seguendo quanto è
stato suggerito per alcune zona d’area germanica come, p. es., la Turingia, dove
mansus designerebbe solo una casa con giardino e hoba un’azienda fondiaria.
Cfr. a tal proposito VERHULST, Die Grundherrschaftsentwicklung cit., p. 38.
191
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SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
ro in modo globale lo sviluppo delle tecniche agricole e dello
sfruttamento del territorio in area tirolese dall’alto medioevo in
poi223. Tra i pochi che si erano cimentati in questa direzione egli
ricordava Wopfner e Deutschmann, anche se di quest’ultimo criticava fortemente l’impostazione224. Purtroppo da allora le cose
non sono molto cambiate, soprattutto per quanto riguarda l’alto
medioevo225. Ciò è dovuto in parte anche alla scarsità di fonti
che effettivamente rende difficile qualsiasi generalizzazione.
Questo non significa però che non valga la pena almeno di
richiamare gli elementi della vita agraria che appaiono, episodicamente, nelle nostre fonti.
Le curtes, i predia o i mansi potevano essere costituiti da terreni di vario tipo, colti ed incolti, come testimonia la formula,
spesso usata «aedifitiis campis pratis pascuis silvis aquis aquarumve decursibus exitibus et reditibus et cum omnibus illuc pertinentibus»226. È utile cercare di determinare anche in questo
caso con più precisione che cosa si intendesse indicare con i
diversi termini per tentare di ricostruire, sia pure a grandi linee,
le strutture produttive agrarie.
Affrontiamo innanzitutto l’espressione campus, che secondo
Dollinger in Baviera veniva utilizzata per indicare la terra salica227, un significato che tenderei ad escludere per la nostra area,
in cui campus a partire dal secolo IX è utilizzato sempre in
forme generica, al plurale, all’interno di dotazioni di unità fon-
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
diarie grandi e piccole228. Esso inoltre sembra esser stato un termine di uso comune assai ridotto poiché viene utilizzato per lo
più nei documenti di produzione regia o imperiale. Oltre a campus, negli atti raccolti nei Libri traditionum appare con una certa
frequenza anche l’espressione ager229. Entrambi i termini probabilmente facevano riferimento a un’unica realtà, ovvero a semplici campi coltivati che potevano essere in diversi tipi di proprietà fondiaria e in alcuni casi costituivano un’unità a sé stante230. Un significato simile lo ricopriva il più generico terra, che
poteva riferirsi anche ad aree incolte231.
Purtroppo abbiamo pochissime indicazioni che ci permettano
di individuare che cosa venisse coltivato in quest’epoca, dal
momento che non disponiamo né di elenchi di tributi né di
urbari e i reperti archeologici non permettono ancora delle
generalizzazioni. Ci soccorrono in parte due documenti tratti dai
Libri traditionum, in cui sono riportati la curatura per un giovane chierico e il suo servo e un “vitalizio” ricevuto dal canonico
Erimberto in seguito alla donazione al capitolo del Duomo di Sabiona-Bressanone di quattro mansi (cfr. tabelle 10 e 11)232. In
base a queste due testimonianze la sigale, ovvero la segale, risulta esser stato il cereale più diffuso, in conformità con quanto
rilevato per la medesima epoca in diverse aree del nord Italia,
228 Cfr. QU, n 1, 827; TUB, n 15, 857; UBHA, n 2, 888; UBHA, n 4, 901; TBHB, n
93-139.
2, 935-955; TBHB, n 3, 955-975; TBHB, n 4, 955-75; TUB, n 31, 967; UBHA, n 10,
979; TBHB, n 52, 995-1005; UBHA, n 10, 979; UBHA, n 11, 999; UBHA, n 16,
1020.
224 Cfr. STOLZ, Zur Geschichte der Landwirtschaft cit., p. 94.
229 QU, n 1, 827; TUB, n 18, 875; UBHA, n 2, 888; UBHA, n 4, 901; UBHA, n 5,
225 Con questo non intendo dire che manchino studi sul mondo contadino tiro-
909; UBHA, n 6, 916; TUB, n 24, 923; TBHB, n 4, 955-76; UBHA, n 9, 978; UBHA,
n 10, 979; TBHB, n 9, 985-90; TBHB, n 11, 985-93; TBHB, n 17, 985-93; TBHB, n
18, 985-93; TBHB, n 25, 993-1000; TBHB, n 28, 993-1000; TBHB, n 30, 995-1000;
TBHB, n 31, 995-1005; TBHB, n 38, 995-1005; TBHB, n 41, 995-1005; TBHB, n 50,
995-1005; TBHB, n 52, 995-1005; TBHB, n 54, 995-1005; UBHA, n 11, 999; TBHB,
n 60, 1005; TBHB, n 63, 1005.
223 O. STOLZ, Zur Geschichte der Lanwirtschaft, in «TH», III, quad. 1/2 (1930), pp.
lese, cosa che sarebbe palesemente falsa. Abbiamo a disposizione centinaia di
studi settoriali e alcune opere complessive, come il citato Bergbauernbuch di
Wopfner. Gran parte di queste ricerche, pur essendo spesso di valore, sono condotte in base ai criteri della Heimatgeschichte che, come abbiamo visto nell’ambito dell’introduzione storiografica, parte da premesse ideologiche molto discutibili. A tal proposito si può vedere il recente testo di OBERKROME, Volksgeschichte
cit., in cui vi sono diverse pagine dedicate a Hermann Wopfner e alla tipologia
delle sue ricerche.
226 Cfr. a titolo esemplificativo TBHB, n 2, 935-955. Naturalmente, non bisogna
trascurare il fatto che spesso questi elenchi di pertinenze erano delle formule
non necessariamente corrispondenti alla realtà; cfr. a tal proposito B. SCHWINEKÖPER, “Cum aquis aquarumve decursibus”. Zu den Pertinenzformeln der Herrscherurkunden bis zur Zeit Ottos I., in Festschrift für Helmut Beumann, a cura di K.
U. Jäschke e R. Wenskus, Sigmaringen 1977, pp. 22-56.
227 Cfr. DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 419.
192
230 È il caso questo di TBHB, n 38, 995-1005, in cui il vescovo Albuin ed il nobile Azilino si scambiano due agri di equa mensura.
231 TUB, n 7, 830; TUB, n 13, 855-864 e 1022-1055; TUB, n 15, 857; UBHA, n 2,
888; UBHA, n 4, 901; TUB, n 27, 931; TUB, n 31, 967; UBHA, n 8, 977; UBHA, n
9, 978; UBHA, n 10, 979; TBHB, n 13, 985-993; TBHB, n 14, 985-993; TBHB, n 27,
993-1000; TBHB, n 56, 995-1005; UBHA, n 11, 999; TBHB, n 63, 1005; UBHA, n
13, 1002; UBHA, n 16, 1020.
232 Cfr. TBHB, n 37, 995-1005: si riferisce a due coloniae sclavaniscae poste
presso Stein, in Carinzia; e TBHB, n 69, 1022-1039, in cui si fa riferimento ai
mansi di un certo Erimberto, situati ad Asling e in Val Pusteria.
193
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
dell’Europa centrale e settentrionale233, mentre il frumento probabilmente era già considerato un cereale nobile, così come
avverrà nei secoli successivi, quando nell’area alpina, e non
solo, veniva ritenuto un prodotto quasi di lusso, estraneo all’alimentazione quotidiana234.
Non deve sorprendere poi la presenza all’interno delle dotazioni del giovane chierico e di Erimberto anche del miglio,
cereale ormai completamente scomparso dalle colture tirolesi ma
assai diffuso in tutta l’età medievale, come testimoniano censi ed
urbari dei secoli XII e XIII235.
Accanto a questi cereali il clericellus doveva ricevere anche
un moggio di legumi, la cui importanza nell’alimentazione medievale è stata più volte sottolineata da Montanari236. Sia i legumi, sia i cereali vengono riportati come abbiamo potuto vedere
in moggi, un’unità di misura assai variabile a seconda del luogo
e dell’epoca, dal valore medio di circa 40 litri237.
233 Cfr. MONTANARI, L’alimentazione contadina cit., pp. 114-121. Il primato della
segale tra i cereali coltivati in Tirolo perdura sino ai giorni nostri. Si vedano a
questo proposito le osservazioni di STOLZ, Zur Geschichte der Landwirtschaft cit.,
p. 117 e quelle da me fatte in Cronache del monastero di Monte Maria in Val
Venosta, in «Letture trentine e altoatesine», n 48 (febbraio 1986), p. 49. Sull’uso
della segale in tempi recenti e il suo rapporto con la tradizione rimando a S. DE
RACHEWILTZ, Brot in südlichen Tirol, Silandro 1981. Sull’identità tra sigale e segale
si veda STOLZ, Zur Geschichte der Landwirtschaft cit., pp. 115-116. Per quanto
riguarda l’uso di siligo per il frumento si veda invece MONTANARI, L’alimentazione
contadina cit., pp. 121-122.
234 Sul “colore del pane” nell’alto medioevo e il suo significato “ideologico” cfr.
M. MONTANARI, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa,
Roma-Bari 1993, pp. 41-44. Per quanto riguarda l’area tirolese cfr. ALBERTONI, Le
cronache cit., p. 50. Questo aspetto è confermato dalle tradizioni popolari tirolesi legate al pane. Si veda a tal proposito DE RACHEWILTZ, Brot cit., pp. 52-56.
Sull’uso del pane di segale tra i contadini sono assai interessanti questi versi del
Ruodlieb, un poema in versi del secolo XI d’area bavarese, relativi a un giovane
povero che riceve per elemosina un tozzo di pane «Sua vis is huc veniens iuvenis nudus vel egenus / Vadit ad hunc, primo panem mendicat ab illo. / Qui sibi
buccellam sigalinam vix dedit unam; / Hanc dum suscepit, reverenter stabat et
edit» (cfr. Ruodlieb, a cura di F.P. Knapp, Stoccarda 1977, VI, vv. 42-45).
235 Cfr. STOLZ, Zur Landwirtschaft cit., p. 121.
236 Cfr. p. es. MONTANARI, L’alimentazione contadina cit., pp. 153-165.
237 Cfr. W. ROTTLEUTHNER, Die alten Lokalmasse und Gewichte nebst den Ei-
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N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
Infine in modo indiretto possiamo ipotizzare anche una coltura relativamente diffusa dell’orzo – testimoniata tra il resto per
periodi successivi – data la presenza della birra che, come ci
ricorda Giona nella Vita di San Colombano, «ex frumenti vel hordei sucos equoquitur»238. La presenza in ambedue gli inventari
sia della birra sia del vino ci introduce nei gusti alimentari dell’epoca. Essa testimonia da un lato la compenetrazione nelle vallate alpine del sistema alimentare mediterraneo e di quello nordico, dall’altro conferma come ad alto livello sociale accanto alla
più popolare birra venisse utilizzato, e naturalmente non solo
per finalità liturgiche, il vino, che poteva assurgere a vero status
symbol239. Il valore del vino è testimoniato anche dall’accanimento con cui talvolta venivano contesi dei vigneti e dalla rilevanza che essi ricoprono nelle nostre fonti240. I vigneti erano
concentrati soprattutto nella conca di Bolzano, là dove ancor oggi vengono prodotti i migliori vini del Tirolo, ma erano diffusi
anche all’interno di diverse aziende fondiarie della Val d’Isarco,
della Val Pusteria e della Carinzia, a conferma di quanto aveva
rilevato già Marc Bloch osservando che «per molto tempo ci si
ostinò a produrre il vino sul posto, come il grano, perfino nelle
regioni in cui le condizioni del suolo, e soprattutto del clima, lasciavano sperare tutt’al più un misero vinello anche nel caso in
tedesco col nome Mutt, esso poteva variare per esempio dai 42,45 litri dell’alter
Meraner Mutt ai 74,400 litri del Korn-Müttel di Anras, in Val Pusteria.
238 GIONA, Vita Columbani cit., in MONTANARI, L’alimentazione contadina cit., p.
385, n. 66. Sulla birra, oltre alla bibliografia riportata da Montanari, si può vedere
per un inquadramento generale anche F. BRAUDEL, Civiltà materiale, economia e
capitalismo (secoli XV-XVIII), vol. I, Le strutture del quotidiano, Torino 1982, pp.
211-214 (ed. or. Civilisation matérielle, économie et capitalisme (XVe-XVIIIe siècle). Le structures du quotidien: le possible et l’impossible, Parigi 1979).
239 Si vedano a tal proposito le considerazioni di MONTANARI in L’alimentazione
contadina cit., pp. 385-386 e nel più recente La fame e l’abbondanza cit., p. 27
sg., in cui viene ricordato come nel secolo IX il concilio di Aix fissò una sorta di
«tavola delle corrispondenze» della quantità di vino, o di birra, che i canonici
regolari possono consumare regolarmente: «ricevano ogni giorno cinque libbre di
vino, se la regione ne produce; se ne produce poco, ricevano tre libbre di vino e
tre di cervogia; se non ne produce affatto, ricevano una libbra di vino... e cinque
libbre di cervogia».
240 Significativa a tal proposito è la contesa «de vineis ad Pauzanam» sorta verso
chungsvorschriften bis zur Einführung des metrischen Mass- und Gewichtssystems und der Staatseichämter in Tirol und Vorarlberg, Innsbruck 1883 (nuova
edizione 1985), pp. 63-86, il quale riporta i valori delle unità di misura in uso nel
Tirolo circa sino alla fine dell’Ottocento. Per quanto riguarda il moggio, reso in
la metà del secolo IX tra il vescovo di Frisinga e quello di Trento riportata in
TUB, n 14, 855. Per quanto riguarda la viticoltura in Tirolo si possono vedere i
vecchi ma sempre validi F. TUMLER, Herkunft und Terminologie des Weinbaues
im Etsch- und Eisaktale, Innsbruck 1924 (= SS, n 4) e O. STOLZ, Zur Geschichte
des Weinbaues in Tirol, in «Der Schlern», 22 (1948), pp. 330-337.
194
195
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VESCOVI , CONTI E CONTADINI
cui l’annata fosse stata abbastanza buona»241. Per quanto riguarda la determinazione delle unità di misura utilizzate per il vino,
ci troviamo nella solita difficoltà. La più utilizzata è la carrata,
che ricorre anche in fonti d’età più tarda, e che sembra rimandare soprattutto alle modalità di trasporto del vino dal luogo di
produzione al “consumatore”242.
Oltre al vino e ai cereali il clericellus e Erimberto dovevano
ricevere anche carni e formaggio. Questo è uno dei pochi riferimenti concreti all’allevamento presenti nella nostra documentazione assieme a un richiamo a non ben precisati animales, che
si trovavano in una hoba ad Aschau, nella Valle dell’Inn243.
Maiali, agnelli, capre probabilmente erano presenti nelle diverse
aziende agrarie, ma non erano oggetti di scambi o vendite che
meritassero un’annotazione scritta. La loro presenza è testimoniata indirettamente anche dalla menzione frequente di pascoli,
che naturalmente senza armenti non avrebbero avuto una ragion
d’essere.
Abbiamo parlato di campi, di prati, di alpeggi; il paesaggio
medievale però era caratterizzato soprattutto dalla presenza del
bosco, delle foreste, che costituivano, per riprendere una felice
immagine di Jacques Le Goff «lo sfondo naturale e psicologico
[...] della cristianità medievale d’Occidente»244. Ma i boschi erano
anche – e forse soprattutto – un’importante risorsa economica245.
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
Essi erano “usati” quotidianamente per varie attività che andavano dall’allevamento del bestiame alla caccia, alla pesca, alla raccolta di frutti spontanei, al taglio del legname per le abitazioni.
Questo sfruttamento economico naturalmente era condizionato
dalla tipologia dei boschi, assai diversi a seconda della collocazione geografica, del clima e delle consuetudini delle singole
popolazioni. Non bisogna sottovalutare, per esempio, la netta
differenza tra i boschi padani, costituiti soprattutto da latifoglie e
posti in pianura, e i boschi alpini o montani, composti da pini,
abeti e larici, spesso fitti e impenetrabili, quasi sempre situati su
pendici assai ripide. Questo secondo tipo di boschi può venir
“utilizzato” con maggior difficoltà ed è importante soprattutto
per il legname – particolarmente utile in una zona dal clima
molto rigido – e per la caccia. Lo stretto legame bosco-caccia è
testimoniato per l’area tra Inn e Adige da un diploma regio
dell’893 con il quale re Arnolfo concesse al vescovo di Sabiona
Zaccaria i diritti di caccia «infra cuiusdam foresti ad episcopium
suum pertinentis» di cui vengono riportati con precisione i confini246. In questo diploma e in quello di pochi anni dopo relativo
alla donazione della «curtis Prihsna»247 l’area boschiva viene indicata con l’espressione forestis, un termine con il quale, secondo
Bosl, si voleva sottolineare la sottrazione del bosco ai diritti
comunitari, la sua appartenenza a una grande “riserva signorile”248. I nostri due casi sembrano confermare la proposta inter-
241 M. BLOCH, I caratteri cit., p. 27. Vigne e vino prima del Mille sono menziona-
ti nei seguenti documenti: QU, n 1, 827; TUB, n 7, 830; TUB, n 13, 855-65 e 102255; TUB, n 14, 855; TUB, n 15, 857; UBHA, n 2, 888; UBHA, n 4, 901; TUB, n 24,
923; TUB, n 31, 967; TUB, n 33, 975-1000; UBHA, n 8, 977; UBHA, n 10, 979;
TBHB, n 16, 985; TBHB, n 17, 985-93; TBHB, n 28, 993-1000; TBHB, n 30, 9951005; TBHB, n 31, 995-1005; TBHB, n 37, 995-1005; TBHB, n 41, 995-1005;
TBHB, n 42, 995-1005; TBHB, n 50, 995-1005; TBHB, n 60, 1005.
242 Paul Scheuermeier in Il lavoro dei contadini, Milano 1980, vol. 1, p. 156 (ed.
or. Bauernwerk in Italien und in der italienischen und rätoromanischen
Schweiz. Eine sprach- und sachkundliche Darstellung landwirtschaftlicher
Arbeiten und Geräte, Zurigo 1943) ricorda come fino ai primi decenni del secolo
XX nell’Italia nord-orientale fosse assai diffuso l’uso di trasportare sui carri botti
orizzontali.
Medioevo, vol. I, Spoleto 1990 (Discorso inaugurale alla XXXVII Settimana di
Studio del CISAM).
246 UBHA, n 3, 31 maggio 893 «[...] id est forestis ad Lusinam usque in vicum
Millana ad domum Amalberti, deinde usque in montem Numeratorium et inde
usque in monte qui dicitur Susulona et inde usque in verticem montis Elinae
indeque in Oneia, deinde ad fluvium Pirra nuncupatum qui pertinet ad comitatum, inde etiam usque in Campannam [...]».
247 UBHA, n 4, 13 settembre 901.
248 BOSL, Die Gründung cit., p. 456, in cui l’autore afferma che forestis non indi-
1988, p. 10. Si vedano inoltre i saggi raccolti in V. FUMAGALLI, L’uomo e l’ambiente nel Medioevo, Roma-Bari 1992, in particolare i primi due capitoli in cui
Fumagalli ha rielaborato una ricerca già apparsa in L’ambiente vegetale nell’alto
cava un Waldgebiet ma «ein durch königliche “Einforstung” aus der allgemeinen
Nutzung herausgenommenes Gebiet [...]» («non un bosco naturale ma “un territorio” che era stato sottratto all’utilizzo comune tramite un’“inforestazione” regia»).
Sul rapporto forestis-caccia si veda anche GASSER, Zur Geschichte cit., pp. 8-10.
Mi sia permesso a tal proposito rimandare anche al mio Boschi nell’immaginario
e boschi nella realtà: riflessioni sulla presenza e l’uso dell’incolto nell’Alto-Adige
medioevale in Il bosco nel Medioevo cit., pp. 173-183. Per quanto riguarda la caccia, essa viene ricordata tra i diritti collegati alle diverse proprietà già nella fondazione del monastero di San Candido del 769 (THF, n 34) e viene menzionata
più volte successivamente in rapporto ai boschi; cfr.: UBHA, n 2, 888; UBHA, n 3,
196
197
243 TBHB, n 28, 993-1000.
244 J. LE GOFF, Il basso medioevo, Milano 19802 (= vol. 11 della Storia Universale
Feltrinelli), p. 24 (ed. or. Das Hochmittelalter, Francoforte 1965).
245 Cfr. Il bosco nel Medioevo, a cura di B. Andreolli e M. Montanari, Bologna
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VESCOVI , CONTI E CONTADINI
pretativa dello storico tedesco, anche se ritengo che la forestis
più che ai boschi comunitari si contraponesse ai tanti boschi allodiali testimoniati dalle fonti, boschi indicati generalmente com e silvae; essi molto spesso facevano parte di proprietà fondiarie, grandi e piccole, e non sembrano essere stati sottoposti ad
una gestione comunitaria, come invece avverrà in epoca successiva249. Non abbiamo indicazioni precise sullo sfruttamento delle
loro risorse; che essi ricoprissero un ruolo importante ci viene
confermato anche da alcune liti che potevano accendersi per il
loro possesso. Verso la fine del secolo X per esempio proprio il
vescovo Albuin e suo fratello Aribone ebbero un diverbio per la
«silva... ad predium Stein attinens»250.
Anche per l’uso dei boschi quindi la nostra zona si presenta
come un’area di confine tra tradizioni e modelli di sviluppo differenti; al contrario di quanto accadeva nell’Italia padana, il predominio del modello di vita aristocratico-militare, all’interno
dello stesso clero, portò almeno sino al Mille a una specifica
tutela delle aree boschive; la conformazione dei boschi, poi,
restrinse notevolmente le possibilità di un loro sfruttamento economico, benché essi mantenessero sempre una posizione di particolare importanza all’interno delle diverse proprietà fondiarie.
Questi dati, pur essendo parziali e spesso casuali, forniscono
una prima impressione generale sulle colture altomedievali tra
893; UBHA, n 4, 901; TUB, n 24, 923; UBHA, n 10, 979; TBHB, n 9, 985-90;
UBHA, n 11, 999; UBHA, n 15, 1011; UBHA, n 16, 1020.
249 Almeno per quanto riguarda la nostra area d’indagine, sino a tutto il secolo
XI non c’è alcuna menzione di boschi comunitari. Naturalmente ciò non significa
che essi non esistessero; quest’assenza fa riflettere sul fatto che il “comunitarismo” dei Germani è stato spesso eccessivamente enfatizzato, portando a trascurare una realtà in cui era assai diffusa la proprietà allodiale. Il termine silva prima
del Mille circa appare in questi documenti: TUB, n 6, 827; TUB, n 15, 857; TUB, n
18, 875; UBHA, n 2, 888; TUB, n 21, 890; UBHA, n 4, 901; TUB, n 27, 931; TBHB,
n 2, 935-55; TBHB, n 3, 955-75; TBHB, n 4, 955-75; TUB, n 31, 967; UBHA, n 7,
967; UBHA, n 8, 977; UBHA, n 10, 979; TBHB, n 9, 985-990; TBHB, n 28, 9931000; TBHB, n 30, 995-1005; TBHB, n 31, 995-1005; TBHB, n 34, 995-1005;
UBHA, n 11, 999; UBHA, n 13, 1002; TBHB, n 60, 1005; TBHB, n 63, 1005; UBHA,
n 15, 1011; UBHA, n 16, 1020. In due documenti troviamo il termine nemus,
usato in un caso accanto a silva – UBHA, n 10, 979 – e in un altro per descrivere
una parte di un pratus – TBHB, n 64, 1006. Soprattutto quest’ultimo caso potrebbe far pensare che il termine non si riferisca a un bosco vero e proprio, ma alla
boscaglia. Siamo però a livello di supposizione. In due altri casi invece ci troviamo di fronte in modo chiaro a un bosco particolare, il salectum, ovvero il saliceto: TUB, n 31, 967; UBHA, n 8, 977.
250 TBHB, n 34, 995-1005.
198
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Inn e Adige, in cui ricoprivano un ruolo rilevante i vigneti nella
piana bolzanina e i cereali, segale e frumento soprattutto, nelle
diverse vallate laterali251. L’insediamento agricolo nel secolo X
appare pertanto già sviluppato e relativamente esteso, a conferma dell’esistenza di una struttura insediativa ormai consolidata.
Dai diversi documenti emerge anche un numero cospicuo di
proprietari terrieri, grandi e piccoli, che vendono, donano o
scambiano le loro proprietà; tra i “beni” al centro delle diverse
transazioni c’erano spesso uomini in stato di dipendenza. È
giunto il momento ora di soffermarsi su quest’aspetto, che può
fornire delle indicazioni importanti per ricostruire il sistema di
produzione diffuso tra Inn ed Adige.
4.4 Il controllo degli uomini
Il controllo del territorio spesso in età medievale comportava
anche il controllo degli uomini. La determinazione delle modalità di queste forme di dominio personale ci può aiutare a comprendere quanto il rafforzamento della grande proprietà andasse
di pari passo con la creazione di aree signorili e di nuove gerarchie sociali.
Il tema del servaggio prima del Mille da alcuni decenni è tornato al centro di un ampio dibattito, dedicato alla determinazione
della cesura tra schiavitù antica e servaggio medievale. Benché
esso si sia sviluppato con nuovo vigore a partire dagli anni
Settanta, grazie soprattutto agli studi di Duby, Bonassie, Toubert
e Bois, in realtà trova le sue origini nei saggi di Marc Bloch dedi-
251 Le nostre fonti non ci permettono alcuna ipotesi sicura sul tipo di rotazione
agricola, biennale o triennale, in uso. STOLZ, Zur Geschichte cit., p. 95, ritiene che
un documento dei Libri traditionum di Sabiona-Bressanone attesti in modo inequivocabile la presenza del sistema tripartito. Egli fa riferimento a TBHB, n 46b,
995-1005, in cui a conclusione di una donazione di una proprietas a Vomp, nella
bassa valle dell’Inn, viene riportata la seguente summa iugerum: «in unaqueque
messe quindecim, in alia novem, in tercia octo et dimidium». Per Stolz sarebbero
indicati in tal modo tre raccolti annuali. La sua ipotesi in parte può essere accettata, anche se il testo non è molto chiaro. Resta in ogni caso un dubbio: il documento TBHB, n 46b è una nuova redazione di TBHB, n 46a con alcune aggiunte,
tra cui proprio la parte sopra riportata. Nulla può escludere che si tratti di un’annotazione aggiunta in epoca successiva a causa di una nuova situazione non
contemplata nel documento “originale”. Per questo motivo ritengo che, pur non
trascurando l’importante indicazione di Stolz, non si debbano trarre da questo
documento delle conclusioni affrettate.
199
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
cati alla servitù nella società medievale, che cercavano di dare
delle risposte a importanti questioni storiografiche, sollevate nel
corso della seconda metà del XIX secolo soprattutto in ambito
tedesco252. Il nodo della questione può essere riassunto in questo
interrogativo: il servo medievale va equiparato allo schiavo antico? Per Marc Bloch no. In un suo famoso saggio, intitolato in
modo inequivocabile Comment et pourquoi finit l’esclavage antique253, infatti sottolineava come tra il V ed il IX secolo sia avvenuto un processo di trasformazione delle condizioni di dipendenza, dovuto soprattutto a elementi di ordine economico, politico e
militare. Il frazionamento del grande latifundum secondo Bloch
aveva reso economicamente svantaggioso il mantenimento di
schiavi, dipendenti economicamente dal signore fondiario. Gradualmente perciò gli schiavi sarebbero stati sostituiti dai tenancier: «Essi continuavano a faticare per il loro padrone; essi però
non erano più mantenuti da lui, così come oggi un padrone non
mantiene i suoi operai; la terra che era stata loro ceduta… costituiva in qualche modo il loro salario, del quale dovevano vivere»254. Quest’interpretazione si contrapponeva a quella che negli
stessi anni era venuto sviluppando Alphons Dopsch, il quale non
vedeva alcuna cesura rilevante in riferimento alla condizione servile in seguito alle invasioni germaniche255.
252 Non è possibile riportare in questa sede la vastissima bibliografia esistente su
questo argomento. A titolo esemplificativo, per quanto riguarda il dibattito degli
ultimi anni si possono richiamare: P. BONASSIE, Survie et extinction du régime
esclavagiste dans l’occident du haut moyen âge (IVe-XIe siècle), in «Cahiers de
civilisation médiévale» (1985), pp. 307-43; BOIS, L’anno Mille cit.; P. TOUBERT, Les
structure du Latium médiéval. Le Latium méridionale et la Sabine du IXe à la fin
du XIIe siècle, Parigi-Roma 1973; C. VERLINDEN, L’esclavage dans l’Europe médiévale, II, Italie, colonies italiennes du Levant, Levant latin, Empire byzantin, Gent
1977. I saggi di Marc Bloch sul tema della servitù sono raccolti in M. BLOCH, La
servitù nella società medievale, Firenze 1975. Per quanto riguarda l’Italia la sintesi
più recente è F. PANERO, Servi e rustici. Ricerche per una storia della servitù, del
servaggio e della libera dipendenza rurale nell’ Italia medievale, Vercelli 1990.
Per l’area del Tirolo non esistono delle ricerche specifiche sulla servitù altomedievale, tema affrontato in parte da DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit. Per l’area
bavarese il riferimento fondamentale è costituito dalle più volte citate opere di
Philippe Dollinger e Michael Banzhaf.
253 Questo saggio venne pubblicato postumo in «Annales, ESC», n 2 (1947), pp.
30-44 e 161-70, ed è reperibile in traduzione italiana in BLOCH, Lavoro e tecnica
cit., pp. 221-263.
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
Il problema della trasformazione del servaggio a partire dai
primi anni Cinquanta venne ricontestualizzata da Georges Duby
all’interno del più vasto tema della “trasformazione feudale”
avvenuta attorno al Mille256. Duby non accettò la distinzione
proposta da Marc Bloch e, sia pure indirettamente e in tutt’altro
contesto, riprese in parte la tesi di Dopsch: egli infatti si dichiarò
convinto che «Né la società romana né quella germanica erano
società di uguali [...]. Entrambe le società praticavano la schiavitù, e lo stato di guerra permanente manteneva costante il peso
di una classe servile rinnovata ogni estate dalle razzie operate
nei territori dei popoli vicini [...]. Andavano delineandosi tre
situazioni economiche fondamentalmente diverse: quella degli
schiavi, totalmente alienati, quella dei contadini liberi e quella
dei potenti [...]»257. Coloro che nelle fonti altomedievali venivano
definiti come servi, ancillae o mancipia sarebbero stati pertanto
delle persone prive di qualsiasi diritto: «erano attrezzi di valore,
se in buono stato»258. Con Duby si aprirono nuove prospettive
d’indagine attraverso le quali si cercò di verificare a livello regionale la permanenza delle condizioni di schiavitù. Le intuizioni di
Duby trovarono conferma in un’importante ricerca di Pierre
Bonassie pubblicata a metà degli anni Ottanta, secondo la quale
la schiavitù si sarebbe mantenuta per tutto il Medioevo, sia pur
in forme via via più marginali259. Ma è stato soprattutto Guy Bois
a riaprire in modo irruento questo dibattito con la sua analisi relativa al villaggio di Lournand, con la quale ha voluto dimostrare
la permanenza, almeno sino a tutto il X secolo, della schiavitù
antica260. Secondo Bois infatti sino a quell’epoca il servus era
una mera proprietà del suo padrone, non poteva possedere
alcunché ed era totalmente escluso dall’ambito del diritto pubblico, non avendo pertanto alcuna possibilità di partecipare alla
vita pubblica261.
256 Per quanto riguarda questa teoria di Duby si vedano le considerazioni fatte
nel paragrafo 3.3.
257 G. D UBY , Le origini dell’economia europea. Guerrieri e contadini nel
Medioevo, Roma-Bari 1978, p. 39 (ed. or. Guerriers et paysans. VIIe-XIIe siècle.
Premier essor de l’économie européenne, Parigi 1973).
258 DUBY, Le origini dell’economia europea cit., p. 40.
259 BONASSIE, Survie et extinction cit.
254 BLOCH, Lavoro e tecnica cit., p. 227.
260 BOIS, L’anno Mille cit.
255 Marc Bloch criticò aspramente la posizione di Dopsch in M. BLOCH, La
261 B OIS , L’anno Mille cit., pp. 19-20. In relazione al secondo punto, Bois
società dell’alto Medioevo e le sue origini, in ID., La servitù cit., pp. 3-28.
ammette che nei documenti esistono dei servi con proprietà, ma essi risultereb-
200
201
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
Sino all’anno Mille per Bois la società occidentale sarebbe
stata basata sul sistema di produzione schiavistico, i cui presupposti sarebbero stati messi in crisi solo nel secolo successivo.
Egli, riprendendo in parte strumenti d’analisi di derivazione
marxista, ritiene infatti necessario riflettere non tanto sulla schiavitù in se stessa, quanto sul sistema economico all’interno del
quale essa svolgeva la sua funzione strutturale. Il tema della
schiavitù quindi con Bois viene inserito in un problema più
ampio, attraverso la cui analisi è possibile riconoscere un particolare sistema di produzione, al di là delle pur importanti analisi
storico giuridiche262.
Quest’approccio che privilegia le strutture economiche non è
stato seguito invece da Jean-Pierre Poly e Eric Bournazel nella
loro sintesi dedicata al “mutamento feudale” che sarebbe avvenuto tra il X e il XII secolo263. Recuperando in parte la prospettiva d’analisi di Marc Bloch, essi ritennero che se si pone la distinzione tra schiavo e servo in base al criterio secondo il quale il
primo sarebbe un mero instrumentum vocale, privo di ogni diritto, e il secondo un membro di una comunità di cristiani, soggetto a determinate privazioni e gravato di tasse degradanti, il
problema resta insolubile, perché fin dall’antichità la schiavitù fu
per certi versi una finzione giuridica. La demarcazione tra le due
condizioni andrebbe ricercata invece, secondo i due storici francesi, nel modo di comminare punizioni. Attraverso questo strumento d’analisi può essere colta allora la presenza, a partire dall’età carolingia, di entrambe le condizioni, che, verso la fine del
secolo X sarebbero andate declinando contemporaneamente al-
bero minoritari e sempre appartenenti a enti ecclesiastici. Quindi sarebbero eccezioni di scarsa rilevanza. Questo modo di procedere, proteso quasi esclusivamente alla ricerca di conferme della teoria iniziale, appare talvolta approssimativo, soprattutto in considerazione al fatto che riguarda uno dei pilastri centrali
dell’argomentazione dello storico francese. Non importa infatti se i servi con proprietà fossero di enti ecclesiastici, è rilevante il fatto che la loro presenza sia stata
documentata. E questa presenza non può esser liquidata con una battuta.
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
l’aumento dell’affrancamento e al declassamento in condizioni di
dipendenza di molti liberi. In questo modo durante il secolo XI
si sarebbe formato un nuovo strato sociale all’interno del quale
venne sviluppandosi una forma di servaggio corrispondente alla
nuova struttura della società.
Il dibattito sul servaggio avvenuto in area francese ha trovato
un’eco anche in Italia dove purtroppo mancano ricerche a carattere regionale che possano permettere di confrontare le tipologie di assoggettamento della penisola con quelle sviluppatesi a
nord delle Alpi264. Solamente Francesco Panero ha tentato in
tempi recenti di avviare una prima ricognizione sugli studi dedicati alla dipendenza rurale nell’Italia centro-settentrionale, con
particolare riferimento all’area piemontese265. Egli, richiamandosi
agli studi pioneristici di Marc Bloch, ha preso le distanze dalle
interpretazioni di Duby, Bonassie e Bois e ha sottolineato la particolarità dell’esperienza dell’Italia settentrionale; Panero infatti
ritiene che sia necessario distinguere nettamente tra schiavitù antica, in cui lo schiavo era una vera e propria res del padrone, e
servitù altomedievale, in cui gradualmente, per effetto soprattutto della cristianizzazione delle campagne, il servus d a res divenne persona, come confermerebbero diverse norme presenti nei
testi normativi longobardi e franchi. Tra i secoli X e XI poi vi sarebbe stato un lento ma inesorabile livellamento della condizione contadina che avrebbe portato a una parziale scomparsa della servitù, che riapparirà sotto nuove forme nei secoli successivi,
in un’epoca in cui l’assetto delle campagne in Italia settentrionale risulterà fortemente modificato dal nuovo ruolo delle città.
Il tema del servaggio altomedievale non è mai stato affrontato in modo specifico nemmeno per l’area del futuro Tirolo, forse
anche perché esso avrebbe portato a dei risultati difficilmente
assimilabili con il topos della libertà del contadino tirolese. Solamente Alois Deutschmann ha cercato agli inizi del secolo di definire lo status giuridico e sociale di coloro che appaiono in con-
262 Cfr. BOIS, L’anno mille cit., p. 42 dove lo storico francese afferma «[...] ci si è
ostinati a considerare la schiavitù in se stessa, a calcolare le cause della sua
scomparsa supponenendo a priori che un elemento della struttura avesse potuto
sparire indipendentemente da questa. Era una falsa pista [...]. Ma non si tratta
anche dell’effetto di una carenza concettuale legata al rifiuto di identificare un
complesso sociale? Il vero problema, mi pare, non è quello della fine della schiavitù: è quello della fine di un sistema schiavistico preso nel suo insieme. Dopo
l’anno Mille, l’elemento è stato spazzato via col tutto...».
nomia curtense oppure è stato affrontato soprattutto da un punto di vista storicogiuridico. Non a caso il lavoro di più ampio respiro sull’argomento rimane ancora quello di G. LUZZATTO, Dai servi della gleba agli albori del capitalismo, RomaBari 1966 (ed. or. 1910); tra le opere più recenti, oltre a quella di Panero possiamo ricordare anche quella dedicata alla tarda antichità di A. CARANDINI, Schiavi
in Italia. Gli strumenti pensanti dei Romani fra tarda antichità e medio Impero,
Roma 1988.
263 POLY, BOURNAZEL, Il mutamento feudale cit., pp. 185-206.
265 PANERO, Servi e rustici cit.
202
264 Il servaggio per lo più è stato trattato nell’ambito del più vasto tema dell’eco-
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VESCOVI , CONTI E CONTADINI
dizioni di dipendenza nelle fonti altomedievali266. A suo giudizio
sino alla fine del secolo X lo strato sociale in condizioni di
dipendenza personale era composto soprattutto da persone di
origine etnica latina. All’interno di questo gruppo egli distinse tra
mancipia, servi e coloni. Con i primi due termini sarebbero state
indicate persone in piena condizione servile, anche se servus
avrebbe nascosto una particolare ambiguità, in quanto con esso
sarebbero stati indicati sia schiavi nel vero senso della parola,
appartenenti alla familia signorile, sia lavoratori di beni signorili267. Con colonus invece si sarebbero intesi dei “semi-liberi”,
legati al suolo che lavoravano ma con diritto ereditario sui propri beni. In quest’analisi Deutschmann, come s’è già accennato
in precedenza, faceva riferimento soprattutto agli studi di
Meitzen, il quale aveva cercato di ricondurre le tipologie dell’insediamento e dello sfruttamento di terre e uomini alle particolari
tradizioni delle diverse etnie. Meitzen a sua volta si inseriva nell’ampio dibattito incentrato inizialmente attorno alla teoria dei
cosiddetti Gemeinfreien, strettamente collegata con quella della
Markgenossenschaft, secondo la quale i popoli germanici sarebbero stati costituiti originalmente da una comunità composta da
contadini liberi e guerrieri che disponevano di terreni non vincolati in alcun modo268. Fu soprattutto von Maurer a sostenere che
al momento del loro insediamento i popoli germanici avrebbero
costituito delle Markgenossenschaften, ovvero dei villaggi con
gestione comunitaria dei campi, caratterizzati dall’uguaglianza e
dalla libertà di tutti coloro che ne facevano parte269. Naturalmente von Maurer non negava l’esistenza di forme di servaggio
all’interno di questo tipo di società; anzi, essendo la libertà la
caratteristica dell’uomo libero, la condizione di assoggettamento,
se vi era, doveva essere totale, doveva corrispondere all’assoluta
Rechtslosigkeit270. Le analisi di von Maurer e Meitzen intrecciavano temi storico-culturali con osservazione di tipo etnico-naziona-
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N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
le, ponendo le basi per un approccio stimolante ma anche assai
pericoloso, che facilmente poteva sfociare in pregiudizi nazionalistici, se non razzistici271. Anche l’impianto di base della ricerca
di Deutschmann risente fortemente di questo vizio di base, pur
contenendo diverse intuizioni interessanti.
Su un piano totalmente diverso si poneva invece l’analisi del
mondo rurale della Baviera medievale fatta durante gli anni
Quaranta da Philippe Dollinger, uno dei pochi storici che abbia
cercato di collegare assieme i migliori risultati della storiografia
francese e di quella tedesca272. Egli proveniva dalla scuola di Marc
Bloch e Charles-Edmond Perrin e, come il primo, si mostrò particolarmente attento nei confronti di quanto era stato studiato e
proposto in ambito tedesco. La sua opera, il cui titolo forse è riduttivo, tratta in modo ampio tutti gli aspetti della società bavarese tra IX e XIII secolo, con particolare attenzione al mondo contadino. Per quanto riguarda il problema schiavitù-servaggio egli riteneva che non vi fosse una dicotonomia, ma una compresenza di
diverse forme di dipendenza personale. Infatti a suo avviso tra il
IX ed il XIII secolo si possono individuare tre tipi di “non-liberi”:
– i servi sottoposti a una totale dipendenza nei confronti del
loro signore, alloggiati presso il signore stesso o un suo rappresentante all’interno della proprietà fondiaria;
– i tenanciers non liberi, spesso costretti a corvées e a tributi;
– i ministeriali, che nel corso del secolo XI secolo si svilupperanno dalla fusione tra coloni liberi e quelli in condizione
servile.
Solamente i primi si sarebbero trovati in una condizione
pressoché identica con quella degli schiavi dell’antichità273. Questa distinzione di Dollinger, anche se discutibile in alcuni suoi
aspetti, è di grande importanza da un punto di vista euristico, in
quanto permette di cogliere la molteplicità delle forme di dipendenza che, nella medesima epoca, potevano determinare
condizioni personale di diverso inquadramento giuridico. La ricerca di Dollinger però ha incontrato scarso interesse da parte
266 DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., pp. 42 sg. e 127 sg.
267 Cfr. DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., p. 45, nota 147.
268 Su Meitzen e il ruolo delle sue teorie per la storiografia tedesca cfr. CAMMAROSANO,
Ambienti e popolazioni cit., pp. 511-521.
269 Cfr. G.L. VON MAURER, Einleitung zur Geschichte der Mark-, Hof-Dorf- und
Stadtverfassung und der öffentlichen Gewalt, Aalen 1966 (ed. or. 1854). La teoria
di von Maurer venne ripresa e approfondita da storici del diritto come O. von
Gierke, H. Brunner e K.T. Inama-Sternegg.
270 Cfr. BANZHAF, Unterschichten cit., p. 156.
204
271 In questa sede non può esser approfondito un tema di tale portata. Per un
inquadramento generale su questi temi rimando a SERGI, Un impero sperimentale
cit., pp. 31-44.
272 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit.
273 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., a p. 245 infatti l’autore dice in
modo inequivocabile riferendosi ai servi cottidiani «Ihr Status ist fast identisch mit
dem Status der Sklaven in der Antike» («Il loro status è quasi identico a quello
degli schiavi dell’antichità»).
205
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
della maggior parte dei medievisti tirolesi. In parte si è discostato da quest’approccio Josef Riedmann secondo il quale in base
alle fonti disponibili per il Tirolo, i “non-liberi” possano essere
suddivisi tra mancipia e servi, ovvero tra persone in totale condizione di dipendenza, prive di ogni prerogativa giuridica e persone che, pur essendo in condizioni di dipendenza personale
potevano disporre di proprietà274. In particolare i servi di enti
ecclesiastici sarebbero stati degli ex-liberi, tra cui vi erano anche
i vassalli e i milites, dai quali successivamente si sarebbero sviluppati i ministeriali. Riedmann però non spiega né l’epoca né la
modalità di questo processo di asservimento, non distinguendo
in modo chiaro il rapporto di dipendenza di tipo beneficiario da
quello servile, non derivante da alcuna disposizione contrattuale.
Le ricerche sul servaggio in ambito tirolese dunque appaiono
carenti e pertanto si rende necessario un ritorno alle fonti, per
interrogarle, per rianalizzarle, per verificare se, a livello regionale, ci permettono di inquadrare la presenza o lo sviluppo di particolari “sistemi di assoggettamento”.
«Si è servi o liberi, nient’altro»: con questa risposta, data da un
consigliere di Carlo Magno a un messo, il problema del servaggio sembrerebbe totalmente chiarito, se non dal punto di vista
contenutistico almeno da quello formale e linguistico275. Purtroppo nella nostra documentazione non vi è una distinzione altrettanto rigorosa a causa dell’uso di termini di tipo diverso – all’interno anche dello stesso documento – per designare persone di
condizione servile. La differenza tra servus, mancipium, famulus, ministerialis, parscalchus, ancilla – tutti termini presenti nei
nostri atti – è dettata solamente da un’imprecisione e approssimazione linguistica o denota anche una diversità di condizione
giuridica? L’unica via che abbiamo per dare una risposta a questa domanda è quella di verificare il contesto all’interno del
quale questi termini vengono utilizzati, per seguire il loro uso, la
loro modificazione.
Nei Libri traditionum dell’episcopio di Sabiona-Bressanone in
un documento si narra la vicenda di un certo Huitpold, un alamanno che verso la fine del secolo X giunse nel territorio dell’episcopato dove il vescovo gli aveva assegnato per un suo servi-
274 Cfr. RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 310.
275 MGH Capit. I, n 58. Nel documento si dice in modo molto chiaro «... non est
amplius nisi liber et servus». La questione posta dal messo regio riguardava l’appartenenza di un bambino nato da servi con padroni diversi.
206
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
zio un beneficium276. Qui egli sposò un’ancilla dell’episcopio
dalla quale ebbe un figlio, che viene definito come ecclesie servus. L’amore per la sua nuova famiglia lo spinse probabilmente a
trasferirsi a titolo definitivo a sud del Brennero, dove acquistò un
predium e trasferì i mancipia che possedeva in Svevia. Prossimo
ormai alla morte, diede i suoi beni a Rihheri, un nobile, affinché,
qualora egli fosse morto prima di una data prefissata, tutte le sue
proprietà venissero assegnate a suo figlio «in facultatem et proprietatem», cosa che puntualmente accadde. Questo documento
ci presenta immediatamente tutta la complessità della struttura
sociale nell’area al centro della nostra indagine. In esso troviamo
un libero, in rapporto beneficiario con il vescovo, che sposa una
serva e il cui figlio mantiene la condizione della madre ma contemporaneamente può risultare proprietario a pieno titolo non
solo di terreni ma anche di altre persone in condizione servile.
Questo non è l’unico caso in cui un servus risulta essere proprietario di beni o persone. All’incirca sempre alla stessa epoca viene
ricordato un altro servus figlio di un nobile che riceve in eredità
una parte di una proprietà e dei mancipia, da dividere con l’episcopato di Sabiona-Bressanone277.
Dalla nostra documentazione sembrerebbe quindi che solamente i servi figli di liberi potessero essere proprietari di beni e
persone. Anche nelle fonti di area bavarese sono riportati casi di
non-liberi proprietari, nonostante la Lex Baiuvariorum ammettesse solamente una proprietà sotto tutela, per la quale era
necessaria un’autorizzazione del padrone278. Purtroppo però né
Banzhaf, né Dollinger nelle loro ricerche sulla Baviera presentano in modo chiaro i rapporti di parentela di questi servi, per cui
non possiamo ritrovare un riscontro ai nostri documenti. In ogni
caso essi dimostrano come ancora nel X secolo fossero diffusi
matrimoni tra persone di status sociale diverso e come, conformemente alle disposizioni delle leggi romano-germaniche, il
figlio di un libero e di una serva perdesse le prerogative di
piena libertà del padre. I nostri due casi mostrano anche come
276 TBHB, n 55, 995-1005. Da notare come in questo documento interessantissimo per diversi aspetti, la diocesi venga percepita alla stregua di un territorio, una
circoscrizione territoriale, per la quale non è necessario indicare alcun riferimento alla distrettuazione pubblica. Il testo del documento a tal riguardo è «[...] advena Alamannus nomine Hupold in episcopatum Sapionensis ecclesiae usque
venit...».
277 TBHB, n 11, 985-93.
278 Cfr. BANZHAF, Unterschichten cit., p. 191.
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SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
essi mantenessero ugualmente una collocazione di semi-privilegio, che li poneva se non giuridicamente sicuramente di fatto su
di un gradino diverso rispetto alle altre persone di condizione
servile. I servi dunque potevano essere proprietari, ma ciò non
significa che essi fossero dei liberi declassati, bensì l’esatto contrario: erano dei servi privilegiati, ma pur sempre dei servi.
Infatti la condizione normale dei servi era ben altra: essi potevano essere venduti279, scambiati280, donati281 con o senza terreni.
Non solo in genere non disponevano di proprietà, ma erano essi
stessi proprietà a pieno titolo, anche se potevano svolgere
mestieri di tipo artigianale o addirittura essere dei chierici282.
Quindi, anche se il loro status economico o sociale era di un
certo riguardo, il loro status giuridico rimaneva quello della servitù, che assolutamente non può esser confuso con la dipendenza di liberi dovuta a concessioni “precarie” o ad accomandazioni283.
Il figlio dell’alamanno Huitpold, come abbiamo visto, oltre a
dei beni fondiari ereditò dal padre anche dei mancipia, termine
assai ambiguo che a seconda delle fonti e dei luoghi assume
delle sfumature diverse. Secondo Dollinger con esso in area bavarese potevano essere definite sia persone in condizione di dipendenza, sia liberi censuali284. Questa sua posizione venne rimessa in discussione negli anni Sessanta, quando si sviluppò in
Germania Est un importante dibattito sull’origine della società
feudale all’interno del quale vennero condotte ricerche di grande valore, spesso sottovalutate. Tra queste vi era uno studio dedicato alla schiavitù nella Baviera altomedievale di Hannelore
Lehmann, dal quale risultava che tra i secoli VIII e IX i mancipia
erano presenti soprattutto nei beni fondiari dell’aristocrazia in
qualità di veri e propri Hofsklaven, mentre erano assenti da
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N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
quelli fiscali, strutturati in mansi indipendenti285. Michael Banzhaf nella sua recente ricerca sugli strati sociali più bassi della
società bavarese altomedievale in parte ha preso le distanze da
questa posizione, ritenendo che nelle fonti bavaresi il termine
mancipium venga usato soprattutto, ma non esclusivamente, per
i servi non casati286.
Anche nelle nostre fonti i mancipia occupano il livello più
basso del mondo servile. Tranne alcuni casi, essi venivano alienati assieme all’unità fondiaria nella quale operavano, ma sicuramente non erano degli adscripti glebae, come è dimostrato per
esempio dall’episodio dei mancipia di Huitpold, trasferiti dal
loro proprietario dalla Svevia a un predium nella diocesi del
vescovo di Sabiona-Bressanone287, oppure dal fatto che in alcuni
casi fosse necessario specificare che essi erano manentes288. Essi
svolgevano le loro mansioni sia all’interno delle curtes regie, sia
in aziende fondiarie di nobili, liberi o di enti ecclesiastici289. In
285 H. LEHMANN, Bemerkungen zur Sklaverei im frühmittelalterlichen Bayern
und zu den Forschungsmethoden auf dem Gebiet Sozialgeschichte, in «ZfG», n 13
(1965), pp. 1378-1387. Da notare che la Lehmann a sua volta riprendeva in parte
le teorie che un anno prima erano state esposte da E. MÜLLER-MERTENS, Die Genesis der Feudalgesellschaft im Lichte schriftlicher Quellen, in «ZfG», n 12 (1964),
pp. 1384-1402, secondo cui la società altomedievale sarebbe stata contrassegnata
fortemente in Germania dalla presenza dello schiavismo, giungendo ad un’interpretazione assai vicina a quella di Bois. Non è casuale a mio avviso che entrambi
gli storici siano pervenuti a questa conclusione attraverso un’applicazione di
strumenti dalla teoria marxista, in cui il concetto di sistema di produzione ha un
ruolo essenziale. Per una breve presentazione del dibattito sull’origine della
società feudale sviluppatosi nella ex-DDR si veda RÖSENER, Agrarwirtschaft cit.,
pp. 65-66.
286 BANZHAF, Unterschichten cit., pp. 167-168.
287 Per il dibattito storiografico sul tema della “servitù della gleba” rimando a
279 TBHB, n 24, 993-1000 e TBHB, n 48, 995-1005.
280 TBHB, n 20, 985-993 e TBHB, n 63, 1005.
281 TBHB, nn: 32, 995-1005; 49, 995-1005; 51, 995-1005; 58, 1005; UBHA, n 13,
1002.
282 TBHB, n 20, 985-993 e TBHB, n 43, 995-1005.
283 Non sono d’accordo quindi con Werner Rösener quando in I contadini nel
Medioevo, Roma-Bari 1987 (ed. or. Bauern im Mittelalter, Monaco 1985), pp.
251-265 tende a sovrapporre la condizione di servitù con quella di dipendenza
signorile, introducendo il concetto di «libertà non libera».
284 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., pp. 199-200.
208
PANERO, Servi e rustici cit., p. 62 sg., il quale, riprendendo gli studi di Marc Bloch,
tende a ridimensionare fortemente il suo ruolo all’interno delle campagne medievali. Al contrario RÖSENER, I contadini cit., p. 251, seguendo in questo Bosl, ritiene che la servitù della gleba sia stata una delle due forme fondamentali della
servitus medievale, anche se riconosce un suo graduale cambiamento nel corso
dei secoli. Egli non tiene assolutamente in considerazione le osservazioni di
Bloch, i cui saggi sulla servitù non vengono richiamati nemmeno in bibliografia.
Bloch affrontò quest’argomento in M. BLOCH, Servo della gleba, apparso nel 1921
sulla «Revue historique» e ora raccolto in ID., La servitù cit., pp. 265-306.
288 TBHB, n 15, 985-993 e TBHB, n 41, 995-1005.
289 I mancipia appaiono all’interno di curtes nei seguenti documenti: UBHA, n
4, 901; UBHA, n 7, 967; UBHA, n 8, 977; in villae in: TUB, n 15, 857; in praedia
in: TUB, n 27, 931; TBHB, n 28, 993-1000; TBHB, n 30, 995-1005; TBHB, n 55,
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nessun caso vengono specificati i loro compiti e le loro funzioni,
come se fossero scontati, mentre spesso viene ricordato il loro
nome; a tal proposito, è interessante notare la netta separazione
tra i nomi utilizzati dai liberi e quelli dai servi, i quali talvolta
sono di origine latina (Saturnus, Laurenza, Felix), o sono nomi
di animali (Urso, Ursa).
Da alcuni documenti risulta poi che essi all’interno delle
diverse unità fondiarie erano raggruppati in familiae290 termine
che nelle fonti d’area bavarese del IX e X secolo definiva i gruppi di persone in condizione servile posti all’interno di una signoria fondiaria291.
I mancipia dunque sino a tutto il X secolo appaiono come
dei veri e propri schiavi, privi di qualsiasi diritto, considerati
parte della proprietà personale del loro signore, che li poteva
alienare come meglio credeva. Rispetto ai servi probabilmente
svolgevano mansioni più basse, legate alla lavorazione dei
campi all’interno della parte dei beni fondiari gestita direttamente dal signore.
In base alla nostra documentazione non è possibile stabilire
l’origine di questa differenziazione dal momento che i due termini compaiono quasi contemporaneamente e sono attestati con la
stessa frequenza per tutto il X secolo. Una soluzione del problema può esser data solamente da un’analisi comparata con territori limitrofi, analisi purtroppo fino ad ora non ancora svolta.
Accanto a servus e mancipia compaiono però anche altre designazioni che rimandare a persone di condizione servile. Un
termine particolarmente ambiguo è famulus292, come aveva no995-1005; UBHA, n 11, 999; TBHB, n 66, 1022-35; TBHB, n 67, 1022-1039; in proprietates in: QU, n 1, 827; TUB, n 24, 923; TBHB, n 11, 985-993; TBHB, n 12, 985993; TBHB, n 16, 985-993; TBHB, n 18, 985-993; TBHB, n 31, 995-1005; TBHB, n
60, 1005; in hobae o mansi in: UBHA, n 2, 888; TBHB, n 65, 1022-1039; TBHB, n
70, 1022-1039.
290 TBHB, n 15, 985-993; TBHB, n 19, 985-993.
291 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., pp. 226-227. Il concetto di familia ebbe una grande importanza all’interno della società medievale come ha
ricordato Karl Bosl nel suo saggio La familia come struttura fondamentale della
società medievale in K. BOSL, Modelli di società medievale, Bologna 1979, pp.
131-161. Sulla familia dell’episcopio brissinese torneremo nel prossimo capitolo.
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
tato anche Dollinger per le fonti bavaresi293. Nel nostro caso
esso si riferisce di volta in volta a tre realtà assai diverse: può
indicare veri e propri servi, persone in condizioni di dipendenza
personale ma di alto rango sociale, oppure frequentemente può
esser usato in senso figurato per indicare dei religiosi.
Un discorso analogo si può fare per quest’epoca per il termine
ministerialis che appare in una concessione immunitaria di Ludovico il Fanciullo in riferimento ad una persona del seguito del re e
in un atto dei Libri traditionum294. Tralasciamo il primo caso, che
per la sua specificità esula dalla nostra indagine e vediamo il
secondo documento, in cui un nobile di nome Ragici cede al vescovo Albuin dei suoi beni affinché potessero servire per il mantenimento di suo figlio clericellus e di «uniusque ministerialis huic
subservientibus»295. Ci troviamo in questo caso sicuramente di
fronte a una persona di condizione servile, ma con delle mansioni
molto differenti rispetto a servi e mancipia. Il ministerialis qui appare come un servitore personale, che segue il suo padrone e che
da questi deve essere mantenuto, presentandosi dunque come un
servo “specializzato”, dal ruolo particolare.
Nella ormai più volte ricordata donazione della «curtis Prihsna» accanto ai mancipia vengono citati anche i parschalchi, una
figura sulla quale in ambito tedesco è stato molto discusso e
sulla cui condizione sociale non è stata ancora raggiunto un
pieno accordo296. Allo stato attuale del dibattito si possono individuare tre posizioni principali: una fa capo agli studi di Ludmil
necessaria in ecclesia illa, constituit ibi ad sufficiendum cum famulis»; in conclusione del documento nella «recordatio Thesauri» della chiesa di Santa Maria tra
ori e vesti sacre appaiono anche «XII famuli ad serviendum ecclesie cottidie». Pur
nella loro indeterminatezza queste indicazioni sembrerebbero relative a persone
di condizione servile. La seconda attestazione appare in TUB, n 20, 888 e riguarda il vescovo di Coira ed il monastero di Tubre. Nella chiusa di questo atto vien
detto che gli «ecclesie rectores [...] pro utilitate Ibid. domino et sancte Marie
famulancium ordinandis sicut de ceteris ecclesiasticis causis habeant potestatem
[...]».
293 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 270.
294 UBHA, n 5, 909 e TBHB, n 37, 995-1005. Sui ministeriales torneremo più dif-
fusamente nel prossimo capitolo, in riferimento alla nuova realtà del secolo XI.
295 TBHB, n 37, 995-1005.
292 Questo termine appare per la prima volta in TUB, n 13, 855-864/1022-1055,
296 UBHA, n 4, 901. Una precisa ricostruzione del dibattito avvenuto nell’ambito
nella cosiddetta Vigiliusbrief, un documento che, come abbiamo già potuto
vedere per il feudum, è poco affidabile a causa dell’indeterminatezza della sua
data di stesura. Qui vien detto che San Vigilio fece una serie di donazioni «ut
esset ibi victa et vestitum clericis et servitoribus ecclesie et omnia, que sunt
della medievistica tedesca sui barscalchi dal Settecento in poi, a partire dagli
studi di Josef Elias Seifrieds è riportata in BANZHAF, Unterschichten cit., pp. 47-89.
Si veda poi le voci barscalcus del Mittellateinisches Wörterbuch, vol. I, Monaco
1967 e del Lexikon des Mittelalters, vol. I, Monaco-Zurigo 1980.
210
211
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
Hauptmann, secondo cui i barscalchi erano delle persone di
condizione libera, anche se con delle forti limitazioni297; la seconda invece può essere ricondotta alle ricerche di Anna Janda
e Philippe Dollinger, per i quali i barscalchi sarebbero stati coloni liberi gradualmente assimilati ai servi, nel corso dei secoli VIII
e XI secolo per la prima, tra X e XI per il secondo298; la terza
posizione invece è rappresentata da chi, come Wilhelm
Weizsäcker, si dichiara convinto che sin dal loro apparire tra i
barscalchi si trovino sia liberi che servi299. La recente ricerca di
Michael Banzhaf sul mondo rurale bavarese altomedievale conferma in parte le indicazioni di Dollinger, poiché egli ha potuto
riscontrare un aumento dei barscalchi di condizione servile nel
corso del X secolo. Anche il nostro unico caso in cui essi vengono nominati può essere ricondotto nella medesima linea interpretativa. Infatti Ludovico il Fanciullo dona i barscalchi allo stesso titolo con cui dona i mancipia senza porre alcuna differenziazione per quanto riguarda il loro status giuridico. Sicuramente
essi erano diversi per compiti e condizione sociale, ma tale
diversità probabilmente era considerata evidente e quindi non
richiedeva ulteriori spiegazioni. Il fatto poi che nei decenni
seguenti non vengano più nominati sta a indicare in modo chiaro una loro assimilazione nella più generica condizione servile.
Nelle campagne tra Inn e Adige lo sfruttamento del lavoro
servile era diffuso capillarmente, sia pure in forme assai diverse
che lasciano intravedere un’articolata stratificazione sociale tra i
non liberi. A partire dal secolo IX sino ai primi decenni dell’XI
troviamo servi e mancipia ovunque, in proprietà laiche ed ecclesiastiche di diversa estensione, a conferma della permanenza di
un medesimo sistema di produzione che senza remora penso
possa esser definito come schiavistico, anche se assai diverso da
quello di età antica300.
297 Cfr. L. H AUPTMANN , Colonus, Barschalk und Freimann, in «Beiträge zur
Sozial- und Wirtschaftsgeschichte», vol. II (1938), pp. 170-190.
298 Cfr. A. JANDA, Die Barschalken. Ein Beitrag zur Sozialgeschichte des Mittelalters, Baden-Brünn-Lipsia-Vienna 1926 e DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit. Secondo la Janda tutti i barscalchi inizialmente erano posti su beni
fiscali e potrebbero essere ricondotti ai tributales e d exercitales di origine latina.
Dollinger li definisce invece come Hofstelleninhaber liberi, che durante il secolo
IX sarebbero caduti progressivamente nelle maglie della signoria fondiaria.
299 W. WEIZSÄCKER, Die familia des Klosters St. Emmeran, in «Verhandlungen des
UN
N U O V O ORDINE NEL TERRITORIO
La condizione giuridica di queste persone era nettamente
distinta da quella dei coloni che avevano alienato i loro beni a
favore dei grandi enti ecclesiastici, ma che mantenevano la propria libertà personale.
4.5 Considerazioni conclusive
Nel 1027, con il conseguimento dei diritti comitali, il vescovo
di Sabiona-Bressanone ottenne la ratificazione di un potere che
era venuto costruendo nel corso del secolo precedente, con graduali, progressivi “aggiustamenti”. Attraverso un costante appoggio alla politica regia e imperiale, i vescovi brissinesi riuscirono
a inserirsi nella dura dialettica che aveva visto i sovrani tedeschi
in continua lotta con alcune grandi famiglie che ricoprivano cariche comitali e ducali. Soprattutto i vescovi Albuin e Hartwig riuscirono a collegare questa strategia filoimperiale con un rafforzamento dei propri interessi familiari e con la creazione di alcuni
compatti gruppi di proprietà fondiarie in Val d’Isarco, Val Pusteria e Jauntal, in Carinzia e Carniola, su cui esercitarono un controllo di tipo signorile. Nella loro ascesa i vescovi brissinesi non
incontrarono apparentemente grandi ostacoli, a causa forse anche della mancanza di un’aristocrazia locale, profondamente radicata nel territorio. Essi dovettero confrontarsi soprattutto con
persone appartenenti ai bassi ranghi dell’aristocrazia, con funzionari regi o con liberi che si erano insediati in mansi e hobae di
dimensioni ridotte. Questa mancanza di una grande aristocrazia
locale si rifletteva anche nell’organizzazione agraria, basata per
lo più su piccole aziende o appezzamenti sparsi gestiti direttamente dai loro proprietari; le poche grandi curtes menzionate in
quest’epoca facevano parte esclusivamente dei beni regi o delle
grandi proprietà ecclesiastiche. Solamente al loro interno troviamo lo sviluppo di un’organizzazione di tipo signorile, testimoniata per esempio dal controllo di grandi riserve forestali. Gran
parte di questi beni, indifferentemente dalla loro estensione,
erano lavorati da persone di condizione servile, tra le quali vi
era una notevole differenziazione di condizioni sociali a fronte
di un unico status giuridico.
300 Ritengo infatti che l’indicazione di Guy Bois di considerare il fenomeno della
dipendenza personale prima dal punto di vista economico e poi da quello giuridico permetta di fare chiarezza all’interno di un coacervo di “nominalismi” che
spesso impediscono di cogliere le dinamiche sociali fondamentali.
212
213
Historischen Vereins von Oberpfalz und Regensburg», n 92 (1951), pp. 359-380.
IV. I L
SECOLO
X:
VESCOVI , CONTI E CONTADINI
La società nella quale si trovava la sede vescovile di SabionaBressanone era dunque una società “arretrata”, scarsamente
dinamica da un punto di vista economico, una società solida
solo in apparenza. Dopo il Mille la realtà attorno a questo microcosmo iniziò invece ad assumere un nuovo dinamismo, a confrontarsi con nuove situazioni che resero ben presto superati gli
equilibri raggiunti nel corso di un secolo. Nel prossimo capitolo
cercheremo di vedere in che maniera i vescovi di Bressanone
risposero a queste nuove sfide.
214
V
Il secolo XI:
verso un nuovo assetto della società
1. La disfatta di Altwin. I vescovi di Bressanone nella lotta tra
Papato e Impero
Nel giugno del 1080 Enrico IV, in uno dei momenti più aspri
della sua contrapposizione con Gregorio VII, si fece promotore
di un concilio per l’elezione di un nuovo pontefice; una trentina
di vescovi, in gran parte rappresentanti di sedi episcopali italiane, giunse pertanto a Bressanone, «in loco horrido et asperrimo»,
dove venne eletto antipapa, con il nome di Clemente III, Ghiberto di Ravenna1. La scelta del piccolo episcopio alpino per un
1
Per una descrizione degli avvenimenti che portarono al concilio di Bressanone si veda G. MEYER VON KNONAU, Jahrbücher der deutschen Geschichte, vol. III,
Berlino 1965 (ristampa anastatica dell’edizione del 1900), p. 283 sg.; per una
contestualizzazione del concilio all’interno degli eventi dell’epoca è assai utile H.
KELLER, Zwischen regionaler Begrenzung und universalem Horizont. Deutschland im Imperium der Salier und Staufer. 1024 bis 1250, Berlino 1986 (= II vol.
della Propyläen Geschichte Deutschlands), pp. 183-185; si vedano inoltre anche
le considerazioni di RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 336. La descrizione di Bressanone come locus horridus la si trova in Vita Anselmi episcopi Lucensis auctore Bardone presbytero, in MGH SS, XII, 1-35, dove vien detto che i vescovi giunsero «in
loco horrido et asperrimo, in mediis nivalibus Alpibus, ubi fames assidua et frigus pene semper continuum [...] altissimis circundatis scopulis, ubi etiam vix
nomen obtinetur christianitatis [...]». Questa descrizione, pur essendo assai suggestiva, non deve esser presa alla lettera; essa infatti è riportata all’interno della
Vita del vescovo Anselmo da Lucca, uno dei principali consiglieri di Matilde di
Canossa, e probabilmente può esser ricondotta a un topos letterario, a una sorta
di rovesciamento del locus amoenus, utilizzato per sottolineare l’“orrore” di
quanto era avvenuto nel sinodo brissinese. Per una prima informazione sul ruolo
del vescovo Anselmo da Lucca può esser utile P. GOLINELLI, Anselmo da Lucca, in
Matilde di Canossa. Una donna del Mille, a cura di F. Bocchi, Firenze 1990 (=
215
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
evento di così grande rilevanza fu dovuto sia alla sua collocazione lungo una delle principali vie di collegamento tra Germania e
Italia, sia, soprattutto, alla costante fedeltà con cui il vescovo
Altwin aveva sempre appoggiato l’imperatore nella lotta contro
Gregorio VII, portando alle estreme conseguenze la vocazione
filoimperiale che aveva contraddistinto anche i suoi predecessori. Il concilio di Bressanone pertanto non fu un episodio isolato;
fu l’esito di una precisa scelta di campo che permise ai vescovi
di Bressanone di costruire una propria area di egemonia.
Lo stretto legame con l’impero, apparso una scelta vincente
sino circa a metà del secolo XI, quando il vescovo Poppone
(1039-48) per brevissimo tempo divenne addirittura papa, gradualmente pose i vescovi brissinesi in una posizione assai difficile, costringendoli a scelte di campo sempre più estreme che li
portarono a un pericoloso isolamento. Con il vescovo Altwin
(1049-97) la politica intrapresa il secolo precedente da Albuin
giunse al suo culmine; egli riuscì a dare una solida base materiale all’episcopio, acquisendo un gran numero di proprietà fondiarie, e a rafforzare i propri ambiti di potere. Contemporaneamente però si contrappose frontalmente al “partito gregoriano”, guidato dall’arcivescovo di Salisburgo. La sua posizione, apparentemente solida, aveva basi fragilissime, troppo strettamente legate
alla politica imperiale. Il fallimento di Enrico IV fu anche il suo
fallimento. Esso segnò la fine della strategia di potere avviata da
Albuin. Per comprendere meglio il tragico sbocco della politica
di Altwin è bene risalire indietro di alcuni decenni e analizzare i
principali momenti della storia dell’episcopio brissinese nel
corso del secolo XI.
Nell’aprile del 1028 Corrado II, a completamento della concessione dell’anno precedente, riconfermò alla Chiesa di Bressanone la “chiusa” presso Sabiona, concedendole anche i diritti sul
teloneum ad essa collegati2. A questa data il vescovo Hartwig aDossier di «Storia e Dossier», n 38, marzo 1990), pp. 47-50. Per quanto riguarda
invece i topoi letterari nella descrizione del paesaggio cfr. E.R. CURTIUS, Letteratura europea e medioevo latino, Firenze 1992 (ed. or. Europäische Literatur und
lateinisches Mittelalter, Berna 1948), pp. 207-226. Su Clemente III cfr. J. ZILSE,
Wibert von Ravenna. Der Gegenpapst Clemens III, Stoccarda 1982. Per quanto
riguarda le fonti, un cenno più sintetico al concilio di Bressanone lo si rinviene
anche negli Annales Wirziburgensis, in MGH SS, II, Stoccarda 1976 (= Hannover
1829) che per l’anno 1080 riportano la seguente annotazione «Apud Brixinam
Noricam 30 episcoporum magneque partis optimatum regni conventus contra
Hiltibrandum habetur».
2
UBHA, n 19, 19 aprile 1028 (= MGH D K II, n 115). La “chiusa” presso
216
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veva già delegato al fratello Engelbert le prerogative comitali
sulla Norital, portando a termine in tal modo il progetto di rafforzamento del proprio ceppo familiare attraverso il contemporaneo consolidamento della sede vescovile3. Il diploma con cui
venne formalizzato quest’atto è l’ultimo a favore del vescovo
Hartwig sul quale da questo momento in poi siamo scarsamente
informati4. Nel 1039, dopo la sua morte, venne nominato vescovo di Bressanone Poppone, un rappresentante della famiglia dei
Pilgrimidi, un importante ceppo nobiliare della Baviera, collegato strettamente con gli Ariboni (cfr. tavola 4)5.
Purtroppo, dato il silenzio delle fonti, è difficile poter ricostruire le ragioni di tale scelta. Sicuramente Poppone aveva degli
stretti legami con la casa di Franconia, dal momento che già nel
gennaio 1040 ottenne da Enrico III sia la conferma della concessione del comitatus del 1027 e di tutte le proprietà di cui la
Chiesa brissinese disponeva in Val d’Isarco, sia la donazione di
importanti beni fondiari in Carinzia, che andavano ad aggiungersi a quelli acquisiti dai suoi predecessori6. In seguito, nel settemSabiona era stata concessa all’episcopio brissinese già nel 1027, senza però un
esplicito riferimento al teloneum. La donazione del 1028 venne fatta a favore della Chiesa di Santa Maria di Sabiona, sottoposta direttamente al vescovo di Bressanone. Da notare che anche in questo caso tra coloro che favorirono la concessione viene ricordato il vescovo Aribone di Magonza. Infine, tra le persone che
diedero il loro assenso a quest’atto, viene citato il duca di Carinzia Adalberone,
appartenente alla famiglia degli Eppensteiner.
3
Sulla politica di Hartwig rimando all’analisi svolta nel capitolo precedente.
Per quanto riguarda Engelbert, egli appare come comes in UBHA, n 19 e in
TBHB, n 66, dove è riportata una sua donazione a favore del capitolo del duomo
per la quale sorse una controversia testimoniata in TBHB, n 71.
4
Oltre ai diplomi imperiali infatti Hartwig appare in alcuni documenti dei
Libri traditionum per i quali però Redlich non è stato in grado di ricostruire in
modo certo la datazione. Si tratta di: TBHB, n 65, 1022-39; TBHB, n 66, 1022-39;
TBHB, n 67, 1022-39; TBHB, n 68, 1022-39; TBHB, n 69, 1022-39; TBHB, n 70,
1022-39; TBHB, n 71, 1022-39; TBHB, n 72, 1022-39.
5
Per una ricostruzione genealogica della famiglia di Poppone cfr. TYROLLER,
GenealogischeTafeln cit., p. 129 sg. Su Poppone si vedano inoltre REDLICH,
Geschichte der Bischöfe cit., pp. 27-30; SPARBER, Die Brixner Fürstbischöfe cit., pp.
45-47; Oxford Dictionary of Popes, a cura di J.N.D. Kelly, Oxford-New York 1986;
s.v. Damasus II; Lexikon des Mittelalters cit., vol. III, s.v. Damasus II.
6
Cfr. UBHA, n 20, 16 gennaio 1040 (= MGH D H III, n 22). Con questo diploma Enrico III donava in proprium a Poppone un vasto predium e un bosco i
quali da un lato confinavano con il fiume Feistritz, dall’altro con la «curtis
Veldes», che era stata donata al vescovo Albuin nel 1004 da re Enrico II (UBHA,
n 14, 10 aprile 1004). Con UBHA, n 21, 16 gennaio 1040 (= MGH D H III, n 23),
217
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
bre del 1043, dopo aver partecipato a una spedizione dell’imperatore contro gli Ungari, riuscì a conseguire per i liberi della
“vallis Norica” l’esenzione da ogni tributo pubblico e dal «publicus districtus»7. Come giustamente sottolineò già il secolo scorso
Oswald Redlich, il vero destinatario dell’“esenzione” era il vescovo, che riuscì così a integrare la concessione del 1027 con lo
“ius distringendi”, essenziale per esercitare il proprio potere all’interno del comitatus8. Poppone dunque cercando di consolidare contemporaneamente i due principali nuclei di beni della
chiesa brissinese, dimostrò di seguire la medesima linea d’azione
di Albuin e Hartwig. Ma anche il suo modello di vita era assai
vicino a quello dei precedenti vescovi di Sabiona-Bressanone.
Sappiamo infatti che prese parte ad alcune spedizioni militari di
Enrico III, dal quale ricevette due importanti riserve di caccia in
Carinzia e in Val Pusteria9. Egli quindi sembra attenersi ancora a
un modello di vita di tipo aristocratico-militare, assai vicino a
quello dei vescovi-milites del secolo precedente. Contemporaneamente era anche uno dei principali esponenti del movimento
di riforma ecclesiastica promosso da Enrico III a fronte della
situazione scandalosa in cui versava allora la massima autorità
della Cristianità. Hagen Keller ha esposto in una recente monografia sulla storia della Germania nei primi secoli dopo il Mille il
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VESCOVI DI
B RESSANONE
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complesso intrico di elementi ideologici e necessità politiche
contingenti che mossero l’azione dell’imperatore10. Poppone sintetizza nella sua figura la contraddittorietà di questi elementi che
saranno, in parte, alla base della crisi dei decenni seguenti. Il vescovo brissinese oltre che per il suo appoggio militare si distinse
anche per un costante sostegno alle richieste di Enrico III durante i sinodi di Sutri (dic. 1046) e Roma (gen. 1047), che portarono
alla deposizione dei tre papi che allora si contendevano il soglio
pontificio, il giovanissimo Benedetto IX, Silvestro III e Gregorio
VI. In considerazione di questa sua particolare fedeltà, alla morte
di Clemente II venne prescelto dall’imperatore come nuovo papa a Pöhlde, il giorno di Natale del 1047, mantenendo contemporaneamente anche la guida della diocesi brissinese. Egli però
ricoprì la carica papale per brevissimo tempo, dal momento che
morì pochi mesi dopo essere giunto a Roma nella primavera del
1048.
Dal 1049 al 1097 il vescovato brissinese fu retto da Altwin,
sulle cui origini familiari purtroppo siamo scarsamente informati11. Anche Altwin condusse sempre una chiara politica filoimpe-
10
KELLER, Zwischen regionaler Begrenzung cit.
11
Già si è detto di UBHA, n 22, 16 gennaio 1040. Il 25 gennaio 1048 (UBHA, n
24) Enrico III concesse a Poppone per il suo «devotum servitium» «[...] forestum
in pago Bvsterissa in comitatu Sigefridi comitis situm infra terminos [...] cum
banni nostri auctoritate distrinximus ac firmavimus, ut nullus preter voluntatem
prefati episcopi in eos cervos aut apros capreolos canibus venari, arcu sagittaque
figere, plagis laqueis pedicis seu quolibet venatoriae artis ingenio capere vel
decipere [...]». Per il suo contenuto questo documento è assai importante anche
per la ricostruzione delle pratiche venatorie. Cfr. a tal proposito GASSER, Zur
Geschichte cit., p. 10.
Si vedano a tal proposito le considerazioni di SPARBER, Die Brixner Fürstbischöfe cit., p. 46, n. 69, il quale, sia pur con molta cautela, sembra riprendere l’ipotesi di J. Gewin secondo il quale il vescovo avrebbe fatto parte degli Ariboni.
Sempre Sparber ricorda anche che secondo altri studiosi, come H. Pirchegger o
K. Bracher egli potrebbe aver fatto parte della famiglia dei Lurngauer. Purtroppo
né in TYROLLER, Genealogische Tafeln cit., né nei diversi volumi delle Europäische
Stammtafeln, Marburgo 1984, vi è alcun accenno ad Altwin. La sua politica di acquisizione fondiaria orientata, soprattutto nei primi anni del vescovato, all’accumulo di predia e terreni singoli in Carinzia, confermerebbe una sua origine in
questa regione. Anche l’importanza che egli sembra riservare a Stein, in Jauntal,
già perno delle proprietà della famiglia del vescovo Albuin, potrebbe esser dovuta all’appartenenza a un unico ceppo famigliare. Ben 32 atti raccolti nei Libri traditionum infatti furono redatti nel centro carinziano (TBHB, nn: 77, 79, 80, 84,
85, 86, 104, 108, 109, 120, 127, 128, 140, 147, 152, 154, 155, 156, 159, 161, 164,
165, 174, 180, 209, 224, 225, 233, 289, 300, 319, 331), attorno al quale Altwin
acquisì numerose proprietà. Inoltre forse è utile ricordare che in 23 documenti
(TBHB, nn: 82, 85, 86, 169, 173, 228a, 260, 293b, 284, 299, 300, 311, 319a, 320b,
321a, 322, 323, 324a, 324b, 325, 362, 364, 372) viene attestato un suo rapporto
con persone di nome Aribone, anche se, data la diffusione di questo nome nel
secolo XI ciò non deve portare a conclusioni precipitose (si vedano a tal proposito le considerazioni di DOPSCH, Die Aribonen cit., p. 5). Ritengo in ogni caso
che sia soprattutto la sua “strategia” di acquisizione fondiaria a sottolineare una
continuità con i suoi predecessori che potrebbe esser dovuta anche all’appartenenza a un unico gruppo parentale. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che pro-
218
219
invece Enrico III confermava alla Chiesa brissinese la donazione dell’abbazia di
Disentis, fatta da Enrico II nel 1020 (UBHA, n 16, 24 aprile 1020), il «comitatum
situm in valle Enica ab eo termino qui, Tridentinum a Prixinenses dividit episcopatum», la “chiusa” presso Sabiona, una non ben precisata foresta (probabilmente si trattava della riserva forestale ricordata già nell’893 in UBHA, n 3) e tutti gli
altri beni ricevuti da donazioni precedenti. Con UBHA, n 22, 16 gennaio 1040 (=
MGH D H III, n 24), infine concesse un’ampia riserva forestale tra due affluenti
della Sava, sempre in Carinzia, e la sottopose al banno regio affinché in essa
potessero praticare la caccia solo il vescovo Poppone e i suoi successori. Sul
ruolo di Enrico III nella nomina dei vescovi si vedano le considerazioni di
KELLER, Zwischen regionaler Begrenzung cit., p. 114.
7
Cfr. UBHA, n 23, 11 settembre 1043 (MGH D H III, n 109).
8
Cfr. REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 28, n. 3.
9
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riale, grazie alla quale acquisì importanti proprietà e diritti che,
assieme ai beni ottenuti da donazioni e permute, consolidarono
notevolmente le basi materiali dell’episcopio. Egli dunque portò
al massimo sviluppo la strategia già seguita dai suoi predecessori; ma il suo appoggio a Enrico IV nella lotta contro Gregorio VII
fece sì che il suo operato e la sua condotta venissero giudicati in
modo particolarmente negativo, tanto che ancor oggi, per esempio, viene presentato come colui che gettò la chiesa brissinese
nel discredito, al contrario di Poppone che invece l’avrebbe innalzata al massimo degli onori12. In tal modo si trascura il fatto
che non fu tanto il comportamento di Altwin a differire da quello di Poppone, Hartwig o Albuin, ma fu la realtà con cui egli dovette confrontarsi a essere stata assai diversa da quella in cui avevano vissuto i vescovi precedenti.
Purtroppo non abbiamo alcun dato certo nemmeno su come
e quando Altwin venne nominato vescovo. Stando al più antico
catalogo dei vescovi di Bressanone, redatto probabilmente attorno ai primi decenni del secolo XV, egli avrebbe acquistato dall’imperatore la sua carica per cento marche («centum marcas pro
episcopatu dedit imperatori Heinrico seniori»)13. Quest’informazione non è verificabile; tuttavia molto spesso è stata assunta
in modo acritico nei testi dedicati ad Altwin, poiché appariva
particolarmente in sintonia con il personaggio, trascurando gli
elementi che la rendono poco credibile14.
I primi dati certi su Altwin risalgono solamente al 1056, quando a Magonza ottenne da Enrico III diversi beni in Stiria, confiscati a un certo Ebbone che aveva preso parte a una sommossa
antimperiale15. Altwin dovette ricoprire un ruolo attivo accanto
alle forze filoimperiali anche negli anni successivi, quando la
Germania meridionale venne sconvolta da continue lotte tra
fazioni avverse. Infatti il ducato di Baviera – affidato a Corrado
di Zütphen nel 1049 dopo esser rimasto vacante per circa due
anni in seguito alla morte di Enrico VII di Lützenburg – si trovò
al centro di aspri contrasti nei quali, come era già avvenuto in
età luitpoldingia, la lotta per il predominio sul ducato si sovrappose alla guerra contro gli Ungari. Questa crisi si aggravò ancor
più quando, morto Enrico III, a causa della minore età di Enrico
IV la reggenza del ducato venne assunta da Agnese, vedova dell’imperatore16. In questo contesto Altwin riuscì a farsi confermare dal giovane sovrano nel 1057 i beni e i diritti acquisiti dai suoi
predecessori17. Inoltre, la fedeltà del vescovo brissinese nei confronti della corte imperiale anche in questi difficili anni venne
premiata con nuove importanti donazioni e concessioni in Carinzia, in Carniola e nell’alta Baviera18.
Nel corso dell’aspra lotta tra Enrico IV e Gregorio VII Altwin
fu uno dei più fedeli alleati dell’imperatore, anche nei momenti
più drammatici. La fedeltà nei confronti di Enrico IV lo costrinse
a scontrarsi duramente con l’arcivescovo di Salisburgo Gebhard,
prio attorno alla metà del secolo XI iniziò la decadenza degli Ariboni: il passaggio del conte palatino Aribone II al partito antimperiale causò infatti la repentina
crisi di tutta la sua famiglia.
considerazioni di Redlich e Sparber su Enrico III, sarebbe utile tener presente
anche la possibilità che l’informazione sull’acquisto del vescovato sia nata in
ambienti antimperiali, senza particolare attenzione al fatto che il vescovato fosse
stato assegnato ad Altwin da Enrico III e non da Enrico IV.
12
Cfr. SPARBER, Die Brixner Fürstbischöfe cit., p. 47, che inizia il capitolo dedicato ad Altwin in questo modo «Während Poppo durch Erlangung der päpstlichen Würde unserem Bischofssitz zu großem Ruhme gereichte, brachte ihn sein
nachfolger Altwin durch seine papstfeindliche Haltung im Investiturenstreit geradezu in Verruf» («Mentre Poppone portò grande fama alla nostra sede vescovile
con l’acquisizione della dignità papale, il suo successore, Altwin, la gettò nel
discredito con la sua condotta antipapale nella lotta per le investiture»).
13 Il codice in cui era riportato il catalogo è andato perduto. Redlich ne ha
riproposto un’edizione in appendice alla sua Geschichte der Bischöfe cit., pp. 4352.
15
UBHA, n 25, 20 febbraio 1056 (= MGH D H III, n 367). Ebbone viene definito
«maiestatis reo et capitalis pene sententiam subire dampnato».
16
Per un’analisi di questi avvenimenti cfr. REINDEL, Bayern cit., p. 317 sg.
17
UBHA, n 26, 4 febbraio 1057 (= MGH D H IV, n 5). Da notare che tra i beni
confermati appare ancora l’abbazia di Disentis, donata nel 1020 da Enrico II al
vescovo Heriward.
14 Infatti sia REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 31, n. 1, sia SPARBER, Die
Brixner Fürstbischöfe cit., p. 48, da un lato sollevano dei dubbi sull’autenticità
dell’informazione poiché appare poco consona alla politica riformatrice e antisimoniaca di Enrico III, dall’altro però ritengono che possa esser accettata in considerazione del “carattere” di Altwin. RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 334, invece la
riporta senza alcun particolare commento. Ritengo che, proprio a partire dalle
18 Con UBHA, n 27, 27 settembre 1063 (= MGH D H IV, n 111) Altwin ottenne
un predium, di cui vengono descritti minuziosamente i confini, che comprendeva due monti presso l’odierna Tolmezzo. Secondo Redlich la ragione di tale
donazione fu la partecipazione di Altwin alla vittoriosa spedizione contro gli
Ungari del 1063, guidata dal duca di Baviera Ottone von Nordheim e dal giovanissimo Enrico IV. Con UBHA, n 28, 11 giugno 1065 (= MGH D H IV, n 155) ricevette «ob fidele servitium» il monastero e la prepositura di Polling, in Baviera.
Infine, con UBHA, n 29, 23 maggio 1073 (= MGH D H IV, n 259), ottenne il wiltbannum sul nucleo “storico” dei beni brissinesi in Carinzia.
220
221
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
con il quale sino al 1073 aveva mantenuto dei buoni rapporti,
dal momento che appare tra coloro che sollecitarono la concessione a favore del vescovo brissinese del wildbannum in Carinzia19. La frattura tra Altwin e Gebhard divenne irreversibile a
partire dal concilio di Worms del 24 gennaio 1076, quando Altwin si schierò con l’imperatore nel sanzionare la deposizione di
Gregorio VII.
A questo punto le scelte, la strategia di Altwin furono assai
chiare: legandosi strettamente a Enrico IV egli mirò a consolidare
anche politicamente una posizione di preminenza nell’area tra la
Val d’Isarco e la Carinzia occidentale, dove negli stessi anni stava
riorganizzando la proprietà fondiaria del suo episcopio grazie a
un alto numero di donazioni. Egli quindi giocava contemporaneamente su due piani distinti, quello del potenziamento politico
e delle acquisizioni patrimoniali, strettamente legati tra di loro da
un unico disegno. Il valore di questa sua scelta andava al di là
del fatto contingente; con quest’atto egli mise in gioco se stesso,
il suo vescovato, la sua posizione di dominus lungo una delle
principali vie di comunicazione tra nord e sud Europa. Da questo
momento il suo coinvolgimento nella lotta tra le diverse fazioni
fu totale, tanto che per un certo periodo nel corso del 1076 fu
catturato e imprigionato in Svevia dal conte Hartmann di Dolling e n20. Questa disavventura non lo fece recedere dalle sue scelte,
anche quando si trovò in una posizione di estremo isolamento
durante la sollevazione dei principali signori della Germania
meridionale, i duchi Bertoldo di Carinzia, Welf IV di Baviera e
Rodolfo di Svevia21. Anzi, la sconfitta a cui questi andarono
incontro portò a un importante rafforzamento della propria posizione e di quella del suo episcopio nell’ambito del futuro Tirolo:
tra il 1077 e il 1078 infatti ottenne dall’imperatore in proprium
per il suo servicium definito come «fidele magnum bonum et
assiduum» l’importante «predium Slanderes» in Val Venosta e tutti
i beni confiscati a Welf in Val Passiria22. In tal modo da un lato
19
UBHA, n 29 cit.
20 La cattura avvenne mentre stava recandosi ad un nuovo sinodo vescovile
convocato da Enrico IV. Per una dettagliata narrazione dei fatti cfr. SPARBER, Die
Brixner Fürstbischöfe cit., p. 49. Il fatto viene riportato in Annales Bertholdi, in
MGH SS, V, p. 284 sg.
21 Cfr. K. REINDEL, Das welfische Jahrhundert in Bayern, in Handbuch der bayerischen Geschichte cit., pp. 325-326.
I
VESCOVI DI
B RESSANONE
TRA
PAPATO
E
I MPERO
vedeva premiata la sua fidelitas filoimperiale, dall’altro veniva
costituendo nuovi nuclei di beni nelle due valli sudtirolesi che –
accanto alla Val d’Isarco – avevano una maggiore importanza
nelle comunicazioni tra Germania e Italia. In questo contesto va
posto anche il concilio del 1080, dopo il quale non abbiamo
alcuna testimonianza diretta dell’attività politica di Altwin, intento
forse in questi anni soprattutto a rafforzare i beni fondiari dell’episcopio, come sembrano testimoniare i numerosi documenti riportati nei Libri traditionum. I suoi rapporti con Enrico IV dovettero rimanere tuttavia assai stretti, tanto che il 2 settembre 1091
ottenne una concessione che gli permise di realizzare il progetto
di controllare tutte le vie d’accesso alla Val d’Isarco e alla Val
d’Adige. In questa data l’imperatore, sceso nuovamente in Italia
per lottare contro la contessa Matilde e i sostenitori del nuovo
papa, Urbano II, concesse, anche in questo caso in proprium, ad
Altwin il comitatus della Val Pusteria, attraverso la quale il vescovo pose sotto il proprio diretto controllo la più importante via di
comunicazione tra la Val d’Isarco e la Carinzia23. Con quest’atto e
le concessioni che l’avevano preceduto il vescovo brissinese
aveva ora il completo controllo sui comitati della Norital e della
Pusteria, a cui si aggiungevano gli importanti predia della Val
Venosta e della Val Passiria. Egli era riuscito a porre le basi per la
costruzione di un proprio dominatus che in parte prefigurava la
futura contea del Tirolo. Lo stretto legame con l’imperatore, che
aveva reso possibile la realizzazione di questo disegno, era anche
il suo principale punto debole. Infatti, quando Enrico IV nel 1097
potè finalmente ritornare in Germania dovette scendere a patti
con alcune grandi famiglie aristocratiche, tra cui i Welfen ai quali
l’anno precedente aveva restituito il Ducato di Baviera24. Con
quest’atto Altwin, sia pure indirettamente, fu abbandonato al suo
destino; egli ormai si trovava in una posizione di estrema debolezza nei confronti di coloro contro i quali si era schierato per
l’importanza di questi beni in Val Venosta cfr. R. LOOSE, ... praedium quoddam
nomine Slanderes... (Zur hochmittelalterlichen Siedlungsstruktur des Schlanderer
Etschtales), in «Der Schlern», n 51 (1977), pp. 409-419. La donazione dei beni in
Val Passiria invece è riportata in UBHA, n 31, gennaio/febbraio 1078 (= MGH D
H IV, n 304); in essa troviamo la definizione sopra riportata del servicium di
Altwin.
23
UBHA, n 32, 2 settembre 1091 (= MGH D H IV, n 424).
24
Per la donazione del predium Slanderes cfr. UBHA, n 30, 31 giugno 1077 (=
MGH D H IV, n 297). Il predium venne donato assieme a trenta mansi. Sul-
Per una ricostruzione degli ultimi anni di regno di Enrico IV cfr. KELLER,
Zwischen regionaler Begrenzung cit., pp. 186-189. Per quanto riguarda il ritorno
di Welf IV cfr. REINDEL, Das welfische Jahrhundert cit., p. 331.
222
223
22
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
decenni. Il catalogo dei vescovi di Bressanone narra che Welf IV
assalì Bressanone e catturò Altwin nella cappella di San Giovanni
Battista, un luogo di alto valore simbolico perché aveva ospitato
il concilio del 1080; insieme con Altwin venne catturato anche
Merboto, suo castellanus, che venne portato in catene davanti al
castello vescovile difeso da suo figlio, Hartwig, che si sarebbe
arreso solo per salvare la vita al padre25. Successivamente Altwin,
«expulsus de terra», venne sostituito da Burkhard, un marchio
della famiglia dei Welfen la quale in tal modo dopo meno di
cent’anni riprese il controllo, sia pure per breve tempo, del
comitatus di Norital26.
La vicenda umana e politica di Altwin si concluse dunque
con uno scacco totale, con una sconfitta che pose termine a una
fase della storia della sede vescovile di Bressanone. Da questo
momento in poi essa venne sottratta al controllo di esponenti
del gruppo familiare degli Ariboni, che concentrarono i loro
interessi in Carinzia, e venne assegnata a vescovi “riformatori”
che, pur mantenendo una posizione filoimperiale, abbandonarono in parte i progetti di costituire un proprio “stato territoriale”27.
Essi demandarono sempre più la gestione politica ed economica
dei beni vescovili ai loro advocati, i quali cominciarono ad assumere un ruolo sempre più importante sino a quando, con i
Tirolo, riuscirono a portare a termine il progetto fallito da
Altwin. La fine del secolo XI pertanto fu la fine di un’epoca, di
una particolare forma di società in cui avevano avuto un ruolo
preponderante le grandi famiglie aristocratiche franco-bavare.
Nei paragrafi che seguiranno cercherò di analizzare le strutture
25
REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 50. Così come per l’informazione sull’acquisto del vescovato da parte di Altwin, anche in questo caso il testo del
Catalogo deve essere assunto con cautela; può destare qualche dubbio sulla sua
autenticità il fatto che i Libri traditionum non riportino mai esplicitamente un
Merboto castellanus e suo figlio, il miles Hartwig. L’unica persona che forse potrebbe coincidere con il primo dei due è un certo ministerialis Meripoto che alla
fine del secolo donò al capitolo del duomo una vigna presso Bolzano (TBHB, n
395, 1085-97).
26 Purtroppo gli unici dati di cui disponiamo per Burckhard sono quelli riportati dal Catalogo dei vescovi di Bressanone. Egli probabilmente, pur essendo imparentato con i Welfen, non apparteneva al loro ceppo principale. Resta in ogni
caso singolare la figura di questo marchio nominato vescovo dal partito gregoriano! Il suo destino a Bressanone non fu facile: stando al Catalogo, fu ucciso da
dei ministeriali.
27 Per una sintesi della politica condotta dai vescovi brissinesi nel secolo XII
cfr. RIEDMANN, Geschichte cit., pp. 338-351.
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V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
di questa società, i diversi gruppi sociali, la realtà economica su
cui si basava, nel tentativo di comprendere se – ed eventualmente come – essa sia stata modificata dal nuovo assetto determinato dagli eventi della “grande storia”.
2. Vescovi, comites, advocati, milites: verso un nuovo assetto di
potere
2.1 Gli ambiti territoriali del potere dei vescovi di Bressanone
nel secolo XI
Nel diploma con cui Corrado II nel 1027 concesse al vescovo
Hartwig il «comitatus quondam Welfoni commissus» e nelle conferme successive non furono riportati in modo chiaro i limiti del
territorio all’interno del quale il vescovo avrebbe dovuto espletare le proprie funzioni di giurisdizione28; l’unica “frontiera” per la
quale abbiamo un riferimento costante è quella meridionale, che
corrispondeva al confine tra le diocesi di Trento e Bressanone.
Anche in questo caso però non possediamo alcuna indicazione
particolareggiata dei luoghi di confine, come se essi fossero dati
per scontati: la coincidenza tra comitatus e diocesi probabilmente rendeva inutile ogni ulteriore chiarimento. I vescovi di
Bressanone pertanto nel corso del secolo XI posero sotto il loro
controllo un comitatus che comprendeva grosso modo la Val
d’Isarco e, al di là del Brennero, la bassa Valle dell’Inn, alle quali
nel 1091 si aggiunse anche la Val Pusteria29. Sia in questo caso,
sia in quello delle zone limitrofe, sembra esser rimasta invariata
l’organizzazione circoscrizionale che si era formata nel corso del
secolo X, un’organizzazione che, come abbiamo avuto modo di
vedere nei capitoli precedenti, era basata su comitati di misura
relativamente ridotta, “modellati” sulla base dei rilievi e delle vallate che attraversavano il territorio e formavano i diversi pagi.
28
Cfr. UBHA, n 18, 7 giugno 1027. Nelle riconferme della concessione fatte da
Enrico III nel 1040 (cfr. UBHA, n 21, 16 gennaio 1040) e da Enrico IV nel 1057
(cfr. UBHA, n 26, 4 febbraio 1057) si parla genericamente di «comitatum situm in
valle Enica ab eo termino qui, Tridentinum a Prixinense dividit episcopatum, et
clusam sitam sub Sabione».
29
UBHA, n 32, 2 settembre 1091.
225
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
Dopo il Mille, tuttavia, i vescovi brissinesi, pur essendo fortemente impegnati nella lotta politica, non esercitarono mai direttamente le funzioni comitali, tant’è vero che già nel 1028 il pagus
di Orital, ovvero la Val d’Isarco, era in mano a Engelbert, fratello
del vescovo30. Il loro costante impegno nella lotta che contrapponeva l’imperatore alle grandi famiglie aristocratiche della
Germania meridionale e al papa, li costringeva a lunghe assenze
dalla propria diocesi e quindi essi preferirono delegare la gestione del comitatus a persone di stretta fiducia. Le prerogative
comitali non furono mai cedute a titolo definitivo, come testimonia il fatto che esse vennero esercitate sempre da persone della
famiglia dei diversi vescovi o a loro strettamente legate31. Purtroppo non possediamo documenti che definiscano in modo
esplicito le funzioni pubbliche delegate al vescovo di Bressanone
e espletate dai suoi comites. Anche da questo punto di vista la
concessione del 1027 è assai generica e non è possibile integrarla
con altri documenti. Il fatto che nel 1043 Enrico III abbia sottratto
i liberi della Norital dal publicus districtus e da ogni altro censo
regio o imperiale, induce a pensare che l’ambito di sovranità
concesso nel 1027 fosse sino a quest’epoca molto limitato. Ma i
poteri di natura comitale erano solo uno dei livelli attraverso i
quali i vescovi di Bressanone esercitarono la loro autorità nel
corso del secolo XI. Essi cercarono di incrementare anche il loro
dominio signorile all’interno e al di fuori della diocesi e del
comitatus seguendo una duplice strategia: da un lato sollecitarono la concessione del banno regio su importanti riserve forestali,
dall’altro proseguirono il rafforzamento della proprietà fondiaria
del loro episcopio – soprattutto in Val d’Isarco, Val Pusteria e
Carinzia – grazie a un alto numero di donazioni e permute.
Vediamo innanzitutto il primo caso. Tra il 1040 e il 1090 circa,
i vescovi Poppone e Altwin ricevettero da Enrico III e Enrico IV
la conferma dei diritti sulla foresta presso Chiusa, un saltus in
Carniola sottoposto a banno regio con il diritto di caccia, una
vasta foresta in Pusteria con i medesimi diritti e il wildbannum
su tutti i beni che possedevano in Carniola32; grazie alla donazione di tre nobili, ottennero poi anche il “bannum ferarum” su un
30
UBHA, n 19, 19 aprile 1028.
31
Per esempio il fratello di Poppone, Pilgrim IV, fu anche conte nella Norital.
Cfr. tavola 4.
32
UBHA, n 21, 16 gennaio 1040; UBHA, n 22, 16 gennaio 1040; UBHA, n 24, 25
gennaio 1048; UBHA, n 29, 23 maggio 1073.
226
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
predium in una foresta vescovile in Carinzia33. Essi cercarono
quindi di sottoporre a controllo signorile delle vaste riserve forestali in tutte le zone principali in cui possedevano beni fondiari,
riuscendo a esercitare il banno sulla caccia anche su terreni di
proprietà di persone di alto strato sociale. Attraverso questi documenti possiamo vedere la lucidità con la quale Poppone e Altwin
riuscirono a creare delle grandi riserve forestali signorili in tutte
le principali regioni in cui possedevano importanti proprietà fondiarie. La presenza di queste riserve, al di là della motivazione
contingente legata all’esercizio della caccia, serviva a sottolineare
la posizione egemone che essi intendevano svolgere anche là
dove non ricoprivano incarichi pubblici34.
Oltre a ottenere queste concessioni di tipo signorile, i vescovi
brissinesi riuscirono a incrementare in modo cospicuo la proprietà fondiaria attraverso un gran numero di donazioni fatte per
lo più da esponenti della media e bassa aristocrazia (cfr. tab.
13)35. Basti pensare che per il lungo episcopato di Altwin (104997) nei Libri traditionum sono riportati ben 329 atti, due terzi
dei quali relativi alle sole nuove acquisizioni (cfr. tab. 12)36.
La maggior parte delle aziende fondiarie o dei terreni così ottenuti era concentrata in Val d’Isarco, in Val Pusteria e in Carinzia, presso la Jauntal. Le donazioni potevano riguardare singoli
piccoli appezzamenti, predia di media grandezza, uomini e donne in condizione servile o proprietà fondiarie assai articolate.
Spesso la medesima persona svolgeva più donazioni in anni diversi, per lo più relative alla medesima zona.
Tra coloro che cedettero dei beni ai vescovi brissinesi oltre a
esponenti della media aristocrazia troviamo anche uomini appartenenti a importanti lignaggi come il duca di Baviera Welf IV o il
conte d’Istria Enrico di Eppenstein. Il primo, in un documento
databile secondo Redlich tra il 1070 e il 1076, prima dunque della
sua rivolta antimperiale avvenuta proprio nel 1076, cedette ad
33
TBHB, n 305, 1075-90.
34
Sull’importanza dei privilegi forestali nella costruzione di aree di potere cfr.
H. SCHMIDINGER, Il patriarcato di Aquileja, in I poteri temporali cit., p. 156, dove
viene ricordato come gli arcivescovi di Salisburgo e i vescovi di Würzburg fondarono il loro “stato territoriale” non tanto su un’immunità o una contea, quanto su
dei privilegi forestali.
35
Sulla composizione sociale dei “benefattori” della Chiesa di Bressanone
rimando ai paragrafi seguenti e alla tabella 12. Si vedano anche le osservazioni
di DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., pp. 101-115.
36
Cfr. TBHB, dal n 73 al n 401.
227
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
Altwin un insieme di importanti beni che possedeva «hereditario
iure in Carniola»37; probabilmente questa sua rilevante donazione
a favore di uno dei principali sostenitori di Enrico IV può esser
vista come il tentativo di ammorbidire il fronte avversario, una
speranza mal riposta dal momento che Altwin appoggiò la lotta
dell’imperatore contro il duca di Baviera al punto da ricevere
come ringraziamento importanti proprietà di Welf IV a sud del
Brennero. Enrico di Eppenstein invece fu al centro di una serie di
donazioni e scambi di beni e terreni con Altwin, al fine probabilmente di rendere maggiormente compatte le proprietà di entrambi. Tra gli atti che lo riguardano, ricoprono un particolare interesse due documenti che testimoniano un singolare scambio di beni
e usi collegati a dei castelli in Carinzia e in Carniola; in un atto
databile tra il 1070 e il 1080 Altwin cedette a Enrico e a sua
moglie Wezala in forma vitalizia una fortezza (munitio) a Stein,
nella Jauntal, nel luogo dove il suo predecessore Albuin con i
beni della propria famiglia aveva dato inizio all’espansione fondiaria del suo episcopio nella regione della Drava; in cambio i
due restituirono un’analoga fortezza in Carniola che avevano
ottenuto alle medesime condizioni38. Sembrerebbe dunque che
Altwin abbia avuto intenzione di ridimensionare la presenza
diretta del proprio episcopio in Carinzia, in cambio di un rafforzamento in Carniola, indotto a questo forse dalla donazione dei
beni di Welf e dalla concessione del wildbannum nella medesima regione fatta da Enrico IV nel 1073. Il conte Enrico invece
poteva esser mosso dal desiderio di rafforzare la propria presenza a ridosso del nucleo principale dei beni della sua famiglia. Ma
il documento successivo dei Libri traditionum testimonia un
improvviso ripensamento: Altwin ed Enrico si riscambiarono di
nuovo i rispettivi castelli. È difficile stabilire le ragioni di tutto
ciò, dal momento che non è ipotizzabile un deterioramento dei
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
rapporti tra Altwin e gli Eppensteiner, ambedue fedeli alleati dell’imperatore; più probabilmente esso va ricondotto a un riassestamento del controllo della Carinzia in seguito alla deposizione di
Welf IV di Baviera. Venuto meno il pericolo “guelfo”, non era più
necessaria una presenza forte degli Eppensteiner che controbilanciasse il fronte antimperiale. Tutto ciò in ogni caso è assai
utile per comprendere come le acquisizioni territoriali dei vescovi
brissinesi fossero mosse da precise ragioni di strategia, di potere,
soprattutto al di fuori del loro comitatus. Proprio per questo essi
talvolta dovettero scontrarsi con la resistenza di chi si opponeva
al loro disegno. Anche in questo caso potevano trovare degli
ostacoli tra persone di livello sociale diverso. Tra il 1065 e il 1075
per esempio vi fu una seditio tra Altwin e un nobile carinziano di
nome Irminstein, conclusasi con la rinuncia di quest’ultimo a
qualsiasi pretesa su un predium brissinese posto presso il Millstätter See39; attorno al 1090 invece fu addirittura il duca di
Carinzia Liutold a dover rinunciare ai proventi di un predium a
vantaggio della Chiesa di Bressanone40.
Nel corso del secolo XI il comitatus della Norital e, successivamente, della Pusteria costituivano solo uno degli ambiti territoriali nei quali i vescovi di Bressanone esplicarono un loro potere. Essi, attraverso una strategia diversificata, accompagnarono
l’acquisizione dei poteri pubblici al rafforzamento del ruolo signorile, soprattutto in Carinzia occidentale, e della proprietà fondiaria attorno ad alcuni nuclei di beni in Carinzia, in Val Pusteria
e in Val d’Isarco. In tal modo, sia pure a livelli diversi, riuscirono
39
TBHB, n 204, 1065-75.
40
38 TBHB, n 236, 1070-80. Da ricordare che il «castellum Stein» fu al centro di
una controversia tra il vescovo Albuin e suo fratello Aribone già verso la fine del
secolo X. Cfr. TBHB, n 28, 993-1000.
TBHB, n 360a, 1085-90. Altri casi di contrasti nei confronti dei vescovi di
Bressanone sono testimoniati da TBHB, n 95, 1050-65; n 115, 1050-65, dove la
matrona Adelaide si accorda con Altwin per dei beni per i quali aveva avuto
una lite con il vescovo Poppone; n 127, 1050-65, che richiama il ruolo di mediazione svolto da Altwin nella lite sorta tra il miles Reginbrecht e suo fratello Liuto
per un predium ceduto dal primo al vescovato brissinese; n 154, 1050-65, in cui
sempre Liuto rinuncia ad ogni pretesa sulla “dote” della chiesa di S. Daniele, in
Carinzia, data da suo fratello Beringer alla Chiesa di Bressanone; n 169, 1060-70,
in cui il nobile Aribone rinuncia a ogni pretesa sui beni brissinesi a Freisnitz, in
Carinzia; n 183, 1060-68, in relazione ad alcune decime contese tra Altwin e il
patriarca di Aquileja Rabinger; n 264, 1070-80, in cui Altwin si accorda con il
nobile Ernost per l’inquisitionem mancipiorum; n 362, 1085-90, in cui Altwin si
accorda con un certo Adalberto, fidelis di Aribone, ancora in relazione a dei
mancipia; n 402, 1085-97. La duplice presenza di un Aribone in queste controversie potrebbe esser assunta anche come un elemento a favore dell’appartenenza di Altwin al gruppo parentale degli Ariboni. Questa conflittualità infatti
potrebbe esser dovuta all’incertezza sulla proprietà di beni “familiari”.
228
229
37
TBHB, n 234, 1070-76. Si vedano, nella parte introduttiva all’edizione del
documento, le considerazioni che hanno portato Redlich a stabilire gli anni 10701076 come termini possibili della donazione, che sarebbe avvenuta quindi prima
della deposizione di Welf IV la quale, come abbiamo visto precedentemente,
portò notevoli vantaggi territoriali all’episcopio brissinese. In questo documento
Welf diede all’altare dei Santi Ingenuin e Cassiano «bonum quale hereditario iure
partibus Chreine in comitatu quidem Odalrici marchionis villis agris pratis vineis
silvis venationibus piscationibus molis molendinis curtiferis mancipiis pascuis
exitibus et reditibus quesitis et inquirendis».
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
a raggiungere una posizione di forza nelle Alpi orientali che andava ben al di là dei ristretti limiti della loro diocesi e che si rifletteva nella loro posizione privilegiata nei confronti dell’Impero.
In questo percorso essi entrarono in rapporto, di fedeltà o di
inimicizia, con persone di status diverso, di cui però la documentazione a nostra disposizione non ci permette una ricostruzione strutturale e organica (cfr. tab. 13); essa ci consente tuttavia di definire, sia pur parzialmente, il ruolo e la proprietà fondiaria di alcuni personaggi. Per questo motivo anziché tentare di
ricostruire in modo generico alcuni schemi della società del
tempo, ho preferito seguire nei loro rapporti con i vescovi brissinesi alcuni singoli personaggi esemplari che, pur nella loro individualità, ci introducono nella concretezza della realtà del secolo
XI e ci permettono di delineare il ruolo dei diversi gruppi
sociali41.
2.2 Gli avvocati vescovili: il caso di Arnoldo
Josef Riedmann in un suo saggio di alcuni anni fa dedicato al
rapporto tra vescovi e avvocati affermò che «nell’ambito bavarese, cioè a Salisburgo, Frisinga, Passavia, Ratisbona e Bressanone,
ci troviamo alla metà del secolo XI agli inizi dell’avvocazia ecclesiastica ereditaria e con essa al passaggio decisivo dall’antica
avvocazia di tradizione carolingia detenuta da funzionari alla
cosiddetta avvocazia nobile e signorile»42. Se quest’analisi può
essere corretta per gli altri vescovati della Baviera, appare invece
un po’ forzata per quello di Bressanone, che anche dopo il Mille
era rappresentato in atti della medesima epoca da avvocati
diversi, i quali affiancavano il presule brissinese esclusivamente
per quanto riguardava negozi giuridici come permute, donazioni, acquisizioni, mentre non svolgevano alcun ruolo in occasio-
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
ne delle grandi donazioni regie o imperiali. Nel cinquantennio
del suo vescovato infatti Altwin fu coadiuvato da ben nove avvocati. Come si può vedere dalla tabella 14, l’avvocato che affiancò Altwin più assiduamente fu Arnoldo, presente accanto al
vescovo brissinese sin dai suoi primi atti. Naturalmente, dato
l’ampio spazio temporale tra il primo e l’ultimo documento in
cui compare, non c’è alcuna certezza che si tratti sempre della
medesima persona. Redlich per esempio ritiene che con il nome
Arnoldo vengano indicati padre e figlio che ricoprivano la medesima carica43. A mio avviso quest’ipotesi, che sottintende anche
una dinastizzazione della carica di advocatus, risulta alquanto
fragile, dal momento che non è comprovata da alcuna attestazione esplicita; inoltre è in contrasto con la presenza, di certo non
episodica, di più avvocati nel medesimo periodo e con altri dati
di cui disponiamo. Essa è stata ripresa in tempi recenti da Martin
Bitschnau in una monografia dedicata al rapporto tra nobiltà e
incastellamento in Tirolo tra 1050 e 1300, dove gli avvocati di
nome Arnoldo vengono visti come i predecessori dei futuri conti
di Morit-Greifenstein; infatti alcuni esponenti di questa famiglia –
anch’essi di nome Arnoldo – ricoprirono nel corso del secolo XII
sia la carica di comites di Bolzano, sia quella di avvocati dei
vescovati di Bressanone44. In questo modo però vengono sovrapposti problemi di ordine diverso: il fatto che dei predecessori (o un predecessore) dei Morit abbiano assunto l’avvocazia
della Chiesa brissinese già nel corso del secolo XI non significa
che a questa data l’avessero già dinastizzata45.
Per chiarire alcuni aspetti centrali del ruolo dell’avvocazia in
ambito brissinese tra 1000 e 1100 mi sembra utile pertanto cercare
di analizzare i dati che si possono trarre dai Libri traditionum, con
particolare attenzione ad Arnoldo. Sappiamo con sicurezza per
esempio che egli apparteneva a una famiglia di ceto nobiliare46
43
41 Sull’importanza dell’analisi del caso singolare si vedano le osservazioni di
Georges Duby nella breve prefazione dell’edizione italiana di Guglielmo il maresciallo. L’avventura del cavaliere, Roma-Bari 1985 (ed. or. Guillaume le
Maréchal ou le meilleur chevalier du monde, Parigi 1984), e in L’histoire continue cit., pp. 191-197. Le riflessioni di Duby sono dedicate in particolare all’importanza di un ritorno della storiografia alla biografia; ritengo che esse possano
essere valide anche per comprendere la rilevanza di un’indagine “per campioni”,
per singole realtà individuali, soprattutto là dove le fonti non permettano analisi
generali basate su una solida base documentaria.
42
RIEDMANN, Vescovi e avvocati cit., p. 46.
230
Cfr. introduzione a TBHB, n 326, 1075-90 in cui raffronta questa donazione
con quella dell’«älterer Arnolf» del 1050-65.
44
M. BITSCHNAU, Burg und Adel in Tirol zwischen 1050 und 1300. Grundlagen
zu ihrer Erforschung, Vienna 1983, pp. 363-373 e ID., Gries-Morit, in Tiroler
Burgenbuch, vol. 8, a cura di O. Trapp e M. Hörmann-Weingartner, BolzanoInnsbruck-Vienna 1989, pp. 207-256.
45 A questa conclusione giunge RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 355, sottovalutando
la presenza degli altri avvocati brissinesi, di cui non viene data alcuna spiegazione.
46 TBHB, n 119, 1050-65, e n 326, 1075-90, riportano «nobilis prosapie Arnolfus
Brixinensis ecclesiae advocatus».
231
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
originaria o ben radicata nel territorio a sud del Brennero, dal
momento che le sue donazioni attestate dai Libri traditionum
riguardavano terreni e proprietà situate nell’ambito della diocesi
di Bressanone o nella conca bolzanina47.
Un documento del 1090 circa ci informa poi del fatto che egli
era sposato con una certa Tota, la quale potrebbe corrispondere
con la matrona nobile Tuota, una donna che tra il 1050 e il 1065
fece una permuta di beni in Val d’Isarco con il vescovo Altwin48.
Qualora l’identità tra Tota e Tuota potesse essere provata, si
rafforzerebbe di conseguenza anche l’ipotesi dell’esistenza di un
unico avvocato di nome Arnoldo.
L’attività di Arnoldo a fianco di Altwin è attestata soprattutto
tra il 1050 e il 1070 circa, mentre diventa più sporadica successivamente. Ciò potrebbe esser dovuto ad un “cambio generazionale”, come suppongono Redlich e Riedmann; non bisogna sottovalutare in ogni caso che il già richiamato documento del 1090
circa, ricorda come Arnoldo abbia donato al Capitolo del duomo
dei suoi beni presso Bolzano «pro suis prefateque coniugis delictis»49. Potrebbe essere molto probabile quindi che la sua, parziale, emarginazione durante il decennio precedente sia dovuta a
una momentanea contrapposizione al vescovo.
Al di là del ruolo nei negozi giuridici, i nostri documenti
sono assai reticenti per quanto riguarda le altre mansioni che
dovevano essere ricoperte dall’avvocato. Nulla ci vien detto sul
suo ruolo nell’organizzazione della giustizia o in quello delle
truppe vescovili, compiti attestati da altre fonti di area tedesca50.
Sappiamo solamente che egli talvolta poteva svolgere un’opera
di mediazione in donazioni o permute. Si pensi al caso in cui
Arnoldo tra il 1050 e il 1065 fece da tramite tra il vescovo Altwin
e il nobile Bertoldo nello scambio di importanti diritti d’uso in
Val Pusteria e in Val d’Isarco51.
I pochi elementi che possediamo su Arnoldo e gli altri advocati brissinesi permettono di ricostruire solamente in grandi
47 Tra il 1050 e il 1065 (TBHB, n 119, 1050-65) donò un predium a Varna; tra il
1075 e il 1090 cedette dei terreni (areae) sul monte San Valentino, probabilmente nei pressi di Funes; tra il 1085 e il 1090 donò al capitolo del duomo un’area
con vigneto presso Bolzano.
48
TBHB, n 158, 1050-65.
49
TBHB, n 355, 1085-90.
50
Cfr. RIEDMANN, Vescovi e avvocati cit., p. 47 sg.
51
TBHB, n 121, 1050-65.
232
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
linee il loro ruolo nel vescovato di Bressanone del secolo XI; nel
caso specifico di Arnoldo, la sua origine, le sue funzioni, i suoi
atti lo avvicinano sicuramente più agli avvocati del periodo precedente che a quelli dei secoli XII e XIII. La stessa presenza di
più avvocati in un medesimo periodo testimonia la debolezza
che caratterizzava ancora l’avvocazia di quegli anni. Il fatto che
Arnoldo possa esser stato un predecessore dei Morit, è sicuramente molto importante dal punto di vista della prosopografia,
ma non significa ipso facto che già nel secolo XI questa famiglia
abbia dinastizzato la carica di avvocato. La persistenza di una
forte autorità vescovile infatti manteneva ancora in limiti piuttosto ristretti il raggio d’azione dei diversi advocati e di Arnoldo,
anche se i delicti per cui egli dovette farsi perdonare verso la
fine del secolo forse possono esser visti come un primo segnale
delle insubordinazioni antivescovili di cui saranno attori gli
avvocati del secolo successivo. Sarà solo dopo il vescovato di
Altwin che gli avvocati riusciranno a dinastizzare la loro carica e
a utilizzarla come strumento di dominio.
2.3 Vescovi e milites: il miles Tagini
Alle soglie del Mille per la prima volta nei Libri traditionum
brissinesi compare un miles: Rinherius che tra il 995 e il 1005
fece una permuta con il vescovo Albuin52; pochi anni dopo un
altro documento testimonia come il conte Ratpotone avesse
ceduto al capitolo del duomo di Bressanone due coloniae date in
beneficio a un suo miles di nome Hatto53. Tuttavia, è solamente a
partire dagli anni venti del secolo XI che il termine miles comincia a ricorrere con una maggiore frequenza, grazie a una serie di
donazioni che alcune persone così designate fecero a favore
soprattutto del vescovo Altwin54. Secondo Alois Deutschmann
52 TBHB, n 53, 995-1005. Prima di questa attestazione il termine miles – in relazione al territorio del futuro Tirolo o al vescovato di Bressanone – appare solamente in due diplomi imperiali, uno dell’888 (UBHA, n 2), l’altro del 979 (UBHA,
n 10).
53
TBHB, n 61, 1005.
54
Cfr. TBHB, nn: 70, 1022-39; 74a, 1063; 74c, 1063; 79b, 1050-65; 88, 1050-65;
91, 1050-65; 95, 1050-65; 96, 1050-65; 98, 1050-65; 109a, 1050-65; 110, 1050-65;
116, 1050-65; 127, 1050-65; 128, 1050-65; 129, 1050-65; 131, 1050-65; 141, 105065; 157a, 1050-65; 174, 1060-70; 191, 1065-75; 231, 1065-77; 242, 1070-80; 268,
1070-80; 276, 1070-80; 278, 1070-80; 298, 1075-90; 339, 1075-90; 347, 1085-90;
363a, 1085-90; 363b, 1065-90.
233
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
questi milites costituivano un nuovo gruppo sociale i cui componenti erano una sorta di via di mezzo tra “soldati privati” e ufficiali pubblici55. Egli dunque, all’emergere di un nuovo titolo fa
corrispondere l’emergere anche di un nuovo gruppo sociale.
Assai più prudente invece si dimostra Philippe Dollinger, il quale
distingue il ruolo dei milites dei secoli X e XI da quelli d’epoca
successiva, vedendo nei primi null’altro che dei vassi 56.
Le posizioni di Deutschmann e Dollinger rispecchiano in
parte il dibattito più vasto sulla cavalleria, ben sintetizzato per
quanto riguarda la Francia da Dominique Barthélemy in un suo
recente saggio che si apre significativamente con l’interrogativo
«A mot nouveau, classe nouvelle?» e che spinge a riflettere sull’eccessivo nominalismo con cui spesso sono state condotte le
ricerche sulla cavalleria medievale57.
Un interrogativo simile se lo era posto alcuni anni fa anche
Josef Fleckenstein in un saggio dal quale emergeva in modo
chiaro l’ambiguità del concetto di miles e la sua variabilità a
seconda dell’epoca e della regione; lo storico tedesco ha cercato
di chiarire come il suo significato variasse in base soprattutto allo
sviluppo e alla diffusione degli ordinamenti di tipo feudale. In
altri termini, egli ha voluto dimostrare che mentre in area franca
esso quasi sempre fu sinonimo di vassus, in area germanica ebbe
almeno sino agli inizi del secolo XI un significato che rimandava
più all’attività militare in quanto tale che all’inserimento in rapporti feudo-vassallatici58. Fleckenstein ha messo in evidenza poi
55
DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., pp. 115-16.
56
DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 280.
57
D. BARTHÉLEMY, Note sur le «titre chevaleresque» en France au XIe siècle, in
«Journal des Savants», gennaio-giugno 1994, pp. 101-134.
58 Cfr. J. FLECKENSTEIN, Über den engeren und den weiteren Begriff von Ritter
und Rittertum (“miles” und “militia”), in Person und Gemeinschaft im Mittelalter: Karls Schmid zum 65. Geburtstag, a cura di G. Althoff, Sigmaringen 1988,
pp. 379-392. Data la difficoltà del tema, sono pochi gli studi globali sul fenomeno della cavalleria, soprattutto per quanto riguarda i secoli X e XI. Per un primo
inquadramento dell’argomento possono essere utili M. KEEN, La cavalleria,
Napoli 1986 (ed. or. Chivalry, New Haven-London 1984); F. CARDINI, Alle radici
della cavalleria medievale, Firenze 1981 e DUBY, Guglielmo il Maresciallo cit.
Non bisogna trascurare poi le indicazioni sulla cavalleria presenti in GANSHOF,
Che cos’è il feudalesimo? cit.; H. KELLER, Adelsherrschaft und städtische Gesellschaft in Oberitalien (9.-12. Jahrhundert), Tubinga 1979, e in BLOCH, La società
feudale cit.; sulla concezione della cavalleria in Bloch si veda anche G. TABACCO,
Su nobiltà e cavalleria nel Medioevo. Un ritorno a Marc Bloch?, in Studi di storia
medievale e moderna per Ernesto Sestan, vol. I, Firenze 1980, pp. 31-55.
234
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
anche come sia a est sia a ovest del Reno ci siano stati milites di
condizione servile, anche se in numero minoritario.
Il termine miles quindi, per essere compreso appieno, deve
essere collocato con precisione all’interno di ambiti temporali e
spaziali determinati. Alla luce delle indicazioni di Barthélemy e
Fleckenstein cerchiamo ora di comprendere il significato che
miles assunse nelle fonti brissinesi59.
Tra i diciannove milites che compaiono nei Libri traditionum
(cfr. tab. 15) Tagini è sicuramente quello su cui possediamo un
maggior numero di informazioni. La sua funzione risulta delineata sin dal primo documento in cui è citato, dove agisce come
“miles episcopi”, al servizio del vescovo Altwin, suo senior, nell’ambito di una donazione del marchese di Carniola Odalrico a
favore del vescovo di Bressanone60. Ci troviamo di fronte in
questo caso a un documento che utilizza in forma esplicita una
terminologia di tipo feudale; infatti sia il termine senior, sia l’uso
del genitivo accanto al termine miles esprimono in modo particolare la presenza di un rapporto vassallatico61. Anche l’atto che
Tagini compie può essere senza dubbio ricondotto a un servicium62. La presenza di un rapporto vassallatico tra Altwin e
Tagini è confermata da un altro documento, databile tra il 1050
e il 1065, dal quale risulta che egli ottenne in beneficio dal
vescovo quattro mansi sparsi tra il monte Renon, presso Bolzano, e Innsbruck, donati alla Chiesa brissinese da un certo Bernardo63. Alcuni anni dopo Tagini ricompare nuovamente “al la59
Un primo esame della funzione dei milites nella realtà brissinese venne fatta
d a DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., pp. 115-119, secondo il quale il miles dei
Libri traditionum è un misto tra un soldato privato e un ufficiale pubblico (cfr.
p. 116 dove vien detto «So ist der miles in den A. T. ein Gemisch von
Privatsoldat und öffentlichem Funktionär, meist aber doch dem Bischof als
Territorialfürsten unterstehend, ein Diener des öffentlichen Rechtes»). Con questa
sua analisi Deutschmann sottovaluta il rapporto feudo-vassallatico che legava il
miles al vescovo, non in quanto funzionario pubblico, ma in quanto suo senior.
60
Cfr. TBHB, nn 74a e 74c, prima del 1063.
61
Cfr. FLECKENSTEIN, Über cit., p. 388, dove vien detto «Der Genitiv zu miles
drückt den Bezug zum Lehnsherrn aus» («Il genitivo di miles esprime il rapporto
con il feudatario»). Per il termine senior, si veda GANSHOF, Che cos’è il feudalesimo? cit., p. 78.
62 Sul servicium si vedano le diverse osservazioni riportate in più passi di
GANSHOF, Che cos’è il feudalesimo? cit. Da notare che possediamo anche altri casi
in cui un miles svolge un’intermediazione in una donazione. Si veda per esempio TBHB, n 96, 1050-65.
63
TBHB, n 88, 1050-65.
235
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
voro”: tra il 1065 e il 1075 consegna ad Altwin un manso con
una vigna che aveva ricevuto dal nobile Odalrico, forse identificabile anche in questo caso con il marchese di Carniola64. Infine,
tra il 1075 e il 1090 cedette, più o meno volontariamente, al proprio vescovo un importante insieme di beni che aveva ricevuto
dal nobile Adalram presso Riscone, in Val Pusteria, e un manso
su un monte chiamato «Alpigeris»65. È importante notare che nel
primo di questi due atti egli viene definito anche come
ingenuus, libero, e che tra i beni ceduti c’era anche metà castello, a conferma del suo ruolo militare e, forse, signorile. Anche in
altri documenti viene richiamato lo status dei milites, vescovili o
non, come si può vedere dalla tabella 15; oltre tutto non bisogna
trascurare il fatto che spesso in atti differenti lo stesso personaggio viene indicato ora con l’appellativo di miles, ora con un’altra
definizione del suo ruolo sociale66.
Georges Duby concludendo un suo studio dei primi anni
Settanta, che riprendeva l’analisi della regione del Mâconnais alla
luce delle acquisizioni portate dagli “allievi di Tellenbach”,
affermò con risolutezza l’omogeneità della società aristocratica
nel secolo XI; egli infatti mise in rilievo come «Tutto raccoglie i
suoi membri in un gruppo coerente [...]: antenati comuni, una
cuginanza che rafforza ancora la persistenza di abitudini endogamiche, una superiorità economica che tende a salvaguardare il
rafforzamento delle strutture del lignaggio, infine una vocazione
comune al potere e al servizio militare, che accentua il carattere
maschile di questo strato sociale»67. Purtroppo noi non disponiamo di una documentazione ricca come quella conservata dall’abbazia di Cluny e, in base alle nostre fonti reticenti, risulta pressoché impossibile ricostruire i rapporti familiari dei personaggi “di
secondo piano”. Tuttavia dati come quelli relativi a Tagini – con-
64
TBHB, n 191, 1065-75.
65
Cfr. TBHB, n 339, 1075-90 e TBHB, n 347, 1085-90.
66
Cfr. p. es. TBHB, n 126, 1050-65 e n 128, 1050-65 in cui un certo Ozi in un
caso viene definito nobilis e nell’altro miles. Sul fatto che si tratti della medesima
persona non vi sono a mio avviso molti dubbi dal momento che l’atto avviene
nella stessa epoca, nella stessa zona e riguarda in ambedue i casi una donazione
di servi.
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
fermati da quelli di altri milites – corrispondono solo in parte al
quadro tracciato da Duby, messo assai in dubbio tra il resto
dalle recenti osservazioni di Barthélemy68. Anche nel nostro caso
troviamo “cavalieri” che facevano parte in modo organico del
mondo aristocratico, un mondo che, pur omogeneo, aveva al
suo interno diverse gradazioni. Essi però per lo più appartenevano a uno strato sociale inferiore, quello dei liberi e degli ingenui, che ricopriva un ruolo importante nella società delle Alpi
orientali tra 1000 e 1100. La carica di miles probabilmente poteva essere uno strumento di elevazione sociale, anche se l’impossibilità di ricostruire i diversi lignaggi non ci permette di seguire
questo processo. I “cavalieri” di cui abbiamo dati più precisi,
quelli vescovili, erano legati da uno stretto rapporto di tipo vassallatico con il loro vescovo, e il fatto che la condizione del miles corrispondesse a quella del vassus è testimoniata indirettamente forse anche dall’assenza nei nostri documenti di quest’ultimo termine. La presenza di milites come Tagini conferma poi il
ruolo di senior dei vescovi brissinesi, in particolare di Altwin.
Egli infatti più che “vescovo-conte”, com’è solita definirlo la tradizione storiografica, era sia un vescovo-senior, con una propria
rete di vassi, sia un vescovo-dominus, dal momento che basava
gran parte del proprio potere sul ruolo signorile. Abbiamo visto
come l’intera sua biografia confermi tutto ciò.
L’espressione miles pertanto più che un particolare ordine
sociale dopo il Mille nelle nostre fonti indicava un rapporto vassallatico e proprio per questo poteva venir utilizzata in riferimento a persone di livello sociale assai diverso. Non vi erano
dunque dei milites che potevano essere nobili o altro, ma nobili
o liberi che potevano essere anche milites. Il fatto che il reclutamento di questi vassi avvenisse soprattutto all’interno di liberi di
condizione media contribuirà poi gradualmente anche alla formazione di una loro maggiore omogeneità sociale.
2.4 Vescovi e ministeriali
Uno degli aspetti di maggior rilievo della società tedesca del
secolo XII è costituito dall’ascesa dei ministeriali, i quali in pochi
67
G. DUBY, Lignaggio, nobiltà e cavalleria nel secolo XII nella regione di
Mâcon. Una revisione, in ID., Le società medievali, Torino 1985, pp. 133-165. Il
brano citato si trova a pp. 161-162. La versione originale di questo saggio è
apparsa in «Annales: Economies, Sociétés, Civilisations», n 4-5, XXVII (1972), pp.
803-823.
236
68
Cfr. BARTHÉLEMY, Note cit., p. 104 sg., in cui l’autore pone in evidenza come
Duby abbia scartato troppo velocemente l’ipotesi di una semplice sostituzione di
miles a vassus a causa di una scarsa aderenza di questa possibilità allo schema
mutazionista.
237
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
decenni riuscirono a ricoprire un ruolo fondamentale nell’organizzazione del potere69. Questa tendenza assunse particolare
rilevanza nel futuro Tirolo, dove ha lasciato profonde tracce nel
paesaggio, costellandolo dei molti castelli che ancor oggi lo caratterizzano70. Ma, mentre per quanto riguarda i secoli XII e XIII
è possibile tracciare un quadro sufficientemente preciso del
ruolo sociale e dei compiti dei ministeriali, per il periodo precedente ci troviamo di fronte nuovamente a una realtà assai ambigua; ciò ha determinato molto spesso una proiezione verso il
passato di aspetti della ministerialità rilevati per gli anni successivi al 1100 circa. In particolare il fatto che i ministeriali già dopo
il Mille costituissero un gruppo sociale omogeneo molto spesso
è stato assunto come un assioma, nonostante la contraddittorietà
delle fonti. Per quanto riguarda la nostra area d’indagine, gran
parte degli studiosi si sono attenuti a questa linea interpretativa,
nonostante che già alla fine degli anni Quaranta Philippe Dollinger avesse messo in risalto la differenza di condizione e di status
giuridico dei ministeriali d’area bavarese71.
69
Si veda p. es. il quadro di quest’evoluzione tracciato da KELLER, Zwischen
regionaler Begrenzung cit., p. 270. La bibliografia sulla ministerialità è molto
vasta e non può ora esser richiamata in breve in questa nota. Per un inquadramento generale dellla questione cfr. J.B. FREED, The Origins of the European
Nobility. The Problem of the Ministerials, in «Viator», n 7 (1976), pp. 211-241 e T.
ZOTZ, Die Formierung der Ministerialität, in Die Salier und das Reich, 3, a cura
di S. Weinfurtner, Sigmaringen 1991, pp. 3-50. Per la ministerialità in ambito salisburghese cfr. J.B. FREED, Nobles, Ministerials and Knights in the Archidiocese of
Salzburg, in «Speculum», n 62 (1987), pp. 575-611. Per Frisinga cfr. G. FLORSCHÜTZ, Die Freisinger Dienstmannen im 10. und 11. Jahrhundert, in «Beiträge
zur altbayerischen Kirchengeschichte», n 25 (1967), pp. 9-79; per l’episcopio di
Bressanone cfr. K. FAJKMAJER, Die Ministerialen des Hochstiftes Brixen, in «ZdF», III
serie, LII (1908), pp. 95-198 e le indicazioni riportate in ROGGER, I principati cit.,
pp. 200-203; RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 354 e BITSCHNAU, Burg und Adel cit., p.
19 sg.; per l’episcopio di Trento si attende la pubblicazione della tesi di dottorato
di Marco Bettotti parzialmente sintetizzata in M. BETTOTTI, Famiglie e territorio
nella valle dell’Adige tra XII e XIV secolo, in «Geschichte und Region / Storia e
regione», a. IV (1995), pp. 129-153. Come saggio su una famiglia “esemplare” cfr.
G. PFEIFER, Die Liechtensteiner. Ein Beitrag zur Geschichte der Ministerialität des
Hochstiftes Trient im 12. und 13. Jahrhundert, in «Geschichte und Region / Storia
e regione», a. IV (1995), pp. 155-190.
70 Cfr. RIEDMANN, Mittelalter cit., p. 354. Si vedano poi le minuziose analisi di
BITSCHNAU, Burg und Adel cit., in cui diversi castelli vengono messi in rapporto
con gruppi familiari di origine ministeriale.
71
DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 271 sg., in cui Dollinger mette
in evidenza come i ministeriali a seconda del dominus da cui dipendevano pote-
238
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
Il ruolo dei ministeriales brissinesi è stato studiato in modo
approfondito assai raramente; lo studio più completo risale agli
inizi del nostro secolo e fu opera di Karl Fajkmajer, un allievo di
Dopsch e Redlich, che pubblicò nel 1908 sulla «Zeitschrift des
Ferdinandeums» di Innsbruck un’ampia indagine in cui cercò di
ricostruire le origini e le funzioni della ministerialità brissinese
dal secolo XI al XIV alla luce di nuove ricerche che allora avevano riproposto questo tema a livello generale72. Partendo dal presupposto non dimostrato che essi furono un gruppo sociale
omogeneo, Fajkmajer individuò tre fasi principali nella loro evoluzione: si sarebbero venuti costituendo come gruppo definito
prima del Mille, dall’epoca carolingia in poi, nell’ambito dei liberi trasformati in “precaristi”; nel corso del secolo XI, ridotti ormai
a condizione servile, grazie al loro alto status originario sarebbero stati reclutati nella familia vescovile per svolgere vari compiti
di tipo amministrativo, resi necessari dalla rapida crescita della
proprietà fondiaria dell’episcopio di Bressanone e dai costanti
impegni militari dei suoi presuli; nel corso del secolo XII, infine,
essi avrebbero gradualmente emarginato o assorbito i milites,
salendo ulteriormente nella piramide sociale, anche se rimasero
dei non liberi. L’analisi di Fajkmajer, pur essendo discutibile in
diversi suoi aspetti e soprattutto nel suo asserto di base, ebbe il
grande pregio di proporre un approfondimento organico del
tema della ministerialità, sorretto da un costante richiamo alle
fonti. Purtroppo dopo di lui nessuno ha cercato di riesaminare
questo tema in modo altrettanto ampio e argomentato. Un’eccezione forse è costituita da Alois Deutschmann il quale, pochi anni prima della Grande Guerra, ritornò sul tema dei ministeriales73. Secondo Deutschmann, che non fa alcun riferimento a
Fajkmajer, i ministeriali erano estremamente diversificati al loro
vano svolgere varie funzioni e quindi inserirsi in gruppi sociali differenziati,
tanto che di volta in volta nelle fonti bavaresi appaiono sia tra i liberi, sia tra i
servi. Inoltre egli distingue nettamente i ministeriali “d’alto rango” dalla bassa ministerialità, che invece sarebbe rimasta anche dopo il 1100 in condizione servile.
72 Cfr. FAJKMAJER, Die Ministerialen cit., p. 97, dove nella prefazione dichiara di
aver avviato la propria ricerca in seguito alle sollecitazioni di Dopsch e Redlich e
a causa delle nuove analisi di von Zallinger, Luschin, Siegl e, soprattutto, Richard
Mell, il quale pochi anni prima, nel 1903, aveva pubblicato nelle «Mitteilungen
für Landeskunde von Salzburg» un saggio dedicato a Die ständische Verfassung
von Salzburg. Nel corso della sua analisi poi si rifà molto spesso a Georg Caro,
autore di vari studi sulla storia sociale della Svizzera medievale, con particolare
riferimento al monastero di San Gallo.
73
DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit.
239
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
interno; egli riteneva che fosse possibile individuare una loro origine comune, assai simile a quella dei milites, da cui si sarebbero discostati soprattutto per il fatto di non svolgere una funzione di tipo militare; inoltre già a partire da metà del secolo XI
le loro funzioni sarebbero state regolamentate da un particolare
ius. Egli riteneva anche che i ministeriali potessero essere reclutati sia tra i nobili sia tra i servi: sarebbero stati i compiti svolti e
non lo status giuridico a conferir loro una certa omogeneità.
Nella sua analisi riguardo questi e altri aspetti lo storico tirolese
non svolge una precisa differenziazione cronologica, proiettando
alcune situazioni dei secoli XII e XIII anche sugli anni precedenti. Egli poi talvolta forza le fonti per suffragare anche a livello
brissinese alcune teorie generali riprese da altri storici. Ciò è particolarmente evidente quando afferma che anche la familia dei
vescovi di Bressanone avrebbe avuto soprattutto i caratteri di
una confraternita, che sarebbe stata strutturata addirittura in base
alla tradizione del “comunitarismo germanico”74. Sicuramente
meno ardita è invece l’immagine dei ministeriali di Bressanone
proposta in tempi più recenti dallo storico trentino Iginio Rogger, il quale più che a una propria ricerca di prima mano si rifà
per lo più agli studi di Fajkmajer; anche per Rogger dunque i
ministeriali di Bressanone «furono in generale elementi di origine
non libera, homines ecclesiae, appartenenti alla familia Sancti
Cassiani et Ingenuini, che vennero assunti ad esercitare compiti
amministrativi, servizi di corte e servizi militari per far fronte alle
nuove esigenze determinate dalla politica dei vescovi brissinesi
del secolo XI»75. Ma egli, essendo interessato in particolare a
periodi successivi, raramente compie richiami diretti alle fonti
che gli possano permettere di uscire da alcuni stereotipi derivati
dalla lettura di ricostruzioni storiche precedenti.
Tutte le ricerche che ora abbiamo richiamato, con la parziale
eccezione di quella di Dollinger, partono dunque dal presupposto dell’omogeneità della ministerialità come gruppo sociale.
Come s’è potuto vedere, spesso quest’asserto viene assunto
come punto di partenza della ricerca, che pertanto ne viene
influenzata sin dalla sua impostazione, conducendo talvolta a
errori prospettici o bloccando possibili altre ricostruzioni. Per
74
DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., p. 123 dove, riferendosi in nota a T.W.
von Aschau, afferma che nella familia «der Besitz ward gewissermaßen als
Gemeinbesitz angeschaut» («la proprietà era vista in una certa maniera come proprietà comune»).
75
ROGGER, I principati ecclesiastici cit., p. 200.
240
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COMITES, ADVOCATI, MILITES
evitare ciò, analizzando il mondo della ministerialità tramandato
dalle nostre fonti ho cercato di rispondere ad alcuni quesiti di
base, facendo riferimento alle indicazioni metodologiche presenti in alcuni recenti ricerche76. Ho cercato quindi di rispondere
alle seguenti questioni:
1) quali erano le mansioni dei ministeriali?
2) esiste un rapporto tra il diffondersi di nuovi “titoli” ricondotti in genere alla ministerialità e un nuovo contesto sociale?
3) esiste una ministerialità come gruppo omogeneo?
A partire dai primi decenni del secolo XI nei Libri traditionum cominciano ad apparire con una certa frequenza espressioni come minister, ministerialis, serviens, famulus, de familia,
assai rare prima del Mille77.
I termini minister e ministerialis, il cui uso rimane in ogni
caso piuttosto limitato, venivano utilizzati nei documenti brissinesi per situazioni assai diverse tra di loro. Talvolta infatti troviamo persone definite come ministeriali che svolgono una funzione di intermediazione nelle donazioni, affiancando anche l’avvocato vescovile78. In altri casi invece i ministeriali ci appaiono
come semplici coloni liberi, che conducevano dei beni altrui79.
Ma anche questa situazione non può esser generalizzata, poiché
vi sono altri documenti che testimoniano come alcuni di loro
venissero alienati alla stregua di semplici servi, di cui tuttavia
essi stessi potevano essere proprietari80. Alcune delle persone
76
MY,
Ho fatto riferimento soprattutto al metodo d’indagine adottato da BARTHÉLENote cit.
77
Per l’epoca antecedente al Mille troviamo un ministerialis solo in TBHB, n
37, 995-1005. Come abbiamo visto precedentemente, si tratta di un servo personale di un giovane clericellus. Il termine serviens invece viene utilizzato, sia pur
con significati diversi, già prima del Mille, così come anche famulus, per l’esame
del quale rimando al quarto capitolo. L’equivalenza dei termini minister, ministerialis, famulus e serviens – ognuno dei quali può riferirsi a realtà di volta in
volta assai diverse – è proposta come certa per tutta l’area bavarese da
DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 270. Anche per FAJKMAJER, Die
Ministerialen cit., pp. 107-108, i ministeriali nei Libri traditionum sono indicati
indistintamente con i termini minister, ministerialis, serviens e talora anche
famulus. Quest’ultima definizione, sulla quale torneremo successivamente, mantiene però una maggiore ambiguità delle altre.
78
Cfr. TBHB, n 108a e b, 1050-65 e TBHB, n 184, 1065-75.
79
Cfr. TBHB, n 140, 1050-65.
80
Si veda TBHB, n 240b, 1070-80, in cui il nobile Enrico dona «duos ministeriales... Albger et Mantwin nuncupatos» e TBHB, n 288a, 1075-90, dove la matrona
241
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
così cedute talvolta ricompaiono in calce ad altri documenti,
nelle vesti di testimoni della familia vescovile brissinese, a conferma di come essa fosse costituita anche da persone in condizione servile81. Sono attestati, poi, dei casi di servi che venivano
donati alla condizione che svolgessero funzioni di tipo ministeriale, purtroppo non specificate82. Infine, in alcuni atti sono
riportati alcuni ministeriali brissinesi che erano proprietari, in
alcuni casi hereditario iure, di beni di limitata grandezza, ma di
alta “qualità”, come i vigneti posti nei pressi di Bolzano83. Tutte
queste indicazioni, spesso contraddittorie le une con le altre,
inducono a pensare che il termine ministerialis non indicasse
quindi tanto un gruppo sociale omogeneo, quanto delle mansioni, che potevano esser svolte da persone appartenenti a uno status giuridico diverso.
Un discorso simile lo si può fare anche per i servientes, i
quali in alcuni casi vengono chiaramente inseriti tra i mancipia,
mentre in altri appaiono in funzioni simili a quelle espletate da
taluni ministeriales nelle donazioni84. Il termine famulus invece
viene utilizzato quasi esclusivamente per donne che vengono
affrancate, divenendo censuali, come avremo modo di vedere
tra breve; una delle poche eccezioni è costituita da tale Guoto,
proprietario di beni fondiari di una certa estensione, il quale
svolgeva le mansioni di cellarius85.
Volendo rispondere alle domande che hanno mosso questa
breve ricognizione, risulta evidente che il tipo di ministerialità
presente nelle nostre fonti è assai lontana da quella prefigurata
da Fajkmaier o Deutschmann. Essa non presenta alcuna omogeneità o coesione interna che permetta di rappresentarla come
gruppo sociale definito, a sé stante; coloro che per comodità
definiamo come ministeriali, forzando già in questo le fonti,
sembrano avere avuto come unico tratto comune lo svolgere
Cecilia dà («delegavit ac tradidit») al vescovo di Bressanone «quosdam ministeriales ac servos suos, Walhonem videlicet cum filiis prediis mancipiisque suis...».
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
mansioni per signori laici ed ecclesiastici che andavano al di là
delle semplici prestazioni di lavoro richieste altrimenti dai domini ai propri uomini.
Purtroppo nulla o quasi ci vien detto sulla tipologia di tali
compiti. L’emergere di queste persone in qualche maniera specializzate, corrispose a un periodo di riorganizzazione della proprietà fondiaria dell’episcopio di Bressanone, cresciuta enormemente grazie all’ondata di donazioni che contraddistinse l’età di
Altwin. Favorendo lo sviluppo della ministerialità, Altwin presumibilmente cercò di costruire una stretta rete di controllo al di
sopra dei suoi beni, non più gestibili secondo le forme utilizzate
nel passato; egli venne costituendo così una familia assai numerosa, se pensiamo che solamente i ministeriali – tutti maschi –
citati tra i testimoni dei documenti riportati nei Libri traditionum
erano circa una sessantina. I legami di questa familia nei confronti dei vescovi dovettero essere assai stretti, tant’è vero che,
stando al Catalogo dei vescovi di Bressanone, furono proprio dei
ministeriales a uccidere al tramonto del secolo XI il vescovo
Burkhard, insediato al posto di Alwin da Welf IV86.
Con la crisi del progetto di dominio di Altwin, venne meno
anche la base su cui poggiava l’organizzazione in cui i ministeriali svolgevano i loro compiti. Il forte indebolimento dell’autorità politica dei vescovi brissinesi permise a molti di loro di trasformare le proprie funzioni in mezzi per l’affermazione di un
proprio dominio. È solo da questo momento che prese il via un
nuovo processo che portò alla costituzione di una ministerialità
omogenea e autoconsapevole.
Con l’ausilio di avvocati, milites e ministeriali il vescovo
Altwin riuscì a consolidare il potere su persone e cose nei territori che controllava a vario titolo. Per ottenere i propri fini egli
dovette confrontarsi anche con quello che potremmo definire il
ceto dirigente dell’epoca. Già abbiamo visto in che modo entrò
in contatto con i sovrani e alcuni conti; nei paragrafi che seguiranno analizzeremo quali furono i suoi rapporti con l’aristocrazia
e il mondo dei liberi.
81 Questo è il caso di Albger e Mantwin, richiamati nella nota precedente, che
riappaiono rispettivamente in TBHB, nn: 305, 1075-90; 306, 1075-90; 308, 1075-90
e 306, 1075-90.
82
TBHB, n 343, 1085-90.
83
Cfr. p. es. TBHB, nn: 395, 1085-97; 398, 1085-97; 402, 1085-97.
84 Cfr. p. es. TBHB, n 224, 1065-75 per il primo caso e n 324a, 1075-90 per il
secondo.
85
TBHB, n 390, 1085-97.
242
86
Cfr. REDLICH, Geschichte der Bischöfe cit., p. 50; per una comparazione con
aree geografiche limitrofe, può essere assai utile un confronto con quanto presentato per il Friuli – sia pur per un’epoca successiva – da S. PICO, I gismani nella
Carnia patriarchina (secoli XIII-XV ca.), in corso di stampa in «Bullettino
dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo»; in particolare si vedano le pp. 18-21.
243
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
2.5 Nobili e liberi87
Prima del Mille l’episcopio di Bressanone venne costituendo
la sua proprietà fondiaria grazie soprattutto a donazioni di re,
conti o altri funzionari pubblici; dai primi decenni del secolo XI
invece i Libri traditionum registrano in modo crescente donazioni o permute fatte da persone riconducibili in gran parte al gruppo sociale dei liberi e dei nobili, persone per le quali vengono
utilizzate denominazioni assai diverse, il cui significato non sempre è immediatamente chiaro (cfr. tab. 13). Infatti, accanto alle
più comuni locuzioni come nobilis, nobilis vir, nobilis homo, o
liber, ne troviamo altre, come nobilitatem sortitus, nobilitate
potitus, o libertatem sortitus che hanno fatto discutere molto gli
storici. Per Alois Deutschmann, ad esempio, esse starebbero a
indicare gradi e tipologie diverse di nobiltà riconducibili alla
suddivisione tra Volksadel e Königsadel, ovvero tra un’aristocrazia che aveva le sue radici nelle genealogie aristocratiche dell’alto medioevo e basava il proprio status sulla grande proprietà
fondiaria, e un’altra aristocrazia più recente, di tipo funzionarial e88. L’alto numero di persone riconducibili a questo gruppo
sociale starebbe a indicare poi per lo storico tirolese la trasformazione sociale avvenuta nel corso del secolo XI che avrebbe
portato da una società divisa in liberi e servi a un’altra basata
sulla distinzione tra Adel e Volk89. Come già in altri casi, le osservazioni di Deutschmann sono fortemente connotate da interpretazioni storiografiche ormai in gran parte abbandonate pur
mantenendo esse però una loro validità poiché pongono importanti interrogativi sull’omogeneità del mondo dei liberi e dei
nobili e sulla loro diversa origine.
Con tutt’altra impostazione Vito Fumagalli alcuni anni fa in
riferimento all’Italia padana mise in risalto il progressivo logoramento delle grandi famiglie dell’alta nobiltà franca e il contemporaneo emergere della nobiltà minore, più flessibile rispetto
alle nuove esigenze della società postcarolingia; egli potè esemplificare in modo preciso queste osservazioni richiamando le
vicende di gruppi parentali come i Supponidi per attestare il
87
In generale sull’aristocrazia altomedievale in area germanica cfr. W. STÖRMER,
Früher Adel. Studien zur politischen Führungsschicht im fränkisch-deutschen
Reich vom 8. bis 11. Jahrhundert, 2 voll., Stoccarda 1973.
88
DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., pp. 108-109.
89
DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., p. 111.
244
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
primo caso, o come i Gandolfingi per il secondo90. Nei capitoli
precedenti abbiamo visto come nella realtà della diocesi brissinese sia possibile individuare nei decenni attorno al Mille una
tendenza in parte simile a quella descritta da Fumagalli, allorché
dei rappresentanti del vasto ceppo parentale degli Ariboni riuscirono a impossessarsi del vescovato stesso a danno dei Welfen.
D’altro canto, le vicende dei diversi vescovi di Bressanone del
secolo XI, e in particolare quella di Alwin hanno posto in evidenza come questo successo sia stato effimero, dal momento
che alla fine del 1100 la sede vecovile tornò, sia pur per breve
tempo, sotto il controllo della famiglia dei Welfen, che era stata
in grado di rinnovarsi e riconquistare una posizione preminente.
Nella dura dialettica tra Ariboni e Welfen assistiamo a un’evoluzione che riguardava gruppi familiari già presenti nei secoli precedenti al Mille. Al loro fianco vi era un gran numero di esponenti della nobiltà media o minore sulla cui origine e sul cui
destino le fonti molto spesso sono assai reticenti. Questa bipartizione all’interno del mondo aristocratico brissinese rispecchiava
l’analoga suddivisione presente in tutta l’area della Germania
meridionale, messa in luce da Friedrich Prinz, il quale ha anche
chiarito come le famiglie dell’alta aristocrazia (Ariboni, Otakare,
Andechser e altre) riuscirono ad affermarsi attraverso l’acquisizione del potere marchionale, mentre quelle della media e piccola nobiltà svilupparono poteri signorili nei loro territori d’origine. Ambedue i gruppi, secondo lo storico tedesco, a partire dal
secolo XII furono fortemente insidiati da coloro che erano riusciti a impossessarsi delle principali avvocazie e dai rappresentanti
della nuova ministerialità91.
Pertanto, pur con approcci assai diversi, storici come
Deutschmann, Fumagalli e Prinz hanno tutti sottolineato la presenza dopo il Mille di livelli diversi nel mondo dell’aristocrazia.
Tenendo conto di queste indicazioni generali, cerchiamo ora di
vedere alcuni aspetti del mondo aristocratico con cui vennero in
contatto i vescovi di Bressanone.
Il primo atto riportato nei Libri traditionum per il periodo
dell’episcopato di Altwin vede come protagonista un certo nobi-
90 FUMAGALLI, Terra e società cit., pp. 103-123; sui medesimi temi, con riferimento però alla realtà piemontese cfr. anche SERGI, Anscarici cit.
91 Cfr. PRINZ, Der bayerische Adel cit., p. 423. Per un maggior approfondimento
si veda ID., Bayerns Adel im Hochmittelalter, in «ZBLG», n XXX (1967), pp. 53117.
245
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
lis vir di nome Scrot, il quale fece una permuta di beni con il
vescovo brissinese92.
Egli riappare anche – nelle vesti di donatore e in quelle di
testimone di donazioni altrui – in numerosi altri documenti, collegati tutti alla Carinzia e alla Stiria, in un arco temporale che va
all’incirca dal 1050 al 107593. Purtroppo, come per quasi tutte le
altre persone di cui abbiamo notizia, non è possibile inserirlo in
un preciso gruppo parentale, dal momento che né per il periodo
precedente, né per quello successivo sono testimoniate altre persone a lui collegate o che abbiano il suo medesimo nome. I beni
fondiari che diede al vescovo di Bressanone erano tutti raggruppati all’interno di alcune zone ricorrenti, il che fa pensare a
un’organizzazione compatta della proprietà; essi inoltre dovevano essere di una certa consistenza, dal momento che comprendevano diversi predia, dei mansi e anche una Eigenkirche (cfr.
tab. 17). Nella maggior parte dei casi essi vennero scambiati con
altri beni, concessi per lo più in forma vitalizia; non credo che
ciò significhi però una forma di assoggettamento nei confronti
dell’episcopio brissinese, in quanto oltre ai beni ricordati vennero concesse a Scrot anche delle rendite, dei tributi e, in un caso,
un pagamento in denaro. Sicuramente però complessivamente la
proprietà fondiaria di Scrot uscì indebolita da questi scambi.
Sui propri beni Scrot esercitava forme di possesso differente:
in alcuni casi egli risulta essere il proprietario a pieno titolo, in
altri invece compare come usufruttuario94; alcune sue proprietà
poi potevano essere date in beneficium a un terzo, come nel
caso di un manso che egli donò alla Chiesa di Bressanone95. Egli
disponeva anche di servi, che poteva alienare a suo piacimento.
Infine è utile fare un’ultima annotazione sul “titolo” con il quale
Scrot viene definito nei diversi documenti; egli infatti, alla pari di
molti altri nobili, è chiamato indifferentemente nobilis vir, nobilis homo, nobilis o ingenuus, a conferma di come vi fosse un’unica percezione del mondo dei liberi, sussunti ormai in gran
parte all’interno della categoria della nobiltà, sicuramente più
vasta rispetto a quella dei secoli precedenti.
92
TBHB, n 73, 1050-65.
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COMITES, ADVOCATI, MILITES
Questi pochi dati permettono di tratteggiare un primo, sia
pure sfuocato, ritratto del nobile Scrot, il quale appare come un
signore fondiario di medio livello, con beni raggruppati in alcuni
nuclei di una certa consistenza, lavorati da servi o affidati a
uomini di sua fiducia. La sua condizione può esser assunta come
uno standard medio di gran parte dei molti nobili e liberi riportati nei Libri traditionum.
Dai documenti brissinesi si percepisce chiaramente la compresenza di livelli diversi nel mondo dell’aristocrazia; questa stratificazione è formalizzata solo parzialmente attraverso definizioni
precise, al contrario di quanto supponeva Alois Deutschmann. Si
prenda il caso per esempio di un Aribone, forse identificabile
con Aribone II, che in un documento viene definito «nobili progenie procreatus», confermando in tal caso la classificazione di
Deutschmann, secondo il quale con questa locuzione si indicavano i rappresentanti delle casate più antiche96, e in un altro documento sempre degli stessi anni è presentato invece come «quidam ingenuus», con un appellativo assai generico che richiama
solo la sua condizione di libero97. Inoltre in altri due documenti
un certo Gundachar viene definito ora come «quidam nobilis prosapie»98, ora come «nobilitatem sortitus»99. Il fatto che si tratti della
stessa persona in questo caso è attestato dai beni che egli donò
ad Altwin, posti in ambedue i casi vicino al Riegsee, presso
Murnau. Quindi, pur non potendo escludere in linea di massima
che le diverse denominazioni rimandassero anche a realtà diverse, ritengo assai più probabile che esse fossero dovute a usi cancellereschi e abitudini linguistiche diverse, se non addirittura a
una semplice casualità. La loro varietà e diffusione testimonia
come la quota di società che nella mentalità corrente era considerata appartenente all’aristocrazia si fosse venuta allargando in
modo considerevole rispetto al secolo precedente.
Un discorso in parte analogo lo possiamo fare anche per
tutto l’insieme dei liberi, tant’è vero che spesso uomini definiti in
alcuni documenti come nobiles in altri appaiono con la più
generica indicazione di ingenui, utilizzata anche per i liberi di
93
96 TBHB, n 169, 1060-70; lo stesso appellativo ricorre anche in TBHB, n 260,
1070-80.
94
Cfr. per quest’ultimo caso TBHB, n 73, 1050-65.
98
TBHB, n 143, 1050-65.
95
TBHB, n 107, 1050-65.
99
TBHB, n 151, 1050-65.
TBHB, nn: 73, 1050-65; 75a, 1050-65; 76, 1050-65; 77, 1050-65; 80, 1050-65;
83, 1050-65; 84, 1050-65; 85, 1050-65; 86, 1050-65; 107, 1050-65; 117, 1050-65;
192a, 1065-75; 202, 1065-75.
246
97
TBHB, n 173, 1060-70.
247
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
bassa condizione sociale100; il mondo dei liberi quindi era percepito unitariamente e non sempre era sentita l’esigenza di un’ulteriore puntualizzazione; non troviamo dunque nella nostra documentazione quella netta separazione tra nobiltà e “popolo” che
era stata proposta da Deutschmann. Un dato importante invece
è costituito dal fatto che nell’età di Altwin incontriamo per la
prima volta dei liberi “nuovi”, emancipatisi dalla servitù. Queste
persone, diversamente da quanto fece Deutschmann, non devono essere assolutamente confuse con quelle che nei vari documenti vengono definite come «libertatae potitae» o «libertatem
sortitae». Infatti anche in questo caso, come in quello analogo
delle definizioni di nobiltà, non ci troviamo di fronte a espressioni differenti che rimandano a realtà differenti, bensì a usi linguistici non ancora definiti, canonizzati, come aveva rilevato già
agli inizi del nostro secolo Karl Fajkmajer101.
2.6 Perehta: famula e matrona
In una miniatura dello Speculum virginum del secolo XII
sono ritratte delle donne che lavorano nei campi durante il
periodo della mietitura, un’immagine assai significativa per cogliere immediatamente, visivamente, l’importanza economica, e
non solo, della donna nella società di quest’epoca, un’importanza che emerge anche dalle nostre fonti102.
I Libri traditionum spesso fanno riferimento a donne, appartenenti ai vari gruppi sociali. Molte sono le donne ricordate in
maniera generica tra servi e mancipia; esse poi, come vedremo
tra breve nell’ambito della trattazione generale sulla servitù,
erano preponderanti tra i censuali. Purtroppo non viene data
alcuna indicazione precisa sulle loro mansioni. Sappiamo tuttavia che anche tra le serve, così come tra i servi maschi, c’era una
stratificazione interna. Infatti, benché nessuna donna venisse mai
100 Si vedano come esempio TBHB, n 169, 1060-70 e n 173, 1060-70.
101 Cfr. FAJKMAJER, Die Ministerialen cit., p. 191. Il fatto che con l’espressione
«libertate potitus» non si intendessero dei liberti è confermato in modo inequivocabile da TBHB, n 305, 1075-90 e da n 307, 1075-90, in cui tre persone di nome
Paolo, Tunzo e Iwan vengono definiti ora appunto come «libertate potiti», ora
come nobiles.
102 La miniatura è riprodotta in W. Rösener, I contadini nella storia d’Europa,
Roma-Bari 1995, p. 84 (ed. or. Die Bauern in der europäische Geschichte,
Monaco 1993).
248
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
definita come ministeriale, troviamo ugualmente delle serve di
condizione privilegiata nella categoria delle famulae103. Si veda
per esempio il caso di Perehta, proprietaria di beni di una certa
estensione, la quale oltre che come famula era definita anche
come matrona, un appellativo riservato altrimenti alle libere e
alle nobili104. La sua particolare situazione merita di essere analizzata, perché permette di comprendere le sovrapposizioni tra
status giuridico e condizione sociale personale che caratterizzavano la società in cui agirono i vescovi brissinesi.
Nei due documenti in cui compare come “benefattrice” del
vescovato, Perehta viene presentata come «quedam sanctorum
Cassiani et Ingenwini famula»: dunque apparteneva alla familia
vescovile. In uno di questi documenti vengono indicati anche i
nomi dei suoi familiari: suo padre si chiamava Wiciman, la
madre Hazacha, il fratello Federico; dal secondo documento veniamo a sapere che il marito si chiamava Perehkar. Rispetto
all’usuale reticenza delle nostri fonti siamo dunque di fronte a
una situazione privilegiata. Tuttavia per nessuno dei parenti di
Perehta viene indicato lo stato giuridico. È necessario dunque
verificare se nei vari atti dei Libri traditionum riappaiano persone che possano essere identificate con i familiari di Perehta. Il
nome Wiciman nella seconda metà del secolo XI ricorre più
volte; in un caso si riferisce esplicitamente a un ingenuus105, in
cinque casi a un uomo de familia106, e in due casi a un testimone di cui non è definita la condizione107.
Poiché, come s’è visto in precedenza, un ingenuus non poteva far parte della familia vescovile è chiaro che ci troviamo di
fronte a due Wiciman; il fatto poi che uno di essi fosse di condizione servile e facesse parte della familia di Bressanone fa pensare che con grande probabilità egli fosse il padre di Perehta.
Per quanto riguarda la madre, invece, troviamo solo un’altra
Hazacha, definita a sua volta solo come matrona, la quale, insieme col canonico Chadalchoh, in una permuta ricevette dal capi-
103 Nei documenti brissinesi troviamo famulae in TBHB, nn: 149, 1050-65; 164,
1050-65; 198, 1065-75; 199, 1065-75; 351, 1085-97; 365, 1085-97; 393a, 1085-97;
393b, 1085-97; 396 1085-97.
104 TBHB, nn: 393a, 1085-97; 393b, 1085-97; 396, 1085-97.
105 TBHB, n 250, 1070-80.
106 TBHB, nn: 296, 1075-90; 300, 1075-90; 319, 1075-90; 328, 1075-90; 331, 1075-
90.
107 TBHB, nn 249, 1070-80 e 257, 1070-80.
249
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
tolo del Duomo un predium posto presso Varna, vicino a Bressanone108. Anche uno dei predia donati da Perechta allo stesso
capitolo si trovava sempre a Varna; esso però non faceva parte
dei suoi beni ereditari ma era stato acquistato. Il fatto che ambedue le donne possedessero beni nello stesso luogo può essere
anche una coincidenza; in ogni caso fa riflettere su un loro possibile rapporto.
Per quanto riguarda il fratello e il marito invece non è possibile rintracciare alcun altro dato. Il caso particolare di Perehta
dunque ci mostra come le donne di condizione servile provviste
di beni e addirittura di servi non fossero delle libere declassate,
ma potessero far parte di famiglie di ministeriali, i quali non
erano sottoposti a limitazioni nel diritto di proprietà. Il fatto che
Perehta potesse alienare parte dei suoi beni, dimostra come le
donne godessero da un punto di vista economico di diritti ravvicinabili a quelli dei maschi. Ciò che le distingueva nettamente da
essi erano le funzioni di tipo giuridico: mai troviamo una donna
tra i testimoni de familia. Un medesimo tipo di distinzione lo
possiamo riscontrare anche tra le libere e le nobili, spesso presenti nelle donazioni a favore del vescovato (cfr. tab. 18).
Le donne di condizione libera potevano possedere beni di
vario tipo ed estensione, allo stesso modo degli uomini, benché
chiaramente la loro posizione sociale fosse più debole rispetto a
quella dell’altro sesso109. Probabilmente, la maggior parte delle
donne che alienarono parte dei loro beni era costituita da vedove, anche se ciò è detto in modo esplicito poche volte110. Esse
tuttavia potevano fare delle donazioni anche quando il loro
marito era ancora in vita, a dimostrazione del fatto che mantenevano delle proprietà personali, per lo più ricevute dalla famiglia
108 TBHB, n 172, 1060-70.
V ESCOVI ,
COMITES, ADVOCATI, MILITES
di provenienza111. È assai probabile inoltre che talvolta i mariti
ledessero tali loro proprietà o non rispettassero i loro diritti ereditari, poiché alcuni documenti brissinesi testimoniano contrasti
tra i vescovi e alcune donne che mettevano in discussione le
cessioni fatte dai mariti112.
Parlando della condizione della donna nel secolo X Suzanne
Fonay Wemple ha osservato come essa «era determinata dalla
sua ricchezza, dalla condizione sociale dei parenti e dal potere
dei figli»113. Ritengo che queste indicazioni generali siano valide
anche nel nostro caso, benché sia necessario distinguere tra libere e serve. La donna libera che emerge dalle nostre fonti aveva
una propria autonomia soprattutto dal punto di vista economico:
se proprietaria, poteva disporre dei suoi beni allo stesso modo
degli uomini; le erano precluse solamente le attività di tipo giuridico, dove probabilmente pesava maggiormente il pregiudizio di
una sua minorità. Le serve invece erano sottoposte allo stesso
regime e alle stesse condizioni degli uomini privi di libertà. Il
fatto che esse fossero particolarmente numerose tra gli affrancati
potrebbe far pensare addirittura a una loro posizione di privilegio, che non trova tuttavia altri riscontri. Nell’uno e nell’altro
caso le nostre fonti – in questo caso veramente reticenti – non
ci permettono di affermare nulla di più.
2.7 «Nomina nuda tenemus»: termini ambigui per una società in
mutamento
Umberto Eco alcuni anni fa concluse il suo fortunato romanzo Il nome della rosa con un esametro tratto dal De contemptu
mundi di Bernardo Morliacense – un benedettino del XII secolo
– in cui al topos del cosiddetto ubi sunt, della caducità di ciò che
nel passato era ritenuto di grande importanza, venne aggiunta
l’idea che di tutte le cose scomparse rimangono solo i puri no-
109 Si vedano come esempio TBHB, n 136, 1050-65, in cui la vedova nobile Truta
dona mezzo manso, o TBHB, n 319, 1075-90, in cui la nobile Iudith cede un predium di vasta estensione oppure TBHB, n 282, 1075-90, dove la matrona Wezala,
moglie di Enrico d’Istria, restituisce ad Altwin un predium e una fortezza.
110 TBHB, n 136, 1050-65. Le cessioni fatte da diverse donne potrebbero esser
ricondotte anche ad un graduale indebolimento del loro ruolo sociale. Sul tendenziale peggioramento della condizione femminile dopo il Mille, in particolare
a partire dal secolo XII si vedano le considerazioni di P. CAMMAROSANO, Aspetti
della struttura familiare nelle città dell’Italia comunale (secoli XII-XIV), in «Studi
Medievali», serie III, anno XVI (1975), pp. 417-435. Pur riferendosi a un contesto
sociale assai diverso esse offrono numerosi spunti di riflessione.
250
111 TBHB, n 141, 1050-65, in cui è riportata una donazione di Diemot «cuidam
Pilicrim nomine coniugata»; si veda però anche TBHB, n 349, 1085-90, dove la
nobile Pennepurc cede una parte di un predium ricevuto dal fratello «cum manu
sui mariti». In questo caso sembrerebbe di scorgere una condizione di assoggettamento di Pennepurc nei confronti del marito.
112 Cfr. come esempio TBHB, n 297, 1075-90.
113 S. FONAY W EMPLE, Le donne fra la fine del V e la fine del X secolo, in Storia
delle donne cit., p. 226.
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V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
mi114. Sempre Eco, nelle postille al suo romanzo apparse alcuni
anni dopo sulla rivista «Alfabeta», per spiegare il motivo della
scelta del titolo della sua opera ricordava che all’incirca negli
stessi anni di Bernardo Morliacense «Abelardo usava l’esempio
dell’enunciato nulla rosa est per mostrare come il linguaggio
potesse parlare sia delle cose scomparse che di quelle inesistenti»115. Queste considerazioni sul linguaggio – qui riportate solo
per sommi capi – sono utili per comprendere come talvolta nella
legittima e doverosa ricerca del significato dei termini utilizzati
nelle fonti storiche si dimentichi un dato connaturato con il linguaggio stesso, l’ambiguità. E tale ambiguità diventa ancora più
marcata quando la realtà stessa a cui il linguaggio si riferisce è
ambigua, fluttuante, non ancora definita nelle sue strutture portanti. L’apparente confusione terminologica con cui i Libri traditionum classificano le diverse persone è l’indice più rilevante del
fatto che il secolo XI sia stato un secolo di trapasso, di convivenza del vecchio e del nuovo. I graduali aggiustamenti che caratterizzavano quest’età non potevano che dar vita a un linguaggio
impreciso dal punto di vista giuridico e istituzionale. Ciò naturalmente non significa che tutto fosse magmatico e indefinito. Al di
là dell’ambiguità del linguaggio infatti è possibile mettere in evidenza alcune linee di tendenza, che possono essere riassunte in
alcuni punti fondamentali:
1. Nel corso del secolo XI i vescovi di Bressanone per svolgere
la loro attività politica ed economica erano coadiuvati, come
prima dell’anno Mille, da più avvocati, i quali permanevano
ancora in una posizione subordinata e non avevano ancora dinastizzato la loro carica.
2. La vastità dei possedimenti fondiari accumulati dai vescovi
brissinesi rese necessaria la creazione di una rete amministrativa
e di controllo affidata ai ministeriali e ai milites, i quali, pur svolgendo talvolta mansioni simili, erano nettamente distinti per status giuridico e per composizione sociale.
3. La società all’interno della quale operarono i vescovi di Bressanone da un punto di vista giuridico era caratterizzata dalla
netta distinzione tra liberi e servi, al cui interno c’erano diversi
livelli di tipo sociale ed economico; tra i liberi troviamo espo-
S ERVI
E CONTADINI
nenti dell’antica aristocrazia funzionariale di origine franco-bavara, nobiles di origine più recente, milites strettamente legati a un
loro signore, laico o ecclesiastico, da vincoli vassallatici, semplici
liberi di condizione sociale media o media-bassa e coloni che
lavoravano terre di proprietà altrui. Tra i servi vi era una grande
massa di persone che viveva alla stregua di coloni o in condizioni peggiori, come vedremo nel paragrafo seguente; non erano
rari tuttavia coloro che possedevano beni, sia pur di limitata
estensione, e talvolta addirittura altri servi. Liberi e servi dunque,
pur separati giuridicamente, potevano avere uno status socioeconomico simile. Ciò è posto in evidenza in particolar modo
dalla diffusione dei ministeriali, di persone cioè che si caratterizzavano per il fatto di svolgere mansioni, di diversa natura, in
modo trasversale rispetto alle suddivisioni giuridiche.
3. Servi e contadini: l’organizzazione delle campagne nel secolo
XI
Tra i vari documenti dei Libri traditionum ce n’è uno particolare, dedicato a delle «persone quesite in placitis», in cui viene
riportato un elenco di donne e uomini che avrebbero dovuto
dimostrare di non essere dei servi116; la situazione in esso rappresentata potrebbe ricordare in un primo momento quella del
famoso placito trentino dell’845, quando il monastero veronese
di Santa Maria in Organo rivendicò il proprio diritto di esigere
prestazioni di lavoro da parte di un gruppo di coloni che difendevano la propria libertà117. I contesti sociali a cui rimandano i
due documenti tuttavia sono assai diversi; il placito tenutosi a
Trento testimonia la volontà di un grande ente ecclesiastico di
espandere la propria signoria fondiaria in un’area abitata soprattutto da coloni liberi, mentre quello “brissinese” riguarda l’indeterminatezza della condizione giuridica di alcuni coloni. In altri
116 TBHB, n 182, 1060-70. Data la particolarità di questo documento, ritengo
115 U. ECO, Postille a “Il nome della rosa”, in «Alfabeta», n 49 (giugno 1983); que-
utile riportarne alcuni stralci: «He sunt persone quesite in placitis. Cozpertvs de
Plaz in primo placito. Coganhart de Susis in proximo placito aut libertatem suam
defendere debet, aut servus esse convincitur [...] Tieza de Lacefunis item in
proximo placito aut liberam se ostendere debet aut ancilla erit [...]».
sto testo è stato pubblicato in appendice dell’edizione tascabile del romanzo di
Eco a partire dal 1987.
117 Il testo originale di questo placito con traduzione a fronte è riportato in
ANDREOLLI, MONTANARI, L’azienda curtense cit., pp. 106-112.
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253
114 U. ECO, Il nome della rosa, Milano 1980. Il verso di Bernardo Morliacense
recita «stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus».
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SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
termini, il caso trentino è un’evidente “aggressione” nei confronti
di coloni i quali hanno un’esatta percezione del loro status di
liberi, che vogliono difendere con tutti i mezzi a loro disposizion e118; quello brissinese invece testimonia l’estrema incertezza
nella definizione dello status delle singole persone. Quest’indeterminatezza era giustificata dai cambiamenti che dopo il Mille
avevano iniziato a coinvolgere l’intera società all’interno della
quale operavano i vescovi di Bressanone.
3.1 I censuali
Dominique Barthélemy analizzando lo sviluppo della società
francese tra i secoli XI e XII ha presentato i cambiamenti nel
mondo servile come un graduale passaggio «d’une servitude à
l’autre»119. Questa formula è efficace per comprendere anche il
mutamento avvenuto nelle realtà da noi analizzata, un mutamento graduale, non repentino, in cui spesso vecchio e nuovo convivevano.
Un primo esempio di questo processo viene dato dalla diffusione della ministerialità, sulla quale ci siamo già brevemente
soffermati. Un secondo elemento di novità è dato dalla diffusione dei censuali, per i quali nelle nostre fonti non viene utilizzato
un termine specifico. Essi sono tuttavia facilmente identificabili,
poiché compaiono proprio nell’atto del loro affrancamento120.
Come ha chiaramente definito Philippe Dollinger, i censuali,
numerosissimi nelle fonti della Germania meridionale a partire
dal X secolo, erano per lo più ex-servi donati da signori laici a
enti ecclesiastici, i quali, per garantire la loro libertà, richiedevano il pagamento di un censo che poteva variare di volta in volta,
ma che attorno alla metà del secolo XI si attestò attorno ai 5
denari, pur toccando in alcuni casi anche il livello di trenta
118 Si vedano a tal proposito le considerazioni di ANDREOLLI, Proprietà fondiaria
cit., pp. 195-196. Sulla consapevolezza del proprio status da parte dei coloni in
lotta contro il monastero di Santa Maria in Organo è assai significativa quest’affermazione di uno di loro «semper nos et parentes nostri in liberam potestatem
fuimus et esse debemus» (cfr. ANDREOLLI, MONTANARI, L’azienda curtense cit., p.
109).
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E CONTADINI
denari121. Inoltre Dollinger mise in evidenza come prima del
1100 in tutta la Baviera prevalessero soprattutto manomissioni di
donne, motivate a suo avviso dalla loro posizione sociale debole,
che maggiormente necessitava di una difesa, o da un calcolo
opportunistico fatto dal donatore, che in tal modo non si privava
di una rilevante forza lavoro122. Le fonti brissinesi (cfr. tab. 19)
rispecchiano in generale la situazione bavarese tratteggiata da
Dollinger; ma presentano anche delle particolarità di un certo rilievo. Innanzitutto il numero delle manomissioni è relativamente
limitato rispetto ad altre regioni non lontane123; inoltre esse iniziano a diffondersi solamente verso la fine del secolo XI, mentre
in gran parte della Baviera erano già numerose prima del Mille.
Tutto ciò sembrerebbe attestare un maggior conservatorismo
della società rispetto ad altre aree bavaresi. Vedremo se nel corso
della nostra analisi altri dati confermeranno quest’impressione.
Su dieci manomissioni riportate nei Libri traditionum, ben
sette riguardavano delle donne, con o senza figli, le quali, nei casi
in cui viene definita in modo esplicito la loro condizione, sono
presentate come famulae; alla stessa categoria sociale appartenevano anche i pochi uomini manomessi, i quali erano dei servi o
dei famuli. Non risulta invece alcun caso di manomissione di
mancipia124. Come s’è visto nei capitoli precedenti, le denominazioni servus e famulus nei Libri traditionum di Bressanone designavano in genere prima del Mille gli strati medio-alti delle persone di condizione servile. Questa distinzione, sia pur in modo più
sfumato, si mantenne anche nel secolo XI. I censuali quindi erano
persone che prima della manomissione facevano parte di gruppi
121 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., pp. 305-348. Sull’ammontare del
censo si vedano in particolare le pp. 322-327. A titolo di paragone, si ricordi che
in questi anni un servo era stato acquistato per 360 denari (TBHB, n 48, 9951005).
122 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 315.
123 Cfr. TBHB, nn: 197b, 1065-75; 318, 1075-90; 351, 1085-90; 365, 1085-97; 382,
1085-97; 390, 1085-97; 391a e b, 1085-97; 392b, 1085-97; 393b, 1085-97; 401,
1085-97.
120 Prima del 1100 infatti i Libri traditionum non parlano mai esplicitamente di
censuali, se non in TBHB, n 28, 993-1000, dove viene ricordata una colonia censualis.
124 In TBHB, n 391b, 1085-97, vien detto che un giovane donato come censuale
faceva parte dei mancipia del suo padrone. Ciò però non deve trarci in inganno, perché il termine mancipium viene utilizzato nei Libri traditionum sia in
forma specifica, sia, talvolta, in forma generica per indicare i servi nel loro insieme. Ai fini del nostro discorso è importante il fatto che nessun mancipium in
quanto tale venga manomesso.
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119 BARTHÉLEMY, L’ordre seigneurial cit., p. 140.
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servili di condizione media, come si può vedere anche dal censo
da essi pagato, basso ma non irrilevante (cfr. tab. 20).
La manomissione di un servo si svolgeva secondo uno schema uniforme: il suo padrone lo donava a un ente ecclesiastico –
nel nostro caso l’episcopio o il capitolo del duomo di Bressanone – al quale poi avrebbe dovuto pagare annualmente, a delle
date talvolta indicate espressamente, il proprio censo125. In caso
di mancato pagamento, tollerato per lo più sino a tre anni, il
censuale ritornava alla condizione servile. La libertà che egli acquisiva era “condizionata”: egli pagava un canone per essere padrone di sé stesso. Egli passava quindi da una condizione di servaggio a una di assoggettamento, da un legame all’altro.
Tale parziale affrancamento riguardava solo la persona del
singolo servo, non dei suoi familiari, a meno che essi non fossero citati espressamente. La condizione censuale non era ereditaria, anche se sono attestati dei casi che riportano dei tentativi
per renderla tale; per esempio una certa Riza, subito dopo esser
stata affrancata, riuscì a farsi donare dal suo padrone anche il
figlio che donò a sua volta al capitolo del duomo di Bressanone
a condizione che, dopo la sua morte, egli potesse pagare un tributo uguale al suo per il conseguimento della propria libertà126.
Il tentativo di Riza di assicurare al figlio un futuro di censuale è
significativo per comprendere come l’uscita dalla servitù fosse
desiderabile anche se portava all’acquisizione di una libertà
revocabile in ogni momento. La manomissione inoltre manteneva in ogni caso il censuale sotto tutela, limitando fortemente
l’ambito della sua libertà; quindi, è assai difficile da accettare la
proposta di Deutschmann, per il quale i censuali costituirono
una classe di salariati che avrebbe favorito la diffusione della
libertà nelle campagne127. Essi, pur liberati, erano in ogni caso
sottoposti a dei vincoli. La loro manomissione quindi non segna
il passaggio dalla servitù alla libertà, bensì prelude all’evoluzione
da un sistema economico di tipo schiavista, a uno di tipo signorile, un passaggio di cui però prima del secolo XII sono presenti
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solo alcune avvisaglie. Tuttavia, se questo era il contesto generale, rimane difficile capire perché questi affrancamenti abbiano
riguardato soprattutto delle donne. Come s’è già accennato, per
Dollinger ciò si spiegherebbe facilmente con il fatto che sarebbero soprattutto i gruppi sociali più deboli a chieder protezione
alla chiesa128; ciò però in questo particolare caso mi sembra
poco credibile, perché le manomissioni avvenivano per volontà
del padrone, non del servo. Inoltre, la chiesa, come s’è visto, più
che protezione garantiva una forma di sfruttamento a condizioni
migliori, null’altro. Sempre per Dollinger un’altra spiegazione
potrebbe esser ricercata nella scarsa importanza economica del
lavoro femminile; a un signore sarebbe convenuto liberarsi di
una donna piuttosto che di un uomo; la frequente presenza dei
figli accanto alla madre inoltre avrebbe anche in questo caso eliminato “bocche da sfamare” improduttive; al contrario invece la
Chiesa avrebbe accettato le donne con i figli per una superiore
lungimiranza, dal momento che calcolava così di disporre in
breve tempo di nuova forza-lavoro129.
Anche in questo caso l’analisi di Dollinger lascia perplessi,
perché da un lato sappiamo da altre fonti come il lavoro femminile fosse tutt’altro che improduttivo130, dall’altro è difficile credere
che un signore laico non avesse la capacità di capire che cedere
bambini significasse cedere “braccia” sfruttabili in breve tempo. Le
motivazioni di queste manomissioni probabilmente vanno ricercate soprattutto in ambiti non economici; sarebbe necessario cercare
di comprendere se e in che misura esse siano state collegate a
nuove forme di pietà e di religiosità, come è attestato per altre
zone131. Purtroppo, dato il carattere delle fonti brissinesi, non è
possibile andare al di là di una semplice ipotesi di lavoro.
In quest’epoca dunque la manomissione di censuali non
significò un allargamento della libertà, ma il passaggio da due
forme di sfruttamento diverse. Accanto ai censuali permanevano
in numero vastissimo le persone prive di libertà personale, divise per lo più in servi e mancipia.
125 Si veda come esempio TBHB, n 390, 1085-97: «Notum sit... quia... quedam
Irmingart... supra altare sanctorum Cassiani et Ingenwini famulum quendam
Guoto vocatum quotannis pro libertate sua quinque denarios illuc ad solvendum
et si per tres annos hoc tributum retinere presumpserit, postea legitimus servus
existat, potenti manu omni retroacta contradictione legitime legavit atque contradidit [...]».
128 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 315.
129 Ibidem.
130 Per un rapido richiamo all’importanza del lavoro femminile in età medievale
126 TBHB, n 392b, 1085-97.
cfr. P. L’HERMITE-LECLERQ, Le donne nell’ordine feudale (XI-XII secolo), in Storia
delle donne cit., pp. 285-286.
127 DEUTSCHMANN, Zur Entstehung cit., p. 139.
131 Cfr. PANERO, Servi e rustici cit., p. 22 sg.
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3.2 Servi e mancipia
Al di là del caso significativo dei ministeriali e dei censuali, i
documenti brissinesi del secolo XI confermano in gran parte il
quadro generale del mondo servile che abbiamo già tratteggiato
per il periodo precedente al Mille. Anche in questo caso coloro
che vengono definiti come servi sembrano appartenere a un
livello superiore rispetto ai mancipia, i quali costituivano il grosso dei non-liberi (cfr. tab. 21). Ciò è attestato dal fatto che quasi
sempre i servi venivano donati da soli o in piccoli gruppi, raramente assieme a un terreno o una proprietà fondiaria al contrario di quanto accadeva invece per i mancipia132. La distinzione
tra questi due livelli di servitù però non è sempre chiara, dal
momento che talvolta il termine mancipium viene impiegato
anche in senso generico, per definire i servi tout-court133.
Poco o nulla anche per questi anni ci vien detto sulle funzioni dei diversi servi, che probabilmente venivano date per scontate; purtroppo infatti i nostri documenti, al contrario di quelli di
altre zone della Baviera, non riportano alcun richiamo esplicito a
una possibile suddivisione tra servi cottidiani e servi manentes.
L’impiego principale delle diverse persone in condizione servile
naturalmente era il lavoro agricolo nelle proprietà dei loro signori. Alcuni servi vivevano allo stesso modo dei coloni liberi, abitando con la loro famiglia in predia del loro padrone che conducevano in proprio, senza l’obbligo di pagare tributi o prestare
corvées134; la loro era però una posizione privilegiata. Altri inve-
132 Per quanto riguarda la donazione di servi soli o in piccoli gruppi cfr. TBHB,
nn: 91, 1050-65; 111, 1050-65; 117, 1050-65; 126, 1050-65; 128, 1050-65; 131,
1050-65; 167, 1060-70; 186b, 1065-75; 252a, 1070-80; 270, 1070-80; 311, 1075-90;
369, 1085-97; 376, 1085-97; 386, 1085-97. Mancipia ceduti tra le pertinenze di
vari beni fondiari li possiamo ritrovare in TBHB, nn: 67, 1022-39; 70, 1022-39; 87,
1050-65; 94, 1050-65; 112, 1050-65; 124, 1050-65; 162, 1050-65; 185, 1065-75;
197a, 1065-75; 213, 1065-75; 224, 1065-75; 228a, 1065-77; 234, 1070-76; 244,
1070-80; 252b, 1070-80; 281, 1070-80; 312, 1075-90; 344, 1085-90; 368, 1085-97;
378, 1085-97; 401, 1085-97, e in UBHA, n 28, 1065 e n 30, 1077.
133 Si vedano p. es. TBHB, nn: 126, 1050-65; 128, 1050-65; 252a, 1070-80; 261,
1070-80; 391b, 1085-97.
134 Cfr. TBHB, n 105, 1050-65, dove viene ceduto un predium a Kufstein «eun-
demque servum qui hoc habitavit cum filiis suis», e TBHB, n 109, 1050-65 in cui
vengono ceduti «vii mansos tunc temporis a quodam servo suo Stoidrahc dicto
cultos et possessos». Inoltre, stando a un documento peraltro piuttosto ambiguo,
può essere che alcuni servi possedessero in proprio anche dei mancipia (cfr.
TBHB, n 288a, 1075-90). In questo documento è riportato il caso di una matrona
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ce erano specializzati nella pesca, come nel caso di tre pescatori
donati al vescovo di Bressanone verso la fine del secolo XI135.
In un unico documento dei Libri traditionum viene citato
anche un parservus, di nome Sweio, che donò alla Chiesa di
Bressanone un censuale136. Redlich, nel breve regesto che precede l’edizione del documento, tradusse in tedesco la qualifica di
Sweio con il termine Halbfreie, ritenendo con ciò che esso
appartenesse a un grado intermedio tra servitù e libertà, un
grado che a mio avviso non è mai presente nella realtà brissinese. Il parservus infatti altri non era che un parscalcus, una particolare tipologia di servo “specializzato”, presente soprattutto in
Baviera, come s’è avuto già modo di vedere137. Philippe Dollinger ha dimostrato in modo convincente come soprattutto per
il secolo XI non vi siano dubbi sulla condizione servile dei barscalchi, a cui dunque dovette sottostare anche il nostro Sweio138.
Il fatto che egli fosse proprietario di un servus d’altronde non
era un caso eccezionale per i servi di alta condizione sociale.
Abbiamo iniziato questa breve analisi del mondo servile
dopo il Mille richiamando un documento relativo a un placito
che doveva decidere sulla sorte di alcune persone, sulla loro
appartenenza ai liberi o ai servi. Dalla trattazione successiva
abbiamo potuto vedere come la società che emerge dai documenti brissinesi sia stata ancora fortemente caratterizzata dalla
diffusa presenza della servitù. Questo mondo era solo in apparenza immobile. Al suo interno si accentuarono sempre più le
distinzioni sociali, soprattutto verso l’alto, dove si affermò l’élite
dei ministeriali. Negli strati più bassi, tra i mancipia, invece tutto
sembra restare uguale a sé stesso. Abbiamo tuttavia dei segnali
che ci fanno capire che anche qui qualcosa si era messo in
moto, che il sistema produttivo basato sullo sfruttamento dei
servi iniziava a dare dei segni di cedimento, a causa di nuove
di nome Cecilia che donò «quosdam ministeriales ac servos suos, Walhonem videlicet cum filiis prediis mancipiisque suis». Sono propenso a credere che questo
Walho sia stato un servus anziché un ministeriale – anche se tra le due condizioni come s’è visto ci sono molti punti in comune – dal momento che viene ceduto con i figli, dato mai attestato in quest’epoca per i ministeriali.
135 Cfr. TBHB, nn: 304, 1075-90; 319b, 1075-90 e 358, 1085-90.
136 TBHB, n 195, 1065-75.
137 Sull’identità tra parservi e Barschalken cfr. DOLLINGER , Der bayerische
Bauernstand cit., p. 290, che sottolinea come esso esprima in modo particolare
lo status servile.
138 DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 296.
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esigenze economiche e di nuove istanze religiose. Segno di questo cambiamento sono i censuali, o meglio le censuali, che
cominciano ad apparire verso la fine del secolo XI. Accanto a
questa novità ce n’è anche un’altra: per la prima volta a partire
dal 1050 circa, i nostri documenti segnalano l’esistenza di contadini e coloni di basso livello sociale, ma liberi. La realtà dunque
si complica: da un lato vediamo servi assai ricchi, che fanno
ingenti donazioni di beni; dall’altra liberi miseri, costretti a coltivare piccoli appezzamenti di terreno. Status sociale e status giuridico spesso si intersecano, si sovrappongono; ecco che allora
diventa comprensibile la richiesta, presente nel documento con
cui abbiamo avviato quest’analisi: «aut libertatem suam defendere [...], aut servus esse convincitur»139.
3.3 Coloni e rustici
All’incirca nella stessa epoca in cui compaiono ministeriali e
censuali, fanno il loro ingresso nelle nostre fonti anche coloni e
rustici140. Il primo termine appare in un unico documento databile verso la metà del secolo XI dal quale risulta che il vescovo
Altwin donò al nobile Scrot «tantum terre quantum a duobus
colonis possessum est»141. La conoscenza dell’estensione di questo podere viene data per scontata, poiché probabilmente la
terra coltivata dai coloni aveva misure standardizzate. Sembrerebbe dunque che la presenza di liberi coloni fosse comune. Ciò
potrebbe apparire in contrasto con la mancanza di altre menzioni esplicite. Probabilmente essi coincidevano con i rustici o con
quelle persone che appaiono, prive di qualsiasi titolo, tra i “possessori” di alcuni beni fondiari del vescovato142. Anche costoro
infatti lavoravano in mansi e predia di proprietà altrui, che pote-
139 TBHB, n 182, 1060-70.
140 TBHB, nn: 84, 1050-65; 96, 1050-65; 191, 1065-75; 216, 1065-75; 255, 1070-80;
347, 1085-90; 350, 1085-90; 354, 1085-90; 383, 1095-97; 389, 1095-97.
141 TBHB, n 84, 1050-65.
142 Per il secondo caso cfr. per esempio TBHB, n 148, 1050-65, in cui il nobile
Bertoldo dona un «predium quale Perehta eiusque filius Rvdolf nuncupatus...
possedit», oppure TBHB, n 177, 1060-70, in cui il nobile Enrico dona un «predium... a duobus scilicet Eccho et Godimar nominatis possessum». Sull’identità
nelle fonti bavaresi tra coloni e rustici, cfr. DOLLINGER, Der bayerische Bauernstand cit., p. 349 sg. Purtroppo la mancanza di riferimenti a censi o tributi e l’inesistenza di espliciti contratti di concessione non ci permette di ricostruire le
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vano esser ceduti senza che essi ne venissero allontanati143. La
loro condizione di liberi è attestata dal fatto che essi non rientrano tra i “beni” donati né vengono mai ceduti singolarmente. Ciò
potrebbe essere messo in dubbio dalla presenza di un «servilem
mansum [...] tunc temporis a quodam rustico Heriman... cultum
et possessum»144; non bisogna dimenticare tuttavia che la presenza di liberi su mansi servili non era cosa rara, come ha ribadito
Adriaan Verhulst in un saggio di alcuni anni fa145. Anche nel
nostro caso ritengo che l’aggettivo servilis voglia sottolineare la
tipologia del manso, la sua estensione e, forse, i suoi obblighi, al
di là dello status giuridico di chi lo conduceva. I rustici delle
nostre fonti in ogni caso dovevano appartenere a uno strato
sociale assai basso, dal momento che fanno parte di una delle
pochissime categorie di persone che non fece alcun tipo di
donazione a favore della sede vescovile brissinese.
Nelle vaste proprietà dell’episcopio di Bressanone il lavoro
rurale nel secolo XI era affidato ancora per lo più a contadini in
condizione servile. Soprattutto negli ultimi cinquant’anni del
secolo emerse anche una presenza relativamente diffusa di coloni liberi di condizione modesta, che coltivavano beni fondiari di
proprietà altrui. Nulla sappiamo della loro origine, che a mio
avviso è da ricercare più tra i liberi declassati, come ad esempio
i precarsti, che tra i servi affrancati, la cui presenza è altrimenti
ancora assai rara. L’affermazione di un ceto contadino libero era
ancora lontana: nella realtà sociale presentata dalle fonti brissinesi la sostituzione della differenziazione di nascita tra liber e
servus con una basata sulle funzioni esercitate sembra ancora
essere ai suoi primi passi.
modalità giuridiche in base alle quali queste persone potevano “possedere” il
bene fondiario che lavoravano. Probabilmente si trattava di concessioni enfiteutiche o “in precaria”. Che queste persone godessero del bene fondiario, ma non
fossero di condizione servile, risulta evidente dal fatto che esse non vennero mai
donate con i terreni che lavoravano.
143 Come esempio dei documenti in cui compaioni beni posseduti da rustici si
veda TBHB, n 383, 1085-97 in cui vien detto che il nobile Tagini con la moglie e
il figlio «tale predium quale in loco Rasina possiderunt ac tunc temporis a quodam rustico Reginger dicto cultum et possessum... tradiderunt ac legaverunt».
Questo documento è significativo anche per comprendere l’ambiguità terminologica che spesso rende di difficile analisi i documenti brissinesi. Qui infatti il
verbo possidere è utilizzato probabilmente sia per indicare una proprietà, sia per
un possesso.
144 TBHB, n 255, 1070-80.
145 VERHULST, Die Grundherrschaftsentwicklung cit., p. 43.
261
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
3.4 L’organizzazione fondiaria: verso un assetto di tipo signorile
Ricostruendo il dibattito storico più recente dedicato al secolo XI, ci siamo soffermati nei capitoli precedenti sulla posizione
di Guy Bois, il quale nel suo saggio dedicato alle mutazioni
sociali ed economiche intervenute tra i secoli X e XI affermò che
esse furono una vera e propria rivoluzione146. «La rivoluzione
feudale – così egli la definisce – fu un fatto europeo di cui non
si deve perder di vista né il carattere generale né l’unità; mise a
soqquadro l’Occidente carolingio nel suo complesso. Un nuovo
rapporto di sfruttamento, inserito nella signoria, si sostituì all’antica servitù ridotta a una semplice sopravvivenza di cui certi elementi furono tuttavia riattivati e rimaneggiati nel servaggio successivo»147. In tal modo egli rendeva radicale una posizione ispirata dalle ricerche di Duby e sostenuta anche da storici come
Jean-Pierre Poly, Éric Bournazel e Dominique Barthélemy148.
Proprio quest’ultimo in un saggio apparso sulle «Annales» ha
colto l’occasione della riedizione francese del testo di Poly e
Bournazel sul “mutamento feudale” per svolgere una profonda
critica alle teorie “mutazioniste” più radicali. Analizzando i rapporti di produzione attorno al Mille egli ritenne che alla domanda «Ont-ils été en France, entre 980 et 1060, radicalement transformés?» fosse possibile rispondere solamente con un deciso
no, proponendo di sostituire la teoria della “mutation brutale”
con quella degli «ajustements succesifs»149. Una risposta analoga
la si può dare per la realtà testimoniata dalle fonti brissinesi. Nel
corso del secolo XI assistiamo a una graduale, lenta trasformazione dei diversi gruppi sociali, una trasformazione in qualche
modo bloccata dal quadro più generale dei rapporti politici tra
vescovi e impero. Fallito il progetto del vescovo Altwin, si aprirà
una lotta per il dominio sul territorio della sua sede episcopale
146 BOIS, L’anno Mille cit., p. 167 sg. Per la ricostruzione del dibattito storiografi-
co su questi temi cfr. cap. III, § 3.
S ERVI
E CONTADINI
che farà cadere le barriere precedenti e produrrà una rapida
ascesa di gruppi sociali prima subalterni. Una dinamica simile la
ritroviamo anche nella gestione delle campagne.
A una prima, frettolosa lettura dei Libri traditionum sembra
che nulla sia cambiato rispetto al periodo precedente al Mille, se
non l’aumento vertiginoso di coloro che fecero donazioni a
favore dell’episcopio. Ma, a fronte della permanenza delle diverse tipologie di beni fondiari e delle loro definizioni, scorrendo
con più attenzione i vari documenti, si notano alcuni significativi
mutamenti (cfr. tab. 24).
Se analizziamo la composizione delle donazioni, esse sembrano mantenere all’incirca le stesse caratteristiche del secolo precedente: anche dopo il Mille il grosso delle acquisizioni dei vescovi
brissinesi era costituito da aziende fondiarie organizzate in predia, mansi e hobae. Ma questi termini iniziarono a indicare altre
realtà. In particolare lo spettro del significato di predium divenne
più ampio e indeterminato. Predia infatti potevano essere sia
beni di media grandezza, composti da «pratis pascuis agris»150, sia
aziende di notevoli dimensioni, dislocate talvolta anche in luoghi
diversi151, sia infine piccole unità fondiarie, corrispondenti ai
mansi152. Nei primi due casi il predium, oltre che dalle diverse
pertinenze – assai variabili di volta in volta – poteva essere composto anche da mansi, i quali mantenevano una loro “indipendenza”, dal momento che talvolta, nell’atto della cessione del
predium, parte di essi veniva mantenuta dal loro proprietario153;
quest’ultimo però non sempre gestiva direttamente i propri predia, spesso affidati – possessi dicono i nostri documenti – a dei
coloni liberi154. In altri casi poi i vescovi brissinesi, ottenuta la
150 Cfr. come esempio di un predium standard TBHB, n 116, 1050-65, in cui il
libero Wolf dona un «predium quale in pago qui Varna dicitur habere videbatur,
[...] pratis pascuis agris cultis et incultis viis et inviis exitibus et reditibus».
151 Come esempio di predium di notevoli dimensioni sparso su più località si
veda TBHB, n 163, 1050-65.
152 Cfr. TBHB, n 108a e b, 1050-65, in cui un manso viene definito anche come
147 BOIS, L’anno Mille cit., p. 167.
predium.
148 Cfr. POLY, BOURNAZEL, Il mutamento cit. e BARTHÉLEMY, L’ordre cit. Sul rappor-
153 Cfr. TBHB, n 68, 1022-39, in cui il nobile Herimbert dona un predium
to tra le tesi di Duby e quelle di Bois mi trovo in parte d’accordo con quanto
affermato da C. VIOLANTE in Introduzione alla settimana di studio Il secolo XI:
una svolta?, il quale tuttavia nega troppo risolutamente gli apporti originali di
Bois, sottolineati invece da G. ARNALDI, La storia in grande, in «Storia e dossier»,
n 39 (apr. 1990), p. 4 sg.; sul dibattito avviato da Bois cfr. SERGI, Assetti politici
cit., p. 9 sg.
«exceptis v mansis». Si vedano anche TBHB, nn 231, 1065-77 e 386, 1085-97.
149 BARTÉLEMY, La mutation cit., p. 775.
262
154 Tali concessioni probabilmente, come s’è accennato nel paragrafo dedicato
ai contadini, erano di tipo enfiteutico; purtroppo manca qualsiasi prova esplicita
a tal proposito. Per un riscontro documentario si vedano TBHB, nn: 148, 105065; 157, 1050-65; 177, 1060-70; 185, 1065-75; 192, 1065-75; 214, 1065-75; 215,
1065-75; 216, 1065-75; 272, 1070-80; 277, 1070-80; 284, 1075-90; 304, 1075-90;
354, 1085-90.
263
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
donazione, lasciavano i beni in usufrutto vitalizio ai loro precedenti proprietari155. I predia di dimensioni ridotte invece corrispondevano a mansi e hobae156, diffusi anche dopo il Mille su
tutto il territorio delle Alpi orientali, sia pure con forme di gestione o tradizione diverse, testimoniate dalla presenza di varie
denominazioni particolari, come ad esempio hoba sclavanisca o
mansus bavaricus157. Anch’essi spesso erano condotti da dei
coloni o erano lasciati in usufrutto ai loro ex-proprietari. Accanto
a queste aziende agricole strutturate, i vescovi brissinesi vennero
acquisendo singole porzioni di campi, prati, pascoli, boschi, chiese. La proprietà fondiaria dell’episcopio quindi risulta frammentaria, composita, quasi caotica, sia per quanto riguarda la sua composizione sia per il tipo di gestione. Gli elementi di novità rispetto all’epoca precedente sono costituiti soprattutto dall’aumento di
coloni liberi e della pratica della concessione in usufrutto. Si tratta di aspetti talvolta enfatizzati, interpretati come il primo passo
verso il raggiungimento della “libertà” dei contadini158. Essi possono essere colti correttamente solamente se analizzati come elementi di un processo più ampio.
La chiave per comprendere la logica delle acquisizioni e, di
conseguenza, anche dell’insieme della loro organizzazione ci
viene data dalla localizzazione dei vari beni. Infatti, anche se è
piuttosto complesso identificare tutti i luoghi riportati nei documenti, dalla ricorrenza di alcune regioni o aree è possibile indi155 Cfr. p. es. TBHB, nn: 73, 1050-65; 79a, 1050-65; 236, 1070-80; 249, 1070-80;
258, 1070-80; 309, 1075-90.
156 Sul significato di questi termini nelle fonti brissinesi cfr. cap. IV. Sull’identità
tra predia, mansi e hobae cfr. TBHB, nn: 107, 1050-65; 108, 1050-65; 273, 107080. Sull’identità tra manso e hoba cfr. TBHB, nn: 179, 273, 1070-80; 278, 1070-80;
310, 1075-90, 1060-70.
S ERVI
E CONTADINI
viduare delle linee di tendenza nette, grazie alle quali si può
capire come ciò che andò gradualmente cambiando nel corso
del secolo XI non fu tanto la tipologia delle singole unità fondiarie, quanto la strategia attraverso la quale esse vennero acquisite;
non vi fu quindi un rivoluzionamento nelle forme di controllo e
di sfruttamento delle campagne, quanto una loro decisa accelerazione. Non è casuale che le aree privilegiate dalle acquisizioni
dei vescovi brissinesi corrispondano a quelle che abbiamo già
indicato analizzando le donazioni avvenute prima del Mille e le
concessioni regie e imperiali ottenute nel corso del secolo XI:
Val d’Isarco, Val Pusteria e alcune zone della Carinzia, in particolare la Jauntal. Soprattutto durante il vescovato di Altwin questa strategia si presenta in modo chiaro. Egli rispetto ai suoi predecessori fece scarso uso delle permute, riuscendo a ottenere un
numero altissimo di donazioni; ma ciò che lo distingueva in particolar modo era la lucidità con cui andava perseguendo questo
disegno. Ciò risulta in modo evidente analizzando le diverse
acquisizioni in Jauntal, dove a partire dall’epoca di Albuin l’episcopio brissinese possedeva un importante insieme di beni composto da un predium con una foresta, due hobae e un castello.
Il graduale costituirsi di questo nucleo di beni è significativo per
cogliere il passaggio da una signoria fondiaria a una, sia pur
limitata, signoria territoriale o di banno159; esso inoltre mostra in
modo altrettanto chiaro la commistione tra beni familiari e beni
vescovili che tanto ha caratterizzato lo sviluppo della proprietà
fondiaria dell’episcopio brissinese. Infatti proprio attorno a un
nucleo compatto di beni incentrato su un castello e una foresta,
per il cui controllo Albuin si era scontrato con il fratello Aribon e160, Altwin attraverso una paziente opera durata circa un trentennio riuscì ad acquisire una decina di predia, altrettanti mansi
e alcuni appezzamenti sparsi161. Un processo analogo avvenne,
sempre in Carinzia e nella vicina Carniola, attorno a due altri
157 Infatti in TBHB, nn: 98, 1050-65; 248, 1070-80 e 255, 1070-80 sono menziona-
ti dei mansi servili; in TBHB, n 136, 1050-65 appare un manso sabionensis moris;
in TBHB, 231, 1065-77 un mansus bavaricus; in TBHB, nn: 170, 1060-70; 173,
1060-70; 244, 1070-80 e 363, 1085-90 hobae e mansi “slavi”. Su queste varie tipologie di mansi cfr. cap. IV, § 4.
159 Sulla particolare accezione del significato di “signoria fondiaria” e “signoria
di banno” cfr. cap. III, § 3, dove viene riportata la proposta terminologica di
Cinzio Violante.
158 La teoria della graduale “liberazione” dei contadini “tirolesi” a partire dal
secolo XI trova i suoi massimi assertori in Otto Stolz e Hermann Wopfner, i quali
l’hanno elaborata in diverse loro opere (cfr. p. es. O. STOLZ, Rechtsgeschichte des
Bauernstandes und der Landwirtschaft in Tirol und Vorarlberg, Bolzano 1949 e
H. W OPFNER, Beiträge zur Geschichte der freien bäuerlichen Erbleihe Deutschtirols
im Mittelalter, Breslau 1903; in ambedue queste opere, in particolar modo in
quella di Stolz, la sovrapposizione di fonti d’epoca diversa tende a enfatizzare le
continuità e ad annullare le specificità dei diversi periodi storici).
161 Per quanto riguarda l’acquisizione di beni in Jauntal cfr. TBHB, nn: 79, 105065; 80, 1050-65; 81, 1050-65; 84, 1050-65; 85, 1050-65; 86, 1050-65; 108, 1050-65;
112, 1050-65; 147, 1050-65; 153, 1050-65; 154, 1050-65; 155, 1050-65; 156, 105065; 159, 1050-65; 165, 1050-65; 174, 1060-70; 180, 1060-70; 209, 1065-75; 220,
1065-75; 224, 1065-75; 225, 1065-75; 237, 1070-80; 289, 1075-90; 300, 1075-90.
264
265
160 Cfr. TBHB, nn: 5, ante 975; 28, 993-1000; 30, 995-1005; 34, 995-1005; 37, 9951005.
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
importanti nuclei di beni, quello di Villach e quello di Bled,
ambedue collegati a un castello. La presenza all’interno di ognuno di questi nuclei fondiari di una fortificazione è un segnale di
grande rilevanza a favore di una loro organizzazione di tipo
signorile, una signoria inizialmente limitata ai singoli possedimenti, ma destinata progressivamente a estendersi anche sui territori circostanti162. A questo proposito possediamo una testimonianza importante relativa a tre nobili di nome Paolo, Iwan e
Tunzo, i quali tra il 1075 e il 1090 dovettero concedere ad
Altwin il «bannum ferarum super predium illorum in forestis prefati presuli»163; a dimostrazione di come il vescovo potesse esercitare delle proprie prerogative di tipo signorile anche su proprietà altrui.
L’intento di Altwin era chiaro: costituire una solida base fondiaria sulla quale costruire una propria signoria di banno, forse
162 All’interno della vasta produzione sul rapporto tra castelli e signoria si possono vedere i saggi riportati in Castrum 3. Guerre, fortification et habitat dans le
monde méditerranéen au Moyen Age: colloque organisé par la Casa de
Velazquez et l’École française de Rome, Madrid-Roma 1988 e gli importanti studi
di P. TOUBERT, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siècle, Roma 1973; ID., Dalla terra cit., e A.A. SETTIA, Castelli e villaggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli
1984. Si vedano anche le considerazioni di M. NOBILI in Le trasformazioni nell’ordinamento agrario e nei rapporti economico-sociali nelle campagne dell’Italia
centrosettentrionale nel secolo XI, in Il secolo XI, p. 163 sg. e di G. SERGI in Le
istituzioni politiche del secolo XI: trasformazioni dell’apparato pubblico e nuove
forme di potere, in Il secolo XI cit., p. 86. Nella produzione storiografica tirolese
l’incastellamento più che con la formazione della signoria territoriale è stato rapportato all’ascesa dei ministeriali, fenomeno che caratterizza l’evoluzione del
futuro Tirolo nel secolo XII. Si veda a tal proposito BITSCHNAU, Burg und Adel
cit., un testo sicuramente valido ma che trascura completamente le teorie dell’incastellamento sviluppatesi nell’ultimo trentennio, come si evince chiaramente già
scorrendo la bibliografia proposta. Sempre in relazione a fortificazioni, si vedano
anche TBHB, n 100, 1050-65 in cui il nobile Erchinger cedette all’episcopio di
Bressanone «tertiam partem castri Chienes vocati ligneisque edificiis contructi»;
TBHB, n 137a, 1050-65, relativo a una donazione di un «agrum i arabilis terre sub
castro Ueldes iacentem»; il castello a cui si fa riferimento venne donato al vescovato da Enrico II nel 1011 (UBHA, n 15, 22 maggio 1011); TBHB, n 336, 1075-90,
con il quale l’ingenuus Tagini donò la «medietatem castri Rischoni». Il fatto che
questi due castelli nel corso del secolo XII divennero sede di ministeriali (cfr.
BITSCHNAU, Burg und Adel cit., pp. 293-94 e pp. 406-8), conferma il loro ruolo di
tipo signorile; essi probabilmente vennero assegnati ad amministratori dei beni
brissinesi i quali, poi, nel corso del secolo XII aproffittando della crisi del potere
politico del vescovato iniziarono a costruire un proprio dominatus.
163 TBHB, n 305, 1075-90.
266
S ERVI
E CONTADINI
anche un proprio dominatus. Ecco che allora si spiega anche il
motivo dell’apparente caos nell’organizzazione economica delle
proprietà brissinesi. Ciò che interessava ai vesccovi, più che un
loro sfruttamento economico – il cui ruolo naturalmente fu rilevante – era il loro controllo signorile164. Il fatto stesso che anziché dei polittici o degli urbari con l’elenco dei possessi e delle
entrate furono redatti dei Libri traditionum sembra attestare
quest’ipotesi. Più che un quadro preciso dei possedimenti e
delle entrate, i vescovi brissinesi ritennero utile poter documentare in ogni momento l’origine dei loro possessi e dei loro beni,
senza entrare troppo in dettagli di tipo economico-gestionale
ritenuti probabilmente scontati o comunque non di massima rilevanza. Non è un caso poi che la prima parte dei Libri venne
redatta proprio durante il secolo XI, quando l’esigenza di documentare i propri possedimenti era divenuta ormai di estrema
necessità.
Il collante che univa tra di loro predia, hobae e mansi basati
ancora su un’organizzazione del lavoro di tipo schiavista con
altri lasciati in usufrutto o in beneficio era un elemento che non
veniva espresso esplicitamente, ma che stava alla base delle
acquisizioni stesse: la soggezione di tutti, liberi o servi, a un
unico dominus, il vescovo.
3.5 Un nuovo dominio
Il vescovo Altwin avviò nel corso della seconda metà del
secolo XI una strategia di potere che ebbe un rilevante ruolo
nella graduale modifica dell’assetto della società in cui operava.
Favorendo il compattamento delle diverse proprietà dell’episcopio cercò di creare dei solidi nuclei fondiari che favorirono il
passaggio da un’organizzazione basata su signorie fondiarie che
sfruttavano il lavoro servile a un nuovo sistema signorile territoriale, che da un lato portò all’ascesa di nuovi gruppi di servi
“specializzati” (i ministeriali) a cui venne affidata l’amministrazione delle proprietà, dall’altro accelerò l’emergere di liberi strettamente legati al vescovo da rapporti di tipo vassallatico-beneficiario (i milites). Questo nuovo sistema che mirava a un controllo
164 Su come in quest’epoca spesso le rendite signorili fossero più ricercate di
quelle fondiarie cfr. G. DUBY, Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti guerrieri e
lavoratori, Roma-Bari 19892, p. 187 sg. (ed. or. Les trois ordes ou l’imaginaire du
féodalisme, Parigi 1978).
267
V. IL
SECOLO XI : VERSO UN N U O V O A S S E T T O DELLA SOCIETÀ
di un territorio nel suo complesso favorì un cambiamento anche
nei sistemi di produzione, con il graduale emergere di un nuovo
ceto di contadini liberi. Ciò non comportò un’apertura della
società verso più ampie forme di libertà. Questi coloni, come del
resto molti precaristi, erano pur sempre in condizioni di dipendenza, diversa dalla servitù, ma non per questo meno pesante.
Accanto allo sviluppo del potere signorile e la riorganizzazione
della proprietà fondiaria, Altwin cercò di favorire una contemporanea estensione delle sue prerogative pubbliche, attraverso
nuove concessioni regie di diritto di banno e tramite l’acquisizione della giurisdizione comitale sulla Val Pusteria. Il fallimento
del progetto politico di Enrico IV, come s’è visto determinò
anche il fallimento del disegno di Altwin. Il suo progetto di realizzare un “ordine signorile” su una regione che andava dalla Val
d’Isarco alla Carinzia orientale venne bloccato. È solamente alla
fine del secolo XI dunque che vi fu una vera, brusca cesura
nello sviluppo della società “brissinese”, un radicale cambiamento di paradigma.
Conclusione
Un sentiero interrotto
«Si rimprovera sovente agli storici di abusare della parola
“rivoluzione”, che dovrebbe, secondo il suo primo significato,
essere riservata a fenomeni violenti e rapidi. Quando si tratta di
fenomeni sociali, però, repentinità e lentezza sono indissolubili.
Non esiste infatti società che non sia costantemente divisa tra
forze di conservazione e forze sovversive, conscie o inconscie,
che cercano di stroncarla; di tale conflitto, latente e di lunga
durata, le esplosioni rivoluzionarie sono soltanto le manifestazioni vulcaniche, brevi e brutali»1. In tal modo Fernand Braudel in
riferimento ai grandi moti rivoluzionari che accompagnarono l’ascesa della borghesia dal 1600 in poi cercò di sottolineare una
idea a lui cara, lo stretto legame fra fattori di tipo diverso, che
scorrono nella storia con tempi differenti. Nel corso della mia
ricerca, giunta ormai a conclusione, ho cercato di tenere presente sempre questi principi generali. Pertanto ho voluto seguire da
un lato la storia degli eventi politici, con le sue cesure e i suoi
cambiamenti talvolta improvvisi, rapidissimi; d’altro lato ho tentato, nei limiti concessi dalla particolarità delle nostre fonti, di
seguire anche i ritmi, più lenti, dell’evoluzione economica e
sociale, cercando di collegarli il più possibile con la storia degli
avvenimenti, per tentare di comprendere come l’una potesse
avere influenza sull’altra. Il quadro geografico all’interno del
quale ho collocato questi processi è venuto costituendosi via via
con la ricerca; ho voluto evitare in tal modo di proiettare verso il
passato confini o regioni d’epoca successiva che avrebbero con-
1
F. BRAUDEL, Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), vol.
III, I tempi del mondo, Torino 1982, p. 573 (ed. or. Civilisation matérielle, economie et capitalisme (XVe-XVIIIe siècle). Le temps du monde, Parigi 1979). Su questi
aspetti si veda anche il più recente D.S. LANDES, La favola del cavallo morto,
ovvero la rivoluzione industriale rivisitata, Roma 1994 (ed. or. The Fable of the
Dead Horse; or, The Industrial Revolution Revisited, 1993).
268
269
C ONCLUSIONE
UN
SENTIERO INTERROTTO
dizionato la ricerca, portandola a una sorta di strabismo prospettico. Per questo motivo ho ritenuto importante far precedere la
ricerca vera e propria da un’analisi storiografica, dalla quale
emerge come, per precise cause storiche e per scelte individuali
dei singoli storici, la ricostruzione della società medievale nelle
zone da me approfondite è stata spesso nel passato pesantemente condizionata dall’utilizzo di concetti attualizzanti, talvolta
ingannevoli.
Attraverso l’analisi di fonti molto particolari come i Libri traditionum, integrate con le altre fonti disponibili, ho cercato dunque
di ricostruire la società che gravitava attorno ai vescovi di SabionaBressanone tra i secoli IX e XI, un periodo da decenni privilegiato
dall’analisi della medievistica europea per i grandi cambiamenti
che in questi anni si produssero in numerose regioni d’Europa. I
risultati di quest’analisi possono così essere sintetizzati:
– nel corso della prima metà del secolo X i vescovi di Bressanone, il cui modello di vita era riconducibile a quello dei vescoviguerrieri approfondito soprattutto da Friedrich Prinz, attraverso
stretti legami con re e imperatori germanici riuscirono a ottenere
importanti proprietà fondiarie sottoposte a immunità; in tal
modo cominciarono a corrodere gradualmente dall’interno le circoscrizioni territoriali presenti dall’età carolingia e le prerogative
dei diversi funzionari pubblici;
– alla fine del secolo X e nei primi decenni del secolo XI grazie
soprattutto all’opera del vescovo Albuin la sede episcopale di
Bressanone estese i propri interessi fondiari e di dominio al di
fuori della propria diocesi, in particolare in Carinzia, regione in
cui gli Ariboni svolgevano un ruolo preminente; attraverso una
costante fedeltà verso la politica imperiale un successore di
Albuin, Hartwig, anch’esso riconducibile agli Ariboni, ottenne la
giurisdizione sul comitatus di Norital, all’interno del quale si trovava la diocesi brissinese. Così giungeva a compimento una strategia che, almeno a partire da Albuin, mirava all’eliminazione di
ogni potere concorrente nella diocesi. Col 1027 dunque si conclude una prima importante fase della storia della sede vescovile.
La società all’interno della quale avvenne questo processo
era caratterizzata dalla presenza di un numero relativamente alto
di liberi e nobili, in gran parte di origine bavara, con possedimenti sparsi tra Inn e Adige, nei cui ambiti lavoravano servi
diversi per livello e condizione. Tranne che nei casi delle donazioni imperiale, non sono attestate grandi curtes, le quali in ogni
caso probabilmente non erano strutturate in base allo schema
bipartito. Il sistema di sfruttamento delle grandi proprietà può
esser ricondotto per lo più a quello della signoria fondiaria.
A partire dal 1030 circa in poi i vescovi, in particolare Altwin,
tentarono di rendere maggiormente omogenee le loro proprietà,
aumentate in modo considerevole grazie a un cospicuo numero
di donazioni, avviando una loro organizzazione che prefigurava
una signoria territoriale.
Accanto a questo riordinamento, che comportò anche l’ascesa di nuovi gruppi sociali come ministeriali e milites e la graduale diffusione di coloni liberi ma assoggettati al potere signorile, i
vescovi Poppone e Altwin scelsero una strategia di affermazione
politica assai rischiosa, schierandosi nettamente a fianco degli
imperatori tedeschi nella loro lotta con il papato. Mentre questa
scelta si concluse favorevolmente per Poppone, il quale divenne
addirittura papa, si rivelò fallimentare per Altwin, che aveva giocato tutte le sue carte su Enrico IV. La disfatta dell’imperatore fu
anche la disfatta di Altwin. L’“ordine signorile” che egli stava
consolidando all’interno di una regione che dalla Val d’Isarco
andava circa sino alla Carinzia cadde in frantumi. L’improvviso
vuoto di potere permise a funzionari e uomini legati precedentemente ai vescovi brissinesi di avviare una propria egemonia e di
porre le basi per edificare propri ambiti di potere territoriale. È a
questa data pertanto che va posta una cesura precisa. Il progetto
avviato da Albuin e proseguito da Hartwig, Poppone e Altwin
giunse al suo termine; e con esso la società che l’aveva reso
possibile. Da qui incomincia veramente un altro percorso, un’altra storia.
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Conclusione
Un sentiero interrotto
«Si rimprovera sovente agli storici di abusare della parola
“rivoluzione”, che dovrebbe, secondo il suo primo significato,
essere riservata a fenomeni violenti e rapidi. Quando si tratta di
fenomeni sociali, però, repentinità e lentezza sono indissolubili.
Non esiste infatti società che non sia costantemente divisa tra
forze di conservazione e forze sovversive, conscie o inconscie,
che cercano di stroncarla; di tale conflitto, latente e di lunga
durata, le esplosioni rivoluzionarie sono soltanto le manifestazioni vulcaniche, brevi e brutali»1. In tal modo Fernand Braudel in
riferimento ai grandi moti rivoluzionari che accompagnarono l’ascesa della borghesia dal 1600 in poi cercò di sottolineare una
idea a lui cara, lo stretto legame fra fattori di tipo diverso, che
scorrono nella storia con tempi differenti. Nel corso della mia
ricerca, giunta ormai a conclusione, ho cercato di tenere presente sempre questi principi generali. Pertanto ho voluto seguire da
un lato la storia degli eventi politici, con le sue cesure e i suoi
cambiamenti talvolta improvvisi, rapidissimi; d’altro lato ho tentato, nei limiti concessi dalla particolarità delle nostre fonti, di
seguire anche i ritmi, più lenti, dell’evoluzione economica e
sociale, cercando di collegarli il più possibile con la storia degli
avvenimenti, per tentare di comprendere come l’una potesse
avere influenza sull’altra. Il quadro geografico all’interno del
quale ho collocato questi processi è venuto costituendosi via via
con la ricerca; ho voluto evitare in tal modo di proiettare verso il
passato confini o regioni d’epoca successiva che avrebbero con-
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F. BRAUDEL, Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), vol.
III, I tempi del mondo, Torino 1982, p. 573 (ed. or. Civilisation matérielle, economie et capitalisme (XVe-XVIIIe siècle). Le temps du monde, Parigi 1979). Su questi
aspetti si veda anche il più recente D.S. LANDES, La favola del cavallo morto,
ovvero la rivoluzione industriale rivisitata, Roma 1994 (ed. or. The Fable of the
Dead Horse; or, The Industrial Revolution Revisited, 1993).
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SENTIERO INTERROTTO
dizionato la ricerca, portandola a una sorta di strabismo prospettico. Per questo motivo ho ritenuto importante far precedere la
ricerca vera e propria da un’analisi storiografica, dalla quale
emerge come, per precise cause storiche e per scelte individuali
dei singoli storici, la ricostruzione della società medievale nelle
zone da me approfondite è stata spesso nel passato pesantemente condizionata dall’utilizzo di concetti attualizzanti, talvolta
ingannevoli.
Attraverso l’analisi di fonti molto particolari come i Libri traditionum, integrate con le altre fonti disponibili, ho cercato dunque
di ricostruire la società che gravitava attorno ai vescovi di SabionaBressanone tra i secoli IX e XI, un periodo da decenni privilegiato
dall’analisi della medievistica europea per i grandi cambiamenti
che in questi anni si produssero in numerose regioni d’Europa. I
risultati di quest’analisi possono così essere sintetizzati:
– nel corso della prima metà del secolo X i vescovi di Bressanone, il cui modello di vita era riconducibile a quello dei vescoviguerrieri approfondito soprattutto da Friedrich Prinz, attraverso
stretti legami con re e imperatori germanici riuscirono a ottenere
importanti proprietà fondiarie sottoposte a immunità; in tal
modo cominciarono a corrodere gradualmente dall’interno le circoscrizioni territoriali presenti dall’età carolingia e le prerogative
dei diversi funzionari pubblici;
– alla fine del secolo X e nei primi decenni del secolo XI grazie
soprattutto all’opera del vescovo Albuin la sede episcopale di
Bressanone estese i propri interessi fondiari e di dominio al di
fuori della propria diocesi, in particolare in Carinzia, regione in
cui gli Ariboni svolgevano un ruolo preminente; attraverso una
costante fedeltà verso la politica imperiale un successore di
Albuin, Hartwig, anch’esso riconducibile agli Ariboni, ottenne la
giurisdizione sul comitatus di Norital, all’interno del quale si trovava la diocesi brissinese. Così giungeva a compimento una strategia che, almeno a partire da Albuin, mirava all’eliminazione di
ogni potere concorrente nella diocesi. Col 1027 dunque si conclude una prima importante fase della storia della sede vescovile.
La società all’interno della quale avvenne questo processo
era caratterizzata dalla presenza di un numero relativamente alto
di liberi e nobili, in gran parte di origine bavara, con possedimenti sparsi tra Inn e Adige, nei cui ambiti lavoravano servi
diversi per livello e condizione. Tranne che nei casi delle donazioni imperiale, non sono attestate grandi curtes, le quali in ogni
caso probabilmente non erano strutturate in base allo schema
bipartito. Il sistema di sfruttamento delle grandi proprietà può
esser ricondotto per lo più a quello della signoria fondiaria.
A partire dal 1030 circa in poi i vescovi, in particolare Altwin,
tentarono di rendere maggiormente omogenee le loro proprietà,
aumentate in modo considerevole grazie a un cospicuo numero
di donazioni, avviando una loro organizzazione che prefigurava
una signoria territoriale.
Accanto a questo riordinamento, che comportò anche l’ascesa di nuovi gruppi sociali come ministeriali e milites e la graduale diffusione di coloni liberi ma assoggettati al potere signorile, i
vescovi Poppone e Altwin scelsero una strategia di affermazione
politica assai rischiosa, schierandosi nettamente a fianco degli
imperatori tedeschi nella loro lotta con il papato. Mentre questa
scelta si concluse favorevolmente per Poppone, il quale divenne
addirittura papa, si rivelò fallimentare per Altwin, che aveva giocato tutte le sue carte su Enrico IV. La disfatta dell’imperatore fu
anche la disfatta di Altwin. L’“ordine signorile” che egli stava
consolidando all’interno di una regione che dalla Val d’Isarco
andava circa sino alla Carinzia cadde in frantumi. L’improvviso
vuoto di potere permise a funzionari e uomini legati precedentemente ai vescovi brissinesi di avviare una propria egemonia e di
porre le basi per edificare propri ambiti di potere territoriale. È a
questa data pertanto che va posta una cesura precisa. Il progetto
avviato da Albuin e proseguito da Hartwig, Poppone e Altwin
giunse al suo termine; e con esso la società che l’aveva reso
possibile. Da qui incomincia veramente un altro percorso, un’altra storia.
270
271
Appendice
Alberi genealogici
Tabelle
Carte
N.B. I nomi delle persone che appaiono nei diversi alberi genealogici sono stati
proposti nella loro versione originale, onde non creare equivoci.
TAVOLA 1 - I RATPOTONI
Ratpoto I
conte in Norital
901
N.N.
N.N. =
Ratpoto III
conte nella Valle
dell’Inn e in Norital
=
DI
HOHENWART
W ELFEN
N.N.
=
Ratpoto II
955/62
conte nella Valle dell’Inn e
in Norital
Otto
conte nella Valle
dell’Inn e in Norital
EI
Welfen
Beata(Ata)
Gebhard
vescovo
di Ratisbona
Wilibirg
di Eltersberg
Konrad
=
Eticho
conte
ad Altdorf
=
Heinrich I «mit den goldenen Wagen»
Conte ad Altdorf
Konrad
vescovo
di Costanza
Rudolf I
conte
ad Altdorf
Itha
= Rudolf II
di Öningen
Conte
ad Altdorf
Irmtrud
di Lussemburgo
Welf III
conte ad Altdorf
duca di Carinzia
=
Welf II
conte in Lechrain
† 1030
Kuniza
(Kunigunde)
Heinrich II
conte ad Altdorf
=
Richardis
Azzo d’Este
Ricostruzione basata sugli alberi genealogici proposti in Europäische Stammmtafeln cit. e in F. TYROLLER, Genealogie cit.
=
=
N.N.
Eticho
Vescovo di
Augusta
† 988
Adalbero
di Ebersberg
TAVOLA 2
GLI ARIBONI
Aribo = N.N.
Alaholfinger
Chadalhoch
= N.N.
conte Albgau e Aargau
† dopo il 903
Isanrich
conte
† dopo il 903
figlia
Otachar
= N.N.
conte
in Carantania
= Arpo
N.N =
Odalbert
arcivescovo di
Salisburgo - † 935
Chadalhoch
conte Isengau e
nella Bassa Salzburggau
† dopo il 939
Egilolf
Rihni
monaca
=
Heilrat
927
= Dietrich
Wichburg
figlia di
Eberhard
duca di Baviera
Eberhard
995 conte in
Isengau
N.N. = Chadalhoch
conte
in Isengau
† 1030 ca.
Aribo I
=1 Adala
conte Palatino
† 1020
in Baviera
† 1000/1
Egilolf
Wichburg Wichburg Hildburg
Aribo
Hartwig = Friderun
badessa di = Arnold I 1021-1031 conte Palatino
Altmünster conte in arcivescovo in Baviera
a Magonza
Traun di Magonza
† 1031
Pilgrim Chadalhoch = Irmgard
Judith
= Boto
Aribo II = Luitgard*
1021-1034
conte in
di Zütphen di Schweinfurt
“il forte”
1041-1055
vedova di
vescovo di
Isengau
† 1075 vedova del duca
conte di conte Palatino Engelbert
Colonia
Corrado di Baviera Botenstein
in Baviera
conte in
† 1102
Val Pusteria
Chacil
=
conte in Friuli e
Carinzia
† dopo il 1090
Kunigunde
Adelheid
=
Heinrich
Hartwig
di Limburg
† prima del 1102
1101-1106 duca
della bassa Lotaringia
Rihni
nipote del
Margravio Luitpold
Himiltrud Otalchar Dietmar
930/31 = Alta Advocatus del
vescovo di
Salisburgo
Friedrich
=
N.N.
Bernhard Engelbert =
= Engilrath
Hartwig I
conte in Kroatengau, Isengau,
bassa Salzburggau, Waltboto in Carinzia
976 conte palatino in Baviera
† 981/5
N.N.
Hildegard = Albuin
di Stein
† 975
Albuin
Aribo Hartwig Gepa Wezala Perchswint
=2 Engelbert Hartwig Wichburg = Otwin
conte in 991-1023 † dopo il conte in 975-1006 conte
Chiemgau arcivescovo 1020
Val Pusteria vescovo
in
di Salisburgo
† 1019
di Sabiona Jauntal
-Bressanone
Philhilde
=
figlia
di Federico I
di Andechs
Sieghard
Sieghard
† 1044
Friedrich
diacono
Heinrich
1098-1137
vescovo
Hartwig
1023-1039
vescovo di
di Bressanone
Friedrich
conte a
Tengling
Conti di Peilstein,
Mörle e Kleeberg
Ricostruzione basata sugli alberi genealogici proposti in H. DOPSCH, Die Aribonen. Stifter des
Klosters Seeon cit., e Europäische Stammtafeln cit., tavola 26.
276
Hartwig
=
Proximus dell’arcivescovo
Odalbert
277
Engelbert
=
conte nella Valle
dell’Inn, in Noritale
e in Val Pusteria
† 1039
Luitgard*
Richgard = Siegfried von Spanheim
“di Lavant”
† 1065
Spanheimer
TAVOLA 3 - I SIGHARDINGER
Engelbert I
conte sull’Inn
839
N.N.
=
Reginbert
=
Norbert
N.N.
Engelbert II
N.N.
=
Sieghard II
Ratold I
N.N. =
Willa
Zloubrana
N.N.
=1
Tuta
=2
von Ebersberg
=
Sieghard V
Sieghard IV
conte in
Chiemgau
=
Norbert II
Richgard
Sieghard IV
Friedrich
963/80
958
conte in Chiemgau arcivescovo
di Salisburgo
Friedrich
= N.N.
=
Sieghard III
940 conte
in Chiemgau
Pilgrim
Engelbert I
Engelbert II
Engelbert III
Eberhard
Sieghard VII
von Eppenstein = Phihilde
Nordbert I
=
Adala
Friedrich Hartwig
Engelbert IV = Liutgard
diacono vescovo
conte nella Valle
di Bressanone dell’Inn, in Norital
e in Val Pusteria
Ricostruzione basata sugli alberi genealogici proposti in Europäische Stammmtafeln cit. e in F. TYROLLER, Genealogie cit.
TAVOLA 4 - I PILGRIMIDI
Pilgrim I
927-950
926/37 conte presso Sempt
950 conte presso Mangfall
Poppo I
di Rott
959-980 c.
conte presso Sempt
Poppo II
di Rott
=
=
N.N.**
N.N.
Aribo
973
N.N.
= Conte
Kadalhoh IV
di Isengau
Pilgrim II
971-991
vescovo
di Passau
Pilgrim III
1002/1003
† 24.12.1039
1004/9 conte
presso Mangfall
1014 conte in
Mattingau
= N.N.
Meginhard I
Adv. di Benediktbeuren
987 c. conte presso
Mangfall
Arnold
1000-27 Adv. di
Benediktbeuren
† 11.1.1030 c.
conte presso
Starnberger See
=1 Adelheid
=2 Irmgard
=
Thiemo
† 25.3.1010 c.
1000-7 conte
presso Mangfall
1007 conte di
Reichenhall
N.N.*
Meginhard II
di Gilching
1011
Pilgrim V
morto prima del padre
Kuno I
Poppo III
di Rott e Vohburg
† 9.8.1048
1037-† 27.3.(1086)
dal 1039
dal 1055 conte palatino
vescovo di
conte sul basso Isar
Bressanone
= Uta di Diessen
25.12.1047
Papa (Damaso II)
*
**
Pilgrim IV
† c. 1055
conte in Wiptal
e Norital
Figlia del conte palatino Arnulf
Figlia del guelfo Kuno I
Rielaborazione da F. TIROLLER, Genelogische Tafeln.
Meginhard III
di Reichesbeuern
1042/46 conte p.
Mangfall
† 7.2.1066
Pilgrim VI
† 27.2.1066
(Irmagard)
= Friedrich
conte di Diessen
Tab. 1 - Vescovi e traditiones. Secoli X e XI
Vescovi
Epoca
Meginbert
Wisunt
Richbert
Albuin
Hartwig
Altwin
Tab. 4 - Beni acquisiti dai vescovi di Sabiona-Bressanone 907-1006
Numero documenti
907-925
935-955
955-975
977-1006
1022-1039
1049-1097
1
1
3
59
8
349
Bene
Quantità e località
N.B.: tranne che per le località più rilevanti, onde evitare equivoci ho utilizzato il toponimo tedesco.
Proprietas
13 e 1/4
Hauzenheim, Berg am Würmsee, Lius;
Elves; Vipiteno; Laien; Utenheim;
Aschau; Tann; Ragen; Varna.
11
Hauzenheim; Tülls (presso Bressanone);
Aufhofen; St. Georgen; Viers;
Bressanone; Velturns; Gais.
7
Flinsbach; Tesselberg; Stein; Gösseldorf;
Algund; Aschau.
4
Olang; Albiuns.
3
Pedratz; Albiuns.
3
Kehlburg; Clerant; Mellaun.
2
Olang.
2
Stein
2
Dietenheim
1
Sillian
1
Olang
1
Matrei
1
Aschau
1
Stein
1
Dietenheim
1
Bolzano
Hoba
Tab. 2 - Le traditiones del secolo X
Anno
Predium
Traditiones
Curtifera
900-935
935-955
955-975
975-1006
1
1
3
59
= 1,6%
= 1,6%
= 4,7%
= 92,2%
Colonia
Prediolum
Ager
Colonia sclavanisca
Pratus
Tab. 3 - Tipo di transazione
Campus
Donazione
Permuta
Accordo su proprietà
Acquisto di beni
Divisione di beni
Conferma di donazione
Conferma a titolo ereditario
33
20
5
3
1
1
1
= 51,6%
= 31,2%
= 7,8%
= 4,7%
= 1,6%
= 1,6%
= 1,6%
Hortus
Mulino
Portio
Silva
Terra harabilis
Vinea
280
281
Tab. 5 - Beni ceduti dai vescovi di Sabiona-Bressanone 907-1006
Beni
Quantità
4
3
2
2
2
2
2
2
2
2
1
1
Ager
Iugerum
Agellus
Curtiferum
Hoba
Pratus
Predium
Terra arabilis
Vino
Tributi e censi
Decima
Pradellum
Luogo
Vipiteno
Utenheim; Wielenbach
Matrei
Axams; Vipiteno
Olang; Stegen
Vipiteno; Utenheim
Lippendorf; Gösseldorf
Sirnitz; Utenheim
Lippendorf
Siffian; Velturns
Stegen
Pullo
Tab. 7 - Status sociale di persone citate nei Libri traditionum 907-1006
21
10
6
4
3
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
nobilis
vescovo
comes
mulier
liber
diaconus
dux
femina
fratello del vescovo
homo
laicus
marchicomes
miles
nobilis mulier
servus
vidua
vir religiosus
Tab. 6 - Persone acquisite o alienate 907-1006
Persone acquisite
numero
luogo
mancipia
servi
ancillae
clericus
familia
17 + 2 gruppi
6
2
1
1
in valle Norica
non indicato
non indicato
non indicato
non indicato
Persone alienate
numero
luogo
mancipia
ancilla
colonia
servus
11
1
1
1
San Candido
non indicato
Wilten
non indicato
Tab. 8 -Valori in denaro (dai Libri traditionum)
1 hoba
(TBHB, n 39)
1 servus
(TBHB, n 48)
1 prediolum
(TBHB, n 23)
2 prediola e 2 servi
(TBHB, n 24a)
= 20 soldi
=
600 denari
= 12 soldi
=
360 denari
= 3,5 soldi
=
10,5 denari
= 5 lire
=
1200 denari
Tab. 9 - Valore economico di hobae e mansi
1 hoba
TBHB, n 17
1 hoba
1 mulino
TBHB, n 50
1 hoba
TBHB, n 39
282
= 3 curtifera
1 ager
1 hortus
= 1 proprietas
= 20 soldi
283
Tab. 10 - La curatura del clericellus e del suo servo
15 moggi di segalis
2 moggi di frumentum
2 moggi di miglio
1 moggio di leguminis
40 situle di birra
12 situle di vino
12 friskinge
40 formaggi
STATUS
Tab. 11 - Lo stipendium del canonico Erimberto
14
6
1
2
2
5
15
100
1
1
2
1
1
Tab. 13 - Stautus sociale di coloro che fecero donazioni o permute
a vantaggio dei vescovi di Bressanone (secoli X e XI)*
[moggi?] di sigale
modii frumenti
modius milii tunsi
carradia di vino
[carrate?] di birra
maiali
friskinge oville
casei
pellis hircina
pellis bovina
camisie
braca
cappa ogni due anni
Nobile
Ingenuus
Libero
Libertate sortitus
o potitus
Miles
de familia
Conte
Advocatus
Chierico
Ministeriale
Duca
Cappellano
Cellarius
Legator
Libertus
Marchese
Ministeriale
imperiale
Parservus
Patriarca
Scalcus
Villicus
SECOLO X
SECOLO XI
37, 5%
0
5, 3%
43, 5%
22, 5%
5,7%
0
1,7%
0
10, 7%
0
0
0
0
0
0
0
0
0
7,5%
3,4%
2,3%
2%
1%
1%
1%
0,6%
0,3%
0,3%
0,3%
0,3%
0,3%
0
0
0
0
0
0,3%
0,3%
0,3%
0,3%
0,3%
alternato con
1
frocca
Oltre a ciò doveva ricevere anche «talis annona qualem et ceteri fratres in eodem
loco morantes accipere videntur»
Tab. 12 -Tipologia dei documenti riportati nel Libri traditionum (1022-1097)
ACQUISIZIONI
PERMUTE
ACCORDI
ALTRO
235
47
31
5
73, 8%
14, 7%
9,7%
1,5%
*In questa tabella sono considerate solo le persone di sesso maschile; le donne
verranno esaminate in una sezione a parte.
284
285
Tab. 14 - Gli avvocati dei vescovi di Bressanone 1050-97
Tab. 15 -Milites riportati nei Libri Traditiunum 1022-1090
AVVOCATI
DOCUMENTI
Milites episcopi
Adalberone
TBHB nn: 164, 165.
Arnolt/Arnulf
TBHB nn: 73, 75a, 76 77, 78a, 79a, 80
81, 82, 83, 84, 86, 87, 88, 89, 92, 94, 95,
96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 105, 106,
110, 111, 112, 113, 118, 119, 120, 122,
123, 124, 130, 135, 142, 149, 150, 152a,
152b, 163, 167, 172, 178, 179a, 179b,
181, 184, 187a, 187b, 188, 193, 194, 198,
274, 275a, 275b, 298, 301, 302, 327,
328, 335, 355, 356, 360a, 360b, 389.
Chadalhoch
TBHB, nn: 175, 183.
Chono
TBHB, n: 244.
During
TBHB, n: 143.
Gundachar
TBHB, nn.: 215, 218, 228a, 232, 234,
235, 238, 240a, 240b, 242, 244, 246, 251,
253, 254, 257b, 258b, 259, 260, 261, 262,
263, 265.
Adalpercht
Fridericus
Gundachar, nobilis
Heimo, nobilis
Heinricus, nobilis
Noppo
Otto, ingenuus
Penno
Perchtold
Ruodpertus
Tagini, ingenuus
Wogo
Altri milites
Adalgoz
Ozi, nobilis
Reginprecht
Waldram
Wezilo
Wolf
Karling
TBHB, nn: 126, 128, 129, 137a, 137b,
138, 139, 140, 145, 146, 170.
Ottone
TBHB, nn: 322, 324b, 353.
Penno
TBHB, n: 107.
Numero documento (TBHB)
70
363a
98, 278
276, 298
231
131, 174
268
79, 109a
96, 141
91
74a, 74c, 88, 191, 339, 347
67
110
128
127
129
242
116
Tab. 16 - Beni di ministeriali ceduti al vescovo
o al capitolo del duomo di Bressanone
4
2
2
1
1
1
1/2
predia
vigne
mansi
ager
area
prato
hoba
N. B.: tutti i documenti compresi tra TBHB, n 73 e TBHB, n 165 sono databili tra
il 1050 e il 1065; quelli compresi tra TBHB, n 166 e TBHB, n 182 sono databili tra
il 1060 e il 1070; TBHB, n 183 è databile tra il 1060 e il 1068; da TBHB, n 182 a
TBHB, n 227, i documenti vanno datati tra il 1065 e il 1075; da TBHB, n 228 a n
233, tra il 1065 e il 1077; TBHB, n 234 tra il 1070 e il 1076; da TBHB, n 235 a n
281 tra il 1070 e il 1080; da TBHB, n 282 a n 340 tra il 1075 e il 1090; da TBHB, n
341 a n 364 tra il 1085 e il 1090; da TBHB, n 365 a n 401 dal 1085 al 1097.
286
287
Tab. 17 - Proprietà del nobilis Scrot
A)
Tab. 19 - I censuali dei vescovi di Bressanone (secolo XI)
BENI DONATI AL VESCOVO DI BRESSANONE
2 predia a Nussdorf, presso Lienz
1 predium a Tristach, presso Lienz, con mezza chiesa
1 predium a “Mischowa”
1 predium a Sirnitz, in Gurktal
3 mansi a Grabelsdorf
1 manso a Tristach
1/4 di una chiesa presso Grabelsdorf
1 servo
4 mancipia
B)
10
NUMERO TOTALE
Donne sole
Donne con figli
Uomini soli
Uomini con figli
5
2
2
1
famulae
famuli
servi
senza qualifica
4
1
1
5
di cui
BENI ACQUISITI DAL VESCOVO DI BRESSANONE
8 mansi presso Asling ad vitam
1 terra corrispondente a quanto possono possedere due coloni, ad vitam
Dei tributi annuali costituiti da un cavallo e quattro carrate di vino
Del denaro, in misura non precisata
Tab. 20 - Censo pagato dai censuali dei vescovi di Bressanone (sec. XI)
Bressanone 1050-97
5 denari
8 censuali
80%
92 censuali
90%
1 denaro
1 censuale
10%
6 censuali
5,8%
altri censi
1 censuale
10%
4 censuali
3,9%
Tab. 18 - Status sociale delle donne*
Matrona
Nobile
Libertate sortita
Vedova
Famula
Ingenua
de familia
Domina
Senza o altro
30
19
5
3
3
2
2
1
4
43,5%
27,5%
7,2%
4,3%
4,3%
2,9%
2,9%
1,4%
5,7%
* Per ogni persona sono state segnate separatamente le diverse qualifiche.
Raffronto con i dati riportati per la sede vescovile di Frisinga da P. Dollinger,
Der bayerische Bauernstand, cit., p. 324.
Tab. 21 - Servi ottenuti dai vescovi di Bressanone
tramite donazioni (1022-97)*
104
22
6
6
3
3
2
1
1
4
Mancipia
Servi
Famulae
Ministeriales
Servientes
Pescatori
Famuli
Ancillae
Diaconi
Altri
Fonte: Libri traditionum
Frisinga1053-1104
* Sono riportati sia i servi donati alla sede vescovile, sia quelli donati al capitolo.
Il numero dei servi indicato è una stima minima, poiché in alcuni casi nei documenti non è riportata alcuna cifra precisa.
288
289
Tab. 22 - Beni acquisiti dal vescovo Albuin (975-1006)
Tab. 23 - Bemi ceduti dal vescovo Albuin (975-1006)
LOCALITÀ
TIPO DI ACQUISIZIONE
DONATORE
LOCALITÀ
BENI
DESTINATARIO
Aufhofen (Carinzia)
Albiuns (presso Chiusa)
Aschau e Tann
(presso Mühldorf am Inn)
presso Bressanone
in Carinzia
Dietenheim (Pusteria)
Elvas
(presso Bressanone)
Flinsbach/ Rosenheim
(in Baviera)
Geis (Pusteria)
hoba
colonia
Enrico duca di Carinzia
Ratpotone, conte
Predium
Predium
mancipia
predium
tre campicelli
hoba
prato
hoba
Odalrich, nobilis
Geppa, sorella di Albuino
Abramo, vescovo di Frisinga
Aribone, fratello di Albuin
Rihheri, miles
Adalberto, libero
tre liberi
Abramo, vescovo di Frisinga
hoba
hoba
Suanihilt, nobilis
Presbyter di San Giorgio
Gösselsdorf (Carinzia?)
Innichen (Pusteria)
predium
mancipia
Baviera
Gösseldorf (Carinzia)
Innichen (Pusteria)
Lippendorf (Carinzia)
Matrei (valle dell’Inn)
Olang (Pusteria)
Pullo (?)
Sirnitz an der Gurk
(Carinzia)
Stegen (Pusteria)
Taur e Aldrans
(presso Innsbruck)
Tesselberg (Pusteria)
Utenheim (Pusteria)
Vipiteno
Wilten
prato
terra
proprietà
colonia
Liuto, nobilis
Odascalch, nobilis
Arnix, nobilis
Diethoh, servus
Kehlburg (Pusteria)
Laien (Chiusa)
Lius (?)
Matrei (valle dell’Inn)
Mellaun - Clerant
(presso Bressanone)
Olang (Pusteria)
Pedratz (Chiusa)
Pusteria
San Giorgio (Pusteria)
Sillian (Pusteria)
prediolum
proprietà
proprietà
proprietà
due prediola
Stein (Carinzia)
Tesselberg (Pusteria)
valle Norica
Varna
(presso Bressanone)
Velturns
(presso Bressanone)
Viers
(presso Bressanone)
predia vari
Albuin, vescovo
hoba
Wago, nobilis
bosco
Truta, parente di Albuin
campi e prati
Appo e Alpreh, liberi
proprietà
Diethoh, nobilis
(riconcessa in beneficio)
predium
Odalrih, nobilis
hoba
Abramo di Frisinga,
vescovo
Wezala, sorella di Albuin
Abramo di Frisinga,
vescovo
Liuto, nobilis
Liutpirch, vedova
Arnix, nobilis
Rihheri, miles
Eppo, laicus
tre curtifera
due coloniae
«tutto ciò che ha»
hoba
prato
Adalberto, nobilis
Ratpotone, comes
Svanihilt nobilis
Enrico di Carinzia, dux
Urso, Frowin, Azaman,
liberi
due coloniae sclav.;
Hiltigard e Aribone,
2 predia, un castello,
madre e fratello di
diverse hobae, un bosco Albuin; Albuin; Ragici,
nobilis
una proprietà
Liuto e Odascalch, nobiles
e un predium
sette mancipia
Eppo, laicus
proprietà
Diethoh, servus
quattro hobae
hoba
290
Abramo di Frisinga,
vescovo
Wago, nobilis
291
Tab. 24 - Beni acquisiti dai vescovi di Bressanone 1022-97
TIPOLOGIA
praedia
mansi
hobae
agri
prati
chiese (parti)
vigneti
areae
terrae
curtiles
curtifera
mulini
prediola
bona
monti
curtes
novalia
banni di caccia
dotes eccl.
castra
iugera
silvae
cappelle
villae
laghi
allodia
munitiones
denaro
(pagamenti)
alpeggi
decime
saline
NUMERO
PERCENTUALE
PERCENTUALE NEL
PERIODO 1022-97
137
106
41
30
22
12
11
11
7
5
5
4
3
3
3
3
3
2
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
32,3%
25%
9,6%
7%
5,1%
2,8%
2,5%
2,5%
1,6%
1,1%
1,1%
0,9%
0,7%
0,7%
0,7%
0,7%
0,7%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
12,9%
0
20,3%
3,7%
3,7%
0
1,8%
0
1,8%
0
7,4%
1,8%
5,5%
0
0
0
0
0
0
0
0
1,8%
0
0
0
0
0
0
1
1
1
0,2%
0,2%
0,2%
292
0
0
0
CARTA 1
L’AMBITO
GEOGRAFICO DELLA SEDE VESCOVILE DI
293
SABIONA-BRESSANONE
CARTA 3
CARTA 2
IL SISTEMA
VIARIO NELLE
ALPI
ORIENTALI
IL TERRITORIO
DEI
LIBRI TRADITIONUM
Beni della sede vescovile di Sabiona-Bressanone
Rielaborazione delle cartine riportate in W. CARTELLIERI, Die römischen
Alpenstrassen über den Brenner, Reschen-Scheideck und Plöckenpass,
Lipsia 1924.
Rielaborazione della cartina riportata in K. B RUNNER, Herzogtümer und Marken. Vom
Ungarnsturm bis ins 12. Jahrhundert, Vienna 1994, p. 138 (= Österreichische
Geschichte, vol. 2).
294
295
CARTA 5
CARTA 4
LE PROVINCE
ROMANE NELLE
ALPI
ORIENTALI
LE DIOCESI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
NEL TERRITORIO TRA INN E
ADIGE
A PARTIRE DAL SECOLO
IX
Sabiona-Bressanone
Trento
Coira
Augusta
Salisburgo
Aquileia
Frisinga
Feltre
Rielaborazione della cartina riportata in H. W OLFRAM, Grenzen und Räume.
Geschichte Österreichs vor seiner Enstehung, Vienna 1995, p. 25 (= Österreichische Geschichte, vol. I).
Rielaborazione delle cartine riportate in J. GELMI, Kirchengeschichte
Tirols, Bolzano 1984 e in H. W OLFRAM, Grenzen und Räume. Geschichte
Österreichs vor seiner Enstehung, Vienna 1995, p. 200 (= Österreichische
Geschichte, vol. I).
296
297
CARTA 6
IL DUCATO
DI
BAVIERA
E I TERRITORI CONTERMINI NEI SECOLI
CARTA 7
VIII E IX
IL DUCATO
DI
BAVIERA
E I TERRITORI CONTERMINI NEI SECOLI
X E XI
sedi vescovili
monasteri, abbazie
Rielaborazione delle cartine riportate in W OLFRAM, Grenzen und Räume.
Geschichte Österreichs vor seiner Enstehung, Vienna 1995, p. 221 (=
Österreichische Geschichte, vol. I) e in Bayerischer Geschichtsatlas, a
cura di M. Spindler, Monaco 1969, p. 14.
Rielaborazione della cartina riportata in Bayerischer Geschichtsatlas, a cura di M.
Spindler, Monaco 1969, p. 15.
298
299
CARTA 9
CARTA 8
UN GRANDE PROPRIETARIO FONDIARIO
I BENI DI QUARTI ( SEC. IX)
I COMITATI
LAICO:
TRA INN E
ADIGE
NORITAL
PUSTERIA
VENOST A
BOLZANO
TRENT O
Aree in cui si trovavano proprietà fondiarie di Quarti e della sua famiglia.
Rielaborazione della carta di Heinz Matthias, derivata dalla carta F5 del
Tirol-Atlas, riprodotta in Geschichte des Landes Tirol, vol. I, Innnsbruck,-Vienna-Bolzano 19902, p. 329.
300
301
CARTA 10
BENI
NELLA PRIMA METÀ
CARTA 11
SABIONA-BRESSANONE
DEL SECOLO X
BENI
ACQUISITI DAI VESCOVI DI
sedi vescovili
monasteri, abbazie
ACQUISITI DAL VESCOVO
ALBUIN (977-1006)
sedi vescovili
monasteri, abbazie
donazioni regie o imperiale
donazioni regie o imperiale
Donazioni di beni o persone riportate nei Libri traditionum
302
Donazioni di beni o persone riportate nei Libri traditionum
303
CARTA 12
BENI
CEDUTI DAL VESCOVO
ALBUIN (977-1006)
CARTA 13
LA CARINZIA
E STEIN IN JAUNTAL ( SECOLI
X-XI CA. )
sedi vescovili
monasteri, abbazie
beni o persone riportate nei Libri traditionum
Rielaborazione della cartina riportata in appendice a C. FRÄSS-EHRFELD, Geschichte
Kärntens. Das Mittelalter, Klagenfurt 1974.
304
305
CARTA 14
BENI
ACQUISITI DAI VESCOVI DI
( DONAZIONI
BRESSANONE
NEL SECOLO
REGIE O IMPERIALI)
sedi vescovili
monasteri, abbazie
beni acquisiti dal vescovo Hartwig (1022-39)
beni acquisiti dal vescovo Poppone (1039-48)
beni acquisiti dal vescovo Altwin (1049-97)
306
XI
Opere citate
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Rechts-und Staatswissenschaftliche Fakultät; Medizinische Fakultät,
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Indice dei nomi
Abel, W. 187 n.
Abelardo 252
Abramo, vescovo di Frisinga 82,
134, 162 n., 163
Adala, 157 e n., 167, 170
Adalberone, duca di Carinzia
(1012-1035) 170, 217 n.
Adalberone, vescovo di Augusta
153 e n.
Adalberone, vescovo di Bressanone (1006-1017) 77, 152, 165
Adalberto, fidelis di Aribone 229
n.
Adalberto, libero 82, 186, 188
Adalberto, nobile 81, 83, 189
Adalram, nobile 236
Adalswinda, nobile 182
Adalvino, arcivescovo di Salisburgo (859-873) 101
Adelaide di Borgogna 133
Adelaide, matrona 229 n.
Agilolfingi, famiglia 92, 94, 97
Agnello, vescovo di Trento (sec.
VI) 87, 96
Agnese di Poitou, moglie di Enrico III 221
Alberto III, conte di Tirolo 51
Albertoni, G. 194 n.
Albger, ministeriale 241 n., 242 n.
Albuin, vescovo di Sabiona-Bressanone (977-1006) 68, 69, 70,
71, 72, 74, 76, 80, 81, 82, 83,
132, 134, 136 n., 142 n., 146,
149, 151, 152, 153 n., 155, 156
e n., 157 e n., 158, 159 e n.,
160, 161 e n., 162 e n., 163,
164, 165, 168, 169, 173, 174,
175, 176, 181, 182, 183, 184,
186, 188, 189, 190 e n., 193 n.,
198, 211, 213, 216, 217 n., 218,
219 n., 220, 228 e n., 233, 265,
270, 271
Albuin di Stein 156
Alcuino di York 97
Alessandro, martire 62, 94
Alim, vescovo di Sabiona (sec.
VIII) 94, 97 e n.
Allavena, L. 79 n., 80 n.
Altemanno, vescovo di Trento
(1124-1149 ca.) 151
Althoff, G. 131 n., 234 n.
Altwin, vescovo di Bressanone
(1049-1097) 68, 69, 70, 71, 72,
73, 74, 75, 76, 82, 215, 216,
219 e n., 220 e n., 221 e n.,
222, 223 e n., 224 e n., 226,
227, 228, 229 e n., 231, 232,
233, 235, 236, 237, 243, 245,
247, 248, 250 n., 260, 262, 265,
266, 267, 268, 271
Andechser, famiglia 245
Andoaldo, duca franco 96
Andreolli, B. 88 n., 112 n., 180 n.,
181 n., 182 e n., 196 n., 253 n.,
254 n.
Anna, nobile 109
Annone, vescovo di Frisinga 110,
111
Anselmo da Lucca, vescovo di
Lucca 215 n.
Anto, vescovo di Bressanone
(1097-1100 ca.) 69, 70, 71, 72,
333
I NDICE
73, 75
Arbeone, vescovo di Frisinga 85,
86
Arbeone, vescovo di Sabiona (sec.
IX) 106, 107
Arduinici, famiglia 169 n.
Arduino di Ivrea 148, 160
Aribone, arcivescovo di Magonza
105 n., 167, 169 e n., 170, 174,
217 n.
Aribone I, conte palatino 157, 167,
169
Aribone II, conte palatino 157, 247
Aribone, conte in Jauntal 83, 157,
161 e n., 162, 164, 168, 190,
198, 228 n., 265
Aribone, nobile 229 n.
Ariboni, famiglia 105 n., 145, 151,
152, 156 e n., 166, 167, 168,
169 n., 173, 174, 217, 219 n.,
224, 229 n., 245, 270
Arnaldi, G. 262 n.
Arnix, nobile 184
Arnoldo, advocatus 230, 231 e n.,
232, 233
Arnolfo, duca di Baviera (907-937)
130, 131, 133, 142, 150, 154
Arnolfo di Carinzia, re di Germania (887-899), imperatore
(896-899) 102, 141, 179, 187,
197
Asburgo, famiglia 12, 20, 77
Aschau, T. W., von 240 n.
Aschbach, J. 17, 21
Ascuin 158 181
Ata 150
Attone, abate di Scharnitz 82, 91,
97
Azilino, nobile,193 n.
Azo, 184 n.
Banzhaf, M. 178 e n., 187 n., 188,
200 n., 204 n., 207 e n., 209 n.,
211 n., 212
Barletta, L. 8
Barthélemy, D. 124 e n., 125 e n.,
234 e n., 235, 237 e n., 241 n.,
254 e n., 262 e n.
DEI NOMI
Battle, C.M. 96 n.
Beck, H., 122 n.
Becker, J., 132 n.
Below, G., von, 34
Benedetto IX, papa (1033-1044)
219
Berengario II, marchese di Ivrea,
re d’Italia (950-961) 131, 132 e
n., 133 e n., 134, 150 e n.
Berg, H. 94 n.
Beringer 229 n.
Bernardo 235
Bernardo, conte 111
Bernardo Morliacense 251, 252 e
n.
Bernhard, T. 28 n.
Bertoldo,duca di Baviera (938947) 131, 132, 134, 142, 150 e
n., 163
Bertoldo, duca di Carinzia (10611078) 222
Bertoldo, nobile 232, 260 n.
Bertoldo di Neifen, vescovo di
Bressanone (1216-1224) 73, 75
Bettotti, M. 238 n.
Beumann, H. 90 n.
Bierbrauer, V. 86 n., 87 n., 89 e
n., 95 n., 107 n.
Bitschnau, M. 231 e n., 238 n., 266
n.
Bitterauf, T. 62 n.
Bloch, M. 60 e n., 61 n., 83 e n.,
115 e n., 116 e n., 117, 118 e
n., 120 e n., 180 n., 185 e n.,
195, 196 n., 199, 200 e n., 201,
202, 203, 205, 209 n., 234 n.
Bocchi, F. 215 n.
Böhmer, J.F. 17, 18, 21, 25 n.
Bois, G. 121 e n., 123, 124 e n.,
175 e n., 199, 200 n., 201 e n.,
202 e n., 203, 209 n., 212 n.,
262 e n.
Bonassie, P. 199, 200 n., 201 e n.,
203
Bonelli, B. 14 e n.
Boninsegna, notaio 112 n.
Borgolte, M. 63 n., 139 n.
Boshof, E. 94 n.
334
I NDICE
DEI NOMI
Bosl, K. 17 n., 90 n., 91 e n., 92 e
n., 93 n., 100 n., 104 e n., 119,
120 n., 138, 149 n., 163 n., 197
e n., 209 n., 210 n.
Botz, G. 29 n., 42 n.
Bournazel, E. 124, 125 n., 202 e
n., 262 e n.
Boutruche, R. 115 e n., 116 e n.,
117 e n., 118 e n., 120, 124
Bracher, K. 219 n.
Brandis, F.A. von 13, 14 n.
Brandis, J.A. von, 13 e n.
Brandstätter, K. 55 n.
Bratoz, R. 97 n.
Braudel, F. 45 n., 61 e n., 195 n.,
269 e n.
Brechenmacher, T. 17 n.
Bresslau, H. 169 n., 170, 171 n.
Brogiolo, G.P. 85 n.
Brühl, C. 57 e n., 59 e n., 100 n.,
105 n., 124 e n.
Brunner, H. 204 n.
Brunner, O. 58 e n., 119, 120 n.
Bruno, vescovo di Augusta 149 n.
Bruno di Kirchberg, vescovo di
Bressanone (1250-1288) 73, 75
Brunold, U. 92 n.
Burglechner M. 13 e n.
Burke, P. 35 n., 120 n.
Burkhard, vescovo di Bressanone
(1091-1099 ca) 77, 224 e n.,
243
Busson, A. 25 e n., 26, 31e n.
Büttner, H. 92 n.
Cedino, duca franco 96
Cervani, R. 86 n.
Chadalchoh, canonico 249
Chadalchoh, conte in Isengau 167
Chittolini, G. 144 n.
Classen, P. 63 n.
Clavadetscher, O.P. 92 n.
Clauza, madre di Quarti 105, 106,
107
Clemente II, papa (1046-1047),
219
Clemente III, papa, vedi Ghiberto
da Ravenna
Colombano, santo 195
Conti, P.M. 87 n.
Conze, W. 120 n.
Corbiniano, santo 62, 86, 94
Coreth, A. 13 n.
Corrado I, re di Germania (911918) 154
Corrado II, il Salico, imperatore
(1024-1039) 137, 145 e n., 149,
163, 166, 169, 170, 171, 173,
174, 216, 225
Corrado II, duca di Carinzia
(1036-1039) 170
Corrado di Rodank, vescovo di
Bressanone (1200-1216) 73, 75
Corrado di Zütphen, duca di
Baviera (1049-1053) 221
Corsini, U. 50 n.
Cramnichi, dux Raetiarum 87
Curtius, E.R. 216 n.
Czok, K. 35 n.
Cagol, F. 100 n., 139 e n., 140, 142
n., 171
Cammarosano, P. 8, 39 n., 63 n.,
86 n., 133 n., 204 n., 250 n.
Carandini, A. 203 n.
Cardini, F. 234 n.
Carlo Magno, imperatore (800814) 92, 97, 206
Caro, G. 239 n.
Cartellieri, W. 79 n.
Castagnetti, A. 181
Cazzola, R. 28 e n.
Cecilia, nobile 242 n., 259 n.
Dachs, H. 29 e n., 31 n., 33 n., 35
n., 36 e n., 40 n., 41 n., 42 n.,
43 n., 44 n., 47 n., 49 n.
Dal Rì, L. 85 n., 87 n., 88 e n., 89
e n.
Damaso II, papa (1048) vedi
Poppone
Dannheimer, H. 90 n.
de Finis, L. 87 n.
de Rachewiltz, S. 79 n., 194 n.
Delle Donne, G. 50 n.
Dell’Oro, F. 62 n.
Delogu, P. 86 n.
335
I NDICE
Deplazes, L. 92 n.
Desiderio, re longobardo 97
Deutschmann, A. 38 e n., 39 e n.,
78, 190 n., 192, 200 n., 203,
204 e n., 205, 233, 234 e n.,
235 n., 239 e n., 240 n., 242,
244 e n., 245, 247, 248, 256 e
n.
Diemot, 251 n.
Dienst, H. 63 n.
Diepolder, G. 156 n.
Diethoh, nobile 184 n.
Dietrich, nobile 109
Diocleziano, imperatore 98
Dolcini, L. 8
Dollinger, P. 63 e n., 109 n., 177 e
n., 178, 184 n., 185, 186 e n.,
187 e n., 188, 189 n., 192 e n.,
200 n., 205 e n., 207, 208 e n.,
210 n., 211 e n., 212 e n., 234
e n., 238 e n., 240, 241 n., 254,
255 e n., 257 e n., 259 e n.,
260 n.
Dopsch, A. 36, 47 n., 119 e n., 120
n., 200 e n., 201, 239 e n.
Dopsch, H 90 n., 105 n., 151 e n.,
156 e n., 157 e n., 158 e n.,
167 e n., 169, 219 n.
Dörrer, F. 94 n., 98 n.
Drusunda, nobile 84
Duby, G. 115 n., 116 e n., 117 e
n., 118 e n., 120, 124, 126,
177, 199, 201 e n., 203, 230 n.,
234 n., 236 e n., 237 e n., 262
e n., 267 n.
Ebbone 221 e n.
Eberardo, duca di Baviera (93738) 131, 150, 170
Eco, U. 251, 252 e n.
Egger, J.,13 n., 24 e n.
Egnone di Appiano, vescovo di
Bressanone (1240-1250) 73, 75
Ehlers, J. 59 n.
Engelbert, conte in Chiemgau 157
e n., 167
Engelbert, conte in Norital 167,
168, 174, 217 e n., 226
DEI NOMI
Engilger, miles 179 e n., 187, 188
Enrico di Eppenstein, conte d’Istria 227, 228, 250 n.
Enrico I, duca di Baviera (948955) 131, 132, 133 e n., 134
Enrico II “der Zänker”, duca di
Baviera (955-976 e 985-995)
134, 135, 158, 181 n.
Enrico III, duca di Baviera (983985) 134, 135, 158, 163
Enrico IV, duca di Baviera (9951004 e 1009-1018) vedi Enrico
II, imperatore
Enrico V, duca di Baviera (10041009 e 1018-1026) 136
Enrico VI, duca di Baviera vedi
Enrico III imperatore
Enrico VII, duca di Baviera (10421047) 221
Enrico I, duca di Carinzia (976-978
e 985-989) vedi Enrico III,
duca di Baviera
Enrico II, imperatore (1014-1024)
84, 135, 136, 142, 149, 159,
160, 163, 165, 166, 171 e n.,
217 n., 221 n., 266 n.
Enrico III, imperatore (1039-1056)
170, 217 e n., 218 e n., 219,
220 n., 221 e n., 225 n., 226
Enrico IV, imperatore (1056-1105)
82, 215, 216, 220, 221 e n., 222
e n., 223 e n., 225 n., 226, 228,
268, 271
Enrico VI, imperatore (1191-1197)
18
Enrico «mit dem goldenen Wagen»
150
Enrico, nobile, 241 n., 260 n.
Enrico I, re di Germania (919936), 142, 150 n.
Enrico II, vescovo di Bressanone
(1170-1174) 73, 75
Enrico III, vescovo di Bressanone
(1178-1195) 73, 75
Enrico IV, vescovo di Bressanone
(1224-1239) 73, 75
Eppensteiner 217 n., 229
Eppone, 185
336
I NDICE
Erchinger, nobile 266 n.
Erimberto, nobile 189, 193 n., 194,
196
Ernesto, conte palatino 111
Ernesto II, duca di Svevia 149 e
n., 170, 174
Ernost, nobile 229 n.
Essone, vescovo di Coira 108
Eticone, vescovo di Augusta 163
Eufrasia, figlia di Garibaldo 87
Eugippio 62 n.
Ewald, P. 96 n.
Ewin, duca di Trento 87
Fajkmajer, K. 238 n., 239 e n., 240,
241 n., 242, 248 e n.
Federico 249
Felicio, decano 106
Ficker, J., von 17 e n., 18 e n., 19
e n., 20, 21, 22, 25 e n., 27, 29,
31 e n., 32, 34, 39, 44
Finley, M. 124 e n.
Finzi, R. 8
Fleckenstein, J. 234 e n., 235 e n.
Florschütz, G. 238 n.
Fonay Wemple, S. 251 e n.
Fontana, J. 12 n., 26 n., 57 n.
Fossier, R. 122 e n., 123, 124 e n.
Franz, G. 17 n.
Fräss-Ehrfeld, C. 134 n., 135 n.,
151 n., 157 e n.
Frediani, A. 136 n., 145 n., 164 e
n., 166 n.
Freed, J.B. 238 n.
Fumagalli, V. 131 n., 144 e n., 150
n., 196 n., 244, 245 e n.
Gaismair, M. 7, 12 e n.
Galasso, G. 86 n.
Gandolfingi, famiglia 245
Ganshof, F.L. 113 e n., 234 n., 235
n.
Garibaldo I, duca di Baviera (555590 ca.) 87, 90
Gasparri, S. 86 n., 88 n.
Gasser C. 102 n., 197 n., 218 n.
Gassò, P.M. 96 n.
Gatterer, C. 43 n., 55
DEI NOMI
Gebhard, arcivescovo di Salisburgo (1060-1088) 221, 222
Gehler, M. 25 n., 48 n., 49 n.
Gelmi, J. 94 n., 98 n., 99 n., 136 n.
Gemelli, G. 60 n., 120 n.
Gepa, sorella di Albuin 162 n.,
168
Gewin, J. 219 n.
Ghiberto di Ravenna 215, 216 n.
Gierke, von, O. 204 n.
Ginzburg, C. 45 n.
Giona 195 e n.
Giovanni XIX, papa (1024-1033)
137, 170
Giovanni II, vescovo di Bressanone (1302-1306) 73
Giuditta, figlia di Arnolfo di Baviera 131, 133, 134
Gleirscher, P. 80 n., 85 n., 93 n.,
94 n., 95 n.
Göbel, W. 171 n.
Goetz, H.-W 122 n.
Golinelli, P. 215 n.
Goller, P. 15 n.
Gotthard, vescovo di Hildesheim
165
Gotti, 184 n.
Gottschalk, vescovo di Frisinga
165
Graber, G. 157 n.
Granello, G. 87 n.
Grass, N. 16 n., 36 n., 49 n.
Gregorio VI, papa (1045-1046)
219
Gregorio VII, papa (1073-1085)
215, 216, 220, 221, 222
Grimm, J.L.K. 23
Grimm, W.K. 23
Guarinoni, I. 78
Guglielmotti, P. 147 n.
Gundachar 247
Guoto, cellarius 242
Guotone 164
Hahn, W. 185 n.
Haider, P.W. 85 n., 87 n., 90 e n.,
91 n., 92 n., 93 n., 105 n.
Hartmann di Dollingen, conte 222
337
I NDICE
Hartmann, vescovo di Bressanone
(1140-1164) 73, 75.
Hartmann, L.M. 97 n., 108 n., 120
n.
Hartung von Hartungen, C. 53 n.
Hartwig, arcivescovo di Salisburgo
(991-1023) 157, 167
Hartwig I, conte palatino 151, 157,
158, 167
Hartwig II, conte palatino 167
Hartwig, figlio di Merboto 224 e
n.
Hartwig, vescovo di Bressanone
(1022-1039) 70, 71, 72, 74, 76,
137, 152, 157 n., 166, 167, 168,
169, 170, 172, 173, 174, 189 e
n., 213, 217 e n., 218, 225,
270, 271
Hatto, miles 233
Hauptmann, L. 212 e n.
Hazacha, 249
Heider, M. 48 n.
Heine, A.,149 n.
Heiss, H. 8
Heriman, rusticus 261
Herimbert, nobile 263 n.
Heriward, vescovo di Bressanone
(1017-1022) 77, 152, 165, 221
n.
Herold, arcivescovo di Salisburgo
(940 ca- 958) 133
Heuberger, R. 45, 53, 54 n., 105
n., 143 n., 173 e n.
Hiestand, R. 130 n.
Hilberg, R. 53 e n.
Hildegard, madre del vescovo
Albuin 83, 151, 160
Himiltrud 110
Himmler, H. 53 n.
Hintze, O. 34
Hirn, J. 13 n., 30 n.
Hitler, A. 47
Hittone, vescovo di Frisinga 106,
107.
Hlawitschka, E. 110 n., 111 n.
Hobsbawm, E.J. 12 n., 30 n.
Hofer, A. 7, 12, 13 n., 30 e n.
Hofmann, H.H. 17 n.
I NDICE
DEI NOMI
Holzfurtner, L. 139 n.
Hörmann-Weingartner, M. 231 n.
Hormayr, J., von 14 e n., 78
Huber, A. 20, 24, 26, 31 e n., 32,
39, 65
Huitpold 206, 207 n., 208, 209
Huppert, G. 120 n.
Huschner, W. 166 n., 170 n., 171 e
n.
Huter F. 13 n., 33 n., 45, 48 e n.,
49 e n., 50, 51 e n., 52, 53 e
n., 54, 61 n., 90 n., 94 n., 104
e n., 109 n., 112 n., 137, 138 e
n., 139, 140, 143 n., 150 n.,
171 e n., 181 n.
Iezone, nobile 187
Inama von Sternegg, K.T. 22 e n.,
23, 24 e n., 25, 34, 39, 118,
119 e n., 185, 204 n.
Ingenuin, vescovo di Sabiona
(sec. VI) 87, 94, 96, 97
Irminlind 155, 182
Irminstein, nobile 229
Iudith, nobile 250 n.
Iwan, nobile 248 n., 266
Jacob, advocatus 111
Jaeger, F. 18 n., 19 n., 35 e n.
Jäger, A. 16 e n., 17, 21, 23, 109 n.
Jahn, J. 90 n., 104 n.
Janda, A. 212 e n.
Janssen, W. 122 n.
Jarnut, J. 86 n., 87 n., 92 n.
Jäschke, U. 192 n.
Jenal, G. 97 n.
Johanek, P. 63 n.
Jung, J. 25 n., 31
Kaltenbrunnen, F. 25 n.
Keen, M. 234 n.
Keller, H. 124 e n., 129 n., 131 n.,
144 n., 147 n., 215 n., 218 e n.,
219 n., 223 n., 234 n., 238 n.
Kelly, J.N.D. 217 n.
Kink, R. 16 n.
Klebel, E. 161 n.
Kluge, B. 185 n.
338
Knapp, F.P. 194 n.
Koselleck, R. 120 n.
Krahwinkler, H. 133 n.
Kramer, H. 33 n.
Kraus, A. 100 n.
Kraus, K. 46
Krusch, B. 62 n.
Kuchenbuch, L. 122 n.
Kuhn, T.S. 45 n.
Kustatscher, E. 55 n.
Lackner, C. 158 n., 159 n.
Lamprecht, K. 34 e n., 35 e n., 36,
38, 118, 119 n.
Landes, D.S., 269 n.
Lanfredo, vescovo di Sabiona
(845-868) 101, 102, 103
Lanzo, 184 n.
Leed, E.J., 40 e n.
Le Goff, J. 7 e n., 64 e n., 65, 196
e n.
Lehmann, H. 208, 209 n.
Leone VII, papa (936-939) 154
L’Hermite-Leclerq, P. 257 n.
Lhotsky, A. 17 n.
Lindgren, U. 79 n.
Liudolf, duca di Svevia 133
Liutberga, figlia di Desiderio 97
Liuto, fratello di Reginbrecht 229
n.
Liuto, nobile 185
Liutold, duca di Carinzia (10771090) 229
Liutpirch 164
Liutprando da Cremona 132 e n.,
150 e n.
Lohrmann, D. 122 n.
Loose, R. 151 n., 223 n.
Lotario I, imperatore (840-855),101
n.
Ludovico II, imperatore e re d’Italia (849-875) 83, 111
Ludovico il Germanico, re dei
Franchi orientali († 876) 83,
101 e n., 102, 108, 111
Ludovico IV il Fanciullo, re di
Germania (899-911) 81, 102,
130 e n., 131, 141, 145, 148,
DEI NOMI
153 e n., 166, 174, 180, 211,
212
Luitpold, margravio di Baviera
(895-907) 129, 130 e n., 150
Luitpoldingi, famiglia 133, 135, e
n., 150, 152
Lunz, R., 85 n.
Lupo II, patriarca di Aquileia 133
n.
Lurngauer, famiglia 151 e n., 167,
219 n.
Luzzatto, G. 203 n.
Macek, J. 12 n.
Magris, C. 28 n.
Mainardo II, conte di Tirolo 7, 56
n.
Malottki, H., von 151 n.
Manasse, vescovo di Trento (934948) 131 e n., 132
Mantwin, ministeriale 241 n., 242
n.
Marcello, vescovo di Sabiona (sec.
VI) 94, 95 e n., 96
Martirio, martire 62, 94
Matilde di Canossa 215 n., 223
Maurer, G.L., von 204 e n.
Maurizio, imperatore bizantino
(582-602) 87, 96
Mayr, M. 30
Meginbert, vescovo di Sabiona
(907-925 ca) 72, 79, 152, 153,
154, 175
Meier, C. 56 e n.
Meiller, A., von 78
Meinecke, F. 34
Meitzen, A. 39 e n., 204 e n.
Mell, R. 239 n.
Menis, G. 86 n.
Merboto, castellanus 224 e n.
Meyer-Marthaler, E. 92 n.
Meyer von Knonau, G. 215 n.
Miccoli, G. 144 n.
Mitterauer, M. 90 n.
Mommsen, T. 25 n.
Montanari, M. 8, 88 n., 112 n., 180
n., 181 n., 182 n., 194 e n., 195
n., 196 n., 253 n., 254 n.
339
I NDICE
Mor, G.C. 87 n., 94 n.
Moraw, P. 120 n.
Morit-Greifenstein, famiglia 231,
233
Mosse, G.L. 15 n., 25 n., 37 e n.,
38 e n.
Moy de Sons, K.E., von 15, 16, 18
Mühlbacher, E. 25 n., 31, 32, 33,
47 n., 65
Müller, I. 84 n., 165 n.
Müller-Mertens, E. 166 n., 209 n.
Musil, R. 41, 42 e n.
DEI NOMI
Niccolò I (858-867), papa 101
Niccolò Cusano, vescovo di Bressanone (1450-1464) 73, 74, 77,
78.
Nicolini, S. 13 n.
Niermeyer, J.F. 66 e n.
Nithard, vescovo di Sabiona (inizio sec. X) 77, 152, 154
Nobili, M. 266 n.
Noll, R. 62 n.
Nonn, U. 139 n.
Nössing, J.,188 n.
Nothdurfter, H. 85 n., 95 n.
Noting, vescovo di Brescia 111 e
n.
Notker il Balbo 153 n.
Oexle, O.G. 147 n.
Olone, duca franco 96
Otokare, famiglia 245
Ottenthaler von Ottenthal, E. 20,
31 e n., 49, 51
Ottone, conte in Norital 146, 148,
149, 150
Ottone di Nordheim, duca di
Baviera (1061-1070) 221 n.
Ottone di Svevia, duca di Baviera
(976-982) 134, 135
Ottone di Worms, duca di
Carinzia (978-985 e 1002-1004)
135 e n.
Ottone I, imperatore (962-973) 31
e n., 131 e n., 132, 133 e n.,
134 e n., 144, 150, 154
Ottone II, imperatore (967-983)
134 e n., 135, 136 n., 149, 155,
158, 159 e n., 160, 165, 173,
181
Ottone III, imperatore (996-1002)
135, 159
Ottone, vescovo di Bressanone
(1165-1170) 73, 75
Ottoni 99 n., 131 n., 152
Otwin, conte in Val Pusteria 151,
152, 157, 167
Ozi, nobile 236 n.
Oberkofler, G. 15 n., 16 n., 17 n.,
20 n., 21 e n., 25 n., 26 n., 30
n., 31 n., 32, 33 n., 35 n., 47 e
n., 48 n., 49 n., 53 n.
Oberkrome, W. 30 n., 47 n., 192
n.
Obermair, H. 8, 52 n., 56 n.
Odalrico, marchese di Carniola
235, 236
Odalrico, nobile 182
Odalrico I, vescovo di Trento
(1007-1022) 151 n.
Odalrico II, vescovo di Trento
(1022-1055) 112, 137, 151 e n.,
170, 174
Odascalco, nobile 151, 188
Odascalco, vescovo di Trento (metà sec. IX) 110, 111, 113 e n.
Panero, F. 200 n., 203 e n., 209 n.,
257 n.
Paolo, nobile 248 n., 266
Paolo Diacono 62 e n., 85 e n.,
86, 87 e n., 89 e n., 90 n., 91
n., 96 n.
Paulicius, locoposito 88
Pelagio I, papa (556-561 ca.) 95
Pennepurc 251 n.
Perehkar 249
Perehta 248, 249, 250
Perrin, Ch.,118 n., 205
Pertz, G.H. 93 n.
Pfeifer, G. 8, 56 n., 238 n.
Pico, S. 243 n.
Pilgrim 251 n.
Pilgrim arcivescovo di Colonia,
167
340
I NDICE
Pilgrim IV, conte in Norital 226 n.
Pilgrimidi 217
Pio II (1458-1464), papa 77
Pirchegger, H. 219 n.
Pizzinini, M. 13 n.
Plank, C. 149 n.
Pleterski, A. 160 n.
Politi, G. 12 n.
Poly, J.P. 124, 125 n., 202 e n.,
262 e n.
Poppone, vescovo di Bressanone
(1039-1048), papa Damaso II
(1048) 77, 216, 217 e n., 218 e
n., 219, 220 e n., 226 e n., 227,
229 n., 271
Praxmarer, K.H. 112 n.
Prinz, F. 90 n., 91 n., 99 e n., 103
n., 130 n., 138, 147 n., 149 n.,
153 n., 169 n., 245 e n., 270
Puell, P. 78
Quaresima, E. 86 n.
Quarti (Quartino) 81, 105 e n.,
106 e n., 107, 108, 109, 190
Rabinger, patriarca di Aquileia 229
n.
Ragici, nobile 162, 211
Ralser, M. 48 n.
Ranger, T. 12 n.
Ranke, L. von, 21
Rasmo, N. 13 n.
Rath, G. 48 n.
Ratpotone I 141, 145, 148
Ratpotone II 155 n.
Ratpotone III 146, 150, 164, 182,
233
Ratpotoni di Hohenwart, famiglia
146, 147 e n., 148, 149 e n.,
150 e n., 152, 163, 166
Redlich, O. 20, 31 e n., 32 e n.,
33, 34, 36, 38, 39, 40, 41 n., 47
n., 49, 51, 62, 65 e n., 66 e n.,
68, 69, 70, 74, 75, 76, 78 e n.,
94 n., 145, 152 n., 153 n., 154
n., 156 e n., 159 n., 161 n.,
164, 165 e n., 167 e n., 184,
217 n., 218 e n., 220 n., 221 n.,
DEI NOMI
224 n., 227, 228 n., 231, 232,
239 e n. , 243 n., 259
Reginaldo di Fornace 113
Reginbert 73, 75
Reginbrecht, miles 229 n.
Reginger 261 n.
Reindel, K. 129 n., 130 e n., 135 e
n., 150 n., 154 n., 158 n., 221
n., 222 n., 223 n.
Resch, J. 14 e n., 78
Richbert, vescovo di Sabiona (955975) 72, 133, 134 n., 136 n.,
152, 154, 155 e n., 156, 159
Richer, vescovo di Bressanone
(1174-1177) 73
Riedmann, J. 13 n., 24 n., 26 n., 30
n., 33 n., 36 n., 38 n., 45 n.,
55, 79 n., 85 n., 86 n., 94 n.,
95 n., 96 e n., 97 e n., 105 n.,
134 n., 136 n., 137, 138 e n.,
139, 140, 145 n., 149 n., 151
n., 155 n., 159 n., 166 n., 171 e
n., 206 e n., 215 n., 220 n., 224
n., 230 e n., 231 n., 232 e n.,
238 n.
Riehl, W.H., 37, 38 e n.
Rihheri, nobile 207
Rinherius, miles 233
Rizzi, G. 85 n., 89 n.
Rizzolli, H 185 n.
Rivals, C. 180 n.
Riza, 256
Rodolfo, duca di Svevia 222.
Rogger, I. 62 n., 94 n., 145 n., 150
n., 166 n., 170 n., 171, 173 e
n., 238 n., 240 e n.
Roscellino da Compiègne 125
Roschmann, A. 78
Rösener, W. 39 n., 118 n., 119 n.,
122 n., 123 n., 178 e n., 208 n.,
209 n., 248 n.
Roth, J. 27 n., 28, 42
Rottleuthner, W. 194 n.
Rusconi, G.E. 49 n.
Rüsen, J. 18 n., 19 n., 35 e n.
Salomone, vescovo di Costanza
153 e n.
341
I NDICE
Salvini Plawen, L., von 93 n.
Sandberger, G. 94 n., 109 n.
Santifaller, L. 31 n., 45, 61 n., 144
n., 148 n., 187
Scheffer-Boichorst, P.T.G. 25 n.
Scheuermeier, P. 196 n.
Schiavone, A. 8
Schiffmann, K. 184 n.
Schlesinger, W. 119, 120 n., 122 n.
Schmid, A. 90 n.
Schmid, K. 91 n., 110 n., 147 n.
Schmidinger, H., 94 n., 227 n.
Schneider, F. 19 n.
Schneider, R. 92 n.
Schorn-Schütte, L. 35 n.
Schöttler, P. 55 n.
Schröder, W. 90 n.
Schulze, H. 57 n., 59 n.
Schulze, H.K. 118 n., 139 n.
Schuschnigg, K., von 45
Schwarcz, A. 90 n.
Schwarzmaier, H. 151 n.
Schwennicke, D. 147 n.
Schwind, E., von 108 n.
Schwineköper, B. 192 n.
Scrot, nobile 246, 247, 260
Secondo da Trento 86
Seifrieds, J.E. 211 n.
Sergi, G. 8, 39 n., 115 n., 117 n.,
118 n., 124 e n., 125 n., 132 n.,
140 n., 143 n., 144 n., 169 n.,
172 n., 205 n., 245 n., 262 n.,
266 n.
Settia, A.A. 89 n., 266 n.
Severino del Norico, santo 62, 94.
Sickel, T., von 17 n., 22, 29, 31e
n., 33, 47 n.
Sievers, W. 53
Sighardinger, famiglia 157, 167
Sigismondo d’Asburgo 77
Silvestro III, papa (1045-1046) 219
Sinberto 84, 146 e n.
Sinnacher, F.A. 14 e n.
Sisinnio, martire 62, 94
Sittich von Wolkenstein, M. 13 e n.
Soraperra, T. 48 n.
Sparber, A. 95 n., 96 n., 105 n.,
106 n., 107 n., 152 n., 165 n.,
DEI NOMI
166, 167 n., 217 n., 219 n., 220
n., 221 n., 222 n.
Spindler, M. 100 n., 129 n.
Stampfer, H. 102 n.
Staufen, famiglia 18
Stefano, re d’Ungheria 105 n.
Steinacker, H. 47 e n., 48
Stolz O. 13 n., 39 n., 45, 49 e n.,
50 e n., 51, 52, 54, 55 n., 57,
58 e n., 59 n., 137, 138 e n.,
139, 140, 184 n., 191, 192 n.,
194 n., 195 n., 199 n., 264 n.
Störmer, W. 177, 244 n.
Stumpf-Brentano, K.F. 21, 22, 31
n., 39
Suanihilt 142 n.
Summersberg, P.B., von 78
Supponidi, famiglia 150 n., 244.
Sweio, parservus 259
Sybel, H. von,19 e n.
Tabacco, G. 88 n., 115 n., 116 e
n., 118 n., 120 n., 172 e n., 173
e n., 234 n.
Tabarelli, G.M. 79 n.
Tagini, miles 233, 235, 236, 237,
261 n., 266 n.
Tassilone III, duca di Baviera
(748-788) 82, 91, 92, 97, 103,
104
Tell, G. 20
Tellenbach, G. 91 n., 147 n., 236
Teodolinda, regina,86, 87
Teodorico, vescovo di Minden 165
Tessmann, F. 53
Thaner, F. 21
Theis, L. 124, 125 n.
Thietmar, arcivescovo di Salisburgo (873-907) 103, 129
Thietmar di Merseburgo 133 n.
Thun-Hohenstein, L., conte di 15,
16, 17, 18, 29
Tille, A. 34 e n., 35
Tilly, C. 59 n.
Tirolo, famiglia 224
Tolomei, E. 43 n., 50 n.
Tota, moglie di Arnoldo 232
Toubert, P. 64 e n., 65 e n., 112
342
I NDICE
n., 118 n., 119 n., 180 n., 199,
200 n., 266 n.
Trapp, O. 231 n.
Tröster, J. 95 n., 152 n.
Truta, nepta del vescovo Albuin
162
Truta, nobile 250 n.
Tumler, F. 195 n.
Tunzo, nobile 248 n., 266
Tutone, vescovo di Ratisbona 154
Tyroller, F. 146, 147 n., 148 e n.,
149 n., 150, 151 n., 156 n., 157
e n., 163 n., 167 e n., 217 n.,
219 n.
Udo, vescovo di Frisinga 103, 129
Ugo di Provenza, re d’Italia 131,
132, 133
Ugo, vescovo di Bressanone
(1100-1125) 70, 71, 73, 75
Urbano II, papa (1088-1099) 223
Val de Lièvre, A. 25 n.
Varga, L. 55 n.
Verdorfer, M., 48 n.
Verhulst, A. 121 e n., 122 e n., 123
e n., 124, 177 e n., 178 n., 181
n., 188 n., 191 n., 261 e n.
Verlinden, C. 200 n.
Vigilio,vescovo di Trento (sec.
IV), santo 62, 94, 112, 210 n.
Violante, C. 61 n., 126 e n., 262
n., 265 n.
Vivanti, C. 8
Vollrath, H. 122 n.
Voltelini, H. von, 32, 34, 36, 37 e
n., 39, 45, 49, 51, 54
Waas, A. 139 n.
Wago 80, 136 n., 163, 164 e n., 169
Waitz, G. 19, 25 n., 31 n.
Waldbert 110
Waldrada 108, 109 e n., 179 n.,
182 n.
Walho 242 n., 259 n.
Walpert, conte 110 n.
Walser, H. 46 n.
Wanderwitz, H. 63 n., 64 n., 177
DEI NOMI
Wattenbach, W. 25 n., 31 n.
Wegener, W. 147 n.
Weinfurtner, S. 139 n., 238 n.
Weizsäcker, W. 212 e n.
Welf II, conte in Norital 137, 149
e n., 150, 163, 166, 169, 170,
172, 173, 225
Welf IV, (I) duca di Baviera, (10701077 e 1096-1101) 222, 223 n.,
224, 227, 228 e n., 229, 243
Welfen, famiglia 149, 150 e n., 151
e n., 152, 163, 166, 174, 223,
224 e n., 245
Wenskus, R. 192 n.
Werner, K.F. 49 n.
Wezala, moglie di Enrico di
Eppenstein 228, 250 n.
Wichburg, figlia di Hartwig I 151,
157, 167
Wiciman 249
Wieser, F. 31
Wiesflecker, H. 55 n.
Willipert 111
Wilson, T.W. 43.
Wipone 105 n., 169 n.
Wisunt, vescovo di Sabiona (935955) 72, 152, 154, 155
Wolf, libero 263 n.
Wolff, H. 94 n.
Wolfram, H. 90 n., 105 n.
Wopfner, H. 35 e n., 36 e n., 37 e
n., 38 e n., 39 e n., 41 e n., 42
e n., 43 e n., 44 e n., 45 e n.,
46, 49, 54, 55 n., 79 n., 192 e
n., 264 n.
Zaccaria, vescovo di Sabiona (890907) 81, 102, 103, 129, 141,
145, 152, 154, 197
Zangheri, R. 8, 37 n.
Zeissberg, H. 25 n., 33
Zilse, J. 216 n.
Zingerle, A., von 31
Zingerle, I. V., von 23 e n., 24 e
n., 31, 34
Zöllner, E. 90 n., 91 e n.
Zotz, T. 238 n.
343
Indice dei luoghi
Per i toponimi altoatesini s’è ritenuto utile riportare accanto al nome
in italiano il corrispondente nome in tedesco. Per alcuni microtoponimi
s’è preferito riportare direttamente la dizione tedesca.
Adige (Etsch), fiume 8, 51, 60, 87,
96, 97, 103, 127, 129, 132, 140,
144, 151, 178, 185 n., 197, 199,
212, 270
Adriatico, mare 135
Aguntum 82, 90 n., 98
Aibling 111
Aix 195 n.
Alpi 93 n., 203
Alpi orientali 90, 91, 92, 99, 157,
166, 173, 237, 264
Alpigeris 236
Alpines 145
Alto Adige (Südtirol) 11, 50 n., 89,
91, 164
Anagnis 89
Andermatt 84
Aniuves 109 n.
Anras 195 n.
Appianum 89
Aquileia 96, 97 e n., 133 n., 229 n.
Aschau 161 e n., 162, 168, 190 n.,
196
Aschouua vedi Aschau
Asling 193 n.
Augusta 80, 98, 99, 133 n., 149 n.,
153 e n., 163
Austria 7, 11, 20, 28, 29, 41 n., 42,
45, 46, 47, 67
Avio 87
Bagno Dolce (Bad Süss) 107 n.
Bamberga 170
Barbiano (Barbian) 146
Bassa Atesina 83, 132
Bassa Engadina 92
Bauzanum vedi Bolzano
Baviera 44, 46, 63, 67, 82, 83, 93,
94, 97, 98, 100 e n., 101, 105,
129, 130 e n., 131 n., 132, 133
e n., 134, 135 n., 138, 139,
140, 142, 145, 147, 148, 150,
151, 154, 155, 156, 157, 160,
167, 170, 176, 177, 181 n., 182,
183, 185, 186, 187, 190 n., 191
n., 192, 207, 208, 217, 221 e
n., 222, 223, 227, 228, 230,
255, 258, 259
Bellinzona 96
Berlino 21, 25 n., 31 n., 38
Bled 74, 142, 160 e n., 165, 217 n.,
266 e n.
Bolzano (Bozen) 7, 13 n., 32, 51,
66, 67, 80, 83, 84, 86, 87, 89,
93, 96, 97, 106, 107 n., 109,
110, 111, 112 n., 114, 132, 137,
141 n., 143 e n., 170, 171, 172
e n., 174, 195 e n., 224 n., 231,
232 n., 235, 242
Bonn 17, 18
Borgogna 113, 143
Brennero (Brennerpass), passo 50,
345
I NDICE
I NDICE
DEI LUOGHI
58 n., 61, 79 n., 80, 82, 83, 90,
92 n., 93, 94, 99, 106 n., 107
n., 110, 111, 114, 132, 140,
142, 143, 157, 163, 207, 225,
228
Brentonico 87, 89
Brentonicum vedi Brentonico
Bressanone (Brixen) 32, 39 n., 42,
51, 52, 65, 66, 67 e n., 76, 77,
78, 79, 80, 81, 82, 83, 84 e n.,
99, 102, 103, 107, 136 n., 137,
141, 145, 146, 148 e n., 149,
155 e n., 162, 163, 165 n., 166,
172, 173, 174, 179, 185, 189 e
n., 197, 211, 214, 215 e n., 216
e n., 217 n., 220, 224 e n., 225
e n., 226, 229 e n., 230, 231,
233 e n., 235, 238 n., 239, 240,
242 n., 243, 244, 245, 246, 249,
250, 252, 254, 256, 259, 261,
266 n., 270
Brunico (Bruneck) 82, 91, 162,
185
Budapest 47 n.
Burgusio (Burgeis) 16, 23
Cadore 82
Caines (Kuens) 142
Caldaro (Kaltern) 89, 112, 113,
179 n.
Caldonazzo 87
Campo Gelau, vedi San Candido
Carantania 131
Carinzia 83, 84, 134 e n., 135 e n.,
138, 139, 140, 156, 157, 158,
160, 161 e n., 162, 163, 164,
168, 170, 171, 175, 181, 183,
189, 191 n., 193 n., 195, 213,
217 e n., 218 e n., 219 n., 221
e n., 222, 223, 224, 226, 227,
228, 229 e n., 246, 265, 268,
270
Carniola 83, 140, 142, 143, 160,
163, 165, 213, 221, 226, 228,
235, 236, 265
Cedes (Tschöfs) 107 n.
Cermes (Tscherms) 109 n.
Cerones, villa 109 e n., 182 n.
Cheines 142
Chiavenna 96, 171
Chiemgau 157, 167
Chienes (Kiens) 266 n.
Chiusa (Klausen) 80, 84, 98, 146,
148, 162, 226
Chorces 142
Cimbra 89
Cluny 236
Coira 84, 92, 96, 98, 99, 101 n.,
108, 109 e n., 142, 165, 174,
211 n.
Colma (Kollmann) 98
Colonia 167
Como 171
Corces (Kortsch) 142
Costanza 153 e n.
Creina, vedi Carniola
Danubio, fiume 98, 147
Disentis 84 e n., 165 e n., 166 n.,
218 n., 221 n.
Dobbiaco (Toblach) 107 n.
Drava (Drau), fiume 228
Eichstätt 63, 154
Enemase 89
Engadina 84, 131, 140, 150 n., 165
Fagitana 89
Feistritz, fiume 217 n.
Fellis 187
Fiè allo Sciliar (Völs am Schlern)
187, 188 n.
Fillac, vedi Villach
Flanes (Flans) 107 n.
Forchheim 130 n.
Fornace 113
Francia 37, 57, 120, 121, 123, 234,
262
Francoforte 18, 21, 101
Franconia 217
Freisnitz 229 n.
Frisinga 63, 82, 83, 91, 99, 103,
105, 106, 107, 109, 110, 111,
129, 142, 149 n., 150 n., 162 e
n., 163, 165, 195 n., 230, 238 n.
Friuli 133 e n., 163, 182, 243 n.
346
DEI LUOGHI
Funes (Vilnöss) 232 n.
Jena, 47 n.
Gais 82
Gallia 185
Gand 122
Garda, lago 113
Geizes, vedi Gais
Germania 15, 18, 19, 28, 29, 30,
36, 41, 42, 45, 47, 56, 57, 63,
79 n., 101, 113, 120, 135, 144,
148, 149, 152, 155 n., 159, 163,
167, 169, 170, 177, 209 n., 216,
218, 221, 222, 223, 226, 154
Gorizia 167
Gottinga 25 n., 123, 177
Greinwalden (Grimaldo) 91
Kardaun (Cardano), rio 99
Kehlburg (Castel di Chela) 185
Kitzbühel 90
Klerant (Cleran) 185
Kufstein 90, 258 n.
Hildesheim 165
Holzkirchen 153
Ile de France 60, 123
Impero carolingio 97, 100, 102
Impero Austro-ungarico 15, 26,
27, 28
India, vedi San Candido
Inn, fiume 8, 97, 99, 127, 129, 140,
144, 178, 182, 185, 197, 199 e
n., 212, 270
Innsbruck 7, 15 e n., 16, 17, 18,
19, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e n.,
26, 28, 29, 30, 31e n., 32, 33 e
n., 36, 37, 39, 44, 47, 48 n., 49,
51, 53, 54, 65 n., 67, 147, 235,
239
Inticha, vedi San Candido
Isarco (Eisack), torrente, 80, 136
n.
Isengau, 161 n., 167, 168
Issing (Issengo), 91
Istria, 133, 163, 227, 250 n.
Italia, 11, 19, 28, 37, 79 n., 82, 96,
97, 98, 131, 133, 134, 135, 144,
155 e n., 157, 159, 166, 172 n.,
180 n., 181, 182, 187, 193, 196,
198, 203, 216, 223, 244
Jauntal, 156, 157 e n., 160, 161 e
n., 162, 213, 219 n., 227, 228,
265 e n.
Lagundo (Algund) 109 n.
Lauriacum 98
Lechfeld 133
Lechtal 99
Lienz 82, 98, 168, 189, 190 n.
Lippendorf 161 n.
Lipsia 36
Liupicdorf, vedi Lippendorf
Lius 184
Lorch bei Enns 98
Lournand 201
Lunéville 67
Lurngau 104 n., 167
Mâconnais 116, 236
Magonza 167, 169, 174, 217 n.,
221
Mais, Mairania, Meies, vedi Merano
Maletum 89
Malles (Mals) 93
Mantova 131
Marano 96
Matrei 168
Mellaun 185
Mellita 141
Meltina (Mölten) 141 n.
Merano (Meran) 16, 23, 42, 51, 80,
84, 86, 91, 93, 98, 99, 107 n.,
108, 109 n., 141 n., 142, 143
Milano 96, 132
Millstätter See 229.
Minden 165
Monaco di Baviera 22, 23, 47, 67
Monte Maria (Marienberg), abbazia 16, 23
Mortario, villa 179 n.
Mühldorf am Inn 161, 168
Murnau 247
Naif 109 n.
347
I NDICE
DEI LUOGHI
Nalles, villa 179 n.
Niederaltaich 165
Norica, vallis, vedi Norital
Norico 98
Norital 80, 141 e n., 142 e n., 143
e n., 144, 146, 148, 149, 150,
152, 155, 165, 167, 169, 170,
173, 174, 217, 218, 223, 224,
226, 229, 270
Olang (Valdaora), 186
Orital, vedi Norital
Ostiglia 80.
Paderborn 125
Pannonia 86
Parigi 43
Passau 63, 134, 158, 230
Pedratz 146
Pergine 87
Piemonte 169 n.
Pirra, torrente 141
Pöhlde 219
Polling 221 n.
Presburgo 67, 103, 129, 130 n., 153
Prihsna, Prixina vedi Bressanone
Pustrissa vedi Val Pusteria
Raetia Curiensis 92, 142, 150 n.
Raetia prima 92, 98
Raetia secunda 98
Ratisbona 63, 83, 133, 134, 140,
154, 159, 160, 169, 184, 230
Reifnitz am Wörthersee 158, 160,
181
Reiperting 91
Reno, fiume 123
Renon (Ritten) 107 n., 109, 110,
235
Resia (Reschen), passo 92 n., 140,
142
Rezia 98, 99, 174, 179 n.
Ribniza, vedi Reifnitz
Riegsee 247
Riscone (Reischach) 236, 266 n.
Riva del Garda 87
Roma 47 n., 219
Romagna 182 e n.
Rosenheim 182
Sabiona (Säben) 79 e n., 80, 81,
82, 87, 95 e n., 96, 97, 98, 99,
100, 101, 102, 103, 107, 108,
129, 133, 134, 136 n., 141, 142,
145, 146 n., 148, 153, 154, 155,
158, 159, 163, 164, 172, 174,
179, 181, 182, 207 n., 216, 217
n., 218 n.
Sabiona-Bressanone (Säben-Brixen), sede vescovile 7, 61 e n.,
62, 79, 96, 130, 132, 136, 140,
141, 144, 145 e n., 148, 149,
151, 152, 154, 156, 157 n., 158
n., 160, 162 e n., 163, 165, 166,
168, 174, 175, 176, 193, 199,
206, 209, 213, 214, 218, 270
Saint Germain 11, 42, 43, 67
Salisburgo 29, 63, 97, 99, 101, 129,
133, 141, 157, 167, 216, 221,
230
Salorno (Salurn) 51, 86
San Candido (Innichen) 82, 91 e
n., 97 e n., 103, 104, 105, 106,
107, 108, 162, 197
San Gallo 110, 153, 239 n.
Sankt Georgenberg 146
Sassonia 158, 164
Sava, fiume 218 n.
Scharniz 99
Schwatz 107 n., 146
Sermiana 89
Slanderes, predium 222 e n.
Slovenia 8
Spoleto 121, 125
Stafflach 107 n.
Stans 107 n.
Stein in Jauntal 83, 84, 155, 157 e
n., 160, 161, 162, 165, 189, 193
n., 198, 219 n., 228 e n.
Steinach, 107 n.
Stilves (Stilfes) 107 n.
Stiria 221, 246
Stufles (Stufels) 136 n.
Sublavione 98
Sudtirolo (Südtirol) 33, 42, 43, 44,
50
348
I NDICE
DEI LUOGHI
Sutri 219
Svevia 131, 133, 134, 138, 149 150
e n., 170, 174, 207, 209, 222
Svizzera, 84, 98, 239 n.
Tell (Töll) 98, 99
Teodone (Dietenheim) 91
Terlano (Terlan) 107 n., 147 n.
Termeno (Tramin) 112
Tesana 89
Tesselberg (Montassilone) 91
Tessenberg 91
Teugn 159
Thaur 107 n., 147
Tiles (Tils) 146
Tinne, rio 99
Tirolo (Tirol) 7, 8, 11, 12 e n., 13,
14, 18, 20, 21, 22, 24, 26, 29,
30 e n., 31, 33, 36, 38, 39, 40,
41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 49,
50 n., 51, 52 e n., 54, 55 e n.,
56 e n., 59 n., 60, 61 e n., 67,
77, 78, 82, 84, 85, 86, 90, 94
n., 98, 99, 100, 101 n., 114,
115 n., 137, 138, 139 e n., 140,
143, 191 e n., 194 n., 195 e n.,
200 n., 203, 206, 222, 223, 231,
233 n., 238
Tolmezzo 221 n.
Torilan 141
Trens 107 n.
Trentino 14, 33, 87, 89, 90, 94, 98,
182 n.
Trentino-Alto Adige (TrentinoSüdtirol) 7, 86
Trento 14, 23, 51, 67, 83, 87, 88,
94, 95, 96, 97, 98, 99, 103, 110,
111, 112, 113, 125, 131, 132,
133, 137, 140, 142, 151, 160,
170, 171, 172 e n., 174, 180 n.,
182, 195 n., 225 e n., 238 n.,
253
Tubinga 23
Tubre (Taufers) 211 n.
Tulve (Tulfer) 107 n.
Uttenheim (Villa Ottone) 91
Val d’Adige (Etschtal) 58 n., 80,
83, 86, 91, 98, 99, 107 n., 109,
110, 111, 131 e n., 181 n., 182,
223
Val d’Isarco (Eisacktal) 8, 52, 79 e
n., 80, 81, 82, 84, 87, 89, 91,
93, 95, 96, 98, 99, 101, 103,
108, 132, 136 n., 137, 145, 146,
148, 150, 151, 162, 163, 164,
166 n., 169, 172, 174, 175, 176,
179, 195, 213, 217, 222, 223,
225, 226, 227, 229, 265, 268
Val di Fiemme 88
Val di Vizze (Pfitschertal) 107 n.
Val Lagarina 86, 93
Val Passiria (Passeiertal) 142, 222,
223 e n.
Val Pusteria (Pustertal) 52, 60, 82,
84, 89, 90 n., 91, 93, 98, 99,
103, 104 n., 105, 107 n., 141 e
n., 142 e n., 143, 146, 151, 152,
157, 162 e n., 163, 164, 167,
168, 174, 176, 186, 193 n., 195
e n., 213, 218 e n., 223, 225,
226, 227, 229, 236, 265, 268
Val Venosta (Vinschgau) 16, 51,
80, 84, 87, 92, 93 e n., 98, 109,
110, 131 e n., 137, 142, 143 e
n., 150 e n., 151, 152, 163,
170, 171, 174, 222, 223 e n.
Valle dell’Inn 52, 80, 83, 84, 90,
93, 99, 137, 143 e n., 150, 151,
161, 167, 172, 196, 218 n., 225
e n.
Valsugana 87
Valtellina 171
Varna (Vahrn) 232 n., 250, 263 n.
Veldes, vedi Bled
Verona 96, 131, 132, 133, 134,
135, 163, 180 n., 181 n., 182
Vienna 16, 17 n., 20, 21, 26, 31 n.,
32, 33 e n., 36, 46, 49, 54, 66,
67, 98
Villach 158, 160, 165, 180 n., 181,
266
Vipiteno (Sterzing) 80, 81, 84, 91,
106 e n., 107 e n., 162, 184,
189
349
I NDICE
DEI LUOGHI
Vipitenum vedi Vipiteno
Vitianum 89
Volaenes 89.
Vomp 146, 199
Vorarlberg 98
Wipptal 190 n.
Wörgl 90
Worms 222
Waiblingen am Neckar 153
Ziller, fiume 99
Xanten 122
350