© LO SGUARDO – RIVISTA DI FILOSOFIA – ISSN: 2036-6558
N. 2, 2010 (I) – PROSPETTIVE SUL SEICENTO
L'eredità cartesiana
Conversazione con Giulia Belgioioso
a cura di Simone Guidi
1. Introduzione
La pubblicazione per Bompiani, a cura di Giulia Belgioioso,
dell'intero corpus cartesiano, realizza l'ambizioso proposito di fornire al
grande pubblico, tradotti e con testo a fronte, tutti gli scritti di Descartes. Il
medesimo gruppo di lavoro, formato dalla curatrice e da Igor Agostini,
Francesco Marrone e Massimiliano Savini, completa così lo sforzo
editoriale - e ancor prima filologico ed interpretativo - intrapreso quattro
anni prima, insieme a Franco Aurelio Meschini e a Jean-Robert
Armogathe, con la pubblicazione dell'epistolario completo del filosofo
francese (Bompiani 2005). Un'edizione destinata ad entrare in breve
tempo tra i classici e il cui merito, tra gli altri, è di promuovere un
ripensamento dell'eredità cartesiana che contempli anche testi finora
considerati “minori”. Dedicando due tomi distinti alle opere edite dallo
stesso Descartes e a quelle pubblicate postume, essa rimarca e consegna
inoltre al grande pubblico l'esistenza di due divergenti diffusioni del
cartesianesimo: una di cui il regista è il filosofo stesso e una di cui l'autore
è Clerselier.
Il volume delle Opere date alle stampe dallo stesso Descartes
raccoglie Discorso e Saggi, le Meditazioni con Obiezioni e Risposte,
l'Epistola a Dinet, l’Epistola a Voetius, i Principi della filosofia, le Note
contro un certo programma e le Passioni dell’anima. Quello delle Opere
postume comprende invece, in ordine cronologico di pubblicazione, tutti
gli altri scritti cartesiani, inclusi gli Estratti da Baillet, l'Inventario di
Stoccolma e testi di rara diffusione, come la Licenza di Diritto o il
“balletto” la Nascita della pace. Tutti i documenti, la cui traduzione è stata
condotta secondo il testo, riprodotto a fronte, delle più accreditate edizioni
(con attenta revisione dell’edizione nazionale francese Adam-Tannery),
sono stati sottoposti ad uno scrupoloso e aggiornato impegno di traduzione
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e interpretazione, garantito dalla lunga esperienza dei curatori in fatto di
congiunzione tra filosofia e filologia.
Abbiamo avuto l'opportunità di discutere delle linee generali di
questo lavoro, nonché di alcune scelte specifiche, con la curatrice, Giulia
Belgioioso.
2. Intervista
Lo straordinario lavoro editoriale, storico, filologico, ma anche
interpretativo che avete intrapreso in questi anni sul corpus cartesiano, e
che ora vede il suo risultato in questa nuova edizione delle opere di
Descartes, rappresenta un'impresa di notevole difficoltà, non priva,
oltretutto, di qualche rischio.
Il nostro tentativo è stato quello di fornire, tanto allo studioso quanto
allo studente, una versione italiana e aggiornata del corpus cartesiano che,
credo, svolgerà un ruolo di primo piano anche in campo internazionale. Si
è trattato di un lavoro di gruppo, che ha richiesto dieci anni e per il quale è
stato necessario un grande affiatamento e una continua coordinazione. I
giovani assegnisti e ricercatori che sono stati coinvolti nella realizzazione
del progetto si sono giovati della consulenza di esperti di livello
internazionale – francesi e non solo – con i quali hanno potuto discutere
scelte interpretative e traduttive.
Tra l'esegesi testuale in senso stretto e una più ampia interpretazione
filosofica si pone ovviamente un rapporto circolare, nel quale è necessario
addentrarsi con attenzione. E questa è una delle insidie maggiori di un
corpus, quello cartesiano, spesso esplorato solo parzialmente, (e per lo più
sempre nei medesimi testi) e in non pochi casi tramandato in traduzioni
tanto infedeli quanto influenti.
Un'imprecisione decisiva che ricorre in tutte le edizioni, ad esempio,
riguarda un passo della Seconda Meditazione [“Nondum vero satis
intelligo quisnam sim ego ille qui jam necessario sum”] in cui il quisnam
(letteralmente un “chi”) impiegato da Descartes è stato unanimemente
tradotto con “che cosa”, a vantaggio di un'interpretazione “sostanzialista”
della meditazione e del modello di ego che vi si proponeva. Errore che
ovviamente nella nostra traduzione abbiamo emendato.
Avendo condotto quest'impresa su tutti i testi di Descartes, compresi
quelli di medicina, biologia e fisica, abbiamo avuto l'opportunità di
riscontrare l'uso di alcuni termini in contesti differenti e correggere o
meno, su questa base, la nostra traduzione. D'altra parte la discendenza
diretta della nostra lingua dal latino ci è venuta incontro in questo senso,
permettendoci (al contrario, ad esempio, dei francesi, che si sono trovati
talvolta costretti a tradurre con un singolo vocabolo – paradigmatico il
caso di esprit, su cui più volte ha richiamato l’attenzione Tullio Gregory –
un ampio spettro di termini latini quali mens, animus, ingenium; o,
addirittura, ricorrendo a perifrasi, non sempre felici) di adottare il
corrispondente diretto in italiano, certamente fedele all'originale. Questa
attinenza minuziosa ai testi è forse andata a scapito della musicalità e a
volte alla “modernità” della traduzione, che presenta di tanto in tanto
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qualche “durezza” volutamente lasciata insoluta a vantaggio della fedeltà.
D'altronde lo stesso Descartes ha considerato a fondo il linguaggio, e
con esso il passaggio dal pensiero alla sua espressione. Proprio per la
celebre attenzione che egli ha riservato all'esattezza del contenuto, ancor
prima che alla piacevolezza della forma, quelle del filosofo francese vanno
ritenute scelte lessicali consapevoli, sulle quali vige una rigorosa vigilanza
terminologica. Poiché l'espressione deve essere il più possibile aderente al
messaggio e poiché lo stesso Descartes è consapevole che nella traduzione,
data la presenza di un intervento esterno sul linguaggio ancor prima che
sul contenuto, lo scarto tra pensiero e lingua si raddoppia, abbiamo cercato
di rendere il nostro lavoro meno invasivo possibile.
Rimanendo sui particolari del vostro lavoro, anche la scelta di
lasciare il termine “mathesis” invariato nella traduzione dice molto su
questa esigenza di evitare, fin da principio, ingerenze interpretative.
Si tratta certamente di una di quelle scelte “tecniche” riguardo alle quali la
traslitterazione diretta è la soluzione più felice. La parola “mathesis” non
individua direttamente la “matematica”: essa illustra un concetto più complesso e più articolato nel tempo, che solo l'originale latino (che a sua volta
risponde al greco) ci restituisce appieno. Un approccio filologico si è certamente reso utile, d'altronde, nello sbrogliare il tessuto molto fitto dei testi
cartesiani. Descartes è notoriamente il filosofo della chiarezza e senza dubbio, se lo confrontiamo alla gran parte dei suoi contemporanei, abbiamo
una conferma di questo. Tuttavia il suo fraseggio, tanto in latino che in
francese, è a volte molto complesso e intreccia ininterrottamente subordinate e coordinate: talvolta abbiamo frasi che hanno la lunghezza di una o
due pagine. Un intrico concettuale e lessicale che è doveroso esplorare con
cautela. Le opere da lui stesso pubblicate in vita evidenziano la grande cura
che Descartes dedicava ai suoi scritti. Nelle Lettere, per citare un aneddoto,
lo troviamo piuttosto contrariato da un editore olandese che pretendeva di
correggere il testo francese. Descartes, con l'ironia un po' pungente che lo
caratterizza, osserva: «Quanto al resto non mi preoccupo di riformare l’ortografia francese, né vorrei consigliare a qualcuno di impararla da un libro
stampato a Leida. Ma se debbo qui dire la mia opinione, credo che se si seguisse esattamente la pronuncia, si darebbe agli stranieri, nell’apprendimento della nostra lingua, una facilità maggiore del fastidio che l’ambiguità di alcuni equivoci porta a noi e a loro: le lingue si formano, infatti, parlando piuttosto che scrivendo» (A Mersenne, 15 novembre 1638).
Un'altra scelta molto significativa è quella di dedicare due volumi
distinti alle opere pubblicate in vita dallo stesso Descartes e alle opere
postume. Una vera e propria presa di posizione riguardo ai presupposti a
partire dai quali leggere questi testi.
Distinguendo tra queste due “tipologie” del testo cartesiano, quelle
postume e quelle pubblicate in vita, abbiamo inteso segnalare uno iato che
si apre nella fortuna della filosofia cartesiana. C'è un cartesianesimo opera
diretta di Descartes e ce n'è uno che ha inizio quando incominciano a
circolare in un pubblico più vasto di quello dei suoi amici e sodali altre sue
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opere. Basti pensare alla straordinaria influenza esercitata da un'opera
come le Regulae, di cui né nelle opere edite né nell'epistolario, si trova
traccia e che, quando nel 1701 viene pubblicata, cambia radicalmente
l'interpretazione di Descartes. E il medesimo destino delle Regulae hanno
avuto le opere di anatomia e di medicina, come l'Homme e la Descrizione
del corpo umano.
Ho avuto in passato l'occasione di sottolineare l'esistenza di
un'alternativa diffusione del cartesianesimo, di cui il regista è Clersielier.
Sebbene su quest'ultimo scarseggino i dati storici, analizzando il tipo di
strategia che ha messo in atto per la diffusione e la ricezione degli scritti di
Descartes, abbiamo il ritratto di un personaggio straordinario, sempre
attivamente presente sulla scena culturale di quegli anni e molto più
influente, in questo senso, di quello che Garin definiva il “pio Baillet”. E'
Clerselier a mostrare a Leibniz gli appunti personali di Descartes
(oltretutto occultandone una parte) o a intervenire nel caso di una prima e
timida edizione olandese di alcuni scritti postumi, segnalando
l'imprecisione della traduzione. Ma soprattutto è lo stesso Clerselier ad
essere in possesso delle minute dell'epistolario cartesiano e a selezionare le
lettere da dare alle stampe. A questo proposito egli manifesta un intento
preciso di rielaborare a suo piacimento questi documenti, sovvertendone
l'ordine cronologico e dislocandoli a volte dal loro contesto originale. Negli
stessi anni in cui manipola le lettere, Clerselier dà inoltre alle stampe il
Mondo, l'Homme e la Descrizione del corpo umano, ribadendo una volta
di più, riguardo al corpus cartesiano, la sequenza temporale da lui
impartitagli.
Per venire ai giorni nostri, l'edizione Adam-Tannery rappresenta
senza dubbio il risultato di un lavoro scrupoloso, che tenta un primo
riordinamento cronologico degli scritti postumi. Tuttavia, su questo punto,
la questione sembra ancora aperta. Ad oggi, infatti, dobbiamo riconoscere
di non poter stabilire con esattezza qual è, in questi inediti, l'apporto di
Descartes e quale invece quello dei suoi editori. Perciò dobbiamo
considerare tutte le ricostruzioni, più o meno attendibili che siano, come il
risultato di un'interpretazione fornita a partire da dati interni ai testi
(ovvero prendendo in considerazione gli argomenti affrontati), ma non
sulla base di riscontri storici oggettivi. A partire da queste considerazioni
abbiamo scelto di editare le opere postume secondo il loro ordine di
pubblicazione, rispettando la sequenza cronologica con la quale sono state
trasmesse e sottoposte al grande pubblico. Nonostante le iniziali
perplessità, gli stessi consulenti e collaboratori francesi hanno apprezzato
questa nostra scelta, che vuole quindi indirizzare l'attenzione sulle
differenze, ancor prima che sulle somiglianze, tra gli scritti curati da
Descartes per la pubblicazione e gli inediti.
Il vantaggio di un edizione dell'intero corpus cartesiano è anche
quello di sottoporre ad un pubblico vasto ed eterogeneo opere certamente
poco frequentate del filosofo francese, come il Compendio di musica, le
Note contro un certo programma, l'Epistola a Voetius, la Descrizione del
corpo umano, etc. Quali effetti secondo lei può avere la rilettura di questi
testi nel panorama interpretativo contemporaneo?
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Credo che Descartes non abbia del tutto accantonato queste opere
cosiddette “minori”, molte delle quali, pur rimaste inedite, sono state
rimaneggiate dal filosofo francese che le ha poi mano a mano incorporate,
a volte letteralmente, nei testi di maggior respiro, o rivisitate in funzione di
essi. La ricostruzione dell'origine e della rilevanza di questi testi è oggi
possibile con più puntuali strumenti, per primo quello di una rinnovata
consapevolezza storica, che prevenga quei fraintendimenti e quelle
sovrapposizioni che ne hanno finora inquinato la lettura. Celebre il caso
del Mondo poi incorporato nella quinta parte del Discorso. Ci sono poi
alcuni di questi testi, come le l'Epistola a Voetius, o l'Epistola a Dinet, che
sono stati erroneamente considerati scritti riguardanti controversie e
sottovalutati nel loro valore filosofico. Eppure essi dimostrano una volta di
più che Descartes impugna la penna sempre per stilare un bilancio del suo
pensiero. Se oggi, come ci auguriamo che accada, questi testi verranno
ripresi, probabilmente saranno di grande utilità per un ripensamento
complessivo e per nuovi bilanci, sia a riguardo di Descartes, sia a riguardo
della stessa filosofia moderna. La scommessa di fondo è insomma che
queste opere possano dare un nuovo impulso agli studi.
La nostra edizione si affianca, nel panorama contemporaneo e
internazionale degli studi cartesiani, al lavoro, parziale, compiuto in
Olanda, dove sono state pubblicate le lettere del 1643 e l'epistolario con
Regius, e, in Francia, al progetto dell’editore Gallimard di pubblicazione
delle Oeuvres complètes, avviato nel 2009 da Denis Kambouchner con
l’edizione del terzo volume (III. Discourse de la Méthode et Essais).
Quanto alle interpretazioni, se tralasciamo la filosofia analitica - che, come
il pensiero debole degli anni '70, più che interpretare Descartes, spesso
combatte con la sua caricatura – la punta più avanzata degli studi
cartesiani è sicuramente quella francese fenomenologica. Penso in
particolare al lavoro di Jean-Luc Marion, che ha in preparazione un terzo
volume di Questions cartesiénnes dedicato al tema della corporeità, e che
ritengo in grado di apportare agli studi un lavoro strettamente filosofico
sul testo. Tuttavia si tratta di risultati difficilmente traslabili. Questa nostra
edizione si propone di essere uno stimolo per nuove interpretazioni anche
in Italia. Per questo abbiamo cercato di fornire una traduzione neutrale,
che fornisca al lettore un materiale assolutamente scevro da
sovrapposizioni. Quanto a me e al gruppo di studiosi che con me ha
realizzato questa impresa, posso dire che abbiamo in progetto di realizzare
una biografia intellettuale di Descartes che integri alcune recenti
acquisizioni.
Una tendenza certamente rilevante, che negli ultimi tempi ha
caratterizzato gli studi sul cartesianesimo, è il tentativo di riavvicinare
Descartes al proprio tempo, alle cosiddette “culture barocche”. Da questo
punto di vista dobbiamo registrare un superamento, o come minimo un
ripensamento, dell' immagine hegeliana di Descartes come “eroe della
modernità”, del filosofo che rompe i rapporti con la sua epoca e avvista
per la filosofia territori inesplorati.
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In molti casi Descartes è stato proposto come termine o principio di
una “metanarrazione” della filosofia. Ricordo a questo proposito la celebre
frase di Liard, che sentenziava “alla fine arriva Descartes”; un giudizio che
si immette, appunto, nel solco tracciato da Hegel. D'altra parte
riscontriamo anche una tendenza inversa, che sulla scorta di Gilson ha
tentato di schiacciare la novità cartesiana sulla tarda scolastica. Non
condivido queste posizioni, né le letture che ne derivano. Oggi del resto,
così come sono state proposte, sarebbero irriproponibili. Si tratta al
contrario di inscrivere Descartes dentro una rete di relazioni nella quale lui
stesso si è posto e che comprendeva l'intero panorama culturale del primo
Seicento. Estrapolati dal loro contesto molti tratti e passaggi del pensiero
cartesiano, che affondano le loro radici nel quadro storico-culturale del
tempo, divengono assolutamente incomprensibili. Non bisogna
dimenticare che il filosofo francese è maturato non soltanto mediante un
serrato dialogo con i suoi estimatori ed amici, ma anche istituendo un
continuo confronto con i suoi oppositori, e tra questi troviamo sia i
matematici Fermat e Roberval, sia soprattutto gli scolastici.
A questo proposito è forse significativo sottolineare come si possa
parlare, a proposito delle opere che Descartes pubblica, di una vera e
propria strategia messa in atto da nei confronti dei suoi interlocutori. Le
Meditazioni non sono ancora state pubblicate che già Descartes progetta
un manuale, i Principi, che diffonda la sua filosofia nelle scuole, in
particolare quelle dei gesuiti. Ed anche su questo fronte, ossia in questa
stessa esigenza di far comprendere e rendere condivisibile il proprio
pensiero, che dobbiamo considerare Descartes estremamente informato e
attento alla cultura del suo tempo. Così, sia l'epistolario, sia le dispute con
gli obiettori, delineano il medesimo ritratto, quello di un uomo del tutto
consapevole della portata innovativa del proprio discorso, e soprattutto
dell'importanza che questa novità riveste nel panorama dell'epoca.
Comprendere questo aspetto ci permette di ricostruire con completezza la
“strategia” di Descartes, evitando di ingigantire il suo rapporto con il
vecchio e con il nuovo.
a cura di Simone Guidi
(simoneguidi@losguardo.net)
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