The Holy Portolano
Le Portulan sacré
Scrinium Friburgense
Veröffentlichungen des Mediävistischen Instituts
der Universität Freiburg Schweiz
Herausgegeben von
Michele Bacci · Hugo Oscar Bizzarri · Elisabeth Dutton
Christoph Flüeler · Eckart Conrad Lutz · Hans-Joachim Schmidt
Jean-Michel Spieser · Tiziana Suarez-Nani
Band 36
De Gruyter
The Holy Portolano
The Sacred Geography of Navigation
in the Middle Ages
Le Portulan sacré
La géographie religieuse de la navigation
au Moyen Âge
Fribourg Colloquium 2013
Colloque Fribourgeois 2013
Edited by / Edité par
Michele Bacci · Martin Rohde
De Gruyter
Veröffentlicht mit Unterstützung des Hochschulrates der Universität Freiburg Schweiz
ISBN 978-3-11-036418-7
e-ISBN (PDF) 978-3-11-036425-5
e-ISBN (EPUB) 978-3-11-038576-2
ISSN 1422-4445
Library of Congress Cataloging-in-Publication Data
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2014 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Munich/Boston
Typesetting: Mediävistisches Institut der Universität Freiburg Schweiz
Printing and binding: Hubert & Co. GmbH & Co. KG, Göttingen
앝 Printed on acid-free paper
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Printed in Germany
www.degruyter.com
Contents / Sommaire
Michele Bacci (Fribourg) – On the Holy Topography of Sailors:
An Introduction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
Patrick Gautier Dalché (Paris) – Eléments religieux dans les
représentations textuelles et figurées de la Méditerranée . . . . .
17
Michel Balard (Paris) – Le peregrinagium maritimum en
Méditerranée (XIVe–XVe s.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33
David Jacoby (Jerusalem) – Ports of Pilgrimage to the Holy Land,
Eleventh-Fourteenth Century: Jaffa, Acre, Alexandria . . . . . .
51
Nada Helou (Beyrouth) – Les lieux sacrés de Beyrouth au Moyen Âge.
Les deux églises de Saint-Georges . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
Rafał Quirini-Popławski (Kraków) – Seaside Shrines in the Late
Mediaeval Black Sea Basin. Topography and Selected
Historical and Art Historical Questions . . . . . . . . . . . . . .
95
Chryssa Maltezou (Atene) – I monaci dell’isola dell’Apocalisse tra
preghiera, spionaggio e navigazione (XV–XVIII sec.) . . . . . .
121
Maria Georgopoulou (Athens) – The Holy Sites of Candia . . . . .
133
Joško Belamarić (Split) – The Holy Portolano. The Sacred
Geography of Navigation along the Dalmatian coast in the
Middle Ages . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
159
Mario Buhagiar (Malta) – The Pauline Sacred Geography of the
Maltese Islands and their Maritime Shrines . . . . . . . . . . . .
185
6
Contents / Sommaire
Vinni Lucherini (Napoli) – Strategie di visibilità dell’architettura
sacra nella Napoli angioina: la percezione da mare e la
testimonianza di Petrarca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
197
Valentina Ruzzin (Genova) – Alcune osservazioni in merito al
ritrovamento della ‹ Bonna Parolla › genovese . . . . . . . . . . .
221
Valeria Polonio (Genova) – La Liguria e la sua originalità:
una variante del ‹ Portolano sacro › . . . . . . . . . . . . . . . . .
227
Francesca Español (Barcelona) – Le voyage d’outremer
et sa dimension spirituelle. Les sanctuaires maritimes
de la côte catalane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
257
Amadeo Serra Desfilís (Valencia) – A brave new kingdom:
images from the sea and in the coastal sanctuaries of Valencia
(XIII–XV centuries) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
283
Adeline Rucquoi (Paris) – Saint-Jacques de Compostelle sur
les rives de la Mer Ténébreuse . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
307
Index
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
327
Illustrations . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
347
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella
Napoli angioina: la percezione da mare
e la testimonianza di Petrarca
Vinni Lucherini (Napoli)
Prendendo l’avvio da una descrizione corografica redatta in un’agiografia
napoletana di IX secolo e approdando all’‹ Itinerarium ad Jerusalem › di
Francesco Petrarca, in questo intervento si indaga sulla visibilità a distanza
e sulla percezione da mare delle architetture sacre di Napoli: siti delegati
alla trasmissione della memoria di culti che in molti casi proprio dal mare
erano giunti nei secoli della tarda antichità, ma anche e soprattutto luoghi di
liturgia destinati a rappresentare, attraverso strutture monumentali orchestrate per esser riconosciute da mare, la magnificenza della dinastia angioina
che nel 1266 salì al potere nel Regnum Siciliæ.
I. Le premesse altomedievali:
la descrizione di Napoli nella ‹ Vita Athanasii ›
Nata come città greca all’inizio del V secolo a.C., divenuta municipium
1
romano circa quattro secoli dopo, Napoli fu conquistata dalle armate
1
Beloch, Julius, Campanien. Geschichte und Topographie des antiken Neapel
und seiner Umgebung, Breslau 1890; Capasso, Bartolommeo, Napoli grecoromana, a cura di De Petra, Giulio, Napoli 1905; Napoli antica, catalogo
della mostra (Museo Archeologico Nazionale, 26 settembre 1985 – 15 aprile
1986), Napoli 1985; Lepore, Ettore, Origini e strutture della Campania
antica. Saggi di storia etno-sociale, Bologna 1989; I Greci in Occidente.
La Magna Grecia nelle collezioni del Museo Archeologico di Napoli, Napoli 1996; Arthur, Paul, Naples from Roman Town to City State. An Archaeological Perspective (Archaeological monographs of the British School
at Rome 12), Roma 2002; La storia dell’Ager Campanus, i problemi della
limitatio e la sua lettura attuale. Atti del convegno internazionale (Real sito
di S. Leucio, 8–9 giugno 2001), a cura di Franciosi, Gennaro, Napoli 2002;
198
Vinni Lucherini
imperiali bizantine nel novembre del 536, secondo quanto racconta Procopio
di Cesarea nel ‹ De bello gothico › (I, 8–10). Nel corso del VII secolo la
città divenne il fulcro amministrativo di un piccolo ducato, di estensione in
prevalenza costiera, che acquisì una progressiva indipendenza nei confronti
dell’Impero bizantino e restò autonomo fino all’inclusione nel Regnum
Siciliæ del normanno Ruggero II, un evento che determinò la storia della
città per molti secoli, fino all’avvento del re Carlo III di Borbone, nel 1734,
e all’annessione del Regno delle Due Sicilie nel nuovo Regno d’Italia, nel
2
1861. (Ill. 73)
3
Il rapporto di Napoli con il mare è sempre stato intenso, non solo perché
a un certo punto sostituì Pozzuoli come porto romano di primaria importanza nel Mare Tirreno, e non solo perché alcune delle sue principali attività
economiche erano collegate al mare, dalla mercatura alla pesca, ma anche
per ragioni politico-geografiche, perché i primi insediamenti longobardi
che si stanziarono in Campania fin dalla fine del VII secolo rappresentarono sempre una barriera e un confine difficilmente sormontabili. Di fatto
il ducato bizantino di Napoli si identificava nella città e nei suoi limitati
territori extraurbani (per un’estensione corrispondente all’incirca all’attuale
4
provincia di Napoli). Ed è soprattutto da mare, non da terra, che nell’alto
Medioevo, e fino ai secoli dell’età moderna, si raggiungeva Napoli: la prima
immagine che la città dava a chi vi si recasse era costituita da una costa, un
porto e una miriade di edifici sacri, molti dei quali visibili da lontano fin
dall’ingresso delle navi nel cuore del golfo (Ill. 74).
2
3
4
Savino, Eliodoro, Campania tardo-antica (284–604 d.C.) (Studi storici sulla
tarda antichità 20), Bari 2005.
Guillou, André et alii, Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II (Storia
d’Italia 3), Torino 1983; Galasso, Giuseppe, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese (1266–1494) (Storia d’Italia 15.1), Torino 1992;
id., Napoli capitale. Identità politica e identità cittadina. Studi e ricerche,
1266–1860, Napoli 2003; id., Medioevo euro-mediterraneo e Mezzogiorno
d’Italia. Da Giustiniano a Federico II, Bari/Roma 2009; Del Treppo, Mario,
Storiografia nel Mezzogiorno, Napoli 2006.
Galasso, Giuseppe, Napoli e il mare, in: Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle X giornate normanno-sveve (Bari, 21–24
ottobre 1991), a cura di Musca, Giosuè, Bari 1993, pp. 27–38; Feniello, Amedeo, Alle origini di Napoli capitale. Il porto, la terra, il denaro, in: Mélanges de
l’École française de Rome. Moyen Âge 124/2 (2012), [Online] http://mefrm.
revues.org/779 (cons. 29 dicembre 2013).
Napoli nel Medioevo. II. Territorio ed isole, a cura di Feniello, Amedeo (Le
città del Mezzogiorno Medievale 5), Galatina 2009.
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
199
La più importante attestazione letteraria altomedievale sul rapporto
geografico della città con il mare, dalla quale si può comprendere come
il sacro e le sue manifestazioni materiali si venissero a configurare in un
ambiente nel quale il mare rappresentava un elemento essenziale della vita
quotidiana, è un lungo passo posto in apertura della ‹ Vita sancti Athanasii
Neapolitani episcopi ›, una agiografia redatta tra l’872, anno di morte del
vescovo napoletano Atanasio, e l’877, anno della sua traslazione da Montecassino, dove era stato sepolto al momento della morte, a Napoli, dove fu
tumulato accanto ai santi Gennaro e Agrippino, i due veneratissimi patroni
5
della città.
La ‹ Vita Athanasii › non entra subito nel merito della vita del santo che
intendeva celebrare, ma si apre sorprendentemente, dopo il prologo, con una
puntualissima descrizione geografica, che come in un gioco di scatole cinesi
parte dall’Europa per giungere all’Italia e infine a Napoli, cardine dell’attenzione del narratore. Nessuno che conosca almeno un po’ di cosmografia
può ignorare, scrive infatti l’agiografo (che qui parafraso), che l’Italia è una
parte nobilissima e ricchissima dell’Europa, la quale Italia è formata da due
isole e da sedici province: la settima è la Campania, fertile di frutti e nondimeno di uomini celibi e degni, tra i quali Atanasio sfolgorò moltissimo, quasi
come una nuova stella; questa Campania possiede città bellissime e molto
ricche, una delle quale è Napoli, della quale gli antichi e moderni storici
tacciono su quando e da chi sia stata fondata, ma che è antichissima tra tutte
le città italiche. A questa prima sequenza narrativa, basata sulla ricerca di un
fondamento insieme geografico e storico della santità napoletana, l’agiografo
fa seguire la giustificazione del suo elogio: Napoli deve essere ammirata
perché in Hesperia, dopo Roma, non è possibile trovare nessun’altra città
tanto potente e tanto piacevole, sia per le difese della sua struttura cittadina,
dunque per le sue mura, sia per la posizione dei suoi territori extraurbani,
sia infine per la religione dei cristiani che la abitano al suo interno, dunque
6
per la grandezza della sua fede cristiana. È proprio in quest’ultima sequenza
5
6
Vita et Translatio s. Athanasii Neapolitani episcopi (BHL 735 e 737) sec. IX,
introduzione, edizione critica e commento a cura di Vuolo, Antonio (Fonti
per la storia dell’Italia medievale 16), Roma 2001.
Italiam partem esse Europae nobilissimam ac ditissimam iuxta trifariam
orbis terrarum dimensionem, nemo qui vel ex parte cosmographiam noverit
ignorat. Quae quidem in duabus insulis et sedecim dividitur provinciis,
quarum septima nuncupatur Campania, frugum omniumque pomorum valde
fecunda. Quæ sicuti ferax est diversa proferendo fructuum germina, ita cælibes
et Deo dignos viros sæpe produxit et educavit, inter quos Athanasius quasi
novum sidus non mediocriter emicuit. Hæc igitur Campania habet civitates
200
Vinni Lucherini
testuale che l’agiografo individua una relazione tra la posizione geografica
della città rispetto all’Europa, la sua incalcolabile antichità, il suo forte apparato murario, e l’altrettanto salda fede dei suoi abitanti.
Nel processo narrativo del passo, nel quale sempre si va dal generale
al particolare, l’agiografo segnala con precisione gli interventi urbanistici
operati nel corso del VI secolo dai generali bizantini Belisario e Narsete.
L’uno, Belisario, giunto per primo, avrebbe dotato la città di sette magnifiche torri esagonali e ottagonali, che avevano lo scopo di rafforzare la cinta
romana (realizzata al tempo di Aureliano e già restaurata da Valentiniano
III); l’altro, Narsete, qualche decennio dopo l’arrivo dei primi eserciti bizantini a Napoli, avrebbe ampliato di molto tali mura, rendendola sicurissima
sul fronte marino e facendo del suo porto un ricettacolo perfetto anche per
7
navi rese pesanti dalle merci. Ma perché, continua l’agiografo, dovremmo
indugiare all’esterno degli edifici dal momento che questi possono esser
meglio osservati direttamente dai riguardanti piuttosto che descritti da qualsivoglia sofista, e non andiamo a vedere invece cosa accade al loro interno?
Al loro interno, infatti, sia nelle chiese cittadine, numerosissime, splendide
e di antichissima struttura, sia nei moltissimi monasteri, si sollevano al cielo
incessanti preghiere, di giorno come di notte. A loro volta, due candelabri
splendenti, due basi solidissime proteggono la città: Agrippino e Gennaro, i
suoi due santi patroni e difensori. In questa città, rassicurata da tanta santità,
8
continuamente laici e chierici offrono salmodie a Dio, in greco e in latino.
7
8
decentissimas et valde opimas. Ex quibus una est Neapolis, quae quo tempore
vel a quo sit condita structore a priscis et modernis historiographis reticetur,
hinc conici valet universarum eam antiquissimam esse Italicarum urbium.
Quod eo magis mirandum est ita præpotens et amœna est, in structuræ
scilicet munitionibus situque suburbano et christicolarum interius degentium
religione, ut in Hesperia, post Romanam urbem, nulli reperiatur esse inferior:
Vita et Translatio (n. 5), pp. 115–116.
Huius namque amplitudini ac decori Belisarius patricius, ex præcepto
Iustiniani imperatoris, septem mirificas turres addidit, quas augustales et ob
numerum achivæ octogonas hexagonasque fecit. Narsis denuo patricius et
augustorum cubicularius, postquam Italiam Vuandalis interemptis eorum ab
efferitate exuit, maximam in ea partem auxit, ita ut ex una parte mari illam
uniret contiguo ob navium receptaculum, et tam firmissimo munivit ædificio,
ut etiam honustæ mercimoniis trieres a supereminentibus validissime tueantur:
ibid., pp. 116–117.
Sed cur immoramur in exterioribus ædificiis, quæ utique melius a conspicientibus
cernuntur, quam eloquentia cuiuslibet sophistæ fari? Quandoquidem ita interius
frequentissimis ecclesiis ac præclaris, antiqua videlicet et vetustissima structura
editis, necnon et monasteriis virorum puellarumque farsa retinetur, ut horum
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
201
Quando si legge attentamente questo testo, singolare per l’ampia prospet9
tiva che abbraccia insieme geografia, spazi urbani, strutture di difesa,
architetture e protagonisti del sacro, ci si accorge che l’agiografo ha voluto
presentare ai suoi lettori, colti o meno che fossero – visto che la ‹ Vita sancti
Athanasii › era destinata a esser recitata in occasione dell’anniversario del
9
continuis precibus nocturnis diuturnisque adiuta invictrix consistat et tuta. Nam
et introrsus binas praesulum gestat sedes, ad instar duorum Testamentorum,
quamquam una sit quae gubernat et regit reliquam, ut capite reguntur artus
diversi. Reperiuntur plane in ea templa, prisco structa ædificio, quoniam non
solum a Constantino piissimo principe, primo augustorum christianissimo, sed
plures ante annos christiana inibi religio floruit. Siquidem beatissimus Petrus
Apostolorum princeps Aspren santissimum primum ibi ordinavit episcopum.
Nam et beati illo Agrippini ecclesia hactenus demonstratur, qui quintus a
supradicto Aspren episcopus ordinatus est, quique etiam patronus et defensor
est ipsius civitatis. Beatissimum quoque Ianuarium Christi martyrem postea
Neapolites meruerunt habere tutorem. Quibus annitentibus faventibusque,
praefata urbs, Deo tuente, tuta permansit manebitque in aevum; quoniam
quasi duas firmissimas bases duoque candelabra splendentia gloriatur se habere
supradictos patres eadem civitas, duabus fulta alis, id est duorum sanctorum
fisa precibus. In qua laici simul cum clericis assidue græce latineque communi
prece psallunt Deo, debitumque persolvunt iugiter officium: ibid.
Sulla cultura geografica, teorica e grafica, del Medioevo: Zumthor, Paul, La
misura del mondo. La rappresentazione dello spazio nel Medioevo, Bologna
1995; Bouloux, Nathalie, Culture et savoirs géographiques in Italie au XIVe
siècle (Terrarum Orbis 2), Turnhout 2002; Nuti, Lucia, Cartografia senza
carte. Lo spazio urbano descritto dal Medioevo al Rinascimento, Milano 2008;
Gautier Dalché, Patrick, L’éspace géographique au Moyen Âge (Micrologus’
library 57), Firenze 2013. Per un nuovo approccio metodologico: Michalsky,
Tanja, Hic est mundi punctus et materia gloriae nostrae. Der Blick auf die
Landschaft als Komplement ihrer kartographischen Eroberung, in: Das Geheimnis am Beginn der europäischen Moderne, a cura di Engel, Gisela et alii
(Zeitsprünge – Forschungen zur Frühen Neuzeit 6), Frankfurt a. M. 2002,
pp. 436–453; ead., Medien der Beschreibung. Zum Verhältnis von Kartographie, Topographie und Landschaftsmalerei in der Frühen Neuzeit, in: Text
– Bild – Karte. Kartographie der Vormoderne a cura di Glauser, Jürg e Kiening, Christian (Reihe Litterae), Freiburg i. Br. 2007, pp. 319–349; ead., Gewachsene Ordnung. Zur Chorographie Neapels in der Frühen Neuzeit, in:
Räume der Stadt von der Antike bis heute, a cura di Jöchner, Cornelia, Berlin
2008, pp. 267–288; Aufsicht – Ansicht – Einsicht. Neue Perspektiven auf die
Kartographie an der Schwelle zur Frühen Neuzeit, a cura di Michalsky, Tanja,
Schmieder, Felicitas e Engel, Gisela (Frankfurter Kulturwissenschaftliche Beiträge), Berlin 2009.
202
Vinni Lucherini
santo –, una sorta di veduta cittadina a volo d’uccello ante litteram (Ill. 75).
Da un lato, infatti, l’agiografo sembra procedere come se stesse guardando
la città dall’alto, da una visuale aerea, prima europea, poi italiana, poi meridionale e mediterranea, quasi come se avesse davanti a sé una carta geografica; dall’altro lato, invece, sembra vederla da mare, come se la osservasse da
una nave che si sta apprestando a ormeggiare, come se individuasse prima
di tutto le sue mura con le imponenti torri costiere, il porto accogliente, e
poi un monumentale dispiegamento di santità, che si esprime innanzitutto
nella presenza di moltissimi edifici sacri, chiese, monasteri, cattedrali, dei
quali è messo in luce quel che doveva apparire come un valore ineludibile:
l’antichità delle strutture architettoniche, la vetustas dei siti custodi della
santità. Di alcuni di questi edifici, peraltro, l’agiografo non solo suggerisce
una fondazione costantiniana, di primo IV secolo, ma ne propone una ancor
più antica. Secondo una tradizione storiografica proprio da lui inaugurata e
destinata a svilupparsi nel primo Trecento, in cui momento in cui, in coinci10
denza con la ricostruzione della cattedrale cittadina, si ripensò e si riscrisse
la memoria più antica della Chiesa di Napoli, si affermò che l’episcopato
napoletano sarebbe stato creato prima di quello di Roma, nel momento in
cui l’apostolo Pietro, in viaggio da Antiochia, avrebbe consacrato il citta11
dino Aspreno primo vescovo di Napoli.
II. Napoli, i santi venuti da mare, e le ‹ Sante Parole ›
La Napoli descritta alla fine del IX secolo, le cui torri dovevano colpire l’immaginario dei naviganti che la guardavano da mare, era una città dal cui porto
partiva la navigazione d’altura, una città i cui legami con Bisanzio erano
ancora abbastanza vivaci. I recenti scavi della nuova linea metropolitana
di Napoli hanno messo in luce materiali in base ai quali è stato confermato
che il porto di età ducale si dovesse trovare all’altezza della novecentesca
Piazza Municipio, laddove la roccia tufacea creava un’insenatura naturale, in
10 Lucherini, Vinni, La Cattedrale di Napoli. Storia, architettura, storiografia
di un monumento medievale (Collection de l’Ecole française de Rome 417),
Roma 2009, pp. 154–164, 171–202.
11 Ead., Il Chronicon di Santa Maria del Principio (1313 ca.) e la messa in scena
della liturgia nel cuore della Cattedrale di Napoli, in: Dall’immagine alla
storia. Studi per ricordare Stefania Adamo Muscettola, a cura di Gasparri,
Carlo, Greco, Giovanna e Pierobon Benoit, Raffaella (Quaderni del Centro
Studi Magna Grecia 10), Pozzuoli 2010, pp. 521–549.
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
203
séguito colmata a causa dei dilavamenti dei pendii collinari dai quali derivò
12
l’avanzamento della linea costiera.
Va inoltre osservato come a Napoli siano stati spesso proprio i complessi
monastici, ricordati dall’agiografo di Atanasio come fucine inesauribili di
preghiere, a intervenire nella gestione del litorale costiero e delle attività
mercantili del porto. Nel 1075, ad esempio, un documento attesta una donazione, da parte del duca di Napoli, Sergio I, al monastero di San Salvatore in
insula maris (l’isolotto di Megaride) fondato proprio dal vescovo Atanasio
(il duca concedeva ai monaci una porzione del muro di cinta della città,
consentendo loro di aprirvi dei varchi e di esigere un diritto di passaggio a
uomini e mercanzie); ma già nel 1018 il monastero dei Santi Sergio e Bacco
stringeva accordi con i responsabili del porto sul pagamento dei diritti che
13
le proprie imbarcazioni dovevano per i viaggi verso Roma.
Che poi le costruzioni sacre giocassero un ruolo di rilievo anche nella
devozione dei naviganti è dimostrato esemplarmente dalle indicazioni che
14
si possono rinvenire nelle ‹ Sante Parole ›, una litania tramandata, nella
12 Sulle modificazioni che hanno interessato l’area costiera e il porto nel corso
del Medioevo: Cardarelli, Urbano e Dal Piaz, Alessandro, Trasformazioni
urbane: il quartiere degli Orefici a Napoli, in: Studi di Urbanistica, a cura
di Cardarelli, Urbano, Bari 1978, in part. pp. 127–128; Feniello, Amedeo,
Contributo alla storia della iunctura civitatis (sec. X–XIII), in: Ricerche sul
Medioevo napoletano. Aspetti e momenti della vita economica e sociale a
Napoli tra X e XV secolo, a cura di Leone, Alfonso, Napoli 1996, pp. 106–156;
id., Il porto Pisano di Napoli e le trasformazioni in età angioina, in: Bollettino
Storico Pisano 64 (1995), pp. 225–232; id., Crisi e trasformazioni del territorio
napoletano nel Trecento, in: Archeologia dei castelli nell’Europa angioina
(secoli XIII–XV). Atti del convegno (Salerno, 10–12 novembre 2008), a
cura di Peduto, Paolo e Santoro, Alfredo Maria, Firenze 2011, pp. 131–137;
Giampaola, Daniela, Dagli studi di Bartolommeo Capasso agli scavi della
Metropolitana: ricerche sulle mura di Napoli e sull’evoluzione del paesaggio
costiero, in: Napoli Nobilissima. Rivista di arti, filologia e storia V (2004),
pp. 35–56; De Caro, Stefano e Giampaola, Daniela, La metropolitana approda
nel porto di Neapolis, in: Civiltà del Mediterraneo. Semestrale di ricerca e
informazione (2004/4–5), pp. 49–64 (con discussione della letteratura critica
sul tema); Martin, Jean-Marie, Le fortificazioni dal secolo V al XIII, in:
Napoli nel Medioevo. I. Segni culturali di una città (Le città del Mezzogiorno
Medievale 4), Galatina 2007, pp. 21–40.
13 Colletta, Teresa, Napoli città portuale e mercantile. La città bassa, il porto e il
mercato dall’VIII al XVII secolo, Roma 2006, pp. 51 ss.
14 Bacci, Michele, Portolano sacro. Santuari e immagini sacre lungo le rotte di
navigazione del Mediterraneo tra tardo Medioevo e prima età moderna, in:
204
Vinni Lucherini
versione più nota, in un codice fiorentino databile agli anni settanta del
Quattrocento, consistente in una serie di invocazioni ai luoghi di culto e
15
agli edifici sacri che i marinai incontravano lungo le loro rotte. Ci si augurava infatti che uno di quegli edifici comparisse alla vista di chi era in mare
e indicasse il tratto di costa presso il quale si trovavano, dando loro garanzia
che la terra non fosse così lontana.
Per quanto riguarda Napoli, il tragitto che le ‹ Sante Parole › idealmente
suggeriscono salendo dalla Sicilia segue una direzione generale sud-est/
nord-ovest, su rotte che di volta in volta variano a seconda del percorso
scelto. Superata Palermo, puntando verso la Penisola, i naviganti rivolgevano
le loro preghiere prima alla Cattedrale di San Bartolomeo sull’isola di Lipari;
poi, lungo le coste calabre, a Santa Maria di Tropea e a San Nicola; e da qui
passavano direttamente alla Campania, scegliendo una direzione che è pressappoco quella che tuttora prendono le imbarcazioni che dalla Sicilia orientale si rechino, in parte per cabotaggio, verso le coste campane. Giunto in
vista di queste coste, chi era in mare sperava di vedere San Matteo a Salerno,
Sant’Andrea ad Amalfi, Santa Maria Assunta a Positano, e infine, all’imbocco del Golfo di Napoli, l’isola di Capri, dove si invocava la chiesa di San
Costanzo: da un punto di vista geografico è Capri infatti il primo luogo sui
cui si elevava un sito di culto a cui il navigante poteva rivolgersi doppiando
il Capo di Sorrento, cioè il limite meridionale del golfo. Transitando poi
The Miraculous Image in the Late Middle Ages and Renaissance. Papers from
a conference held at the Accademia di Danimarca in collaboration with the
Bibliotheca Hertziana, Rome, 31 May–2nd June 2003, a cura di Thunø, Erik e
Wolf, Gerhard, Roma 2004, pp. 223–248.
15 Sulla navigazione nel Medioevo la bibliografia è ormai molto ampia e documentata. Tra i numerosi interventi sul tema: Villain-Gandossi, Christiane, La
mer et la navigation maritime à travers quelques textes de la littérature française
du XIIe au XIVe siècle, in: Revue d’histoire économique et sociale XLVII
(1969), pp. 150–192; Pryor, John H., Commerce, Shipping and Naval Warfare
in the Medieval Mediterranean, London 1987; Mollat du Jourdin, Michel,
L’Europe et la mer, Paris 1993; Tangheroni, Marco, Commercio e navigazione
nel Medioevo, Laterza, Roma/Bari 1996; Pour une histoire du ‹ fait maritime ›.
Sources et champ de recherches, a cura di Villain-Gandossi, Christiane e Rieth,
Éric, Paris 2001; Mediterraneum. L’esplendor de la mediterrània medieval,
segles XIII–XV, catalogo della mostra (Institut Europeu de la Mediterrània,
Museu d’Història de Catalunya, Museu Marítim, 18 maggio – 27 settembre
2004), a cura di Barral i Altet, Xavier e Alemany, Joan, Barcelona 2004.
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
205
davanti alla costa della città di Napoli e facendo rotta verso nord-ovest, si
16
poteva invocare santa Restituta, patrona dell’isola di Ischia.
Il riferimento delle ‹ Sante Parole › alla chiesa di Santa Restituta a Lacco
Ameno di Ischia è particolarmente importante per diversi ordini di ragioni
connesse al rapporto che Napoli e il golfo ebbero con il mare. Le più antiche
attestazioni di un culto di Restituta risalgono all’inizio dell’XI secolo: in
un documento del 12 maggio 1036, il conte di Ischia, Marino, e sua moglie
Teodora, i cui nomi sono riconducibili alla famiglia del duca di Napoli
Sergio I, commissionavano l’esecuzione di un dipinto raffigurante Cristo,
la Madonna e alcuni santi, tra i quali anche Restituta, per la chiesa del monastero benedettino da loro dedicato alla Madonna. Nell’elenco dei beni donati
dai coniugi in quell’occasione era annoverato anche un oratorio costruito in
onore di Restituta, e tra i molti altri beni, la concessione dei diritti di pesca
17
sulla spiaggia confinante con le terre del medesimo oratorio.
Una vera e propria leggenda agiografica di questa santa era stata
redatta soltanto nel corso del X secolo, dall’agiografo napoletano Pietro
18
Suddiacono, secondo il quale una nobile fanciulla cristiana di Ponizarius
(città identificata con Biserta, in Tunisia) sarebbe stata sottoposta al martirio
al tempo di Diocleziano. Dopo aver subito ogni sorta di tortura – appesa a
un gancio, scarnificata, sospesa per i capelli, con i piedi inchiodati –, Restituta era stata messa in una navicella piena di materiali infiammabili. Ma i
servi, incaricati di accendere il fuoco che l’avrebbe bruciata, erano caduti
in mare appena allontanatisi dalla riva, mentre un angelo mandato da Dio
giungeva a recare conforto alla martire morente rimasta sola sulla navicella
priva di timoniere. Portata infine dalle correnti marine e dalla mano di Dio
sulle coste dell’isola di Ischia, Restituta, ormai priva di vita, ma splendente
di fulgore e di santità, era stata sepolta con grande onore dagli ischitani,
19
tra inni e lodi, in un luogo da dove iniziò subito a dispensare miracoli.
Malgrado quindi il più antico documento nel quale troviamo un collega16 Sulla santità in questi territori: Galdi, Amalia, Santi, territori, poteri e uomini
nella Campania medievale (secc. XI–XII), Salerno 2004.
17 Galdi, Amalia, Spazi del sacro, culti e agiografia nelle isole di Ischia e Capri
durante il Medioevo, in: Rassegna del Centro di cultura e storia amalfitana XI
(2001/21–22), pp. 57–113, in part. pp. 65–75.
18 Pietro Suddiacono Napoletano, L’opera agiografica, edizione critica a cura di
D’Angelo, Edoardo, Firenze 2002.
19 Lucherini, Vinni, Santa Restituta venuta dall’Africa: l’utilizzazione canonicale
di un mito altomedievale nella Napoli angioina, in: I Santi venuti dal mare.
Atti del convegno internazionale (Bari/Brindisi, 14–18 dicembre 2005), a cura
di Calò Mariani, Maria Stella, Bari 2009, pp. 77–100.
206
Vinni Lucherini
mento tra la santa e Ischia risalga solo al 1036, già nel X secolo era stata
scritta a Napoli una leggenda agiografica che dimostra come la devozione
per Restituta, almeno a Napoli, dove la santa fu per secoli oggetto di speciale
riguardo da parte del Capitolo dei canonici della Cattedrale, necessitasse di
un adeguato supporto agiografico per una liturgia festiva che a Napoli è attestata, epigraficamente, nel cosiddetto Calendario marmoreo della Chiesa di
20
Napoli, fin dal IX secolo.
L’idea della navicella che procede alla deriva, senza affondare, costituisce
in verità un tema per nulla raro nelle Vitæ o Passiones dei santi campani, del
quale è stato rinvenuto un precedente letterario nella ‹ Storia della persecuzione vandalica in Africa › di Vittore di Vita, redatta nel V secolo. La
grande devozione per questo folto gruppo di santi giunti tutti attraverso il
mare potrebbe poi essersi ampliata nella pratica quotidiana delle popolazioni costiere, abituate ai naufragi e ai rischi del mare, di qualsiasi tipo essi
fossero, umani o naturali. Nella maggior parte delle narrazioni agiografiche
campane, infatti, la nave sulla quale il santo si imbarcava, o era forzatamente
imbarcato dai suoi aguzzini, era di frequente priva di remi, di vele, di timoniere, o era sconnessa, o forata, ma sempre immancabilmente non affondava
21
e arrivava a un approdo felice.
Alla coscienza del rischio di affondare, di fare naufragio, di incontrare
mostri marini, pirati, Saraceni, o di imbattersi in un diluvio, si contrapponeva, sulle coste campane prossime a Napoli, la forza di un drappello armato
di santi di importazione. Il santo sopravvissuto ai pericoli del mare assurgeva
a modello principe di salvezza perché è da quei pericoli che si era salvato,
ed è da quella salvezza miracolosa che derivava in primis la sua santità. Per
i marinai che passando davanti all’isola di Ischia invocavano Restituta chiedendole protezione, quella santa doveva rappresentare la prova, voluta da
Dio, che al pericolo in qualche modo si poteva scampare anche su una nave
alla deriva. E se c’erano riusciti i santi a solcare quel mare, non potevano
forse riuscirci, con la loro tutela, anche i naviganti?
Per quanto riguarda la città di Napoli, malgrado che nel percorso mediterraneo virtualmente tracciato dalle ‹ Sante Parole › compaiano pure edifici
che da mare non si distinguevano, le preghiere di chi giungesse in vista delle
coste di Napoli (Ill. 76) erano rivolte a due chiese – l’una, Santa Maria di
Piedigrotta, distante dal nucleo urbano intramuraneo, e l’altra, Santa Chiara,
posta a ridosso del porto –, non solo ben riconoscibili e percepibili per chi
20 Lucherini (n. 10), pp. 80–89.
21 Vuolo, Antonio, La nave dei santi, in: Pellegrinaggi e itinerari dei santi nel
Mezzogiorno medievale, a cura di Vitolo, Giovanni, Napoli 1999, pp. 57–66.
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
207
navigasse davanti alla costa, ma anche legate entrambe a questioni connesse
alla navigazione, sia pure l’una in maniera piuttosto diversa dall’altra.
Attualmente, la posizione topografica della moderna chiesa di Santa
Maria di Piedigrotta (di impianto cinquecentesco, ma molto modificata tra
Ottocento e Novecento), in una piazza al centro di un nodo stradale dove
il traffico domina sovrano, mai lascerebbe immaginare che nel Medioevo
i marinai che navigavano dirigendosi verso i Campi Flegrei potessero
22
trovarsi di fronte a un sito di culto posto su una spiaggia. La devozione
per la Madonna collegata al toponimo Piedrigrotta, sebbene non sia ancora
chiaro a quale immagine fosse connessa in origine, doveva esser molto radicata già nel primo Trecento, visto che ne troviamo traccia nella cosiddetta
23
‹ Epistola napoletana › di Giovanni Boccaccio, una lettera scritta in volgare
napoletano, nel 1339, come ‹ divertissement › letterario, nella quale l’invocazione del mittente della lettera, Iannetto de Parise, alla Madonna di
Piedigrotta suona come il segnale di un diffuso attaccamento popolare a un
culto di cui Boccaccio era sicuramente venuto a conoscenza durante il suo
24
soggiorno napoletano (tra il 1327 e il 1340).
La grande visibilità di Santa Maria di Piedigrotta per chi, superando
da sud il porto di Napoli, si recasse verso le coste più a nord o viceversa,
insieme con la sua accessibilità immediata da mare e il suo trovarsi in un
borgo ai margini della città dove vivevano pescatori e marinai, contribui25
rono per secoli a renderla uno dei siti più venerati del golfo, tanto che se ne
22 La spiaggia, detta di San Leonardo, prendeva il nome da una chiesetta fondata
nel 1319 dalle monache di domenicane di San Pietro a Castello: Croce,
Benedetto, Storie e leggende napoletane, ed. cons. Napoli 2002, pp. 258–269.
23 Sabatini, Francesco, Prospettive sul parlato nella storia linguistica italiana
(con una lettura dell’‹ Epistola napoletana › del Boccaccio), in: Italia
linguistica: idee, storia, strutture, a cura di Albano Leoni, Federico, Bologna
1983, pp. 167–222.
24 Sull’analisi del passo della lettera, nel quale si riscontra la più antica
testimonianza sulla Madonna venerata a Piedigrotta: D’Ovidio, Stefano,
Boccaccio, Virgilio e la Madonna di Piedigrotta, in Boccaccio angioino.
Materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento, a cura di Alfano,
Giancarlo, D’Urso, Teresa e Perriccioli Saggese, Alessandra, Bruxelles 2012,
pp. 329–346.
25 Il grande afflusso di naviganti è testimoniato anche nell’‹ Itinerarium Syriacum ›
di Petrarca (in litore Virginis Matris templum, quo magnus populi, magnus
assidue pernavigantium fit concursus): infra, n. 37. Sulla documentazione
erudita di età moderna: D’Ovidio, Stefano, La Madonna di Piedigrotta tra
storia e leggenda, in: Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e
Belle Arti di Napoli LXXIV (2006–2007), pp. 47–91.
208
Vinni Lucherini
trova ampia traccia nei racconti popolari che ne hanno alimentato la devozione fino alla metà del Novecento. Uno di questi narra che in una notte di
tempesta il sacrestano di Santa Maria di Piedrigotta non avrebbe più trovato
la statua della Madonna al suo posto (si riferiva probabilmente alla statua
26
lignea primo-trecentesca tuttora conservata), ed ebbe timore che l’avessero rubata. Corso dall’abate per rivelargli l’incredibile fatto, il sacrestano
fu invitato a ricontrollare, e nel far ritorno alla chiesa, vide la Madonna
venirgli incontro con il mantello bagnato, perché era andata a soccorrere
alcuni marinai che l’avevano invocata. Nel riprendere il suo posto, però, la
Madonna si tolse una delle sue scarpette facendo cadere la sabbia che vi era
27
entrata. In una celebre raccolta di leggende popolari, che fu pubblicata a
Napoli, in napoletano, nel 1634 con il titolo ‹ Lo cunto de li cunti ›, cioè il
racconto dei racconti, Giovan Battista Basile, nella fiaba intitolata ‹ La gatta
cenerentola ›, usò proprio il topos della scarpetta mancante per costruirvi
intorno una narrazione fantastica che qualche secolo dopo entrerà a pieno
titolo nella favolistica europea.
Se dunque la relazione tra Piedigrotta e i naviganti era molto forte,
quando volgiamo la nostra attenzione all’altra chiesa napoletana ricordata
nelle ‹ Sante Parole ›, Santa Chiara, il discorso si arricchisce di nuovi punti di
vista. Costruita a partire dal 1310 come chiesa monumentale di un altrettanto
monumentale complesso conventuale francescano, per volontà dei sovrani
allora sul trono del Regnum Siciliæ, Roberto d’Angiò e sua moglie Sancia
di Maiorca, la chiesa di Santa Chiara non c’è dubbio che avesse una visibilità eccezionale sulla linea di costa (Ill. 77). Essendo situata su un asse sudovest/nord-est, da mare si vedeva la parte posteriore della chiesa, la facciata
meridionale della parete terminale della struttura, confinante con il chiostro
delle clarisse (Ill. 80). La riconoscibilità di Santa Chiara per chi guardi la città
da mare, persino oggi che il fronte mare sul porto è invaso dalle costruzioni,
è ancora un elemento ineludibile della topografia di Napoli.
Su Santa Chiara va precisato che non vi è alcuna tradizione medievale
napoletana che la colleghi espressamente al mare, sebbene sia nota la devozione dei marinai per la santa assisiate, a partire dal miracolo del salvataggio
28
di una nave dalla tempesta. Ma nella chiesa si conservavano sicuramente
26 D’Ovidio (n. 25), pp. 57–65.
27 Canzanella, Claudio, I volti di Maria. Miti e Riti. Le sei sorelle. Il culto
popolare della Madonna in Campania, Napoli 2002, pp. 50–51.
28 Si tratta di miracoli non attestati da fonti scritte: Frugoni, Chiara, Una solitudine abitata. Chiara d’Assisi, Bari/Roma 2006, p. 163. Durante le discussioni
tenutesi nel corso del convegno di Friburgo, Valeria Polonio attirò l’attenzione sullo stretto nesso esistente tra la devozione a santa Chiara e i naviganti
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
209
29
alcune reliquie di san Ludovico di Tolosa, il secondogenito di Carlo
II d’Angiò che morì nel 1297 nel castello di Brignoles e fu sepolto nella
chiesa dei francescani di Marsiglia per poi esser santificato nel 1317 da papa
Giovanni XXII. Potrebbe esser stata proprio la presenza di quelle venerate
reliquie a far sì che, oltre a Piedigrotta, soltanto a Santa Chiara, tra tutte le
innumerevoli chiese cittadine, si rivolgessero le invocazioni dei marinai.
30
Negli atti del processo di canonizzazione di san Ludovico, fratello del
re di Napoli fondatore di quella chiesa, il mare, infatti, entra da protago31
nista nelle testimonianze dei miracoli. Un intero capitolo riguarda i numerosi miracoli « de periculo et naufragio in mari facta », nei quali i testimoni dichiaravano di aver invocato san Ludovico trovandosi in situazioni
nelle quali avevano temuto il naufragio: in cambio, se fossero sopravvissuti,
promettevano di recarsi presso la sua tomba non appena fossero rientrati
nel porto di Marsiglia, prima di ritornare alle loro abitazioni, o si impegnavano a offrire al santo una barca di cera con tante immagini di cera quanti
32
erano gli uomini presenti sulla barca che era stata in pericolo. In uno di
29
30
31
32
liguri, tanto che la santa si trova spesso raffigurata nelle cappelle delle confraternite di marinai.
Porzioni del braccio, della tunica e del cappuccio di Ludovico si custodiscono
in un reliquario settecentesco nel Museo dell’Opera di Santa Chiara. Un
prezioso reliquiario del braccio del santo, commissionato dalla regina Sancia
di Maiorca, è ora al Louvre: Bertaux, Émile, Le bras-reliquiaire de saint Louis
de Toulouse au musée du Louvre, in: Chronique des arts et des curiosités
(1898), pp. 45–46; Leone de Castris, Pierluigi, Une attribution à Lando di
Pietro. Le bras reliquiaire de saint Louis de Toulouse, in: Revue du Louvre 30
(1980), pp. 71–76; Gaborit-Chopin, Danielle, Le bras-reliquiaire de saint Luc,
in: Mélanges Verlet: studi sulle arti decorative in Europa. Antologia di belle
arti 27–28 (1985), pp. 4–18; Secondo D’Engenio Caracciolo, Cesare, Napoli
sacra, Napoli 1623, p. 239, nel monastero si trovavano anche le reliquie del
braccio e del cervello, oltre alla camicia, un lenzuolo e l’abito.
Analecta Franciscana sive chronica aliaque varia documenta ad historiam
fratrum minorum spectantia edita a patribus collegii S. Bonaventuræ. Tomus
VII. Processus Canonizationis et Legendæ variæ Sancti Ludovici o.f.m.,
episcopi Tolosani, Quaracchi-Firenze 1951, pp. 228–233, 322, 373.
Vauchez, André, La sainteté en Occident aux dernièrs siècles du Moyen Âge,
d’après les procès de canonisation et les documents hagiographiques, édition
revue et mise à jour (Bibliothèque des École françaises d’Athènes et de Rome
241), Roma 1988, pp. 265 ss.
Sugli ex-voto in cera: Bisogni, Fabio, Ex voto e la scultura in cera nel tardo
Medioevo, in: Visions of Holiness. Art and Devotion in Renaissance Italy,
a cura di Andrew Ladis e Shelley Zuraw (Studies in the History of Art 4),
210
Vinni Lucherini
questi racconti, un uomo ritornando dalla pesca, aveva ormeggiato la barca
nel porto di Marsiglia accanto ad altre barche, ma la mattina dopo non era
più riuscito a trovarla; aveva cercato ovunque, e finalmente gli era venuto in
mente di rivolgersi a Ludovico, vergognandosi di non averci pensato prima,
e gli aveva promesso una barca di cera se gli avesse fatto trovare la sua, di
33
barca, come poi miracolosamente avvenne. E se è vero che alla fine del
Medioevo la protezione dei naviganti diventa un tema ricorrente per molti
34
dei nuovi santi di recente creazione, non si può ignorare che sia Marsiglia
che Napoli, città legate entrambe a san Ludovico e alle sue spoglie, erano
dotate di un porto di grande importanza nel Mediterraneo.
Visibile da mare doveva essere, peraltro, almeno parzialmente, la chiesa
napoletana di Sant’Eligio al Mercato (Ill. 77), nella quale si conserva, sulla
semicolonna del pilastro posto proprio di fronte all’entrata, una pittura
murale raffigurante Urbano V, il papa avignonese sulla cui tomba, a Saint-Victor, sempre a Marsiglia, si svolsero moltissimi miracoli, tanto che durante
l’inchiesta di canonizzazione gli si attribuirono ben 28 salvataggi di navi dal
35
naufragio su 32 miracoli concernenti il dominio degli elementi naturali. Pur
non avendo Urbano V alcun legame con il mare, il fatto che la sua tomba si
trovasse a Marsiglia, e che lì si svolgesse la maggior parte dei suoi miracoli,
fece sì che anche questo santo fosse posto al centro di racconti riguardanti la
salvezza dei marinai. Forse allora non è un caso se l’unica immagine napoletana di Urbano V si trovi in Sant’Eligio, un edificio sacro situato sul limite
del lato orientale della topografia cittadina, vicinissimo al mare, fondato
Athens, GA 2001, pp. 67–91; id., La scultura in cera nel Medioevo, in: Iconographica (2002/1), pp. 1–15; Holmes, Megan, Ex-votos: Materiality, Memory,
and Cult, in: The Idol in the Age of Art. Objects, Devotions and the Early
Modern World, a cura di Cole, Michael W. e Zorach, Rebecca (St. Andrews
Studies in Reformation History), Farnham/Burlington 2009, pp. 159–182.
33 Analecta (n. 30), p. 322.
34 Vauchez, André, Les Saints protecteurs contre le péril de la mer dans les
miracles médiévaux (XIIe–XVe siècle), in: I santi venuti dal mare. Atti del
convegno internazionale (Bari/Brindisi, 14–18 dicembre 2005), a cura di Calò
Mariani, Maria Stella, Bari 2009, pp. 3–14.
35 Vauchez (n. 34), pp. 8–9; Veyssière, Gerard, Vivre en Provence au XIVe siècle,
Paris 1998, p. 175.
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
211
con finalità di assistenza ospedaliera da una comunità francese di artigiani
36
e mercanti che a Napoli lavorava e viveva.
III. Le coste di Napoli, l’architettura angioina
e l’‹ Itinerarium ad Jerusalem › di Petrarca
Che si possa individuare un nesso tra visibilità del sacro da mare e timore
della navigazione interviene a dimostrarlo l’‹ Itinerarium ad sepulcrum
37
Domini Nostri Ihesu Christi › di Francesco Petrarca, o ‹ Itinerarium Syriacum ›, un testo che per quanto riguarda Napoli può ancora darci indicazioni
di un certo rilievo. Nell’esordio a questa colta guida di viaggio, redatta nel
1358 per l’amico Giovannolo Guido da Mandello (governatore di Bergamo
e nipote di Matteo Visconti) che stava per recarsi in Terrasanta, Petrarca
spiegava le ragioni del suo rifiuto ad accompagnarlo, malgrado non potesse
esistere percorso più santo di quello che conduceva sulla tomba di Cristo,
o spettacolo più desiderabile (O beatum iter et invidiosum cristiano animo
spectaculum!). Pur vergognandosi di ammettere qualcosa che molto lo imbarazzava, Petrarca doveva infatti obbedire all’imperiosa verità e confessare
36 Per l’identificazione di Urbano V nel personaggio dipinto sul pilastro e per l’analisi delle fonti antiquarie di età moderna connesse con la questione della fondazione della chiesa: Lucherini, Vinni, Un papa francese a Napoli: un’immagine trecentesca di Urbano V identificata e le effigi dei fondatori di Sant’Eligio,
in: Le plaisir de l’art du Moyen Âge. Commande, production et réception de
l’œuvre d’art, Paris 2012, pp. 181–192.
37 Non è disponibile al momento un’edizione critica completa che abbia tenuto
conto di tutti i testimoni manoscritti dell’‹ Itinerarium ›. Per le più recenti
edizioni: con traduzione inglese, Petrach’s Guide to the Holy Land: facsimile
ed. of Cremona, Biblioteca Statale, manuscript BB.1.1.5., a cura di Cachey,
Theodore J., Notre Dame, IN 2002; Francesco Petrarca, Itinerarium ad sepulcrum Domini Nostri Ihesu Christi. English Petrach’s Itinerarium: a proposed
route for a pilgrimage from Genoa to the Holy Land, a cura di Shey, H. James,
Binghamton 2004; con traduzione francese: Francesco Petrarca, Itinéraire de
Gênes à la Terre Sainte. 1358, a cura di Lenoir, Rebecca e Carraud, Christophe,
Grenoble 2002. Nel corso del Quattrocento ebbe ampia diffusione un volgarizzamento in « un impasto linguistico dove una grossa fetta è riservata a
latinismi e a voci toscane, mentre gli esiti meridionali risultano piuttosto stemperati »: Volgarizzamento meridionale anonimo di Francesco Petrarca. « Itinerarium breve de Ianua usque ad Ierusalem et Terram Sanctam », a cura di Paolella, Alfonso (Commissione per i testi di lingua), Bologna 1993, p. LXXXII.
212
Vinni Lucherini
che, tra le molte cause che lo frenavano dal compiere quel viaggio, nessuna
era più forte della paura del mare (nulla potentior quam pelagi metus). Il
poeta, però, doveva anche ammettere che non era certo la morte su mare
che lo atterriva più della morte per terra: sarebbe stato comunque impossibile evitare la morte, e non era affatto questo il suo timore. Qualcuno allora
avrebbe potuto chiedergli: ma se non temi la morte, cosa temi andando
per mare? Ebbene, la risposta era chiarissima: temeva la morte lunga, ma
ancor peggio temeva la nausea, che aveva inutilmente cercato di combattere navigando, accrescendo invece il supplizio che questa ogni volta gli
infliggeva. Forse, aggiungeva Petrarca, era proprio la nausea il freno che la
natura aveva imposto alla sua anima desiderosa di viaggiare e ai suoi occhi
continuamente insaziabili di vedere nuove cose (Hoc forsan animo vago et
38
rerum novarum visione inexplebili oculo frenum posuit natura). Ma questa
paura lo aveva infine condotto a scrivere un itinerario geografico di tutto
quello che Giovannolo avrebbe potuto vedere recandosi per mare in Terra39
santa da Genova.
Una volta superati i Campi Flegrei e i siti connessi al mito virgiliano, tra i
quali anche la chiesa di Piedigrotta più sopra ricordata, ecco cosa consigliava
38 L’esordio costituisce « un capolavoro di strategia retorica dove l’autore
riesce a scansare un impegno per lui inutile e oneroso, ma nello stesso
tempo, utilizzando distinte motivazioni teologiche e filosofiche e lodando
le scelte del Mandello, riesce a non urtare la sensibilità del suo potente
e nobile interlocutore »: Paolella, Alfonso, La descrizione di Napoli nel
volgarizzamento umanistico dell’Itinerarium Syriacum del Petrarca, in:
Petrarca e Napoli. Atti del convegno (Napoli, 8–11 dicembre 2004), a cura di
Cataudella, Michele, Pisa/Roma 2006, pp. 59–74, in part. p. 63.
39 Tra le analisi interpretative del testo, su diversi piani disciplinari: Paolella, Alfonso, Petrarca e la letteratura odeporica del Medioevo, in: Studi e problemi
di critica testuale 44 (1992), pp. 61–85; id., Petrarca, peregrinus an viator, in:
L’Odeporica/Hodeporics. On Travel Literature, a cura di Monga, Luigi, Annali d’Italianistica XIV (1996), pp. 152–176; Tangheroni, Marco, A proposito
di scritture letterarie di viaggio nel Medioevo. Note su Francesco Petrarca, in:
Viaggiare nel Medioevo, a cura di Gensini, Sergio, Roma 2000, pp. 517–536;
Sabbatino, Pasquale, L’Itinerarium di Petrarca. Il viaggio in Terrasanta tra
storia, geografia, letteratura e sacre scritture, in: Studi rinascimentali. Rivista
internazionale di letteratura italiana 4 (2006), pp. 11–22; Bellenger, Yvonne,
Pétrarque et le voyage, in: Francesco Petrarca: l’opera latina. Tradizione e fortuna. Atti del 16° convegno internazionale (Chianciano-Pienza, 19–22 luglio
2004), Firenze 2006, pp. 191–204; Stella, Francesco, Spazio geografico e spazio
poetico nel Petrarca latino: Europa e Italia dall’Itinerarium alle Epistole metriche, in: Incontri triestini di filologia classica 6 (2006–2007), pp. 81–94. Sulla
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
213
Petrarca a proposito di Napoli, definita una delle città più importanti della
costa:
Proxima in valle sedet ipsa Neapolis, inter urbes litoreas una quidem ex paucis.
Portus hic etiam manufactus; supra portum regia, ubi si in terram exeas, capellam
regis intrare ne omiseris, in qua conterraneus olim meus, pictorum nostri evi
princeps, magna reliquit manus et ingenii monimenta. Non audeo te hortari
ut extantem in colle urbi proximo Cartusie domum adeas. Scio ut navigatio
fatigationem et fastidium parit. At Clare Virginis preclarum domicilium,
quamvis a litore parumper abscesserit, videto, regine senioris amplissimum
opus. Illud nulla festinatio, nullus labor impediat, quin duos urbis illius vicos,
Nidum scilicet et Capuanam, videas, edificiis supra privatum modum et, ante
quam pestis orbem terre funditus exhausisset, vix cuiquam credibili militie
numero et decore memorabiles. Militem ad militie pelagus, opus professioni
tue debitum, te mitto, non studiosum veritatis ad fabulas, et idcirco Castrum
Ovi titulo cognitum eminus aspesisse satis fuerit.
Qualora fosse sceso a terra, Giovannolo non doveva omettere di entrare
prima di tutto nella cappella del re di Napoli, situata all’interno della regia
posta a sua volta proprio al di sopra del porto (Ill. 78–79); in questa cappella,
un conterraneo di Petrarca, un principe dei pittori di quei tempi (Giotto),
aveva lasciato grandi testimonianze della sua mano e del suo ingegno.
Sarebbe stato poi opportuno che Giovannolo si recasse sul colle vicino
alla città, dove sorgeva il monastero cartusiense (Ill. 81), ma Petrarca non
osava esortarlo a compiere anche questa visita, conoscendo bene la fatica e
letteratura odeporica si veda anche Nuovi mondi. Relazioni, diari e racconti
di viaggio dal XIV al XVII secolo, a cura di Spila, Cristiano, Milano 2010.
Il fatto che del volgarizzamento dell’‹ Itinerarium › petrarchesco si contino
ormai cinque testimoni meridionali, datati tra il 1435 (?) e il 1516, indizio rilevante di una sua ampia diffusione nel Mezzogiorno, ne ha fatto supporre un
uso concreto come portolano sulle coste tirreniche, « perché indicava tutti i
luoghi, almeno i più importanti, dove una nave che costeggiava il litorale potesse, in caso di necessità, trovare riparo »: Paolella (n. 38), p. 74. Sui portolani:
Campbell, Tony, Portolan Charts from the Late Thirteenth Century to 1500,
in: Cartography in Prehistoric, Ancient and Medieval Europe and the Mediterranean, a cura di Harley, John Brian e Woodward, David (The History of
Cartography I), Chicago/London 1987, pp. 371–463; da ultimo: Pujades i Bataller, Ramon Josep, Les Cartes Portolanes. La representació medieval d’una
mar solcada (Institut Cartogràfic de Catalunya, Institut d’Estudis Catalans,
Institut Europeu de la Mediterrània), Barcelona 2007; id., Espais viscuts i
espais imaginats: les representacions del món de la baixa edat mitjana, in: Studium medievale. Revista de cultura visual-cultura escrita 3 (2010), pp. 27–41.
214
Vinni Lucherini
il fastidio provocati dalla navigazione; ciò nonostante Giovannello doveva
andare a vedere almeno la bellissima dimora di santa Chiara (Ill. 80), opera
insigne della regina madre (Sancia di Maiorca), sebbene si dovesse un po’
salire rispetto alla costa. Né la fretta, né la fatica avrebbero inoltre dovuto
impedirgli di recarsi a vedere i due quartieri di Nido e Capuana, memorabili
per la presenza di edifici ben più alti del consueto, oltre che per il numero e
la bellezza a stento credibile dei soldati. Nel mandarlo, lui soldato e amante
della verità, verso un mare di soldati, Petrarca non lo inviava verso le favole;
e in ogni caso gli sarebbe bastato aver visto da lontano il Castel dell’Ovo
(Ill. 82), noto per il suo solo nome.
In questo passo si fanno strada alcuni concetti di particolare interesse sulla
visibilità del sacro da mare. La prima delle indicazioni fornite da Petrarca
si riferisce a una capella regis, verosimilmente la cappella palatina tuttora
accessibile dalla grande corte del Castrum novum, edificato per volontà
40
del re Carlo I d’Angiò come residenza fortificata, tra il 1279 e il 1284,
sull’area di costa, in una zona extraurbana pianeggiante a circa venti metri
sul livello del mare, nei pressi del nuovo porto della città (Ill. 78–79). Il
castello subì rilevanti modificazioni nel momento in cui, nel 1442, giunse a
Napoli Alfonso d’Aragona, grazie al quale divenne il simbolo più eclatante
della nuova monarchia aragonese (tuttora il trionfo all’antica di Alfonso
accompagna l’ingresso di chi si rechi al suo interno), sede principale del re
41
oltre che deposito del tesoro regio, ma la cappella palatina non fu toccata
né modificata dal nuovo sovrano, tanto che tuttora, malgrado l’avanzamento della città rispetto al mare, la cappella è visibile per chiunque si trovi
40 Aceto, Francesco, Il ‹ castrum novum › angioino di Napoli, in: Cantieri
medievali, a cura di Cassanelli, Roberto, Milano 1995, pp. 251–267.
41 Barral i Altet, Xavier, Alfonso il Magnanimo tra Barcellona e Napoli, e la memoria del Medioevo, in: Medioevo: immagine e memoria. Atti del convegno
internazionale di studi (Parma, 23–28 settembre 2008), Milano 2009, pp. 649–
667; id., Dopo la morte del re. Politica, religione e arte nei trasferimenti delle
spoglie di Alfonso il Magnanimo (Napoli/Poblet, 1458–1671). A proposito del
De translatione cadaveris Alphonsi Regis de Aragonia di Michele Muscettola
(1667), in: Art fugitiu, a cura di Alcoy, Rosa, Barcelona (in corso di stampa);
Molina Figueres, Joan, Contra Turcos. Alfonso d’Aragona e la retorica visiva
della crociata, in: La battaglia nel Rinascimento meridionale. Moduli narrativi
tra parole e immagini, a cura di Abbamonte, Giancarlo et alii, Roma 2011, pp.
97–110; De Divitiis, Bianca, Castel Nuovo and Castel Capuano in Naples: the
Transformation of Two Medieval Castles into ‹ all’antica › Residences for the
Aragonese Royals, in: Zeitschrift für Kunstgeschichte 76 (2013), pp. 441–474.
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
215
42
nel porto. Nel parlare poi di un pittore fiorentino che in questa cappella
avrebbe lavorato, Petrarca parlava evidentemente di Giotto (il cui nome,
43
assente nella versione latina, compare nel volgarizzamento napoletano),
che era stato a Napoli tra il 1328 e il 1332/1333, al servizio di Roberto d’An44
giò. Della decorazione murale eseguita da Giotto non resta quasi più nulla,
ma la cappella presenta ancora una caratteristica che la rende molto importante ai fini di questo discorso, perché si trattava appunto di un luogo di
culto che di sicuro fu pensato ab origine per esser riconosciuto da mare.
Il secondo suggerimento fornito da Petrarca all’amico Giovannello
riguarda invece la certosa di San Martino (Ill. 81). Oggi non resta quasi
più nulla del monastero visto da Petrarca nei suoi anni napoletani, perché
45
durante l’età moderna tutto è stato alterato, ma si trattava anche in questo
caso di una vera e propria fondazione angioina. La certosa infatti era stata
46
voluta nel 1325 dal duca Carlo di Calabria, vicario del regno per suo
padre Roberto d’Angiò fino alla sua prematura scomparsa nel 1328. E che
la costruzione avesse un valore particolare per i sovrani di Napoli, soprattutto dopo la morte di Carlo, è attestato a chiare lettere da una lettera del 13
maggio 1333, nel quale il re Roberto informava sua moglie Sancia di Maiorca
di averle concesso alcune terre con le relative ricche dotazioni, in modo che
42 Sulle cappelle costruite nelle dimore reali e principesche si veda, ad esempio,
il caso francese: Billot, Claudine, Les saintes-chapelles (XIIIe–XVIe siècles).
Approche comparée de fondations dynastiques, in: Revue d’Histoire de
l’Eglise de France 73 (1987), pp. 229–248; e più in generale sull’Europa
medievale: Court Chapels of the High and Late Middle Ages and their Artistic
Decoration, a cura di Fajt, Jiří, Praha 2003.
43 Paolella (n. 38), p. 68.
44 Caglioti, Francesco, Giovanni di Balduccio a Bologna: l’Annunciazione per la
rocca papale di Porta Galliera (con una digressione sulla cronologia napoletana
e bolognese di Giotto), in: Prospettiva 117–118 (2005), pp. 21–63; Leone de
Castris, Pierluigi, Giotto a Napoli, Napoli 2006.
45 Cassani, Silvia, Sapio, Maria e Spinosa, Nicola, La Certosa e il Museo di San
Martino, Napoli 2000.
46 Strazzullo, Franco, Il « privilegium fundationis Carthusiae Neapolitanae » della regina Giovanna I (14 luglio 1347). Nel VI Centenario della consacrazione
della chiesa di S. Martino, in: Atti della Accademia Pontaniana XVII (1967–
1968), pp. 179–200, in part. pp. 189–190 (Appendice I. Carlo duca di Calabria
fonda la certosa di S. Martino, 4 maggio 1325). Dal documento si evince che
preposti del cantiere erano i maestri Tino di Siena e Francesco de Vivo.
216
Vinni Lucherini
si potessero proseguire, come lei molto desiderava per l’anima del defunto
47
Carlo, i lavori alla certosa lasciati interrotti qualche anno prima.
L’ultimo sito di culto sul quale Petrarca attirava l’attenzione del suo interlocutore di passaggio per Napoli era la chiesa conventuale di Santa Chiara
(Ill. 80), costruita, come già accennato più sopra, su commissione di Roberto
e Sancia, per ospitarvi, in origine, clarisse di nobili natali provenienti dai
48
territori provenzali del Regno. Sito prediletto della nobiltà napoletana e
regnicola più vicina ai sovrani a partire dagli anni trenta del Trecento; luogo
di sepoltura di alcuni dei membri della famiglia reale (senza alcuna pretesa
di farne un pantheon), la chiesa assunse sempre più nel corso del secolo il
ruolo di chiesa reale, delegata allo svolgimento dei principali eventi pubblici
49
coinvolgenti i sovrani e la corte. Ma anche in questo caso si trattava di un
edificio più che ben visibile da mare. Nell’indicare dunque al suo interlocutore la cappella palatina, la certosa di San Martino e la chiesa francescana
di Santa Chiara, Petrarca segnalava a chiunque in futuro avesse letto questo
itinerario costiero le tre architetture sacre la cui percezione visiva non poteva
non colpire l’occhio di qualsiasi navigante approdasse a Napoli o soltanto la
guardasse dal ponte di una nave di passaggio. E Petrarca doveva conoscere
bene Napoli, per averla visitata durante i suoi due soggiorni napoletani, uno
47 Per l’analisi e la contestualizzazione storica di questo documento: Lucherini,
Vinni, The Journey of Charles I, King of Hungary, from Visegrád to Naples
(1333): Its Political Implications and Artistic Consequences, in: The Hungarian Historical Review. New Series of Acta Historica Academiæ Scientiarum
Hungariæ 2 (2013/2), pp. 341–362; ead., Precisazioni documentarie e nuove
proposte sulla commissione e l’allestimento delle tombe reali angioine nella
Cattedrale di Napoli, in: Studi in onore di Maria Andaloro, Roma 2014,
pp. 137–143.
48 Gaglione, Mario, Qualche ipotesi e molti dubbi su due fondazioni angioine a
Napoli: S. Chiara e S. Croce di Palazzo, in: Campania Sacra XXXIII (2002),
pp. 61–108; id., La Basilica ed il monastero doppio di S. Chiara in studi recenti,
in: Archivio per la storia delle donne IV (2007), pp. 127–209.
49 Lucherini, Vinni, Le tombe angioine nel presbiterio di Santa Chiara a Napoli e
la politica funeraria di Roberto d’Angiò, in: Medioevo: i committenti. Atti del
convegno internazionale (Parma, 21–26 settembre 2010) a cura di Quintavalle,
Arturo Carlo, Milano 2011, pp. 477–504; ead., Il refettorio e il capitolo del
monastero maschile di Santa Chiara: l’impianto topografico e le scelte decorative, in: La chiesa e il convento di Santa Chiara. Committenza artistica, vita
religiosa, e progettualità politica nella Napoli di Roberto d’Angiò e Sancia di
Maiorca, a cura di Aceto, Francesco, D’Ovidio, Stefano e Scirocco, Elisabetta,
Salerno 2014, pp. 385–430.
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
217
nel marzo del 1341; l’altro nel novembre del 1343, quando, Roberto ormai
50
morto, vi si era recato come ambasciatore dei Colonna.
Guardando, con il testo petrarchesco alla mano, la Tavola Strozzi (Ill. 77),
celebre dipinto tardo-quattrocentesco a olio su legno nel quale fu rappresentato il ritorno vittorioso della flotta di Ferrante d’Aragona nel porto
51
di Napoli avvenuto il 12 luglio dell’anno 1465, si può immaginare che la
Napoli che il poeta fiorentino aveva visto con i propri occhi non dovesse
poi essere molto diversa da quella riconoscibile nella pittura, malgrado che
le modifiche e le aggiunte del periodo aragonese al patrimonio monumentale cittadino non fossero affatto trascurabili. Si tratta infatti della più antica
rappresentazione grafica pressoché completa di Napoli vista da mare, e nel
contempo del più antico documento figurativo, che, con programmatico e
perseguito intento di esaustività della raffigurazione, ci consenta di ricostruire idealmente la forma e la facies che alla fine del Medioevo la città
potesse mostrare a chi vi si recasse.
La Napoli che si vede in questa tavola era un’entità urbanistica ancora
medievale, nella quale la topografia cittadina articolava le proprie componenti sacre e civili in maniera sinuosa rispetto al paesaggio costiero del quale
era parte integrante. All’epoca di realizzazione del dipinto, subito dopo
la metà del XV secolo, le fondazioni religiose tardo-antiche e altomedievali, così come gli ambiziosi impianti tardo-duecenteschi e trecenteschi del
periodo angioino, erano ancora funzionanti in quanto siti devozionali e di
culto, come lo sono per gran parte anche oggi nonostante i danni provocati
dai bombardamenti americani della seconda guerra mondiale. Sul primo
piano della tavola si individuano bene le possenti mura cittadine, il porto
50 Sulle ragioni del primo viaggio a Napoli: Kiesewetter, Andreas, Francesco
Petrarca e Roberto d’Angiò, in: Archivio Storico per le Province Napoletane
CXXIII (2005), pp. 145–176; su quelle del secondo: Amabile, Arsenio, La corte
di Roberto d’Angiò e il secondo viaggio di Petrarca a Napoli, Napoli 1890.
51 Pane, Giulio, La Tavola Strozzi tra Napoli e Firenze. Un’immagine della
città nel Quattrocento, Napoli 2008. Sulla forma della Napoli rinascimentale:
Vencato, Marco, Space Politics and Images of Power. The Urban Renewal
of Naples during the Renaissance, in: The Power of Space in Late Medieval
and Early Modern Europe. The Cities of Italy, Northern France and Low
Countries, a cura di Boone, Marc e Howell, Martha, Turnhout 2013, pp.
11–20. Sulle rappresentazioni grafiche della città in età moderna: Brancaccio,
Giovanni, Geografia, cartografia e storia del Mezzogiorno (L’altra Europa),
Napoli 1991; Le città dei cartografi. Studi e ricerche di storia urbana. Atti del
IV convegno internazionale di studi su « L’iconografia della città europea dal
XV al XIX secolo », a cura di de Seta, Cesare e Marin, Brigitte, Napoli 2008.
218
Vinni Lucherini
voluto dai sovrani angioini, il Castrum novum che spicca alla sinistra del
molo (Ill. 78); più lontano si vede la sagoma di Castel dell’Ovo, costruito
sull’isolotto di Megaride, collegato alla terraferma attraverso un ponte (Ill.
82). Volgendo lo sguardo verso destra, ci si trova invece di fronte alla città
storica, chiusa dentro le mura, costruita sul pendio, tanto che lo sfalsamento in altezza degli edifici non costituisce soltanto un espediente ottico
del pittore, ma corrisponde a quanto effettivamente tuttora si percepisce
da mare. Qui, accanto alle abitazioni, delle quali Petrarca sottolineava la
bellezza, gli edifici sacri emergono in tutta evidenza: Santa Chiara (Ill. 80),
più di tutti gli altri; e poi, andando da sinistra verso destra, San Domenico Maggiore, San Lorenzo Maggiore, la Cattedrale, architetture gotiche
innalzate durante il regno di Carlo II d’Angiò e di suo figlio Roberto, in un
momento nel quale la città assistette a un rinnovamento dell’edilizia sacra,
per volontà sia dei sovrani che degli ordini religiosi impiantati dentro le
mura. Di tale mutamento della topografia del sacro fornisce ulteriore testimonianza la costruzione della certosa di San Martino (Ill. 81), che nel dipinto
svetta sulla sommità della collina che dall’alto dominava la città, accanto al
52
castello, pure angioino, di Sant’Elmo.
Il confronto tra il testo petrarchesco e questo dipinto invita a osservare
con un altro sguardo le architetture del periodo angioino, sia quelle costruite
per volere dei sovrani, sia quelle da loro soltanto patrocinate. Di tali architetture siamo abituati a studiare le forme strutturali e le decorazioni pittoriche e scultoree, ma forse la loro posizione e la loro monumentalità erano
destinate anche a favorirne una percezione da mare, tanto che ci si chiede
se per sovrani abituati ad andare per mare o per i quali comunque il mare
era la principale via di comunicazione tra i diversi territori appartenenti al
Regno, non poteva essersi fatta sentire l’esigenza di dare un’immagine della
città da mare che mettesse in risalto la maestosità non solo delle residenze
reali, ma anche degli edifici religiosi: un’operazione che potrebbe spiegarsi
sulla base della necessità comunicativa e simbolica di fornire dei segni (le
architetture) decifrabili da lontano.
52 Gubitosi, Camillo, Analisi e lettura architettonica di Castel Sant’Elmo in Napoli, in: Atti della Accademia Pontaniana 22 (1973), pp. 39–70.
Strategie di visibilità dell’architettura sacra nella Napoli angioina
219
IV. Conclusioni
Il concetto di visibilità del sacro da mare, che per Napoli è quasi tangibile
tanto è forte l’accento che Petrarca pone sulle principali architetture napoletane percepibili dai naviganti, ritorna in maniera costante nell’‹ Itinerarium ›,
fornendo una chiave originale di interpretazione letteraria del rapporto che
il Medioevo occidentale aveva con il Mediterraneo e con la sacralità che vi
si dispiegava. Nell’introduzione al percorso di viaggio, rivolgendosi all’amico in partenza, Petrarca lo aveva vivamente esortato ad andare comunque
senza di lui, con la finalità di guardare molte cose, il cui ricordo, nel corso
dell’intera vita, gli avrebbe di continuo rinnovato il piacere di averle viste
(Ibis ergo sine me, et multa cospiciens, quorum tibi, dum vixeris, memoria
voluptatem renovet).
Se quindi è dal timore del mare, largamente condiviso nel Medioevo,
che nascevano il bisogno e la prassi di rivolgere preghiere ai luoghi sacri o
promettere pellegrinaggi ed ex-voto, è dal medesimo timore, sia pure assunto
come giustificazione retorica per non partire, che nasceva in Petrarca il
pretesto della narrazione letteraria, determinando la sostituzione del viaggio
per mare con il racconto di ciò che da mare si poteva vedere. E mentre il
destinatario dell’itinerario si sarebbe dovuto fidare solo della propria capacità di osservazione, Petrarca poteva far conto sulla propria memoria intellettuale, che lo spingeva a scrivere il percorso di un viaggio che per buona
parte non aveva e non avrebbe mai fatto, attraverso quanto su quei luoghi
aveva letto nelle descrizioni di chi ci era stato, o su quanto aveva guardato
53
sulle carte geografiche, e per quel che riguarda a Napoli, su quanto aveva
visto con i propri occhi quando vi si era recato prima e dopo la morte di
Roberto d’Angiò.
La visibilità del sacro, con la quale i pescatori, i marinai e tutti i naviganti che si sporgevano oltre i parapetti dovevano fare i conti nei loro
viaggi per mare, diveniva così nel racconto di Petrarca il ‹ fil-rouge › del
concetto di visione, lo strumento che consentiva di conservare il ricordo,
ma anche il piacere, la voluptas, dei luoghi visti. Interviene a dimostrarlo
53 Bouloux, Nathalie, Encore quelques reflexions sur l’usage des cartes par
Pétrarque, in: Petrarca, la medicina, les ciènces. Atti del convegno internazionale (Barcelona, 21–23 octobre 2004), in: Quaderns d’Italià XI (2006), pp.
313–326; Edson, Evelyn, Petrach’s Journey between Two Maps, in: The Art,
Science, and Technology of Medieval Travel, a cura di Odell Bork, Robert e
Kann, Andrea, Aldershot/Burlington 2008, pp. 157–166; Pontari, Paolo, Pictura latens. La dispersa carta geografica d’Italia di Petrarca e Roberto d’Angiò,
in: Rinascimento XLIX (2009), pp. 211–244.
220
Vinni Lucherini
linguisticamente la frequente ricorrenza, nel testo petrarchesco, di radici
semantiche attinenti all’occhio e alle sue abilità, come i verbi ‹ conspicere ›
o ‹ videre › o ‹ spectare ›, coniugati nelle differenti forme necessarie alla
narrazione. In questa concezione, intellettuale certo, senza alcun dubbio,
ma nel contempo molto concreta, in quanto basata, nel caso di Napoli,
su un’esperienza personale di Petrarca, la città capitale del Regnum Siciliæ
poteva vantare architetture sacre perfettamente visibili da mare, per le quali,
secondo il poeta, valeva la pena di scendere a terra per guardarle da vicino,
malgrado il mar di mare e la fatica del viaggio. La cappella dei re, Santa
Chiara, la certosa di San Martino, sono peraltro le uniche architetture sacre,
insieme con Piedigrotta, a essere espressamente segnalate nell’‹ Itinerarium ›.
Con Petrarca si chiudeva così, dal punto di vista letterario, il cerchio
aperto dal biografo di Atanasio con la sua descrizione di Napoli. La
geografia napoletana del sacro di cui l’agiografo di IX secolo si era fatto
nobile interprete, una geografia tutta basata sulla vetustas e sulla remota
antichità degli edifici di culto e dei monasteri risuonanti di canti ininterrotti, trovava in Petrarca un nuovo più moderno interprete, per il quale le
sole architetture del Mediterraneo, molto ben individuabili nella visione da
mare delle coste napoletane, nelle quali fosse anche auspicabile entrare fisicamente, erano costruzioni monumentali, all’avanguardia, gotiche, volute
dai re, dalle regine e dai principi angioini di Napoli come luoghi di messa in
scena sia del proprio potere, sia della propria dichiarata profonda religiosità.
Illustrations
408
Illustrations Lucherini
Ill. 73 – Carta dell’Italia meridionale, incisione in rame colorata, da Nicolas
de Fer, Les Royaume de Naples et de Sicile, Paris 1705.
Illustrations Lucherini
409
Ill. 74 – Il golfo di Napoli, incisione in rame colorata, da Joseph Roux,
Recueil des principaux plans des ports et rades de la Mer Méditerranée,
Marseille 1764.
410
Illustrations Lucherini
Ill. 75 – Matthäus Seutter, Neapolis, Augsburg 1730, incisione in rame
colorata.
Ill. 76 – Bastiaen Stoopendaal (inc.), Veduta di Napoli a volo d’uccello,
incisione in rame colorata, in Pierre Mortier, Nouveau theatre d’Italie,
Amsterdam 1704.
Illustrations Lucherini
411
Ill. 77 – Tavola Strozzi, olio su legno, ca. 1465, Napoli, Museo di San
Martino.
Ill. 78 – Tavola Strozzi, olio su legno, ca. 1465, Napoli, Museo di San
Martino, part. con il molo e Castel Nuovo.
412
Illustrations Lucherini
Ill. 79 – Veduta del porto di Napoli, disegno a piuma, ca. 1498, in: New York,
Pierpont Morgan Library, Ms. M. 801, fol. 117.
Illustrations Lucherini
413
Ill. 80 – Tavola Strozzi, olio su legno, ca. 1465, Napoli, Museo di San
Martino, part. con la chiesa di Santa Chiara.
414
Illustrations Lucherini
Ill. 81 – Tavola Strozzi, olio su legno, ca. 1465, Napoli, Museo di San
Martino, part. con la certosa di San Martino e il Belforte.
Illustrations Lucherini
415
Ill. 82 – Tavola Strozzi, olio su legno, ca. 1465, Napoli, Museo di San
Martino, part. con il Castel dell’Ovo.